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Autore: lilac    28/09/2008    3 recensioni
Questa è la storia di una terza classe, un guerriero saiyan come tanti, che arrivò a questo punto della sua vita come tanti altri saiyan di cui non si ha memoria. Una piccola parte in una grande storia, che lui non seppe mai di avere, e che finì per cambiare il destino dell'intero universo.
Genere: Drammatico, Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale di Dragon Ball, non mi appartengono ma sono di proprietà di Akira Toriyama che ne detiene tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Credits: Il testo citato a inizio storia è tratto da Livin’ on the edge, degli Aerosmith (1992), canzone che ha fortemente ispirato il tema generale della storia, pur non trattandosi di una song fiction. (Che Steven Tyler mi perdoni XD).

Un paio di curiosità e/o precisazioni, tanto per essere pignoli:
- In questa storia ho cercato di mantenere la “tradizione” dell'originale, in cui i nomi dei saiyan derivano tutti, storpiature o meno, dall'importazione in Katakana di nomi di vegetali (qui solo dall’inglese, visto che non conosco la scrittura katakana nemmeno per sbaglio XD).
- Per l’ambientazione, alcuni particolari e la collocazione temporale degli avvenimenti di questa storia, oltre al manga ovviamente, faccio riferimento alla cronologia ufficiale di Dragonball e all’oav Le Origini del Mito (la storia di Bardak). La storia dovrebbe essere inseribile nella trama originale quindi; almeno è quello che ho cercato di fare^^.

Questa storia è stata scritta per il contest The Dark side of Dragon Ball Z indetto da Writers Arena.
Grazie a chi ha aperto questa pagina. Buona lettura^^.



TERZA CLASSE – SOLO ANDATA


There's something right with the world today
And everybody knows it's wrong
But we can tell 'em no or we could let it go
But I would rather be a hanging on.

(Aerosmith, Livin’ on the edge)


C’è qualcosa di sbagliato oggi. È questa l’ultima cosa che ricorda, prima che quel qualcosa di terribile e stupendo in lui afferri il controllo. Lo tiene in pugno, ghermisce letteralmente i suoi sensi; terrificante e magnifico. Che cos’è? Non ha mai provato nulla di simile. Prova a pensarci. No, non riesce a pensare; ma è come se lo sapesse. Ha sempre provato tutto questo, ma ora è reale; è una parte di lui, soltanto che tutto adesso è amplificato in un modo che non sa nemmeno quantificare. Sono io. Non fa che ripeterselo.
C’è qualcosa di sbagliato e non sa che cosa sia. Sono solo volti appena familiari quelli che gli sembra di distinguere, li ha avuti intorno per anni... forse; non li ricorda. Sono fisionomie confuse; non le riconosce, ma sa che le ha sempre odiate. Ora è solo più forte di lui. Forte, incredibilmente forte. Quella sensazione è così intensa che è quasi tangibile; lo afferra e lo trascina giù, sempre più giù. Ma è come se stesse volando. Diventa sempre più leggero. Li odia sempre di più.
C’è qualcosa che non va in questo cielo. Ha provato anche ad osservarlo, ma non ricorda cosa ha visto. Odia, semplicemente. Non può fermarsi; deve distruggere tutto quell’odio, quel furore cieco, o esploderà. Ma comincia a rendersi conto che non è lui ad esplodere; è il mondo che perde il controllo, si sgretola come fango asciutto e s’impasta di sangue. Ha la sensazione di plasmarlo fra le dita. Il sangue è l’unica cosa che sente sulle mani, nelle narici. E nelle orecchie grida disperate; terrore. No, non è lui quello che ha paura. Lui ride.
C’è qualcosa che non va, perché forse invece comincia ad avere paura. Ha paura che quello che prova adesso non lo proverà mai più. Non vuole. Ha bisogno di sentirsi così per sempre. Ha paura del silenzio; continua a odiare e ad annientare tutto quell’odio, in una spirale sempre più violenta e incontrollabile. Non gli piace il silenzio; odia anche questo.
È a quel punto che lo sente. Qualcuno sta chiamando il suo nome.
C’è qualcosa che non va oggi nel mondo. Quello che sente non è il suo nome. Eppure sa che lo è. C’è qualcosa di strano, decisamente; perché quello è proprio il suo nome, invece. Lo riconosce; com’è possibile?
E all'improvviso non ricorda più nulla; di nuovo il buio, per un momento.
Sembra passato molto tempo dall’ultima volta che ha guardato quel cielo. Solleva lo sguardo, è uno strano impulso che lo spinge a farlo. Non vede nulla di strano, ma non lo riconosce. Non riconosce più quel luogo che crede di aver chiamato ‘casa’. Tutto è diverso, come quel nome; l’unica cosa che gli sembra familiare, adesso.
È nudo, coperto di sangue. Intorno a lui c’è solo morte, devastazione. Quella voce continua a chiamare il suo nome e la segue. Non può farne a meno. Quella voce conosce il suo nome, sa chi è; sa dove sta andando. Ora lo sa anche lui.

C’è qualcosa di giusto oggi nel mondo. Va tutto bene. Per la prima volta nella sua breve vita, è felice in modo selvaggio, si sente euforico e appagato. È come se fosse cresciuto in un solo istante; ora sa che non si è mai sentito meglio. L’energia che gli scorre nelle vene lo culla e lo lusinga come il riflusso impetuoso della marea, il ritmo regolare e intenso; finché non si addormenta, tra le pareti morbide di una capsula, nel buio dell’universo.
Sono io, pensa, senza saperlo davvero. Sono un saiyan; e sto tornando a casa.

“Non vedo l’ora di tornare a casa”.
Osserva per un momento il suo compagno inarcando un sopracciglio, sembra perplesso. Poi si rivolge a lui con tono incerto, con disprezzo; ma non crede di afferrare in pieno quello che sta dicendo. “Ma che accidenti dici, Mushrok?!”
“Mi sto annoiando” sbuffa l’altro. Anche lui è appena un ragazzo, ma i suoi occhi sembrano quelli di un adulto; profondi, intensi e freddi come il ghiaccio. “Non c’è nulla da fare in questo dannato pianeta. Solo donne, vecchi e bambini.”
“E la cosa non ti sembra strana, eh?” La giovane donna li oltrepassa flemmatica, con movenze quasi aggraziate, ma il suo tono sarcastico tradisce un certo nervosismo e la fermezza di un guerriero accorto.
“Certo che è strano” ammette il ragazzo, esasperato “ma non ne posso più di aspettare”. Sta parlando con lui. Ignora di proposito la ragazza, che si è seduta su una roccia a qualche metro di distanza e già pare non essere più interessata a loro; si sta sistemando i capelli che le si arruffano scomposti sulla fronte, è distratta.
“Auberg ci sta mettendo un sacco di tempo. E quell’altro idiota comincia a darmi sui nervi”. Lui non può fare a meno di annuire con una smorfia di disgusto.
“Se riuscisse almeno a non fare tutto quel rumore!”. Mushrok aumenta il tono di voce; chiaramente vuole farsi sentire, ma di là da quella collinetta le grida e i singhiozzi disperati continuano a percepirsi nitidamente.
“Si caccerà nei guai, se le ammazza”. Ha pronunciato quelle parole in tono lapidario, ma la cosa lo diverte. Tanto sa che le ucciderà; lo fa sempre. E l’altro lo asseconda con una sorta di ghigno compiaciuto. “Sembra divertente” risponde a bassa voce; ha una luce sinistra negli occhi.
A volte quello sguardo gli fa quasi paura.
Mushrok getta un’occhiata distratta al gruppo di miserabili, radunati all’ombra di un rilievo. I loro sguardi atterriti non osano incrociare il suo. Un vecchio soltanto lo fissa; ha un’espressione rabbiosa, ma ai suoi occhi sembra piuttosto disperazione. Non ha nulla da perdere ormai.
“Che hai da guardare, vecchio?” gli chiede il compagno, leggermente indispettito. “Perché non guardi il tuo amico laggiù piuttosto, così ti ricordi di stare al tuo posto”.
Nella piana arida e deserta, a un centinaio di metri da loro, un cadavere viene divorato da uno strano animale dal pelo grigio, con delle zanne affilate e una lunga coda; lo sta facendo a pezzi, lacerando e ingurgitando i brandelli di carne sanguinolenta con una strana voracità e i sensi all’erta, a percepire il minimo loro movimento. Ha paura, ma ha anche troppa fame.
Questo è il prezzo che paga chi tenta di scappare. Devono vederlo tutti; per questo anche quella strana bestia non morirà, oggi, anche se si comporta come se non lo sapesse.
Il vecchio ha un’espressione triste adesso, distoglie lo sguardo. Patetico.
Mushrok osserva anch’egli l’animale per un istante, è evidente che ha voglia di ucciderlo, ma si trattiene. “Non c’è proprio un accidente da fare in questo fottuto pianeta” sbuffa contrariato.
“Piantala, Mush!” La giovane donna sbotta infastidita “Mi hai seccato con questa lagna!”
Un grido più acuto, al di là della collinetta, pare quasi sottolineare quell’affermazione. Lui non riesce a non distrarsi per un momento, intuendo ciò che è appena successo alla schiava, poi la sua attenzione viene catturata nuovamente e all’improvviso da uno schianto e dall’urlo rabbioso della compagna. “Bastardo!”
Mushrok sta ridendo, ha incassato un pugno in pieno volto ed è a terra. “Però, Celery, ti sei allenata parecchio ultimamente”. La osserva dal basso con un’espressione beffarda, asciugandosi col dorso della mano un rivolo di sangue che cola dal labbro inferiore, spaccato di netto. Lei l’ha raggiunto in meno di un secondo, è molto veloce. Ha schivato quel ki blast senza nemmeno voltarsi, ma non ha abbassato la guardia; non lo fa mai. Mushrok sa essere molto pericoloso, anche se è solo un ragazzo, come lui, e anche se quello strano taglio di capelli che gli cadono sugli occhi gli conferisce quasi un’aria mansueta. Lo sanno tutti, soprattutto Celery; sembra costantemente distratto, ma può ucciderti in un istante. “Impara a stare al tuo posto anche tu, moccioso!”. La ragazza ha appena materializzato una sfera di energia sul palmo della mano; nemmeno lei è una che scherza. Mushrok si rialza con aria di sfida e lei non indietreggia di un passo.
Ancora una volta, lui si trova ad osservare istintivamente il gruppo di schiavi e non può evitare di sogghignare divertito per la loro patetica ingenuità. Nei loro occhi gli sembra di scorgere un barlume di speranza. Forse pensano che finiranno per ammazzarsi a vicenda. Illusi; non sanno che quei due non fanno altro dalla mattina alla sera.
Bzzz... Lo scouter segnala una forza in avvicinamento.
“Che sta succedendo qui?!”
Celery e Mushrok si voltano verso l’uomo che è appena atterrato; è arrivato silenzioso come una folata di vento e li scruta per un istante. Quello sguardo sembra in grado di vedere attraverso i loro corpi. Anche lui non può fare a meno di ricambiare quell’espressione magnetica e severa; è il modo che ha di guardarti che mette soggezione, molto più della sua mole statuaria. Ma a lui non fa paura.
Celery smaterializza la sfera in un istante. “Ce ne hai messo di tempo!” protesta flemmatico l’altro.
“Sta zitto, idiota! Non sei nella posizione di fare il gradasso”. Replica l’uomo infastidito, studiando le loro espressioni. “Possibile che non posso lasciarvi soli un momento?! Sembrate due mocciosi”. Si guarda intorno. “E Fennel dove diavolo è?!”
Un grido sguaiato dietro la collina attira immediatamente la sua attenzione. “Maledizione!” impreca visibilmente arrabbiato, prima di sfrecciare in quella direzione.
I suoi compagni si scambiano un ghigno divertito. “Che idiota!” commenta Celery scuotendo la testa. “Ora ci divertiamo” replica Mushrok, rivolgendosi nuovamente a lui.
Quando il comandante Auberg ritorna verso di loro, appena una manciata di secondi dopo, ha ancora un’espressione scura in volto. L’uomo che lo segue sta sanguinando e lo fissa in cagnesco; si sta ancora sistemando la battle suit. Non ci sono schiave con loro. Fennel le ha uccise tutte e tre, come previsto.
“Ok, ora basta!” sbotta Auberg all’indirizzo dell’intero gruppo, una volta che li ha raggiunti. “Tu risponderai direttamente a Freezer per quelle schiave, spiegandogli nei dettagli perché non gli hai portato il numero che ha espressamente richiesto”. Lo dice con un’improvvisa calma, ed evidentemente vuole che sentano tutti; ma l’altro sembra lievemente impallidire.
In molti illividiscono al solo sentire quel nome. E ai pochi che non lo fanno, lui ha sempre portato rispetto.
Fennel cerca di protestare, come al solito. “Senti, non è colpa mia se...”
“Taci!” lo zittisce l’altro. Gli altri ridono. Lui anche. Come al solito.
Auberg si volta di scatto verso di loro. “E guai a voi se fiatate!”. Il tono autoritario con cui parla sortisce immediatamente il suo effetto. “Siamo in missione, accidenti a voi! Vi comportate come un branco d’idioti!”
“Ma qui è tutto tranquillo, ci annoiamo!” protesta Mushrok.
Fennel sembra cogliere la palla al balzo e ritrova la sua solita baldanza in un lampo. “Già, infatti. Non c’è l’ombra di un guerriero alla nostra altezza su questo schifoso pianeta”.
“Le donne sono alla tua altezza invece, vero?” lo provoca Celery. Lui fa per replicare, ma Auberg lo blocca nuovamente, con uno sguardo più che eloquente. “Vi consiglio di non abbassare la guardia, se non volete avere brutte sorprese. Io non sto qui a farvi da balia, sia chiaro!”.
Gli altri lo scrutano pensierosi. “Hai scoperto qualcosa?” Chiede Celery, interpretando il pensiero di tutti. E lui non riesce a togliersi di dosso quella strana sensazione che ci sia qualcosa di sbagliato in quel posto.
“Non ancora, ma dobbiamo muoverci. Qui siamo bersagli facili.”
“Tsk” sbuffa Fennel “Non esageriamo, non deve essere un gran che questa missione, se hanno mandato questi due mocciosi”.
“Ehi, attento a come parli, testa pelata!”. Mushrok lo fronteggia beffardo con aria di sfida, non sembra nemmeno arrabbiato, ma è ovvio che sta aspettando un’occasione per fare qualcosa.
“Sei patetico!” ringhia lui, visibilmente furioso. “Non hai che da dirlo, se vuoi imparare qualche nuova tecnica” lo provoca. Quel bastardo non gli è mai piaciuto, lo farebbe fuori più che volentieri. E anche lui comincia ad annoiarsi.
Auberg interviene di nuovo bruscamente, prima che Fennel riesca a replicare. L’espressione del compagno, sprezzante, si congela per un momento e scema in un ghigno beffardo, quando si volta verso il comandante. “Finitela! Vi ho detto di non sottovalutare la situazione.” Sbotta ancora una volta Auberg. “C’è qualcosa di strano”.
Ha di nuovo l’attenzione del gruppo. Sembra nervoso.
“È quello che dico anch’io”. Celery si rivolge a lui, lanciando nel frattempo un’occhiata torva a Mushrok, di sfuggita; ma tutti quanti sembrano riflettere per un momento sulle sue parole. “In questo posto non c’è la Luna”.

“Non c’è la Luna, in questo pianeta”. È un’affermazione, non una domanda. Pronuncia quella frase senza nemmeno riflettere; forse la dice a voce alta, perché il vecchio si volta per un momento a fissarlo. La pelle grinzosa dal colorito grigiastro si contrae in un ghigno beffardo e le labbra s’increspano, scoprendo una dentatura piuttosto malconcia. “Idiota!” sospira, scuotendo appena la testa divertito.
“Ehi, vecchio, attento a come parli!” lo minaccia rabbioso. Non riesce a fare altro, però. Un pugno violento lo colpisce in pieno volto, rapido; non se ne accorge nemmeno, finché non sente lo zigomo pulsare di dolore. Incassa il colpo incredulo e indugia in preda ad uno strano sentimento.
C’è qualcosa che non va, pensa. Un vecchio sdentato lo supera in velocità, forse in potenza; e tutto sembra al contrario. Eppure la cosa quasi lo diverte; stranamente si sente a suo agio. Fissa per un momento il cielo cupo, rosso sangue, e i due soli quasi al tramonto, che sembrano non emettere alcuna luce né calore. Li osserva attentamente, senza sapere perché, attraverso la vasta apertura all’ingresso dell’hangar. Poi torna a guardare l’uomo che sta lavorando sulla capsula e questi si volta nuovamente verso di lui. “Dì un po’, hai già voglia di tornare a uccidere?” gli chiede. Sta ridendo sprezzante, ma deve aver notato quella luce che si accende nei suoi occhi, sfavillante d’entusiasmo, perché si fa immediatamente più serio. “Mi sembri in gran forma, eh?”. Annuisce da solo, senza attendere repliche. “Aspetta un momento qui, sono subito da te.” prosegue, ostentando un tono fintamente ossequioso; poi si distrae nuovamente. “Non allontanarti.” Lo ammonisce infine più severo, sovrappensiero.

Hai già voglia di tornare a uccidere? La risposta a quella domanda risuona nella sua testa forte e chiara, come un’eco. Una scarica di adrenalina lo pervade improvvisamente, quasi quella risposta si fosse materializzata lì e in quell’istante, e lo spinge a fare qualche passo all’esterno. C’è un gruppo di uomini a qualche metro di distanza, stanno discutendo animatamente e volano pugni, maledizioni e grida scomposte. Un uomo cade a terra, sanguina. Si rialza in un lampo e quello che l’ha colpito per primo ha subito la peggio. Gli altri ridono, incitano i due. Lui li osserva eccitato, curioso; ma non lo notano nemmeno.
“Togliti di mezzo, moccioso!”. Un uomo lo urta con violenza, sbucando dal nulla alle sue spalle; lo spinge in avanti, oltre l’ingresso. Lui lo guarda appena in cagnesco mentre lo oltrepassa.
C’è tutto un mondo lì fuori, che lo investe in pieno coi suoi rumori e i suoi odori. Metallo, fuoco, motori, grida e imprecazioni, risate sguaiate. Gente, un sacco di gente. E quel cielo rosso sangue.
È sangue l’odore pungente che si mischia a quello del metallo, sì. Lo sente.
Poi accade qualcosa all’improvviso. Tutta quella gente si ammutolisce di colpo, si fa quieta e si scosta da un lato della strada, chinando il capo. Lui non capisce, fa per guardare in fondo alla via, ma un colpo violento alla testa lo costringe ad abbassare lo sguardo.
“Porta rispetto, idiota!” Il vecchio rugoso è apparso alle sue spalle veloce, silenzioso come un’ombra. Con lui c’è un uomo più giovane. Entrambi hanno gli occhi fissi al suolo.
Cerca di alzare la testa. Il vecchio lo spinge ancora più in basso.
Solleva almeno gli occhi, ostinato. C’è qualcosa di strano, pensa di nuovo. Lui non ha mai abbassato la testa di fronte a niente e, soprattutto, a nessuno. A chi deve questo rispetto? Di fronte a chi si sta umiliando?
Un gruppo di uomini procede deciso con passo spedito e regolare, riesce a vederli. Il suono dei loro stivali sul selciato, però, lo raggiunge prima di scorgerli e lo rapisce; si unisce ritmico al battito del suo cuore accelerato. Un uomo in testa al gruppo avanza con sguardo fiero, attorniato da almeno altri dieci; hanno il suo stesso sguardo, lo stesso portamento solenne, ma in lui c’è qualcosa d’irresistibile e terribile.
Poi, quegli occhi lo trafiggono gelidi. Non tradisce nessuna emozione, ma in lui qualcosa si agita convulso e un brivido freddo gli attraversa la spina dorsale. Possibile che sia paura? È un bambino proprio come lui, forse più piccolo. Eppure quello sguardo ha incrociato il suo in mezzo ad altre centinaia di occhi; è come se avesse percepito il suo stato d’animo. Possibile?! Ha incrociato quegli occhi scurissimi solo per un momento, ma è paralizzato da un vago senso di panico. No, non è possibile!
Qualcuno del gruppo rompe le file e si avvicina a loro; cattura immediatamente la sua attenzione. Osserva di sottecchi il vecchio; sembra leggermente nervoso. “Nappa, che posso fare per te?” lo saluta con deferenza. Il gruppo di guerrieri scompare dietro un edificio e il vociare e il trambusto riprende come nulla fosse; ma è meno caotico. Alcuni continuano ad osservare l’uomo dalla statura gigantesca che si è avvicinato a loro, fingendosi indifferenti.
“Il Re Vegeta vuole un rapporto sui primi arrivi.” Sentenzia questi, lapidario.
Lui solleva finalmente lo sguardo e lo osserva curioso, senza tradire la minima emozione. Il vecchio e l’altro uomo, che resta in silenzio, non sembrano altrettanto tranquilli. “Certo, sarà fatto!” si affretta a rispondere il vecchio. “Ne è arrivato uno proprio qualche momento fa”. Parla di lui, ma l’uomo chiamato Nappa lo sta già osservando da qualche istante. Lui sostiene lo sguardo. “Viene dal pianeta Elos. Sembra sia andato tutto come previsto” prosegue. “Sto scaricando i dati dalla capsula, poi lo spedisco ai campi di addestramento”. Il vecchio invece non lo guarda. “Sembra abbastanza in forma.” aggiunge.
“Bene”. Il gigante si allontana senza dire altro. I due uomini sembrano quasi tirare un sospiro di sollievo.
Il pianeta Elos. Comincia a ricordare.
“Chi sono quelli?” Questa volta si rende conto di aver pronunciato quella domanda ad alta voce e il vecchio ritrova subito il suo tono sprezzante. “Cerca di portare più rispetto, moccioso, se ci tieni a diventare adulto”. Gli ha rivolto un’occhiata colma di disprezzo, ma lui non se ne cura. “Quelli sono il Re e il Principe Vegeta, e i nobili guerrieri della guardia reale. Non hai nemmeno un decimo della loro forza spirituale, quindi cerca di startene al tuo posto se hai a cuore la tua pellaccia.”.

Nemmeno un decimo della loro forza.
“Portalo nell’ala est”. Si rivolge all’altro, che annuisce.
“Muoviti!” è l’unica parola che sente pronunciare a quell’uomo. Lo segue senza fiatare.
Nemmeno un decimo della loro forza.
“Ah, Peak!” lo blocca il vecchio. L’altro si volta appena. “Avverti Bardak che suo figlio è appena rientrato”. Suo padre? “Forse vuole saperlo.”

“Vorrei proprio sapere a che stai pensando, Radish. Dì un po’, sei dei nostri?”.
Si volta a guardare Mushrok senza rallentare, sembra sinceramente curioso. “Te ne stai zitto da un bel po’ ormai, non è da te” insiste. “Di solito mi riempi di chiacchiere”.
“Non è niente.” risponde sovrappensiero. Il clima su quel pianeta lo innervosisce. L’aria è secca e bollente, da ore camminano nel nulla; pare un deserto infinito. E il vento caldo che soffia costantemente alza cumuli di polvere sabbiosa che penetrano nelle narici e nella gola. Ha sete.
Nulla di particolarmente rischioso per un guerriero saiyan, anche se di appena sei anni. I saiyan sono i guerrieri più forti dell’intera galassia; un po’ di polvere e d’aria calda non lo sfiorano nemmeno, è ovvio, ma comincia ad essere davvero infastidito.
“Non avrai mica paura?” lo prende in giro l’altro. “Mica è la tua prima missione, no?”
“Non dire idiozie, Mush!” replica irritato. “Ero solo distratto.”
L’altro sorride beffardo, notando la sua reazione. “Lo so, è una noia mortale.” Sbuffa, voltandosi indietro e osservando la carovana di schiavi che li sta seguendo. “Detesto questo posto! Sono molto più divertenti le missioni in cui non si fanno prigionieri.”.
“È tutto troppo tranquillo” si lascia sfuggire lui, dopo aver annuito. Poi getta un’occhiata torva ai pezzenti che camminano a stento nel terreno sabbioso e cedevole, stretti l’uno sull’altro come sentissero freddo. Vorrebbe volare, scrollarsi di dosso tutta quella polvere rossiccia che s’impasta al sudore e gli si appiccica addosso. Vorrebbe ucciderli tutti e volare via, decisamente; o almeno combattere.
“È probabile che siano fuggiti tutti abbandonando i più deboli al loro destino, questi vigliacchi.” commenta l’altro con disprezzo. “Così ci tolgono anche il divertimento, che strazio!”
Osserva Auberg in testa alla fila, non sembra così tranquillo come vorrebbe apparire. Celery, in fondo, consulta lo scuoter con aria nervosa. Solo Fennel sembra quello di sempre, si diverte a tormentare una vecchia e ride sguaiato quando perde l’equilibrio e cade. Auberg si volta distratto, probabilmente per assicurarsi che non uccida qualcun altro, ma non sembra gli importi poi un gran che.
“Idiota!” commenta Mushrok ad alta voce, riferendosi al compagno. “Uno di questi giorni Freezer o chi per lui gli farà la pelle... O forse lo uccido io.” aggiunge poi, fin troppo convinto. Lui annuisce nuovamente in silenzio; non gli dispiacerebbe assistere a una scena simile. Non gli sfugge che il suo interlocutore è nervoso almeno quanto gli altri però, anche se ha il suo solito modo di fare. “Magari questa è proprio la volta buona, invece...” prosegue Mushrok con un tono chiaramente allusivo, lasciando la frase sospesa nell’aria.
“Che vuoi dire?”
“Ho sentito dire che ci sia Nappa in persona sulla base spaziale che sta venendo qua a prelevare gli schiavi”.
La notizia accelera di colpo i battiti del suo cuore, non se ne rende nemmeno conto. “Stai scherzando?!” replica sbalordito. “Che ci fa Nappa da queste parti?”
“Non lo so.” L’altro alza le spalle con indifferenza. Per lui non è una grande notizia, è evidente. “Ma il nervosismo di Auber e di Celery direi che è una conferma”.
È per questo che sono nervosi, allora. Sembra riflettere sul significato di quella presenza. Uno dei guerrieri eletti fra le nobili famiglie, il più vicino al Principe Vegeta e di conseguenza al Re e allo stesso Freezer, lì, a pochi passi da loro e dalla loro infima missione da terze classi. Perché?
Una schiava cade improvvisamente a terra e lo distrae dai suoi pensieri; il terreno è piuttosto impervio, ma niente di particolarmente ostico. Sta facendo un’enorme fatica per mantenere la calma.
Un vecchio l’aiuta a rialzarsi. Mushrok li osserva con disprezzo e lui non può fare a meno di notare quanto siano deboli. Gli danno il voltastomaco.
“Muovetevi!” ordina perentorio il compagno. “Sto perdendo la pazienza. Il prossimo che ci rallenta lo lascio qua... ovviamente morto.”.
Sta per aggiungere qualcosa anche lui, ma all’improvviso si sente afferrare per un braccio; si volta schifato, scuotendosi con violenza e una ragazzina cade a terra sollevando un alone di polvere e gemendo di dolore. “Che accidenti stai facendo, miserabile pezzente?!” le urla contro furioso.
“Ti prego!” lo supplica lei alzandosi in fretta. Lo raggiunge di nuovo, ma questa volta non osa toccarlo. “Facci riposare un momento, non ce la facciamo più.”
“Sta zitta!”. Non la guarda nemmeno. Reprime a stento l’istinto di farla tacere con le sue mani; è solo colpa sua e di tutti quegli inutili schiavi se sono costretti a procedere così a rilento.
“Non puoi essere così crudele” insiste lei piagnucolando. “Sei appena un bambino!”.
“Taci!” Lo sguardo che le rivolge non è per niente quello di un bambino, lei lo nota all’istante e impallidisce. “Un’altra parola e sei morta.”
“Oppure ci divertiamo con la tua piccola sorellina, se preferisci.” rincara la dose il compagno. La ragazza si lascia sfuggire una lacrima silenziosa, si paralizza per un momento in preda ad un totale sconforto.
“Cammina!” Mushrok la spinge in mezzo al gruppo senza alcuna delicatezza, cade di nuovo, ma si rialza subito. Una bambina le si avvicina e si stringe a lei impaurita, piangendo.
“Fate silenzio! Se qualcun altro fa un fiato, avrà un corso accelerato sulle abitudini dei saiyan, sono stato chiaro?” Quelle parole gli escono di bocca rabbiose, ma tradiscono un tono orgoglioso; e gli sguardi terrorizzati che gli vengono rivolti lo appagano per un momento. Non riesce a togliersi dalla testa che Nappa stia per arrivare su quel pianeta. Qualunque sia il motivo, quella missione non gli appare più così insignificante.
“Rialzati!” La voce di Fennel risuona minacciosa un centinaio di metri più avanti. Un altro schiavo è appena caduto, stremato dalla fatica. “Rialzati, ho detto!”. Il vecchio si rialza in fretta; non è così stupido come sembra.

“Rialzati subito!”
Il suo occhio destro è tumefatto e completamente chiuso, sta sanguinando. Il sangue gli offusca la visuale e gli cola sul viso. Tenta di rialzarsi, ma un altro colpo gli sfonda letteralmente il costato. Cade, piegato in due dal dolore, boccheggiando in cerca di ossigeno. Ogni respiro è una fitta lacerante che gli squarcia il petto.
“Rialzati, Radish! Non posso credere che tu sia così debole!”.
Quelle parole sono pronunciate con disprezzo, ma il disprezzo che prova per se stesso è cento volte più intenso. Lui non può essere così debole. C’è qualcosa di sbagliato in tutto questo.
No, va tutto bene invece. Si rialza raccogliendo le forze e osserva il suo avversario con aria di sfida. Riesce ad intravedere un’espressione sorpresa e compiaciuta nel compagno; gli attraversa fugace il volto per un istante soltanto.
Va tutto bene.
“Basta così!” afferma l’altro in tono sprezzante. “Non ti reggi nemmeno in piedi”.
“Non è vero! Posso continuare!” protesta con tutto il fiato che gli è rimasto. L’altro non tradisce alcuna emozione, lo osserva impassibile e impietoso per un istante. Poi, rapidissimo, sferra un calcio che lo colpisce violentemente sul piede d’appoggio. Cade nuovamente a terra. Sente una fitta lancinante alla caviglia e stringe i denti per non gridare.
“Basta, ho detto! Non mi piace ripetermi.”
Rimane a terra, non riesce ad alzarsi, ma continua a sfidarlo con gli occhi. Il suo avversario si volta e fa per andarsene. “Se ne riparla quando sarai in grado di resistere per più di un paio di minuti”.
“Aspetta, Bardak!” lo blocca sulla porta. “Aiutami ad alzarmi.” Gli costa un’enorme fatica chiederlo e suo padre se ne accorge. L’occhiata che gli rivolge sembra quasi un insulto. Si avvicina, gli tende una mano e la sua espressione ritorna impassibile; non manifesta il minimo sentimento. Nemmeno quando lui gli lancia un ki blast a distanza ravvicinata, a tradimento, e lo scaraventa a terra. Bardak si ripara istintivamente dal colpo e gliene restituisce uno triplicato in potenza. Riesce a schivarlo per miracolo. Se l’avesse colpito in pieno, probabilmente, sarebbe morto.
Il ghigno divertito sul volto di suo padre, però, riesce a vederlo perfettamente e si riempie d’orgoglio.
Va tutto bene.
“Devo andare” afferma lapidario Bardak. “Toma mi sta aspettando”.
“Parti per una missione?”
L’altro annuisce in silenzio. “Dove?” Insiste lui.
“Kanassa”.
Ha sentito parlare di quel pianeta. I suoi abitanti sono deboli ma hanno dei poteri particolari; è una missione insidiosa.
Non può fare a meno di pensare che le sue missioni invece non sono ancora nulla di speciale; ufficialmente sono addestramento, anche se sopravvivere è lo scopo principale per quelli della sua età e con la sua esperienza. Lui però ci riesce fin troppo bene; ha voglia di combattere sul serio ormai. Non sopporta più che lo chiamino ‘moccioso’; tutti, compreso l’uomo che ha di fronte.
Bardak è un guerriero molto esperto. Ha il suo rispetto per questo, ma poco altro. Sa anche che ha guadagnato una certa fama tra quelli della sua classe ed è piuttosto forte, ma lui vuole diventare ancora più forte; ora lo sa. Quella domanda gli sfugge quasi involontariamente, sa bene che suo padre non ama parlare di certe cose, ma non è questo l’importante. “Il Principe Vegeta ha già conquistato un mucchio di pianeti, da solo. Tu hai mai combattuto con lui?”
L’uomo lo scruta con una certa irritazione negli occhi. “No e non m’interessa.”
“Io voglio diventare molto più forte.” insiste, nonostante intuisca i pensieri di suo padre. “Voglio combattere alla pari con i guerrieri di prima classe. Secondo te posso riuscirci?”. Certamente è la prima volta che gli parla così e l’altro non può fare a meno di manifestare una certa sorpresa. Qualcosa nello sguardo di Bardak lo lascia, infatti, per un momento perplesso; è come se cercasse di capire che cosa ha davvero in mente. Quel qualcosa dura solo un istante però, i lineamenti del volto dell’uomo s’irrigidiscono subito e la sua espressione si fa seccata e sostenuta. “Non avrai mai la forza di una prima classe, ficcatelo bene in testa.”
“Ma tu...”
“Stupido moccioso!” lo interrompe brusco. “Pensa piuttosto a rappresentare degnamente il popolo a cui appartieni, invece di fantasticare con queste idiozie.” Quelle parole, pronunciate in tono freddo e sprezzante, lo colpiscono. “Sei un saiyan, appartieni alla razza di guerrieri più forti dell’intero universo. Non dimenticartelo.”
Lui è ancora a terra. Suo padre non gli ha mai rivolto tante parole in tutta la sua vita e la cosa lo spiazza in qualche modo. Le ultime che si sente rivolgere poi, non le scorderà facilmente.
“Anche Freezer lo sa perfettamente.”


“Anche Freezer dovrà riconoscere che stavolta abbiamo fatto un bel lavoro. Questo pianeta non è poi così male; e ne abbiamo ricavato anche un bel numero di schiavi”.
Annuisce ancora una volta distrattamente. Di Freezer gli importa ben poco, non è interessato alla politica o ai rapporti commerciali della sua gente. Tutto quello che gli interessa sapere è che i saiyan hanno un accordo con lui, da poco prima che lui nascesse, a quanto gli risulta. In cosa consista di preciso quest’accordo ha poca importanza, tutto quello che gli interessa è che gli permette di combattere e di...
“Radish!”
Il tono di voce di Mushrok è improvvisamente teso; interrompe brusco i suoi pensieri. Tutti i suoi sensi si accendono in un lampo. Si ferma e si volta di scatto verso il compagno, che gli lancia un’occhiata d’intesa e torna a guardarsi intorno. Gli schiavi sembrano accorgersi che c’è qualcosa che non va, cominciano a fermarsi anche loro, uno a uno.
“Continuate a camminare!” ordina minaccioso; sente che c’è qualcosa di strano. Lo scouter non rileva nulla, ma anche i suoi compagni si sono fermati. Ha un brutto presentimento.
“C’è qualcosa che non va” afferma a mezza voce Mushrok, quasi a se stesso. “Lo senti anche tu?”
È come un ronzio sommesso, impercettibile, sembra quasi che sia la sua stessa mente a produrlo. “Sì, lo sento anch...”.
Uno schianto improvviso e un boato, alle sue spalle. Il tempo di percepirlo appena e un’onda d’urto incredibilmente forte lo scaraventa a terra. Il silenzio lo avvolge in un lampo; un silenzio irreale, innaturale. Nemmeno un rumore, niente. Si sente come in una bolla d’aria, non sente più nulla. Sta galleggiando nel vuoto assoluto.
Un secondo, due. I sensi cominciano a risvegliarsi, uno ad uno. Sente il terreno sotto di sé, è sdraiato a terra; riesce a muovere la testa di lato.
Un altro secondo. La nebbia nei suoi occhi si dirada a poco a poco. Accanto a lui c’è un corpo, una ragazzina. Una schiava. Forse la riconosce, riconosce quella cascata di capelli chiari. No, non sono chiari... Sono di un rosso vivo. La veste bianca... no, rossa. Qualcosa di scivoloso e caldo gli lambisce una gamba; è sangue.
Un altro secondo. Comincia a percepire un brusio ovattato, nella testa rimbombano suoni confusi. Grida? Riesce a muovere anche le gambe.
Non è suo quel sangue.
Cerca di alzarsi; ci sono cadaveri tutt’intorno a lui. Sì, sono grida.
Un secondo ancora. Un altro schianto, un boato. Più lontano. C’è odore di sangue, molto sangue. I suoni si fanno sempre più nitidi, più forti.
Un altro secondo. ...dish! Radish!
Un altro schianto, vicinissimo. Ma i suoi sensi stanno ricomparendo. Non sente alcun dolore. Non è stato colpito. Le grida si stanno affievolendo, ora sono più lontane. Poi tacciono del tutto.
“Radish!” È la voce di Mushrok. “Alzati, idiota! Che accidenti fai lì per terra?!”.
Si riscuote all’improvviso e scatta in piedi come una molla. Ma che diavolo gli è preso?! Merda!
Mushrok è ad appena un metro di distanza, davanti a lui. Un braccio gli sanguina copiosamente. Di fronte a lui il terreno è squarciato in due in una profonda voragine.
“Accidenti a te Radish!” gli urla contro voltandosi appena. “Vedi di badare a quello che fai! Per poco non ci lascio un braccio per pararti il culo!”. Si allontana, sta combattendo con uno strano guerriero dalla pelle rossiccia. Ha qualcosa di familiare. Ma cosa?
Che succede?!
Lo scouter segnala appena delle forze insignificanti, ma non è possibile; deve essere rotto. Si guarda intorno velocemente. Auberg sta combattendo oltre il promontorio, sente chiaramente l’eco di una violenta battaglia dietro le rocce. Di Celery e Fennel non c’è traccia. Quasi tutti gli schiavi, quello che resta di loro, sono a terra, morti. Alcuni stanno scappando in preda al panico. C’è sangue ovunque. Nuvole di polvere rossa vorticano frenetiche dappertutto. Sabbia, terra e sangue lo investono in una raffica di vento. I corpi a brandelli di quei pezzenti sono sparsi per tutta la vallata. Anche il corpo senza vita di Celery è laggiù, in mezzo a quelle rocce. I suoi occhi saettano rapidi fin dove arriva a vedere. Pochi secondi, solo pochi secondi.
C’è qualcosa che non va. Chi è quel guerriero? Perché uccide anche i suoi simili? E come ha fatto a sbarazzarsi di due saiyan così in fretta, soprattutto? I suoi occhi vagano per la vallata, incerti per un momento. Poi si assottigliano glaciali in un punto, fra le rocce. Ne arriva un altro. E lo scouter non segnala la sua forza.
“Da dove accidenti sono spuntati questi?!” grida più a se stesso che all’altro.
“Lascia perdere lo scouter” gli risponde Mushrok “non serve a niente, sono stati manomessi!”. Il suo compagno lancia un ki blast estremamente potente contro il suo avversario, lo sente ansimare per la fatica. Lui afferra lo scouter con rabbia e lo getta a terra. Maledizione!
Il guerriero che è spuntato fra le rocce è velocissimo; ha una corporatura massiccia e imponente e uno strano colorito violaceo. Gli arriva addosso in un secondo. Riesce a malapena a parare i suoi colpi, ha una potenza incredibile. Anche lui ha qualcosa di familiare. No, forse no. Deve mantenersi lucido o non ne uscirà mai vivo. Non ha tempo per pensare.
Schiva un ki blast all’ultimo momento; è potentissimo, se lo colpisse con un altro colpo del genere sarebbe la fine. Risponde con tutta la forza che ha, lo colpisce in pieno. Lo vede vacillare e indietreggiare contro una piccola sporgenza. Si alza una nuvola di polvere. Quei guerrieri sono molto più forti di loro, è evidente.
Sente un boato al di là delle montagne, incredibilmente forte.
“Radish, muoviti!” urla Mushrok. Si è avvicinato a lui, sono schiena contro schiena. Il guerriero con cui sta combattendo è a terra e si sta rialzando, sembra quasi se la stia prendendo comoda. “Raggiungi una capsula e chiedi rinforzi, in fretta! La nave di collegamento dovrebbe essere vicina ormai.”.
No, vuole combattere! Può sconfiggerlo; deve sconfiggerlo! “Non ce la farai mai da solo!”
Il suo nemico si avvicina, con calma, ma lui lo colpisce con un calcio violento allo stomaco, senza dargli il tempo di parlare, né agire. Non gli ha fatto nulla; è inutile.
“Ce la faccio benissimo! Muoviti, ho detto!”
Si allontana rapido e prepara un ki blast; non può farsi colpire o è spacciato.
“Muoviti Radish!”
Non riesce a lanciarlo, una serie di colpi lo colpisce ripetutamente e lo scaraventa di nuovo a terra. Sente il sapore metallico del sangue in bocca; è ferito. Ignora il dolore e si rialza fremente di rabbia. È strano, quel guerriero sembra si stia solo divertendo, come se sapesse di essere molto più forte e di poter mettere fine alla lotta quando vuole. Ora lo guarda divertito, con l’espressione di chi sta solo passando il tempo.
Mushrok ha il fiato corto, ma è di nuovo sul suo avversario. Anche l’altro ha la stessa espressione. “Ma perché vi ostinate tanto?” ridacchia canzonatorio; scuote addirittura la testa. “Voi saiyan siete proprio cocciuti!”
L’altro guerriero scoppia in una fragorosa risata.
“Chiudi quella bocca!” Gli urla contro Mushrok; è furioso.
“Bastardi!”. L’ira che lo pervade sembra solo divertire ancora di più il suo nemico. Sente un’energia rabbiosa montargli dentro, i suoi muscoli si contraggono in uno spasmo di collera. Un saiyan non può tollerare quest’umiliazione! No, dovranno pagarla molto cara.
Mushrok continua a gridare, senza voltarsi. “Se non muovi il culo da lì giuro che uccido anche te, idiota!”. Il tono è duro, autoritario. Ha il potere di riscuoterlo e non riesce più a ignorarlo; è quasi un istinto. Si ferma per un momento ad osservarlo. Non riuscirà a sopravvivere.
Si volta e si alza in volo velocemente; e lo osserva un’ultima volta, prima di accelerare e sfrecciare via. “Stai attento!” è l’ultima cosa che si sente dire dal compagno. Ma sta già volando a tutta velocità verso le montagne. Deve raggiungere una capsula per comunicare con la nave di collegamento. Eppure per un momento esita, ha paura. Teme che abbiano manomesso anche quella.
No, erano ben nascoste.
No, lui è un saiyan. Lui non ha paura.
Ma c’è qualcosa di strano. Perché quei guerrieri sono così forti? Doveva essere una semplice missione di pulizia come tante; alla loro portata. Com’è possibile? Come sono riusciti a manomettere gli scouter? Questa è roba da esperti… Una spia? No, non è possibile. Forse è solo un campo magnetico, Mushrok esagera sempre.
Sente un boato incredibilmente forte alle sue spalle; non si volta e accelera.
Poi il buio, improvvisamente. E una luce accecante che lo abbaglia; sente il calore penetrargli nelle ossa, bruciargli la carne. Un dolore sordo lo avvolge, i sensi vacillano. L’eco del fragore rimbomba ovattato nelle sue orecchie, che ricominciano a ronzare. Riapre gli occhi per un istante, con fatica. Le capsule sono a qualche metro di distanza, soltanto. Stai attento... Ma non può raggiungerle, rivelerebbe il loro nascondiglio.
Non riesce a raggiungerle, non ce la fa, non riesce più a muoversi.
E così, è proprio qui e adesso che morirà. Stai attento...
Un bagliore accecante lo inonda di nuovo. Raccoglie tutte le forze che gli rimangono; deve schivarlo. Sente un’esplosione violenta e non vede più nulla; solo polvere e luce. Il rumore delle rocce che si sgretolano è assordante, anche il suo corpo sembra sgretolarsi sotto i colpi dei massi che gli saettano contro.
Non vede più nulla; è tutto buio. Non sente più nulla; solo una specie di risata sprezzante. La sente distante, sempre più lontana. Non riesce a muoversi. Non riesce a capire. Solo due parole ricominciano a risuonargli insistenti nella testa; rimbombano come fosse svuotata. Stai attento!

“Stai attento...” La voce di suo padre esita per un istante. Gli dà le spalle e si volta appena.
“Come?” chiede quasi senza accorgersene, spiazzato e incredulo. “Che significa?”
“Quello che ho detto” risponde l’altro in tono piatto, dandogli di nuovo completamente le spalle. “Stai attento”.
Non sa come rispondere. Lo osserva mentre si allontana. Sta partendo per Myth, una missione relativamente facile per uno come lui; malgrado ciò sembra nervoso. No, è strano, c’è qualcosa che non va in Bardak. Eppure fino a un momento prima sembrava normale. Hanno scambiato le solite chiacchiere sulle missioni, niente di più. Ma poi si è fermato per un momento e gli ha detto quella cosa; ed è come se avesse riflettuto per un istante se dirglielo o meno. È come se non sapesse nemmeno lui di che cosa sta parlando. Non è da lui.
“Ehilà, Radish” la voce del vecchio Onios lo riscuote, si dimentica per un momento di quella strana sensazione. “Sei venuto anche tu a vedere tuo fratello?”
Annuisce, non troppo convinto. Non gli importa gran che di suo fratello in realtà, forse è solo curioso.
Anche Bardak era curioso? Non ne ha fatto parola, eppure veniva da lì.
“Qual è?” chiede al vecchio, che è indaffarato a qualche metro di distanza.
“Quello che frigna” risponde beffardo, sghignazzando tra sé e sé, senza nemmeno voltarsi.
Legge velocemente la scheda metallica agganciata alla culla.

Kakaroth. Il pianto assordante di quel bambino lo infastidisce. Attiva lo scouter con una smorfia insofferente, ma quella piega delle labbra si accentua ben presto, manifestando tutto il suo disgusto. Il livello combattivo di quel moccioso è di appena due. Patetico!
FX50. È un quadrante all’estremità della galassia. “Dove lo state mandando?”
“Su un pianeta chiamato Terra. Roba da poco.” risponde distratto l’altro, a voce alta. Poi si avvicina. “Dovrebbe partire a momenti. Stanno già programmando la capsula.”
“Chi altro?” S’informa distrattamente.
“Nessun’altra partenza per oggi... da qualche tempo, in effetti” precisa poi pensieroso “Abbiamo avuto ordine di sospendere tutto, ma questo qua era già pronto, sai com’è, mi secca lavorare per niente, che diavolo!” Il vecchio si allontana di nuovo, ricomincia a trafficare con un computer in un angolo. “E poi... Merda! Quel bastardo pensa di poter fare il bello e il cattivo tempo come gli pare” borbotta a bassa voce “come se qui non lavoriamo come schiavi per lui, senza pretendere...”.
Lo ascolta a malapena, sta pensando già alla sua prossima missione. Nemmeno lo saluta, uscendo, ma all’altro non importa; continua a borbottare e a imprecare tra sé e sé senza nemmeno guardarlo. Lui dovrebbe già essere nella sua capsula a quell’ora, invece. Gli altri lo stanno aspettando. Sta solo perdendo tempo con quell’inutile moccioso; chissà per quale assurdo motivo, poi.
Ha ancora il suo pianto nelle orecchie, però, e la cosa lo irrita notevolmente. Percorre i corridoi dell’edificio a passo decisamente spedito, con un’espressione infastidita e insofferente. Poi le parole del vecchio gli tornano in mente all’improvviso, senza un perché... Nessun’altra partenza per oggi... da qualche tempo, in effetti... C’è qualcosa di strano, di sbagliato. Perché non riesce a toglierselo dalla testa? C’è davvero qualcosa che non va?
“Radish! Maledizione! Che accidenti pretendi, che ti facciamo l’inchino?!”.
“Maledetto moccioso, io non sto qui a perdere tempo per te! Dovevamo partire senza di lui Auberg, te l’avevo detto!”.
“Taci, idiota! Qui gli ordini li do io, chiaro? E tu, un altro ritardo e ti spezzo le ossa, altro che lasciarti qui... E non fiatare!”.
No, non c’è niente che non va.
Va tutto bene.

C’è qualcosa che non va oggi. Le pareti della capsula sono fredde, gelide. Sta tremando. E i saiyan non tremano.
Il morbido di quel tocco che lo avvolge sta cedendo, si sente sprofondare in un abisso, sempre più giù. Cade, senza fermarsi, e non riesce a risalire. Annaspa, sente mancargli il respiro.
Il dolore lo travolge, lo confonde. Non distingue più i contorni del suo corpo; è come se si stesse espandendo all’infinito, sempre di più. E i suoi sensi si affievoliscono... Sempre di più. Si diluiscono nel buio che lo circonda, nel freddo, come liquidi. Il dolore scema, si attenua. Poi scompare del tutto.
C’è qualcosa che non va. Immagini confuse si affastellano nella sua mente come impazzite. Volti, sensazioni. Parole. Lo colpiscono con violenza, senza un perché, e lo feriscono; le vede, le sente. Ricorda, ma non riesce ad afferrarle, a fermarle per un momento. Buio, solo buio. E immagini che scorrono a diverse velocità davanti a lui.
Allunga una mano, ma non può toccarle.
... Sono un saiyan; e sto tornando a casa ... E la cosa non ti sembra strana, eh? ... Perché non guardi il tuo amico laggiù piuttosto, così ti ricordi di stare al tuo posto ... Impara a stare al tuo posto anche tu, moccioso! ... In questo posto non c’è la Luna ... Non avrai mica paura? ... Nemmeno un decimo della loro forza ... Possibile che sia paura? È un bambino proprio come lui ... Appartieni alla razza di guerrieri più forti dell’intero universo, non dimenticartelo... Voglio combattere alla pari con i guerrieri di prima classe ... Di Freezer gli importa ben poco ... Uno schianto improvviso e un boato ... Un secondo, due ... Un altro secondo ... Rialzati subito! ... Da dove accidenti sono spuntati questi?! ... Stai attento! ... Non gli importa gran che di suo fratello ... Kakaroth ... non dimenticartelo ... Mushrok ... Stai attento! ... Bardak ... il Principe Vegeta ... Nappa ...

“L’unico sopravvissuto sarebbe questo?”

... Ho sentito dire che ci sia Nappa in persona sulla base spaziale che sta venendo qua...

È la voce di Nappa quella che sente? Forse. Non riesce ad ascoltare. Magari è un sogno. Non ha più freddo. Vorrebbe sentire, cerca di svegliarsi. Non ci riesce; e ripiomba nel buio.
Non sta più tremando, va tutto bene. Va bene così.

**********

“Mm.” L’alieno dalla pelle verdastra annuì, osservando attentamente i macchinari e i dati che apparivano a ritmo incessante sul monitor.
“Che significano quelle linee impazzite che stanno uscendo dal tracciato?” chiese il gigante, con aria perplessa.
“Credo che sia in preda a qualche allucinazione o forse sta ricordando qualcosa, difficile dirlo.”
Il saiyan sembrò riflettere per un momento. “Se la caverà?”
“Penso di sì, anche se è piuttosto malconcio. Non so nemmeno come abbia fatto ad arrivare qua... Può darsi che non ricordi molto di quello che gli è successo però, quando si sveglierà”. Quella risposta fu appena un sussurro; esitante e in preda ad un qualche nervosismo, l’alieno manifestò evidentemente il timore di sbilanciarsi con il suo interlocutore. Mai fare promesse che non sei in grado di mantenere ad un saiyan; era una delle cose che ti raccontavano fin da bambino. Ma l’altro non replicò, osservava la vasca di rianimazione con un’espressione indecifrabile.
“Mi dispiace per il tuo pianeta, Nappa.” Dichiarò poi l’addetto alle cure mediche, cercando di colmare un silenzio imbarazzante. Il suo tono dovette apparire lievemente ipocrita e fin troppo accomodante tuttavia, perché il guerriero lo osservò per un momento con fare scettico e lievemente infastidito.
“Già, è terribile”. Il saiyan sospirò e tornò a rivolgersi alla vasca, senza tuttavia perdere di vista l’atteggiamento dell’uomo al suo fianco, che continuava a scrutare con la coda dell’occhio e con un’espressione accigliata. Questi prese a sistemarsi il camice, irrequieto, distogliendo immediatamente lo sguardo. “E, come se non bastasse, su ben otto missioni l’unico sopravvissuto è questo inutile moccioso terza classe! Una maledetta sfortuna! Dannazione!”. Nappa si era rivolto di nuovo al suo interlocutore con un tono ormai notevolmente irritato e questi non riuscì a nascondere un’evidente trepidazione. Impallidì visibilmente, notando che serrava adirato un pugno e faticava a controllare la rabbia. Finse immediatamente di concentrarsi sul monitor; le mani gli tremavano incontrollate.
“Chi è?” chiese poi brusco il colosso.
“R... Radish, figlio di Bardak, s... se non sbaglio” farfugliò l’alieno, in un sussulto, e si allontanò istintivamente dall’enorme massa di muscoli in tensione che si ergeva a pochi passi da lui, in tutta la sua collera.
Nappa non rispose, non sembrò nemmeno notarlo, improvvisamente assorto in qualche riflessione. Appariva nervoso anche lui, oltre che furioso, e questo non era di certo un buon segno. Il responsabile del laboratorio medico continuava a fingersi indaffarato con i suoi macchinari, cercando di non dare al saiyan alcun pretesto per sfogarsi, ma non aveva potuto fare a meno di notarlo. Sussultò nuovamente, quando Nappa si voltò di scatto e si avviò verso la porta. “Devo mettermi in contatto con Vegeta” dichiarò brusco, senza girarsi a guardarlo. “Avvertimi quando il moccioso si sveglia”.
“S... Sì, certo, Nappa. Te lo farò sapere immediatamente”.
L’alieno ringraziò mentalmente una qualche divinità e sospirò sollevato, non appena lo vide scomparire fuori del laboratorio. E, più di ogni altra cosa, non poté fare a meno di rendere grazie al suo Dio per il carattere solitario e scostante del Principe Vegeta; non l’aveva mai incontrato e di sicuro non aveva alcuna voglia di farlo, soprattutto in quel momento.
Il solo nome del Principe dei Saiyan, aveva notato, era stato sufficiente a rendere inquieto anche un gigante di quella stazza, uno scimmione della peggior specie; e, anche se lui non voleva darlo a vedere, era evidente che Nappa avrebbe fatto volentieri a meno di comunicargli quella brutta notizia. Tutti arroganti, crudeli e spietati quegli scimmioni; ma più si saliva nelle loro gerarchie nobiliari e più queste caratteristiche si amplificavano a dismisura, di pari passo con la loro forza.
Controllò nuovamente il monitor, ritrovando ben presto la concentrazione. Il tracciato pareva essersi stabilizzato.
Probabilmente anche quel ragazzino avrebbe avuto il suo bel da fare se gli unici compagni che gli erano rimasti erano Nappa e il Principe dei Saiyan. Quel ragazzino però, aveva avuto una gran bella fortuna, pensò. Nemmeno immaginava quanta.



FINE
  
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