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Autore: _Shee    09/09/2014    3 recensioni
[...] Ed è arrivato il momento, tra lo stridore dei colpi e il bailamme dei corpi che cadono, in cui le stesse urla della Dea Guerra battagliano tra loro, lanciandosi con foga l'una contro l'altra, ferendosi e smarcandosi, parando e replicando, unendosi infine in un unico tumulto vocale e colmando l'aria che tutto circonda di un inconfondibile e roboante silenzio. Questo è l'attimo in cui ti accorgi di essere tornato in te e che la tua vita è tutto questo. Il sangue che ti ribolliva nelle vene si quieta improvvisamente, la presa sull'arma si rinsalda, un amaro sorriso ti increspa le labbra e anche se la mente è vuota, nel tuo più profondo io sai di essere finalmente tornato a casa, nel tuo personale...
[II^ classificata al contest "This is War" indetto da ManuFury]
Genere: Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sufletul la război
Anima in guerra
«... Paradiso?» Proferisce Mihai con un sospiro incerto.

Una serie di sconquassanti colpi di tosse lo costringe a portarsi le mani da ragazzino strette a pugno contro il petto. Fa male, ma questa sofferenza è la prova tangibile che i polmoni si trovano ancora in sede nonostante siano soffocati dalla polvere.

"Acesta este personal rai meu... "

Questo avrebbe pronunciato in un sussurro fino a qualche minuto prima, respirando a fondo il fumo caldo della polvere da sparo appena uscito dalla canna, percependo l'ardore di un'amante passionale provenire proprio dall'arma pigiata tra il mento e la spalla, l'occhio ancora premuto sul mirino a cercare con lussuriosa intensità l'obiettivo del prossimo colpo, nelle orecchie ancora il verso di godimento del bossolo che balza fuori dall'otturatore sapendo che la sua essenza ha trapassato con morbosa precisione un altro corpo.

"Questo è il mio personale paradiso?"

È certo che proprio questo avrebbe bisbigliato tra sé e sé saggiando con compiacimento ogni singola lettera con la lingua, eppure non ne comprende veramente né il motivo né il significato esatto, visto che le uniche parole che poco prima erano riuscite a scappare impetuosamente dalle sue labbra screpolate avevano più il suono di grida ansiose e impotenti: «Oprește! Oprește! Nu mișca! Nu o face!»

Grida "Ferma! Ferma!" che ancora bussano sui suoi denti stretti "Non muoverti!" ma con sempre minor forza "Non farlo!", sapendo di essere ormai assolutamente vane.

Non osa aprire gli occhi, nonostante le ultime immagini siano attecchite come un morbo alla sua retina e qualsiasi visione non sarebbe potuta essere peggiore di ciò a cui aveva appena assistito, a quel che aveva visto prima che tutto diventasse un boato dentro e fuori di sé, un fischio capace di perforargli i timpani e poi null'altro che puro dolore.

Qualcosa, però, tra le lacrime da infante che ora gli grondano dagli occhi serrati scivolando a terra come i rivoli di sangue su quella terra in battaglia, decide di mostrargli a forza l'orrore del mondo a cui cerca senza rimedio di nascondersi e lo fa senza alcuna difficoltà, prendendolo di peso per il colletto della sudicia maglietta e strappandolo via dalla sua ricerca di un insperato oblio con uno schiaffo in pieno viso, costringendolo suo malgrado a indietreggiare sulle gambe malferme. Un tocco che Mihai riconosce immediatamente in un afflusso di rimpianto, un tocco che credeva dopo tutto quel tempo passato a piangere di aver già dimenticato.

Apre di scatto le palpebre evitando di focalizzare lo sguardo sul mondo in disfacimento che lo circonda, posando direttamente gli occhi gonfi sul volto di donna che a poca distanza lo scruta con furiosa ira, adorna solo di tracce di sangue ormai secco sui lobi delle orecchie, la mano ancora alzata e pronta a colpire di nuovo che proietta la sua ombra scura su di lui. Mai le ha visto una simile espressione, neppure quando le ragioni per rimproverarlo e riportarlo all'ordine sarebbero state oltremodo giustificate, mai sua sorella l'ha guardato con un sentimento negativo così viscerale. Specialmente non dopo l'esplosione che l'ha sepolta sotto detriti e macerie. Sicuramente non da morta.

Per quanto incomprensibile sia, però, lei è lì, dinnanzi a lui. A conferma di ciò c'è la propria guancia livida e pulsante.

«Rahat! Ti rendi conto di cosa hai combinato?!» bercia ella adirata.

Se non fosse stato per quella feroce espressione e il volgare appellativo con cui l'aveva rimbrottato Mihai avrebbe creduto di star ricevendo semplicemente l'ulteriore rimprovero per aver centrato e rotto con un sasso l'ennesima finestra del vicino, per essere andato nel bosco con il suo amico Radu a vederlo sparare con l'arma del padre o per qualsiasi altra delle sue marachelle. Non capisce davvero cosa possa aver fatto per scatenare tanta rabbia. Ricorda ben poco e a ogni modo l'unica cosa che gli passa per la mente è sempre il pensiero del suo grido convulso e inascoltato.

Scuote la testa castana, portandosi una mano sulla guancia e frenando un minimo le lacrime piene di paura. Si sente più piccolo che mai sotto lo sguardo inquisitorio di colei che sarebbe dovuta essere ormai cadavere. Devia lo sguardo pur di non guardarla negli occhi e si sorprende della veste che sua sorella indossa. È sempre stato abituato a vederla con i vestiti ormai in disuso della loro mamă, neri come il lutto e la colpa di vivere quando altri non ne hanno più la possibilità; mentre ora le sue morbide forme di donna sono coperte dalla stessa divisa militaresca dei soldati di ronda nelle strade del loro paese, di quelli che non hanno timore di minacciarti con un fucile contro la tempia sudata se sei ancora fuori casa un minuto dopo lo scoccare del coprifuoco, come se ciò ti rendesse automaticamente membro di qualche gruppo sovversivo.

Lo sguardo come lava che gli scava nella carne solchi roventi aumenta di intensità e Mihai si accorge con vergogna dei singhiozzi disperati che ancora gli scuotono il petto, tanto simili a quelli di una ragazzina che scopre di avere un ragno tra i capelli ed è convinta che le entrerà in un orecchio per divorarla dall'interno. Avrebbe voluto sedarli, vergognandosi come ogni volta di quanto poco uomo lo facciano sembrare di fronte alla donna più importante della sua vita, anche dal basso dei suoi dodici anni.

Ancora una volta la ragazza decide di strapparlo via dalle sue elucubrazioni, stavolta sfogando seriamente il feroce sentimento che le disforma i lineamenti, stringendolo con poca grazia per una spalla e piegandosi solo leggermente per colpirlo con un pugno in pieno stomaco, rubandogli senza cerimonie ogni briciolo di aria nei polmoni e costringendolo a sputare la saliva mista a terra di cui ha piena la bocca. Una mossa degna di un lottatore di pugilato, peccato che per quanto ne sa sua sorella non è una lottatrice, è sempre e solo stata una ragazza costretta a crescere troppo in fretta per tenere in piedi la loro fallace famiglia.
Tantomeno è mai stata un soldato, se non nell'animo. D'altro canto non dovrebbe neppure essere viva! Non può esserlo... Allora, cosa gli sta sfuggendo?

Ritrovare il giusto ritmo respiratorio dopo un colpo del genere gli fu più facile del convincersi che per capire avrebbe dovuto infine guardarsi attorno. Sa già che la risposta è in ciò su cui non voleva posare la sua attenzione ma accettarlo è tutta un'altra storia...

Lei ancora lo squadra pressante e pur di non subire più quelle occhiate malevole o le percosse di cui è capace, si raddrizza barcollante ma convinto e appena socchiude gli occhi, in men che non si dica, la testa comincia a vorticargli incessantemente, nauseandolo.

Apre gli occhi di scatto e un grido baritonale prorompe dal suo petto squarciando l'instabile e irreale assenza di rumori. Si guarda attorno senza capire cosa sia esattamente successo e si ritrova improvvisamente solo, semi sdraiato contro le rovine di quello che ipotizza sia stato un palazzo. Ha le gambe spezzate in più punti ma il dolore sembra stranamente sedato dal tremore che invade il resto delle sue membra, vittime dell'adrenalina in procinto di scemare giacché qualsiasi cosa sia appena successa è ormai il tempo andato di quella desolazione e di quello sfacelo.

Una pioggia fastidiosa sta lavando senza successo la strage di corpi in cui si è appena ritrovato.

Non conosce questo posto, i resti degli edifici non gli sono familiari e tutti quei cadaveri, per quanto irriconoscibili, sa che gli sono estranei. Portano la divisa dell'esercito e a dispetto di tutta quella distruzione le strisce dorate e argentate sulle loro mostrine continuano a farsi notare spavaldamente, incuranti della loro inutilità. Molti di essi giacciono scomposti, parzialmente nascosti dalla polvere che cade più veloce sotto le gocce fredde e diventa fango. Questi sono i più fortunati, quelli che forse potranno trovare un nome e un cognome per poter essere onorati oltre la morte. I più disgraziati invece sono pezzi di carne in putrescenza sparsa sul terreno, vite sfaldate in incalcolabili frammenti come frantumi di vetro, anch'essi ormai esseri invisibili e destinati a essere abbandonati come fossero sempre stati niente.

Mentre lui è vivo. Il suo corpo manda fitte di dolore da ogni cellula e il suo cuore è stretto in una morsa di quella che riconosce come colpevolezza. È tutta colpa sua. È lui la causa di quel puzzo violento di carne bruciata che gli invade le narici, di quell'irreale silenzio dove solo il fiato della morte spira, di quei palazzi che invece di protendersi verso l'alto si sono accasciati e hanno celato al mondo molte più vite di quel che immagina. Pensa che sarebbe stato più giusto sotterrare e dimenticare la sua esistenza al posto della loro e sa che quello è un pensiero ricorso fin troppo spesso nella sua mente seppur non gli sovvenga l'origine di quel ragionamento.

La voglia di lanciarsi a chiedere umilmente e infinito perdono pare impellente ma l'unica cosa che può fare è cercare di sfogarsi battendo veementemente le mani al suolo dato che sembra essere uno dei pochi movimenti che non gli causa spasmi muscolari, ma neanche pochi colpi e torna vigile d'un tratto, guardandosi la mano stretta. Sente qualcosa racchiuso tra le dita ma ciò che vede prima di aprire la mano cattura completamente la sua concentrazione. Sbatte le palpebre turbato, portandosi il pugno all'altezza degli occhi: vede la peluria scura che parte dal braccio e si inerpica come edera diradandosi all'altezza delle nocche, il colore caramellato della sua pelle, le escoriazioni sulle falangi, le unghie lorde... Quella non è la sua mano. È attaccata al suo braccio ma non è la sua: quella è la mano di un uomo. Alza la destra e ritrova gli stessi tratti a lui alieni. Lui ha dodici anni, le sue mani dovrebbero essere glabre, pallide e rachitiche. Si fissa le gambe spezzate e si rende conto che non solo i suoi arti sono lunghi e robusti ma la veste che lo cinge è la stessa divisa militare che aveva visto indossata da sua sorella.

La testa ricomincia a girargli impetuosamente, annegandolo in una marea di domande. Di chi è questo corpo? Perché lui è lì? Cos'è accaduto? Cosa gli fa credere che tutto questo sia colpa sua?

Gli occhi saettano sui corpi più sfaldati «Îmi păre rau! Îmi păre rau!» e inconsciamente aguzza la vista sul cratere al centro di essi "Mi dispiace! Mi dispiace!" dove la macchia color verdone di una gonnellina gli procura la stoccata finale alla sua confusione.

«Oana...» si lascia scappare quel nome sovrappensiero e in quel preciso istante si sente riemergere, il volto greve di sua sorella è di nuovo di fronte a lui. Ed è tornato bambino.

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Am știut
Sapevo
Lei lo tiene stretto per la maglietta, sputandogli parole avvelenate contro il viso: «Quelli erano i nostri compagni, rahat! È per colpa della tua vigliaccheria se sono morti!»

Il ragazzino la guarda ancora turbato e atterrito, domandandosi perché quel senso di colpevolezza non è rimasto sul campo di battaglia invece di rimanergli attaccato alle viscere come una sanguisuga. Ciò che dice lei è menzogna, lui non era neppure lì. Lo sta accusando di una scelleratezza di cui non ha peccato, anche se inspiegabilmente è lui stesso a sentirsi responsabile di un reato che non può aver commesso. Vorrebbe davvero capire e chiederle cosa significa tutto questo, certo che lei abbia ogni risposta, ma più di tutto vorrebbe sapere perché dopo averle visto crollare tonnellate di cemento addosso lei è lì invece di essere nel rai...

«Io ero nel mio paradiso personale... prima che tu rovinassi tutto!» Soffia lei a denti stretti.

Questo interrompe ogni filo coerente nei suoi pensieri, stracciandoli uno a uno, smarrendolo ulteriormente. Non sa più nemmeno se di fronte al suo volto, a tenerlo arpionato per la maglia, ci sia davvero sua sorella... La fissa con chissà quale coraggio negli occhi castani e nelle vene sente la stessa sensazione di inadeguatezza che ha percepito accorgendosi di trovarsi nelle spoglie di un altro uomo: chiunque sia la ragazza di fronte a lui occupa un corpo che non le appartiene.

Questa non è sua sorella. Non è la stessa ragazza che il giorno del suo compleanno, dopo settimane di magra in cui accompagnare le cipolle con un poco di mamaliga era diventato un lusso, non si era risparmiata di arrabattare qualche ingrediente per preparargli almeno un po' di cozonac per festeggiare; non è la stessa ragazza che ricordava pettinare con grazia e accuratezza i capelli riccioluti della loro sora, seduta sull'unica sedia ancora stabile della casa, il volto concentrato e la bocca leggermente arricciata; non è la stessa ragazza che aveva dovuto fargli da madre, severa e decisa, aspra ma mai volgare, intransigente ma mai accusatoria.
Mihai sente un'ondata ancora fresca di amore per il ricordo che ha di sua sorella e il fatto che lei ora sembri essere di fronte a lui... è ovviamente un'illusione. Questa non è Vera. Questa è un'impostora.

«Rahat... L'impostore, qui, sei solo tu!» ringhia lei rinforzando la presa.

Il cuore balza in gola al ragazzino. Questa è la seconda volta che la ragazza da risposta ai suoi pensieri. Risponde a essi ma non alle domande che gli premono di più, visto che a queste replica con sguardi affettati e occhiate aguzze.

«Li hai visti i corpi in mezzo al campo, vero?! » continua lei con maggior livore.

Quella frase fa riemergere la scena truculenta a cui da poco ha assistito ed è come se una lama gelida gli si fosse piantata nella schiena, facendogli correre brividi freddi per tutta la lunghezza. Sì, li aveva visti, oh se li aveva visti, e se pensava che l'ultima cosa che fino a poco prima ricordava fosse terribile quella visione l'aveva fatto davvero dubitare di sé.

«Ah, rahat, quel che provi è ancora niente... Non potrai mai capire davvero cosa hai fatto finché non guarderai gli occhi dei tuoi fratelli d'armi ora che gli hai tolto ogni possibilità di combattere!»

Già conscio di ciò che avrebbe dovuto nuovamente subire Mihai si rannicchia su se stesso, proteggendosi con il solo ausilio delle braccia dal mondo attorno a lui.

Vera insorge nuovamente spintonandolo a terra e calciandolo con forza sul fianco. Ogni botta gli ruba un respiro e i polmoni chiedono disperatamente dell'ossigeno che non arriva.

«No, no ti prego...» pigola lui senza forze, stringendosi la pancia dolente. A strattonarlo stavolta è qualcosa di più trascendentale e il cambio di temperatura e le gocce che gli punzecchiano la cute lo avvisano che è di nuovo nel campo, anche se stavolta è ancora nel suo corpo.

Con gesto fulmineo si porta le mani ancora strette a pugno sugli occhi, deciso a non guardare ancora quello scempio. Una malsana curiosità vorrebbe spingere una parte di lui ad avvicinarsi ai corpi ed esaminarli come fossero cavie da laboratorio ma la parte rosa dal rimorso che ancora strepita e scalpita, lo supplica a gran voce di scomparire da quella carneficina e celarla alla sua vista. Vera però ha altri progetti e gli affonda le unghie nei polsi pur di allontanargli le mani dal volto. Lo stringe vigorosamente per la mascella, lasciandogli segni sulla pelle pallida e forzandolo ad aprire gli occhi.

Li schiude suo malgrado ed è ancora tutto come prima: guardare quelle vite spezzate violenta il suo corpicino dall'interno, gli sradica il cuore e lo straccia, lasciando precipitare densi grumi di sangue che vanno a confondersi con quelli degli altri.

Persone che non sono più, esistenze infrante.

«Quel ragazzo dalla faccia completamente carbonizzata era il soldat Bogdan Florin che lascia una giovane moglie in attesa del loro primo figlio. Un semplice guardiano di capre richiamato alle armi per difendere la sua terra. La sua terra non potrà essere difesa e quel bambino, per colpa tua, è orfano prima ancora di nascere.»

La voce di Vera è una lama arrugginita senza filo. Spinge nella carne senza tagliare, graffia senza affondare, ammala senza sporcare. Ed è una tribolazione intollerabile.

«Quell'uomo senza più gli arti era il căpitan Vlahuţă Iancu che a breve sarebbe passato di grado. Ora non dovrai più temerne la concorrenza... era questo che volevi?»

Il suo sguardo è una saetta impazzita che salta da corpo a corpo, li indica uno per uno con il dito teso, spostando il volto di Mihai in modo che volente o nolente non possa negarsi.

«L'ultimo a spirare è stato il sergent-major Mitru Andrei, laggiù, un volontario. L'unico che poteva vantare di essere andato a scuola, stava studiando per diventare medico. E avrebbe salvato tante vite se fosse tornato a casa... se tu gli avessi permesso di tornare a casa.»

Non solo le loro ma le vite di molti altri...

«Il locotenent colonel Ureche Cosmin era un tuo superiore ma aveva affidato a te la supervisione delle milizie, ora come i suoi soldati è solo carname. Tu hai mandato lui e le sue truppe al macello.»

Responsabilità e sensi di colpa che si alzano come l'alta marea e lo soffocano. Lui è solo un bambino! Lui è...

«Il tuo braccio destro, plutonier adjutant principal Ardeleanu Virgil. Insieme avete passato missioni ai limiti della sopravvivenza e insieme ne siete usciti. Si fidava di te e a te aveva affidato la sua vita, ma tu hai deciso di strappargliela via senza pietà.»

Fratelli non di sangue e le sue mani sono sporche proprio di questo!

«Del fruntaş Dosoftei Silviu non è rimasto che polvere. La sua famiglia morirà di fame senza poter piangere niente.»

Pietà. Pietà. Perdono! Si batte le mani sulle orecchie, non può più ascoltarla.

«Quel ragazzino lì aveva solo quindici anni: soldat Nechita Adrian. Sua madre era una vedova e lui il suo unico figlio. Non aveva nemmeno la licenza elementare ma ha fatto falsificare i propri documenti per poter entrare come volontario nell'esercito perché desiderava con tutto se stesso di proteggere il suo paese. Tu hai distrutto il suo sogno!»

Si lascia scappare un grido che riecheggia nel campo e rimbomba come un cannone nella sua gabbia toracica. Ha paura che quelle stesse parole lo bombardino e di lui non rimanga altro che cenere.

«Basta! Basta ti prego!» piange lui senza più trattenersi. Lei non è Vera. Tutto questo non è vero. Non lo è!

La ragazza lo costringe a guardarla e lui le legge negli occhi la voglia di continuare quell'elenco pur di conficcargli ogni nome dentro al cuore penante.

«La conta è infinita Mihai!» rimbrotta ella.

«Perché mi fai questo?» domanda con voce acuta lui.

Vera si erge e lo libera dalla sua ferrea presa. Mihai cade a terra senza sostegni, singhiozzando a ritmo sostenuto. La voce della ragazza diventa una campana a morto e un rombo di tuono subito dopo...

«Non l'hai ancora capito? Quell'uomo ai piedi del palazzo con le gambe spezzate è la causa di tutto questo! Un tiratore scelto che per la sua incompetenza ha mandato a morte i suoi compagni. Quell'uomo che si fissa le mani come se non le riconoscesse, quello è il Maior Minulescu Mihai. Quello lì sei tu!»

I singulti gli si strozzano in gola, la testa gli vortica impetuosamente e fa malemalemale dentro.

No no no! Impossibile che quell'uomo sia lui...

«Imposibil...»

Vera non cede e con furia ora punta il dito accusatorio proprio contro il suo viso.

«Erano tutti ai tuoi ordini e si fidavano di te. Tu li guardavi dall'alto della torre, impedendo al più infimo degli uomini di far del male ai tuoi fratelli in battaglia. Mai una volta hai pencolato, prima di oggi. Mai prima che decidessi che il mio giudizio, che ti ha fatto vivere come un combattente finora, non fosse più giusto.»

Mihai è vittima di una burrasca che non gli lascia scampo, cerca di aggrapparsi a qualsiasi cosa le sue dita sfiorino ma l'unica cosa che coglie sono bracciate di paura e disperazione.

«Il... il tuo giudizio?» balbetta a fil di voce.

Il volto di lei è una maschera di risentimento.

«Chi credi che ti abbia fatto diventare un uomo?! Se non fosse stato per me saresti rimasto a piangere come una donnicciola fino a morire disidratato. Io ti ho fatto rialzare, io ti ho fatto stringere i pugni e lottare, io ti ho fatto diventare un soldato, io ti ho fatto scalare le gerarchie...»

Mihai si porta la mano destra tra i capelli, fissando il vuoto.

«Allora sei stata tu...» sfiata lui, svuotato di ogni emozione.

«Non ci provare Mihai! A compiere tutto questo sei stato tu perché proprio tu mi hai impedito di sparare a quella bambina che ha fatto saltare tutti in aria!» urla lei indicando a braccia aperte la devastazione alle sue spalle.

«Oana?» ancora quel nome gli scivola dalle labbra, solo una lacrima tardiva si tuffa dal suo occhio sinistro.

Vera si irrigidisce.

«Oana è morta quasi vent'anni fa... Mentre quella bambina era imbottita di tritolo fino alla punta delle scarpette!»

Mihai chiude gli occhi e il grido eseguito ormai in sordina nella sua mente risuona con ravvivato vigore: “Opreşte! Opreşte! Nu mişca! Nu o face!”. E finalmente qualcosa scatta, legando ogni filo logico dei propri pensieri.

Alza la testa deciso e Vera rimane basita solo per un attimo, vedendolo d'un tratto più maturo, come se quei vent'anni fossero passati tutti insieme davanti ai suoi occhi: Mihai la sta sfidando con l'espressione affranta di un uomo cresciuto guardando in faccia la morte esorcizzandone la paura. Quell'invocazione disperata, urlata troppo tardi per fermare Oana dal correre incontro alla sua fine nella casa ormai pericolante dopo il bombardamento e vent'anni dopo per fermare Vera dallo sparare a quella bambina che tanto gli ricordava la loro sorellina, cerca di scappare nuovamente dalla sua gola, stavolta non con angoscia ma con ira. Tutto pur di fermare ciò che sua sorella sta facendo con la sua persona.

«Hai preso il controllo del mio corpo. Te ne sei appropriata e mi hai impedito di vivere... Hai rubato la mia vita! Vuoi accusarmi di un errore quando tu per prima hai commesso il più spaventoso di tutti! E io lo vengo a scoprire dopo vent'anni...»

Vera si accende di rinnovata collera.

«Cosa stai blaterando?! Tu mi hai supplicato di non abbandonarti! Tu mi hai implorato di non lasciarti solo! Tu l'hai sempre saputo! »

E queste parole lo colpiscono proprio come i calci di prima, rubandogli con malagrazia l'aria incamerata faticosamente nei bronchi, scavando nei recessi della sua psiche e facendo riemergere ricordi seppelliti nelle cellule di ogni suo organo. Schiudere la mano in questo momento gli viene automatico, apre le dita di scatto, conscio che ciò che ancora stringe è la chiave di tutto.

Sente Vera riprendere la posizione eretta e rigida, sa che sul viso ha di nuovo dipinta un'espressione malignamente vittoriosa, sicura che anche l'esito di questo scontro pende definitivamente a suo favore.

Un raggio di luce venuto da chissà dove illumina proprio l'oggetto che fa capolino nel suo palmo: una moneta d'argento traforata con estrema precisione da quel che sembra un colpo di pistola.

Ed è un petardo. Una granata. È ancora una bomba quella che esplode dentro di lui senza lasciargli una via di scampo.

Non gli serve neppure rifletterci sopra per sapere che sua sorella diceva il vero e la moneta che ha ripreso a stringere per sentirla più reale ne è la prova tangibile e inconfutabile.

Lui l'ha sempre saputo.

Fin dal giorno stesso dell'attentato che aveva fatto crollare la sua stessa casa sopra le sue sorelle, derubandolo di tutto il poco che possedeva. Quella stessa sera, prima che anche l'oscurità calasse come un macigno su di lui, sapeva di essere tornato nel bosco dove spesso si nascondeva, dissotterrato l'arma di Radu e, per la prima volta, davanti ai bersagli non aveva esitato, colpendoli l'uno dopo l'altro. Ma di questo non se ne era accorto se non quando si era avvicinato a una moneta da 5 lei, raccogliendola da terra ancora bollente e forata nel centro esatto, il volto di Carol I ormai irriconoscibile sulla superficie. Soltanto in quel momento si era accorto di non essere rimasto a piangere come un invasato sulle macerie della sua dimora, gridando ossessivamente il nome delle sue sorelle, squarciandosi via lembi di epidermide dalle mani nel tentativo di spostare anche il più piccolo mattone, sperando nei recessi della sua mente che Oana e Vera non fossero lì, con le ossa sconquassate dentro il sacco fragile della loro pelle riarsa e il contenuto della testa fracassata sparsa sul pavimento polveroso.
Finché non si era rigirato incredulo tra le mani quella moneta era altrettanto sicuro di non aver mai sparato. Era certo di non essere stato nemmeno in sé in quelli che sembravano essere stati minuti. Aveva guardato la propria mano sentendo calda l'arma che stringeva tra le dita.

A Mihai Minulescu era stato tolto tutto: una casa, una famiglia, la speranza che un giorno la guerra sarebbe finita, che avrebbe potuto offrire un lauto pranzo alla sua famiglia senza preoccuparsi di dover rubare nulla, che sua sorella l'avrebbe guardato con orgoglio, che suo padre si sarebbe rialzato dal baratro in cui era caduto, che Oana sarebbe potuta crescere sperando nel futuro...

Ma ciò che il fato aveva tolto a Vera forse era di più: le aveva tolto ogni possibilità di combattere.

Non solo la ragazza non aveva mai veramente accettato il suo essere donna, e madre e sorella in una così tenera età, ma quel dì ogni opportunità di poter cambiare questo destino le era stato strappato via.

Quel ragionamento fu l'ultimo lampo di sedicente lucidità prima dell'oblio, visto che proprio in quel momento aveva capito e non si era negato, accettando gli eventi che sarebbero succeduti come se fossero la cosa più naturale del mondo.
Perché per quanto assurdo potesse essere la risposta che il suo cervello gli concesse era l'unica a cui avrebbe mai potuto credere: Vera avrebbe cambiato quel suo dannato destino... e l'avrebbe fatto attraverso di lui.

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La revedere...
Addio...
Non sa cosa lo spinge a muoversi ma Mihai si alza e avvolge con forza le braccia attorno alla vita della sorella che ancora una volta rimane interdetta. Trattiene inconsciamente il fiato mentre inala l'odore che la ragazza porta indosso: sa di un'esistenza passata in prima fila, sa di battaglie, di terra bagnata, di freddo nelle ossa, sa del peso di tante piccole vittorie e altrettanto grandi sconfitte, sa di anni di solitudine ma anche di legami indissolubili, sa di un passato mai dimenticato e un domani che sembra irraggiungibile, sa di preghiere ignorate da Dio, sa di sudore e fatica, sa di furiosa spavalderia, sa di sogni infranti in notti senza stelle, sa di vite falciate in giorni senza sole, sa di lettere mai spedite, sa di pianti mai drenati, sa di denti stretti e pugni serrati, sa di desiderio di rivalsa, sa di rombi di tuono e rimbombi di armi, sa del nome di tre fratelli che anche oltre la morte non sono riusciti a separarsi...

Tutto questo è stata la sua vita fino a qualche minuto prima mentre lui, sdraiato in posizione fetale, piangeva le più amare lacrime. Prima che il suo io si alzasse e dopo anni di sottomissione gridasse a Vera di fermarsi.

Vera aveva tentennato, la bambina era corsa al centro del campo tra i suoi commilitoni e il boato che aveva seguito quella lesta sequenza di movimenti aveva fatto sanguinar loro le orecchie.

Era precipitato dal palazzo su cui era appostato ritrovandosi in un mondo che non conosceva. Il suo primo pensiero era stato proprio il ricordo della bomba che aveva fatto saltare casa sua, il suo grido e il fatto che quella bambina non potesse essere altro che Oana.

Ora come vent'anni prima, in quel campo non c'erano solo soldati ma anche i corpi della sua sorellina e di Vera.

Quando una mano lo prende con malagrazia per i capelli e lo costringe a reclinare la testa all'indietro, incontrando il viso di Vera, il ragazzino legge chiaramente nei suoi occhi il motivo della spietata furia che si agita in lei, la sua impulsività aveva portato i compagni di tante battaglie a soffrire la sua stessa maledizione: l'impotenza.

«Ora che sai, cosa pensi di fare?» sibila velenosamente la ragazza.

Le risposte sarebbero potute essere molteplici e la maggior parte sarebbero state scuse e richieste di perdono ma solo una frase si stava facendo spazio a forza nella sua mente arrivando direttamente dal cuore e Vera la capisce con un brivido prima che lui la pronunci: "Voglio vivere".

Sgrana gli occhi corrugando la fronte e stringe i denti: lui vuole di nuovo toglierle tutto.

«Non posso tornare indietro e salvare quegli uomini, non posso impedire nulla di quel che già è successo dall'accadere ancora ma vorrei prendere i sogni dei soldati e farli miei, vorrei diventare sostegno e figlio per una madre sola, riparo e padre per un orfano, vorrei essere una fonte di speranza per un ammalato, un obiettivo da raggiungere, un compagno affidabile, un punto di riferimento per degli uomini che combattono per proteggere la loro patria... Vorrei avere la possibilità di dimostrarti che posso essere tutto questo.» proferisce quasi sussurrando, intimorito dalla reazione che potrebbe avere lei dopo tanta fiduciosa franchezza.

Le sue parole sono soavi e trasudano speranza da ogni sillaba ma lei ne ha paura e Mihai lo intuisce chiaramente. Si ritrova a guardarla dritta negli occhi, alla stessa altezza. Non sa cosa sia successo ma d'un tratto se la sente sua pari, ritrova nel suo sguardo lo stesso stupore timoroso nel ritrovarsi improvvisamente senza parole da poter pronunciare.
Lei ha visto la guerra, l'ha vissuta e ha imparato a non averne paura, anzi, è arrivata quasi a goderne... Tuttavia sapere che avrebbe potuto di nuovo perdere ogni cosa stava risvegliando in lei un terrore primordiale che la sta portando pian piano a rilasciare la presa che ha su di lui e retrocedere di un passo. Si è improvvisamente accorta di essere completamente disarmata contro suo fratello mentre si rende conto del fatto che gli sta crescendo davanti agli occhi: da scarno dodicenne sta diventando un florido ragazzo, e da giovane uomo sarebbe ben presto diventato un adulto fatto e finito...

Deve fermarlo. Absolut.

Non può sprecare in questo modo quegli ultimi vent'anni, deve togliergli quella pazza idea dalla testa, farlo cedere di nuovo, farsi concedere ancora una volta il potere di poter prendere in mano la sua vita e fargli capire che sarebbe stato meglio così per tutti.
L'espressione incredula sfiora dal suo viso lasciando spazio a uno sguardo più materno.
Deve farlo per se stessa tanto quanto per lui, da solo non potrebbe mai farcela, non ha idea dello schifo che c'è fuori dalla sua mente, quel campo di battaglia non è che una parentesi di vita, non sa affatto cosa lo aspetta oltre.
Si riavvicina.
Lui deve rimanere qui, lontano da ogni pericolo, così che lei possa continuare a pensare al posto suo come sempre ha fatto fin dalla più tenera infanzia.
Alza e chiude la mano a coppa sulla guancia non più imberbe.
Questo deve proseguire a essere il suo porto sicuro, dove nessuno può fargli del male...

«Perché sei cambiata così tanto, Vera?» chiede lui allontanando il tocco insistente sul suo viso. Lo infastidisce e non è per paura di altri schiaffi, è solo che non se l'è mai sentita più estranea di così. «Tu per prima hai visto l'orrore della guerra, abbiamo vissuto chiedendo una tregua che per anni non è mai arrivata, tu per prima mi spronavi a non farmi sottomettere da chi si fa forza con la sofferenza altrui. Perché proprio tu hai rinnegato il tuo stesso pensiero? Ti sei fatta forza eliminando gli altri e alleviando la tua coscienza con delle banali giustificazioni...»

Lei chiude la mano ancora a mezz'aria in un pugno e gliela poggia all'altezza del cuore. Lui ha sentito i suoi pensieri, inutile essere disonesti.

«Le mie non sono giustificazioni, Mihai. Ed è stato proprio fare il soldato che me l'ha insegnato: credevo che chi si fregia di questa carica fosse capace solo di mietere vite a sangue freddo ma l'anima di chi rischia ogni giorno la sua vita per un sogno irraggiungibile è la cosa più bella che un uomo possa avere dentro e spesso chi imbraccia un'arma lo fa perché non ha altro da stringere. Tu credi che sia stato facile per me? Un tiratore scelto deve essere ligio e calcolatore per riuscire a estraniarsi, specialmente nel pieno della battaglia, mentre i tuoi compagni cadono a terra l'uno dopo l'altro come spighe di grano. Ore in solitudine in cui diventa tutto un amplesso tra te e il fucile e impedire la morte di un tuo compagno è una gioia che dura tanto quanto i tre colpi che mi servono per essere sicura di aver abbattuto il mio avversario. Ho smesso da molto tempo di preoccuparmi della mia coscienza perché sai, non è solo una questione di comodità, spesso i soldati si mettono in ginocchio quando sparano, forse per chiedere perdono dell’assassinio, dato che quando inizi a fare questo mestiere sai già che non potrai chiedere scusa ad alta voce...»

«Chiedere scusa?! La presunzione di poter essere perdonati è un diritto che un soldato non deve arrogarsi. E sai perché posso dirti questo? Perché me lo hai insegnato tu! Sei diventata un tiratore scelto perché non volevi guardare negli occhi del tuo rivale, non volevi percepirne nemmeno la puzza del sangue, non volevi sentirli esalare l'ultimo respiro, non volevi inciampare per sbaglio nei loro corpi, e tutto questo perché non volevi riconoscere che fossero esseri umani proprio come te. Tu non hai annullato solo me ma anche te stessa!»

Con un gesto fulmineo il pugno sul petto di lui batte con violenza contro la gabbia toracica. Il viso di lei si avvicina pericolosamente, sfoggiando con fierezza un sorriso sardonico. Il ragazzo sente il suo respiro lambire le proprie labbra.

«Oh no, Mihai.» ribatte con voce fin troppo melliflua, dimentica di tutta la previa delicatezza. «La verità è che la tua Vera è morta durante il bombardamento, schiacciata dal tetto che avrebbe dovuto proteggerla e da là non è mai uscita! Da vent'anni a questa parte io sono sempre stata te! Io sono sempre stata Mihai Minulescu!»

Le mani di Mihai scattano e la stringono per le maniche della divisa da soldato che subitamente sembra troppo grande per il suo corpo da donna.

«Io sono sempre stata la tua scusante. L'attenuante che serviva al tuo io per poter rimanere ancora un po' nel suo mondo delle meraviglie, vicino alle sue sorelle morte... Ma, notizia dell'ultima ora, dalla morte non è mai tornato nessuno. Tu, invece, sei ancora così sicuro di voler tornare alla vita?»

Mihai studia il suo profilo, ogni minuscola cicatrice, ogni neo, ogni capillare a fior di pelle, ogni promessa di ruga attorno agli occhi...

«Se sei me allora sai già qual è la risposta. Ti prego, Vera, concedimi tu, ora, l'occasione di dimostrarti che posso essere un soldato, un Maggiore dell'esercito, un tiratore scelto, un combattente, un vendicatore e... un uomo. Ti sbagli a credere che ti porterò via tutto ciò che hai costruito poiché, che io lo voglia o no, tu rimarrai sempre qui.» E si punta prima l'indice verso il cuore e poi verso la tempia. «Sarai per sempre lo spettro che infesta ogni mio pensiero, la vocina interiore che mi impedisce di compiere azioni avventate, il ricordo più bello della mia infanzia... Mia sorella...»

Vera lo guarda come se lo vedesse per la prima volta, arretra di un passo e Mihai è costretto a lasciare la presa. La ragazza inizia a spogliarsi lentamente della veste militare, slacciando ogni chiusura con la punta delle dita, come se temesse di imprimere ancora troppo di sé nel grezzo tessuto. Le braccia sottili escono dalle maniche con un fluido movimento e le turgide cosce si liberano del pantalone lasciandolo precipitare a terra. Gli pone al fianco gli stivali e vi depone sopra i pantaloni e la camicia perfettamente piegati, poggiandovi delicatamente sopra le mostrine rosse dalle strisce dorate. Mihai rimane a fissarla per tutto il tempo, rapito dai suoi modi eleganti e precisi. Continua a guardarla nuda davanti a lui, spogliata dell'esistenza che aveva vissuto al posto suo e che ora gli riconsegnava nel miglior modo possibile.

«È una via di non ritorno questa, Mihai. Dovrai riprendere in mano una vita in salita e nessuno ti sarà accanto. Finirai in un mondo pieno di persone sole tanto quanto e più di te. Non potrai contare su nessun altro se non su te stesso. Sei sicuro di essere pronto?»

Mihai si lascia scappare un ghigno.

«Sono stato cresciuto da una grande donna e una cosa è certa, solo non sarò mai.»

Per la prima volta dopo tanto tempo Vera accenna un sorriso che Mihai riconosce in tutta la sua genuinità. La guarda mentre si inginocchia di fronte a lui, proprio come fa un soldato, ed è consapevole che quello è il suo modo di chiedergli scusa.

La strana urgenza di stringerlo tra le sue braccia e nasconderlo di nuovo al mondo le si legge nel tremito di resistenza che vibra nel suo corpo. Ai suoi occhi, per quanto cresciuto, sarebbe sempre rimasto il suo acerbo fratellino, quel tipetto tutto lacrime e paure, ma ora, per quanto difficile sia, è disposta ad accordargli l'opportunità di dimostrarle che non è solo questo, che sarebbe diventato un uomo, un protettore della propria patria e avrebbe vendicato la sua morte e quella di Oana. Lungi da lui poterla deludere.

Con l'assicurazione che volente o nolente avrebbe comunque fatto parte di lui, Vera si sarebbe ripresa il suo posto al fianco della loro sorellina, che per troppo tempo era rimasta davvero sola.

«La revedere, fratior.» China la testa incapace di guardarlo... E non fu più.

Neanche un attimo senza di lei e la paura lo assale come una belva affamata in prossimità della preda ma per la prima volta non si rifiuta. È il suo momento di essere forte, anche se in un mondo sconosciuto. Vera aveva trovato la sua forza nella guerra e proprio per questo vedeva in essa la possibilità di una rivincita e la pitturava come un paradiso. Per lui non sarebbe mai stato così, tutt'altro, ma non si sarebbe fatto spaventare. Ha una vita da recuperare e tra le fiamme sa già di aver camminato e a esse di essere sopravvissuto.

Un freddo penetrante si fa strada nelle sue membra e senza neanche accorgersene si ritrova di nuovo sul campo di battaglia, in sottofondo solo la confusione degli scontri a poca distanza.

Ed è arrivato il momento, tra lo stridore dei colpi e il bailamme dei corpi che cadono, in cui le stesse urla della Dea Guerra battagliano tra loro, lanciandosi con foga l'una contro l'altra, ferendosi e smarcandosi, parando e replicando, unendosi infine in un unico tumulto vocale e colmando l'aria che tutto circonda di un inconfondibile e roboante silenzio. Questo è l'attimo in cui ti accorgi di essere tornato in te e che la tua vita è tutto questo. Il sangue che ti ribolliva nelle vene si quieta improvvisamente, la presa sull'arma si rinsalda, un amaro sorriso ti increspa le labbra e anche se la mente è vuota, nel tuo più profondo io sai di essere finalmente tornato a casa, nel tuo personale...

«... Inferno.»

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