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Autore: flatwhat    09/09/2014    4 recensioni
Quando sentì un orrido suono gracchiante, si accorse che la ragazza stava ridendo. Di lui.
“Certo che vi adoperate molto, per arrestare una semplice ladruncola come me. Ecco!”, lanciò quello che, con buona probabilità, era il portafoglio del gentiluomo attraverso le sbarre del cancello.
Javert si chinò a raccoglierlo.
“Restituiteglielo e ditegli che lo ringrazio molto”, disse la ragazza con un ghigno, “Io mi sono già servita”.
Il portafoglio era vuoto.
“Razza di canaglia! Pagherai per questo!”, ringhiò Javert.
“Oh, suvvia, Ispettore Javert. Sono sicura che quel signore non smetterà certo di campare senza pochi soldi. Io, d’altra parte, devo pur vivere”.

(Tentativo Javert/Eponine)
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eponine, Javert
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La ragazza correva molto velocemente.
Javert imprecò; se non fosse stato solo, di pattuglia, avrebbe avuto più possibilità di sorprenderla.
Era stato sciocco, quando aveva visto quella ragazza sfilare un portafoglio dalla tasca di un gentiluomo senza che questo se ne accorgesse, a gridarle di fermarsi. Avrebbe fatto meglio ad andarle incontro senza farsi notare.
A sua discolpa, l’aveva sottovalutata. Era magrissima ed emaciata, ma diamine se correva più velocemente di quanto Javert si fosse aspettato.
Non solo, era anche agile. Doveva essere abituata, a quel genere di cose. Era proprio un ratto.
Javert strinse i denti e accelerò.
L’aveva ormai quasi raggiunta. Sorrise quando la ragazza lanciò un’occhiata dietro di sé, mostrando a Javert la sua espressione corrucciata; era stata stupida a consumare subito tutte le energie.
Quando, all’improvviso, la ragazza svoltò.
Javert si fermò di colpo, rischiando di urtare qualche passante.
Si guardò intorno. E adesso, dove diavolo era finita?!
“Cercate me, Ispettore?”, una voce canzonatoria lo apostrofò.
Javert volse lo sguardo in direzione della voce. Eccola!
La ragazza si era infilata in una stradina, che terminava in un cancello di ferro. Solo che lei era esattamente dall’altra parte del cancello.
Javert si avvicinò.
“Sei in trappola”, le disse, esibendo il suo sorriso animalesco.
La ragazza gli restituì un sorriso altrettanto terribile che la rendeva più brutta di quanto non fosse.
“Se ve lo state chiedendo, Ispettore, non vive proprio nessuno qui”.
Javert trattenne un’altra imprecazione.
Si rimboccò le maniche e afferrò due sbarre . Non sarebbe stato facile, ma lo avrebbe scalato, a tutti i costi.
Quando sentì un orrido suono gracchiante, si accorse che la ragazza stava ridendo. Di lui.
“Certo che vi adoperate molto, per arrestare una semplice ladruncola come me. Ecco!”, lanciò quello che, con buona probabilità, era il portafoglio del gentiluomo attraverso le sbarre del cancello.
Javert si chinò a raccoglierlo.
“Restituiteglielo e ditegli che lo ringrazio molto”, disse la ragazza con un ghigno, “Io mi sono già servita”.
Il portafoglio era vuoto.
“Razza di canaglia! Pagherai per questo!”, ringhiò Javert.
“Oh, suvvia, Ispettore Javert. Sono sicura che quel signore non smetterà certo di campare senza pochi soldi. Io, d’altra parte, devo pur vivere”.
Javert sbatté le palpebre. La ragazza l’aveva chiamato per nome. Possibile che si fossero già incontrati.
“Eponine Thenardier”, disse lei, indovinando i suoi pensieri, “Vi ricordate i manigoldi alla Casa Gorbeau?”.
Javert afferrò di nuovo con forza due sbarre.
“Tu! Tu dovresti essere in carcere insieme a loro! Razza di…!”.
“Ho altro da fare, al momento, se non vi dispiace”, salutò lei, esibendosi anche in una grottesca parodia di un inchino. Poi si voltò, e cominciò ad allontanarsi.
“Ferma!”, gridava Javert, anche se sapeva benissimo che era tutto inutile.
E, invece, la ragazza si voltò.
“Mi fate tristezza, lo sapete?”.
Javert rise. E ora, cosa stava blaterando?.
“Si vede molto bene, che anche voi siete figlio di lupi. Io me ne rendo conto, di queste cose”, spiegò lei.
“E con ciò?”, chiese Javert, sarcastico, cercando di non far notare la furia crescente. 
“Un lupo che si crede cane e divora i propri simili. È triste”.
Ora Javert era davvero furioso.
“I miei ‘simili’?! Non c’è niente che accomuna me e un criminale!”, gridò, “Io seguo la retta via, al contrario di voi farabutti!”.
Eponine gli sorrise. Un sorriso malinconico.
“Con ‘simili’ non intendevo ‘criminali’ come mio padre e mia madre”. 
“E cosa intendevi, allora?”.
Eponine si accigliò.
“I miserabili”.
Prima che Javert potesse replicare, corse via.
‘Siete un miserabile, Ispettore Javert’. Era questo, che voleva dire?
Javert rimase a stringere le sbarre del cancello.
Mai e poi mai avrebbe ammesso, neanche a sé stesso, che qualcosa, di quella ragazza, lo avesse colpito.


L’aveva vista, alla barricata.
Aveva visto il suo cadavere.
“Mi sembra di conoscere quella ragazza”, aveva detto.
Ora se ne rendeva conto. Certo, che era Eponine.
L’Ispettore Javert osservò le nere correnti della Senna, con il cuore a pezzi.
Era tutto così incomprensibile.
Era incomprensibile il fatto che Jean Valjean lo avesse risparmiato.
Era incomprensibile che lo avesse trovato, all’uscita delle fogne, con in spalla un ragazzo, che Javert aveva voluto credere morto per non confessare a sé stesso che sì, Valjean stava salvando un’altra persona. E che l’avrebbe salvata anche lui, pur essendo quella persona un fuorilegge. 
Per il bene di chi, Valjean aveva fatto queste cose? Certamente, non del proprio.
(Gli era sembrato di conoscere anche quel ragazzo. Ironico, che provasse qualcosa di questo tipo).
E, ora che ci pensava, era incomprensibile che Eponine fosse morta alla barricata. Che cosa ci faceva, in un posto simile? C’era mica andata per combattere? O per altro? Una ladruncola come lei avrebbe di certo saputo che avrebbe fatto meglio a tenersi lontana, dai tumulti.
(E ora notava anche un particolare che gli era sfuggito. Il bambino che lo aveva riconosciuto somigliava un po’ ad Eponine. Che ci faceva lui, alla barricata? Qual era stato, il suo destino?).
Era incomprensibile che il padre di Eponine fosse tranquillo e spensierato, durante i tumulti, e sua figlia non fosse con lui.
Era incomprensibile che avesse trovato rifugio nelle fogne, posto adatto a lui, ridendo di Javert e aspettando di poter uscire di nuovo, e continuare a fare ciò che voleva.
Era incomprensibile che Eponine non fosse andata con lui. Che avesse preferito farsi ammazzare. 
Ancora quella domanda: per il bene di chi? Certamente, non del proprio.
Poteva mai essere?
Cosa spinge una persona a offrire così la propria vita? Una persona che, a rigor di logica, dovrebbe pensare solo al proprio bene?
Javert osservava i gorghi del fiume, mentre la sua mente si allargava inesorabilmente, e il suo mondo in bianco e nero cominciava ad assumere gradazioni di grigio.
Ora anche lui avrebbe dovuto scegliere tra il proprio bene e quello di qualcun altro.
Avrebbe preferito scorgerli prima, i propri peccati.
E mentre scavalcava il ponte, si rese conto che, in fin dei conti, quella ragazza aveva provato ad avvertirlo, e lui era stato sordo.
Un ultimo sguardo alle acque agitate, prima di gettarsi.
“Avevi ragione, Eponine. Sono un miserabile”.

 
Ciao!
Questo voleva essere un tentativo, per me, di iniziare a shippare questa coppia.
Devo dire che, a lavoro finito, non sono del tutto convinta della storia (Javert mi ha dato un bel po' di problemi, anche se mi piace pensare di non essere finita OOC ._.) e, per quanto riguarda la ship, non so nemmeno se sono riuscita nell'intento e non so ancora cosa ne penso. X'
Oh, beh, magari qualcuno apprezzerà(?).
  
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