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Autore: Love_in_London_night    10/09/2014    5 recensioni
Jared, dopo i concerti in Francia, decide di farsi una vacanza da solo. Affitta una villa in un paese molto esclusivo della Costa Azzurra, vicino Nizza. L’equivalente dello yacht che ha affittato nella realtà, per intenderci. Perché scegliere una villa lussuosa? Semplice, per vivere isolato e nel completo anonimato tra gente che è anche più benestante di lui, almeno si garantisce la riservatezza che cerca.
Ma cosa succede se nella casa c’è un problema? Lui pensava di essere solo, ma se così non fosse?
E se il problema avesse gli occhi chiari e i capelli biondi che tanto piacciono a Jared?
E se, in tutto questo, c’entrasse una mamma echelon fuori dai canoni?
Dal primo capitolo: “Sentì il cellulare vibrare e lo guardò: un nuovo messaggio da un numero che non conosceva.
Confermo, uno sguardo molto interessante
Non si sarebbe mai liberata davvero di lui, nemmeno se avesse messo tra di loro tutta la Costa Azzurra. Quella settimana sarebbe stata lunga.
Ringhiò per manifestare il suo disappunto, e per la prima volta lo sentì ridere, veramente divertito dalla sua reazione.
Il problema era solo uno: aveva una risata bellissima, e lei se n’era accorta."
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Alle amiche che hanno reso possibile la vacanza e l’hanno resa una delle più belle di sempre.
Senza contare che è merito loro e della frequente domanda
“ma non ti fa venire in mente la trama per una OS questa cosa?”
se la storia è nata.

Al #teambanana, perché supportano, sopportano, aiutano e si interessano a ogni mia idea,
per quanto malsana sia.


Capitolo 1
 

I will disappear

 
 
18 luglio 2014

“Mamma” campeggiava sul display del telefono. Georgie sbuffò e alzò gli occhi al cielo, rimpiangeva i tempi in cui salvava i numeri dei genitori con le rispettive diciture “Non rispondere” e “Inventa una scusa”.
«Pronto?»
«Tesoro, ciao, sono la mamma…»
«Dai? E io che pensavo fosse Henry Windsor che volesse chiedermi in moglie!» si batté una mano sulla fronte prima di concedersi una risata.
«Hai il numero del principe?» Charlotte sembrava colpita. Era da tanto che sperava che Georgiana portasse a casa un aspirante marito degno di questo nome. Certo, non erano nobili, ma essere una delle famiglie più ricche sfondate di Londra la faceva vivere nella speranza che prima o poi la sua piccola Georgie trovasse qualcuno adatto al ruolo che aveva, quindi la immaginava sempre accanto a qualche pezzo grosso della City, una loro foto sul Sunday Times e qualche pargolo al seguito.
«Mamma, ma ti pare? Abitiamo nella stessa città e quasi non l’ho mai visto in faccia!» rise, sua madre non era ingenua, ma riponeva troppa fiducia in lei; la voglia di diventare nonna era tanta e il fatto che Georgiana avesse compiuto trent’anni da poco senza avere un partner accanto la terrorizzava. Non le avrebbe dato dei nipotini, la loro famiglia si sarebbe estinta peggio dei dinosauri e Charlotte non avrebbe potuto farci nulla perché la scelta non spettava a lei.
«Comunque, perché mi hai chiamato?» chiese per poi sistemare i fascicoli dei vari clienti nello schedario. Era un periodo di fuoco quello per la società per cui lavorava, tutti arrivavano all’ultimo per voler sfoggiare solo il meglio nelle loro vacanze, e pretendevano che questo venisse fatto nel minor tempo possibile. Come se fossero lì ad aspettare solo i loro comodi!
«Ah giusto». Charlotte si ricompose. «Volevo sapere… tu inizi le vacanze quando, esattamente?»
Georgie, sbadata come la madre, prese l’agenda su cui aveva scritto la data di inizio delle proprie ferie. «Il ventisei, sabato prossimo».
«E hai già deciso cosa fare?» domandò la donna, cauta. «O con chi andare? Magari qualche amico particolare…»
Sì, voleva dannatamente dei nipotini, anche a costo che fossero frutto di una relazione al di fuori del matrimonio o di una serata alcoolica. Poco importava il come, l’importante era che Georgie avesse a disposizione la materia prima e che lasciasse i freni inibitori che le avevano inculcato da piccola in casa.
La figlia sospirò. Il fatto che la madre fosse più interessata di lei alle proprie vacanze l’aveva messa in allarme, aveva in mente qualcosa che a lei non era passato nemmeno per l’anticamera del cervello.
«No» rispose infine. «Nessuna meta prestabilita e nessuno con cui condividere la vacanza. Il mio stato sentimentale attuale è: anche Bridget Jones all’inizio del primo film ha una vita amorosa più intensa della mia».
Il problema era solo uno: Georgie l’aveva ammesso soddisfatta. Certo, le mancava il sesso, ma avere un fidanzato da accudire peggio di un cucciolo di dalmata non la allettava per niente. E che qualcuno provasse pure a confutare la sua tesi. Si erano visti in giro uomini maturare dopo i primi otto anni di vita? Qualcuno che fosse uscito dalla pubertà dopo i diciannove anni? No, appunto.
«Geo, ti prego». Quando Charlie usava quel soprannome era al limite dell’esasperazione. «Non farmi pensare a una te in futuro sola, zitella e acida. Non lo reggerei»
«Mamma…» fece una pausa melodrammatica, giusto per godersi il momento. «Lo sono già».
Anche perché, doveva ammetterlo, era stufa di far passare i letti degli altri a caso, come se stesse facendo zapping. Ci aveva già provato a Londra e, che restasse tra pochi intimi, trovava difficile provare ad avere una relazione con la metà degli uomini che aveva già avuto in senso carnale, i quali non si interessavano a un articolo che avevano giù usato, senza contare che l’altra metà – la metà interessante e remunerativa, ovvio – era quella già occupata. Non le andava di perdere tempo con i falliti con cui non era funzionata una prima volta, perché se si era limitata al sesso un motivo ci doveva pur essere stato.
«Quindi non hai intenzione di farti nemmeno una vacanzina?» la donna decise di continuare a percorrere un terreno più neutro o, come lo chiamavano a casa Hastings, un perseguimento dei propri obiettivi.
«Non lo so! Pensavo di partire all’ultimo…» di certo i soldi non le mancavano. Tra le eredità di famiglia e lo stipendio che la società le elargiva non viveva certo in ristrettezze economiche. «Vuoi dirmi dove vuoi andare a parare? Ho capito che hai in mente qualcosa, sputa il rospo e facciamola finita».
Ecco il tono da principessa per cui i genitori avevano speso. Anni e anni di scuole private e lei si esprimeva come un camionista rumeno. Senza offesa per la categoria.
Sentì nella propria testa il rumore metallico di una corona caduta a terra. Quell’immagine la perseguitava dai tempi delle medie, e se avesse potuto sulla lapide come epitaffio avrebbe voluto scritto: “Le era caduta la corona, una cosa abituale”.
«Tuo papà e io» oh no, se c’era di mezzo suo padre non era un’idea qualunque, ma un piano d’attacco vero e proprio «abbiamo pensato, dato che non hai programmi, che potresti passare una settimana nella casa di Cap Ferrat. Sai, la affittiamo dal due di agosto a un privato, vorrei che andassi a controllare se è tutto in ordine dopo l’ultima volta in cui l’abbiamo data a estranei. Potresti accertarti che sia tutto in ordine, concederti una settimana di pausa e, infine, dare le chiavi all’ospite. Cosa te ne pare?»
Georgie sorrise. Oh, la casa a Cap Ferrat. Così semplice da non averci nemmeno pensato. Sole, mare, isolamento e abbronzatura.
Certo, trovava un po’ presuntuoso il fatto che i genitori la chiamassero casa, quando in realtà la metratura – compreso il giardino – si aggirava attorno alle dimensioni della Terra di Mezzo, ma era quello il bello della villa, avere il parco così grande che, se anche avesse perso il pezzo sopra del costume nel fare il bagno in piscina, nemmeno i vicini se ne sarebbero accorti senza un telescopio.
Beh, avrebbe potuto approfittare di quell’occasione: relax a parametro zero, poi si sarebbe defilata alla velocità della luce, lasciando le chiavi all’ospite e scappando in modo celere, così rapida da lasciare una scia di fumo dietro di sé. Sì, era il piano perfetto.
«Non è male come cosa, in effetti». Era in procinto di aggiungere altro, ma fu interrotta dalla madre.
«Perfetto, lo dico subito a Michael. Grazie tesoro! Grazie davvero. Ora vado, stasera siamo a cena con i Carter e devo ancora farmi la maschera in viso. Passa a prendere le chiavi in settimana, così ti salutiamo. Non ti fai mai vedere!» la redarguì giuliva Charlotte.
«Ok mamma, a presto. E guarda che potete venire voi a trovarmi qualche volta. Vivo a Hampstead, non a Baghdad». Le disse sogghignando nel concludere la chiamata.
Chiavi. A cosa le servivano le chiavi di quella casa? C’era uno stuolo di governanti da far invidia a Maria Antonietta – quando loro erano presenti – che, oltretutto, la conoscevano dall’infanzia ed erano in pianta stabile là, a tenere la villa al meglio e pronta all’uso almeno in estate. Cosa se ne faceva di un mazzo di chiavi che assomigliavano a quelle di San Pietro e del Vaticano, quando le bastava la sola presenza come passepartout? Per non parlare dei codici di sicurezza che andavano disinseriti, quelli sì che potevano tornarle utili, non le chiavi.
Anche perché il mazzo era grande quanto quello del caveau del Bellagio, da quanto aveva visto durante uno dei suoi viaggi di lavoro per concludere un affare. Sì, in effetti poteva dire che quella casa era una – neanche tanto – piccola riserva d’oro.
Sorrise tra sé nello schedare gli ultimi ordini, di lì a una settimana sarebbe stata in vacanza. E pensare che fino a dieci minuti prima non aveva la più pallida idea di cosa fare a riguardo.
Madri, se non ci fossero state avrebbero dovuto inventarle.
 
«Mike!» trillò entusiasta dalla toeletta dove si stava spalmando la maschera all’acido d’uva. «Sarà Georgie ad accogliere l’ospite a Cap, noi possiamo farci i fatti nostri ancora una volta»
«Charlie, tesoro, ma perché dobbiamo mandare nostra figlia e non utilizzare noi stessi la nostra casa?» domandò Michael mentre spuntava dalla porta con il giornale in mano, ancora intento a dedicarsi alla pagina della finanza.
«Perché non sapeva dove trascorrere le vacanze, in più spero vivamente che tu abbia la decenza di portarmi almeno a Bali per i nostri quarant’anni di matrimonio, non il solito Cap Ferrat». Concluse con una smorfia.
«Bali, hai detto?»
«Esatto»
«Quarant’anni di matrimonio. Di già?» domandò, ancora fintamente sconvolto.
Charlotte annuì.
«Beh, se ti ho sopportato per così tanto tempo dobbiamo festeggiare. Una vacanza degna di questo nome la merito proprio».
Charlie gli fece una smorfia e Michael le sorrise bonario, in quel momento non sembravano trascorsi così tanti anni sui loro volti. Dimentichi delle rughe e dei segni del tempo, si sentivano come due ragazzini alle prese con il primo amore, e forse era davvero ancora così.
«Vado a recuperare il completo dalla lavanderia». Annunciò il marito mettendo da parte il quotidiano.
«Mike?» lo fermò Charie prima di impiastricciarsi la faccia.
«Sì, cara?»
«Ti amo». Sorrise lei dimostrando dieci anni di meno, bella ed elegante come sempre.
«Anche io ti amo Charlie, sarei un pazzo se fosse il contrario». Rispose affascinante prima di farle l’occhiolino e lasciarle il proprio spazio nel tentativo di togliersi un po’ di rughe che di certo non l’avrebbero fatta sfigurare.
Charlie si mise a canticchiare soddisfatta il ritornello di una canzone che aveva tutta l’aria di essere una dichiarazione di guerra.
 
«Signora Carlsson?» Jared stava aspettando che il collegamento Skype mandasse le immagini della propria webcam e di quella della donna che aveva chiamato. «Mi vede?»
La signora in questione era la padrona della casa che aveva preso in affitto a Cap Ferrat. Dopo il concerto a Patrimonio del venticinque sarebbe partito per concedersi una vacanza sulla riviera francese. Aveva scelto quel posto perché tranquillo, ma comunque vicino alla vita. Inoltre con i concerti era stato a Cannes e Saint Tropez, Nizza – a meno di dieci chilometri dalla sua destinazione – gli mancava come tappa, ed era una città che gli piaceva da morire, molto meno pretenziosa delle altre due, ma molto più brulicante di attività. Più umana, insomma.
Da quando Shannon era tornato con i Mars Jared era di nuovo tranquillo. Avrebbe voluto trascorrere delle vacanze in compagnia, ma non voleva assillare il fratello con le proprie attenzioni, senza considerare la cosa più importante: Jared stesso aveva bisogno di riposo.
Voleva staccare da tutti e allontanarsi dal mondo, sentiva la necessità di riallacciare i rapporti con se stesso, fuori dall’ambito lavorativo. Nessun amico, nessun membro della band, nessuna assistente. Niente di niente.
Solo lui, il mare, il relax, la pace, l’isolamento, la scoperta di qualche posto sperduto e un po’ più selvaggio e qualche sessione di masturbazione, dato che aveva anche rinunciato a ogni tipo di compagnia femminile. Doveva pur mantenersi in forze e – soprattutto – con la mente lucida, giusto? Aveva comunque intenzione di lavorare su qualche melodia già scritta, aveva bisogno di essere concentrato.
«Ora sì. E lei, Signor Leto?»
L’IPad stava caricando l’immagine mentre Jared si domandava per quale motivo la Signora Carlsson avesse voluto tanto che si vedessero in videochiamata. Non bastavano i cari vecchi cellulari?
Beh, lo schermo fugò ogni suo dubbio: quando gli rimandò l’immagine di una donna avanti con gli anni, ma bella quanto curata, il suo sorriso si allargò, contento di poter ammirare una signora ancora all’apice del proprio fascino.
«Certo» aggiunse compiaciuto. «E mi chiami pure Jared».
Sorrise con fare incantevole.
«Bene Jared, io sono Lottie». Rispose al gesto contagioso con calore e un pizzico di malizia, come se avesse in mente ben altro rispetto a una chiamata per parlare degli ultimi accordi riguardo la villeggiatura.
La verità era che Lottie conosceva bene Jared e, nonostante la sua non più giovane età, era una grande estimatrice di lui come cantante e anche come attore. Per lei era dunque un enorme privilegio ospitarlo nella sua villa a Cap Ferrat, tra tutti quelli che mettevano a disposizione le proprie case per i personaggi famosi, lei era riuscita ad accaparrarsi l’unico che le interessava davvero.
«Lottie» disse accarezzando il nome con la lingua mentre si fermava a studiare i particolari di lei. Era bionda chiara, gli occhi verdi brillanti e felini e i lineamenti gentili. «Per caso è finlandese?»
Una domanda che gli nacque spontanea, era curioso di natura e sentiva di voler far due chiacchiere con quella donna, non aveva l’aria di sembrare molesta.
«No, svedese. C’è andato vicino». Sorrise divertita, sapeva quanto fosse esperto in materia, non poteva essere altrimenti, da uno così attratto dal biondo. «Posso chiederti cosa volevi dirmi? A dire il vero non ho molto tempo»
«Certo, mi scusi». Lo ridestò dai propri pensieri. «L’ho cercata perché volevo parlar con lei del mio orario di arrivo. Pensavo di posticipare nel pomeriggio… La notte la passo in Corsica, il tempo quindi di viaggiare e raggiungere la costa e, infine, raggiungere la villa»
«Non si preoccupi». La vide distendere il volto e mostrare una gentilezza genuina, come se da quel momento in poi avesse abbandonato i modi di fare ricercati per lasciarsi andare a una ben più gradita normalità. «Non c’è problema, troverà tutto il personale a sua disposizione ad accoglierla. Ho già dato disposizioni a riguardo»
«A proposito, dato che sono solo, pensavo che potesse rimanere soltanto una persona durante il giorno per darmi una mano, magari con i pasti. Sa, non sono un gran cuoco». Non poteva certo dirle che ogni volta che si avvicinava ai fornelli rischiava di incendiare l’intera area circostante, non era un biglietto da visita rassicurante. «Giusto quello e una rassettata alla casa, niente di impegnativo. Le serate tutte libere e i pasti possono essere freddi, basta che siano vegani. Ci terrei ad avere i miei spazi e che li avessero pure loro. Dovrebbe essere una vacanza per tutti!»
Ok, essere colf era il loro lavoro in realtà, ma non aveva scelto quella villa per sbattere in faccia al mondo che poteva permettersi una residenza di lusso per le proprie vacanze, quanto più per la tutela della privacy che questa e i proprietari potevano garantirgli; aveva imparato che i ricchi, quelli veri, non ostentavano e – se potevano – cercavano in ogni modo di tenere un profilo basso (tranne con le proprie abitazioni) per mantenere al massimo la loro riservatezza.
«Va bene, lo farò presente e terrò in servizio la mia migliore donna». Lottie sospirò, poi aggiunse: «Jared, non mi fraintenda per questa videochiamata. Odio mettermi d’accordo con persone che non ho mai visto in faccia, dato che non sarò comunque io a darle le chiavi di casa, lo trovo meno squallido. Inoltre volevo congratularmi con lei per il suo lavoro sia come attore che come cantante dei Thirty Seconds To Mars».
La Signora Carlsson dopo essersi tolta quel peso dal cuore si sentì a posto – o quasi – con la propria coscienza, era bello poter dire quello che pensava senza tanti giri di parole, in barba al galateo e alle buone maniere che la società di cui faceva parte tanto adorava.
Jared rimase sorpreso da quella confessione: «Oh beh, grazie, non me lo aspettavo»
«Si figuri». Alzò le spalle con aria divertita, come se quella confessione gli fosse dovuta. «Ora mi dica, per che ora pensava di arrivare? Così lo comunico al personale, almeno sapranno come accoglierla, dato che mio marito e io non saremo lì…»
Lottie sorrise, conscia di aver – a suo modo – detto una bellissima bugia atta a far filare lisci i piani che in quei giorni aveva congetturato.
 
«Quindi… dunque…» detestava essere incerto su qualcosa, anche sulle strade.
«Entrata principale dal Boulevard Géneral de Gaulle, quella secondaria da Avenue Bellevue» ripeté tra sé cercando di fare mente locale su ciò che la signora Carlsson, ovvero Lottie, gli aveva detto di seguire. In quel momento sentiva la mancanza di Emma e Shayla, di solito erano loro ad annotarsi gli indirizzi e i dettagli che gli interessavano, lui era ben più sbadato, inoltre viveva ancora nella convinzione di potersi ricordare tutto, anche a giorni di distanza.
«Mi porti in Avenue Bellevue, ville Onyx per favore» disse con più sicurezza all’autista che Lottie e suo marito gli avevano messo a disposizione. Di certo sapeva dove andare, ma preferiva ripetergli l’indirizzo per evitare di perdersi tra le varie vie, non voleva intavolare una conversazione in francese, non ne era in grado. Anche se dubitava che i proprietari di quelle residenze fossero del posto.
Fu così che dopo venti minuti di auto si ritrovarono a girare tra viali alberati e siepi sempre più spesse, fino a giungere alla villa. L’autista aprì il cancello con il telecomando e lo fece entrare, mostrandogli l’esatto opposto di quello che si era aspettato.
La villa si chiamava onice, quindi si era preparati a un posto alquanto scuro, invece molti ignoravano che la pietra in questione esistesse anche in varianti chiare, tendenti al miele, e così era l’immensa casa: pareti color champagne e inserti di pietre chiare, il tutto abbellito da cascate verdi corollate da fiori viola e bianchi. Almeno da fuori sembrava risplendere, una casa luminosa. Si guardò in giro e, non proprio distante – nonostante fossero al centro esatto della lingua di terra che racchiudeva il golfo in cui Villefranche si affacciava sul mare – si poteva vedere l’acqua vivida della Costa Azzurra che donava subito una sensazione di pace. Più vicino a sé aveva notato una grande piscina con l’entrata graduale come se fosse una spiaggia, il tutto circondato da piante che strategicamente gettavano una gradevole ombra sulla casa senza metterla troppo in oscurità, e da un prato immenso da cui in lontananza vedeva spuntare un gazebo in gran parte ricoperto da rampicanti. Jared sorrise tra sé, il posto gli piaceva molto e pensava a tutte le camminate che poteva concedersi in quel parco per esplorare al meglio ciò che poteva offrirgli.
Nel frattempo l’autista aveva scaricato i bagagli – più l’attrezzatura del mestiere che vestiti, in realtà – accanto alla porta finestra da cui si accedeva alla casa. Stava per portarli all’interno, ma Jared lo fermò: «Faccio io grazie, non si preoccupi. La chiamerò quando avrò bisogno di essere scarrozzato da qualche parte». Sorrise e sventolò il cellulare per sottolineare il concetto.
Paul fece un cenno del capo e si congedò in silenzio, contento che qualcuno fosse così gentile nei suoi confronti oltre ai soliti padroni di casa.
Jared entrò dalla porta finestra aperta, ma non era pronto per lo spettacolo che gli si parò davanti.
La musica a palla, i Coldplay con A sky full of stars a riempire la stanza per la precisione, e un assolo di danza tutto da studiare. Decise che quella canzone era abbastanza allegra da potergli andare a genio, nonostante preferisse altro di solito.
Il problema era il resto. Una giovane donna bionda e con i capelli raccolti muoveva il proprio sedere – fasciato in shorts a vita alta che coprivano a stento quel ben di Dio – a ritmo con la canzone, mentre la maglietta su cui campeggiava la scritta ‘Welcome to Las Vegas’ era annodata appena sotto il seno, lasciando scoperta la pancia piatta. Bionda, carina e con un buon movimento di bacino, da quello che poteva vedere. Il suo equivalente personale di un invito a nozze.
Si appoggiò allo stipite della porta con le braccia conserte, grato di quello show inaspettato. Quando Lottie aveva parlato della sua miglior donna di servizio si era aspettato una colf di mezza età con un fare a metà tra il dignitoso e il taciturno, non di certo una sventola con degli shorts da possibile attacco apoplettico.
Doveva decisamente ringraziare la signora Carlsson per quel trattamento inaspettato e quanto mai gradito, perché in quel momento aveva giusto due o tre servizietti da farle fare, e nessuno riguardava la casa. Come dire… la parola scopare gli era passata per la testa svariate volte, ma mai associata al pavimento. Sì, si stava divertendo un mondo nel pensare a ogni parola correlata alla pulizia della casa con un ambiguo risvolto sessuale o comunque dubbio. Togliere le ragnatele, anche se non pensava che una ragazza simile potesse averne, sbrinare il frigo, farle menare il mestolo… ma doveva ammetterlo, il suo preferito, al momento, era lucidare la maniglia.
E tutto quello senza averla vista bene di fronte, ma quello che gli si proponeva davanti al momento gli bastava.
Sì, affittare quella casa era stata la scelta giusta. Si sarebbe divertito.
 
Era arrivata a Cap Ferrat il venerdì sera e, dopo anni di assenza non voluta, aveva dormito nella sua vecchia camera, ritrovandola come l’aveva lasciata. Niente poster di band imbarazzanti, solo le tinte lilla e azzurre che facevano a pugni con i cuscini verde acido abbandonati un po’ ovunque. D’altronde non poteva farci nulla, era sempre stata troppo pigra per pensare di dedicarsi alla faticosa attività di fangirling per i Backstreet Boys. Si sentiva stanca al solo pensiero di dover togliere, prima o poi, tutto quello scotch dalle pareti e dagli armadi. Lei era per la venerazione silenziosa: ore di sogni a occhi aperti, concerti, soldi spesi in giornali per ragazze su cui campeggiavano le loro immagini.
Ma la sua vera rovina era arrivata con l’avvento di internet e i telefilm: lo streaming. Quella cosa che la costringeva a casa cinque sere su sette a settimana per potersi dedicare a ogni telefilm le passasse per la mente.
Ah, quello voleva dire avere una vita piena.
Georgie era felice: erano le due e aveva pranzato con un paio di Snickers e una pesca, giusto per non sentirsi troppo in colpa. Non voleva disturbare Clarisse, la domestica, tutta intenta a lustrare casa come se dovessero arrivare una cinquantina di ospiti reali in visita. Sapeva quanto ci teneva a far bene il suo lavoro, quindi l’aveva lasciata immersa nella pulizia delle finestre e Georgiana si era dedicata a una delle sue tante passioni: il cibo spazzatura, sicura che nel pomeriggio avrebbe smaltito tutto con una bella nuotata.
Ovvero quelle due bracciate e mezzo – all’incirca – che le avrebbero permesso di superare i sassi vicino a riva e immergersi come un umano qualsiasi.
Ah, il mare, era emozionata al pensiero di tornarci da turista dopo tempo e non per lavoro.
Ma ora, in quel preciso istante, la cosa più importante di tutte era solo una: seguire la voce di Chris Martin e sculettare come Shakira, perché nel tempo libero – quello che passava sola come un cane oltre l’orario d’ufficio – si divertiva a rompere i timpani altrui con i propri acuti stonati e a imitare Shakira. L’allegria di quella vacanza le aveva fatto venire voglia di saltare e ballare come una quindicenne alla prima cotta.
«It’s such a heavenly view!» stava dando il massimo mentre girava su se stessa, era sul finale che bisognava dare il meglio di sé, solo che, per non spaventare Clarisse, aveva solo deciso di canticchiare a bocca chiusa la canzone in una specie di mugugno senza senso.
«Yeah!» disse a se stessa battendo le mani verso lo specchio per poi spostarsi alcuni ciuffi sfuggiti allo chignon arrabattato alla peggio sopra la propria testa.
Sentì il colpo di un altro paio di palmi alle proprie spalle, cosa che – oltre a farla spaventare – la costrinse a voltarsi.
«Decisamente notevole». Eppure sembrava che l’uomo stesse parlando di ben altro rispetto al ballo o alla canzone, dato che il suo sguardo era ben al di sotto del suo ombelico, di preciso dove prima c’era il suo sedere.
«Scusa?» alzò un sopracciglio, fingendo autocontrollo.
Perché uno sconosciuto era entrato con tutta tranquillità in casa sua?
Non era proprio uno sconosciuto, doveva ammettere che aveva una faccia piuttosto famosa, soprattutto se legava la cosa alla madre, buona fan del suo gruppo, ma il punto era: come ci era entrato un premio oscar nel suo salotto?
Georgie fece l’errore di guardarlo negli occhi, l’unica cosa visibile di quel bel faccino camuffato da una folta barba, e si dimenticò per un attimo di tutte quelle domande: cavolo, erano davvero belli e azzurri. La fecero sentire nuda e dovette controllare di avere i vestiti ancora addosso. Quello sguardo era disarmante, e se anche il modo che aveva di fissare la gente poteva essere considerato indisponente – dato che aveva in quella punta cerulea un bagliore di superiorità e presunzione che lo rendevano strafottente – riusciva a renderlo affascinante, come se guardasse poche persone a quel modo. Solo le donne che intendeva mangiarsi in modo lento e godurioso.
Erano ipnotici.
«Notevole». Jared indicò il punto in cui prima si era dimenata come se fosse stata a un concerto dei Coldplay. «Il ballo, intendevo».
Le sorrise divertito e genuino, provocandole uno sfarfallio strano all’altezza della pancia. Mio dio, come faceva ad avere più di quaranta anni e ad essere ancora così seducente? Non riusciva a crederlo, più lo guardava, più era sicura che fosse sotto l’effetto di qualche strano sortilegio.
Lei tra dieci anni avrebbe avuto il seno alle ginocchia e così tante rughe in faccia da fare invidia a una maschera intagliata nella corteccia di un albero, un po’ come la nonna salice di Pocahontas nel cartone.
Certo, era strano dato che assomigliava in maniera impressionante a Gesù Cristo, ma era pur sempre un uomo che sapeva risvegliare gli ormoni dell’intera popolazione femminile con uno sguardo o l’accenno di un sorriso.
Fermi tutti: la sua mente aveva appena partorito un pensiero blasfemo?
Non voleva pensarci.
Inoltre maledì la madre per sapere così tante cose su Jared Leto, dato che era stata lei a subissarla di informazioni a riguardo. L’età, la carriera, il gossip… tutto.
Davanti al suo mutismo Jared decise di esprimersi con più cautela, probabilmente non parlava l’inglese in modo fluente. «Io sono Jared». Iniziò scandendo bene le parole. «Non preoccuparti, sposto subito i bagagli. Ora vado di sopra per occupare una stanza, tu intanto potresti, per favore, dirmi se c’è qualcosa da mangiare? Sai, sono affamato».
Se lei fosse stato il dessert non si sarebbe lamentato. Lo sguardo sconcertato della ragazza, comunque, gli fece passare ogni appetito diverso da quello per il cibo, dato che lo stava trucidando con gli occhi. Per fortuna si era ben guardato dal domandarle di preparargli qualcosa, ma detestava di cuore impartire ordini agli altri, anche se chiesti con cortesia ed educazione. Era il lavoro di lei, certo, ma non era una schiava.
«Perché vorresti prenderti una stanza? Non è un albergo!» Jared Leto le stava dicendo che aveva scambiato quella casa per un hotel?
No, non avrebbe retto il colpo. Se ne sarebbe andata al volo.
«Per fortuna parli inglese!» sospirò rincuorato. In realtà adorava i francesi, ma non capiva poi molto di quella lingua così seducente ma ben poco simile alla sua, tanto da renderla completamente incomprensibile.
«Certo, che parlo inglese… Sono inglese!» Georgie si mise le mani su fianchi prima di alzare gli occhi al cielo.
«Oh, scusa». Jared si raddrizzò ancora di più, quasi a volersi dare un contegno. «Ho notato che non mi rispondevi e ho pensato non sapessi l’inglese. Magari che fossi francese».
Ci voleva pazienza con lui. E dire che agli Oscar le era sembrato più sveglio.
Georgie non aveva capito che non voleva urtarla, dato che Jared aveva compreso sin da quando le aveva rivolto la parola che potesse essere un tipo alquanto… scontroso.
«E perché?» solo perché avevano una casa in Francia? Non lo faceva così limitato.
«Dato che lavori qui…»
No… cosa? Doveva aver capito male. Per forza.
«Lavorare?»
«Si?! A meno che tu non sia una ladra un po’ maldestra che si mette a ballare nei salotti altrui». All’inizio incerto, cosa che odiava essere, aveva continuato la frase ritrovando un po’ di sicurezza. Era stanco e voleva solo sistemare i propri bagagli per poi dedicarsi un bagno in piscina, non aveva voglia di prendere una bici per andare fino alla spiaggia, non quel pomeriggio che si stava rivelando più sfiancante del previsto.
«Una ladra o una domestica?» a Georgie mancava solo il fumo dalle orecchie. Non c’era nulla di male a darle della domestica, ma davvero secondo lui il personale, in orario di lavoro, si aggirava in infradito, shorts e canotta? Quello che però non le andava giù era passare per ladra, non lo digeriva proprio.
«Non vedo altre alternative». Iniziava ad essere seccato da quella situazione, non capiva come una persona potesse essere così indisponente verso un ospite. Bella era bella ai suoi occhi, ma non l’avrebbe tollerata un minuto di più.
«Senti, tu sei davvero entrato a casa mia per non so quale motivo, e osi pure darmi della domestica o della ladra? Sei tu che dovresti dirmi cosa ci fai qui!»
Jared scosse la testa, incredulo. Non poteva credere alle sue orecchie.
«Casa tua? Ehi, io l’ho affittata questa casa. Sei tu che non dovresti essere qui, dato che ho pagato per godermi le vacanze!»
Il suoi modi di fare tanto affascinanti cominciavano ad andarsene per lasciare spazio alla sua solita fredda risolutezza, voleva venire a capo di quella questione nel minor tempo possibile. Era ormai spazientito e sapeva di avere ragione.
«Impossibile. Mia mamma mi ha parlato di un ospite, ma ha detto che sarebbe arrivato il due agosto. Nel pomeriggio, come disposto da lui stesso». La ragazza cercava di calmare i toni, non voleva risultare scortese con una persona famosa che poteva rivelarsi l’ospite della madre, per quanto affetto da Alzheimer precoce.
«Io sarei arrivato nel primo pomeriggio, ma oggi». La corresse Jared ormai esasperato, ma convinto di essere dalla parte del giusto.
«E con chi hai parlato? Con mia madre? La fantastica Charlotte Hastings». Lo disse grondando sarcasmo mentre recuperava le infradito. Il telefono, doveva trovare il telefono e chiamare a Londra il prima possibile.
«No».  Il cantante sentì le sue certezze crollare. Gli venne il dubbio di essersi rimbecillito di colpo, ma poi per fortuna si ricordò che lui non sbagliava mai, quindi non poteva essere diversamente nemmeno quella volta.
«Ah!» urlò Georgiana, ghiacciandosi sul posto. «Allora devi avere sbagliato casa, per forza!»
«Non è Ville Onyx questa?» alzò un sopracciglio per evidenziare il fatto che qualcosa a riguardo la sapeva pure lui.
«Certo». Merda. Se sapeva il nome della residenza non era poi così lontano dalla verità. Geo lo sapeva, la mazzata sarebbe arrivata a breve, proprio lì, tra capo e collo.
«E allora sono nel posto giusto. Io ho parlato con Lottie…»
Ecco, lo sapeva. Era arrivato il momento di interromperlo.
«Carlsson». Concluse per lui con una certa soddisfazione, visto quanto era riuscita a irritarlo.
«Già». Convenne lui, confuso riguardo le conclusioni che non era riuscito a trarre riguardo la sua risposta.«Che sarebbe…»
«Mia madre». Rispose lapidaria la ragazza che per lui non aveva ancora un nome, ma di sicuro un bel sedere e delle gambe fantastiche.
«Ma non era Charlotte Hastings?» Si era lasciato distrarre un paio di volte da quegli shorts assassini, almeno per uno che aveva più di quarant’anni, ma non era così deficiente, aveva detto che sua madre si chiamava Charlotte Hastings. La moglie di Michael supponeva, un magnate della finanza Londinese.
«Sì, da sposata. Da nubile è Charlotte, detta “Lottie”, Carlsson. Si diverte a gestire così il lavoro, pensa di tutelare la riservatezza della famiglia e crede che concludere affari per conto suo le dia più dignità».
Da quel punto di vista stimava la madre, gestiva i contatti con i clienti e molto altro solo con le proprie forze, senza contare sul nome conosciuto del marito per ottenere ciò che voleva, lo faceva con la propria capacità di persuasione. L’aveva apprezzata sempre, tranne in quell’occasione.
«C’è solo una cosa da fare». Aggiunse lei con un sospiro teatrale.
«Del tipo?»
Lo sguardo di Georgiana che ricevette in risposta valeva più di mille parole. Il “Te ne vai?!” che si leggeva all’interno era chiarissimo.
Jared sorrise. Oh no piccola povera ingenua, questa è una sfida. Ora non me ne andrei nemmeno sotto costrizione, rimarrei per farti un dispetto. Esasperarti potrebbe essere la parte migliore di queste vacanze.
«Chiamare mia madre»
«Prego». Jared incrociò le braccia al petto mostrando così ampie porzioni del busto che uscivano dagli ampi lati della canotta.
Georgiana compose il numero deglutendo a fatica.
Così era giocare sporco, lei voleva chiamare la madre e vincere quella sfida, non aveva pensato che Jared sarebbe stata una distrazione così… grande.
E no, non aveva fissato la patta dei pantaloni dal tessuto così impalpabile che sembrava non esistere.
Dannazione Georgie, concentrazione.
Ok, l’aveva fissata a lungo. Per la miseria.
 
«Tesoro ciao, dimmi tutto». Charlie rispose al volo, squittiva tanto era contenta di sentire la figlia.
«Mamma, ci deve essere stato un errore. Dimmi cosa diavolo ci fa Jared Leto qui, ora, a Cap»
«Georgie, non ho pagato centinaia di sterline di rette per farti studiare nei migliori college per sentire un simile turpiloquio». Sì, Charlotte “Lottie” Hastings si stava divertendo da matti a spese delle figlia. Ma se tutto fosse andato come previsto, un giorno l’avrebbe ringraziata.
«No mamma, credimi, il vero turpiloquio lo sentirai a breve se non mi dici che c’è qualcosa di sbagliato in tutto ciò». Detestava non avere il controllo sulla situazione. Sapeva che qualcosa sfuggiva al suo volere, e la cosa la mandava su tutte le furie.
«Beh amore, presumo che Jared sia in vacanza. Sinceramente non mi sono interessata riguardo cosa volesse fare a Cap».
Scrollò il capo e alzò gli occhi al cielo, quello le sembrava ovvio. Era convinta che non fosse lì per rapinare tutte le ville del circondario, almeno lei aveva il buonsenso di capire che non fosse un ladro. O un domestico. E nemmeno Gesù, nonostante i vestiti da straccione e la barba simile a quella di Mosè.
Doveva ammettere però che i vestiti non facevano così schifo, ma solo per il fatto che lasciavano intravedere molto, e quello che mostravano era veramente gradevole. Nessuna donna etero avrebbe schifato una simile visione. Quell’uomo trasudava testosterone da ogni poro.
«Ok, siamo d’accordo, ma tu mi avevi detto che l’ospite sarebbe arrivato il due agosto, non il ventisei luglio, ecco perché sono partita giusto ieri… per farmi una settimana di vacanze!» sibilò tra i denti a causa del nervoso.
Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto prendersi cura dei genitori, ma sperava che la demenza senile arrivasse più avanti, non così in anticipo e tutta di colpo. Suo padre si sarebbe trovato una nuova moglie?
«Oh mio Dio, davvero? Devo andare a fare un check up completo, perché sono rincitrullita tutta in un momento. No, Jared sarebbe dovuto arrivare oggi come è avvenuto, da quel che ho capito». Concluse cercando di nascondere la soddisfazione nel tono di voce.
«Ma ora siamo in un bel casino». Sbuffò Georgie sconsolata, ormai tutti i tasselli erano andati al loro posto e nel modo peggiore che si potesse auspicare, almeno per lei.
«Perché?»
«Perché siamo qui entrambi»
«Tesoro, la casa è spaziosa, voi siete grandi e vaccinati. Sono sicura che potete convivere pacificamente. Se vi impegnate potreste non incrociarvi mai, o quasi».
Certo, la casa era immensa, dati i due piani e le sei camere da letto con bagni annessi. Certo, erano adulti entrambi. Certo, il ragionamento di sua madre non faceva una piega. E certo, loro potevano condividere pacificamente, proprio come una foca in balìa di uno squalo bianco a digiuno o due galli nello stesso pollaio. Giusto? Giusto.
«Georgie, toglimi una curiosità». Sua mamma le richiese attenzione. «È bello da vicino?»
La figlia si girò verso Jared per guardarlo di sottecchi mentre era intento a scrivere una mail dal suo IPad. Poteva essere attraente un uomo mentre gestiva a miglia di distanza il proprio lavoro o, magari, giocava ad Angry Birds?
«Seh». Si rispose da sola, di malavoglia.
«Molto?»
«Moltissimo».
Charlotte parve soddisfatta. Quando Georgiana faticava ad ammettere una cosa era perché le scocciava dare ragione agli altri e, magari, ammettere di aver avuto torto fino a quel momento, cosa che era sempre avvenuta riguardo al più piccolo dei fratelli Leto.
«Bene. Lustrati gli occhi anche per la sottoscritta. Anzi, domandagli un autografo per me, sai quanto ne abbia sempre desiderato uno. Certo che per la tua mamma adorata potresti chiederne uno anche di Shannon e di Tomo…»
«E chi sono?» era sicura di averli sentiti nominare già altre volte, ma proprio non riusciva a ricordare chi fossero.
«Gli altri componenti del gruppo. Figlia ingrata». La apostrofò con un briciolo di esasperazione. Aveva provato in tutti i modi a far interessare Georgie ai Thirty Seconds To Mars, ma non ci era riuscita. La figlia le diceva che alla sua età non era normale che una donna si interessasse a una band così… d’impatto, quindi non l’aveva accompagnata al concerto all’O2 arena, lasciandola là dentro da sola, dove si era sentita a casa in mezzo a migliaia di persone che li apprezzavano come faceva lei, senza considerare la sua età. E senza dir nulla ad anima viva di quell’esperienza, dato che tutti pensavano avesse abbandonato l’idea.
«Stai scherzando?»
«Sì». No, era serissima. «Ok, ora devo andare, ho un appuntamento a South Bank e sono in ritardo. Di’ a Jared che mi scuso per il disguido e che sicuramente gli restituirò parte dei soldi se deciderai di dividere il soggiorno in casa con lui. E sì, Geo, sono serissima a riguardo».
Adorava usare il tono fermo da madre, quello che tutte sfoderavano per esercitare potere sui propri figli quando volevano ottenere qualcosa, sapeva di poterla piegare almeno un po’.
«Ma…»
La interruppe: «Anzi, dato che sei lì gli manderò il tuo numero di cellulare, così saprà a chi rivolgersi in caso ci fossero problemi con la casa o il personale. Mi sembra perfetto!»
«NON CI PR…»
«Ciao tesoro, sono di fretta. Divertiti!»
Georgie si ritrovò con una frase sospesa a mezz’aria, il rumore di una chiamata conclusa e una pessima sensazione allo stomaco.
Sperava che sua madre fosse una simpatica burlona.
 
«Allora? Cosa ha detto tua madre?»
“Di dividere la casa” avrebbe tanto voluto rispondere. Oppure “Tranquillo, c’è stato un problema di comunicazione dovuto a demenza senile precoce”, se non ancora “Non preoccuparti, ora me ne vado, levo il disturbo e ti lascio godere la tua vacanza”.
Avrebbe voluto davvero, se non avesse avuto un maledetto orgoglio a impedirle di aprire bocca per parlare da persona matura.
«Io non me ne vado». Alzò un sopracciglio in segno di sfida.
Fanculo, quella era pure la sua settimana di vacanza e non ci avrebbe rinunciato così facilmente, tanto valeva chiarire subito i suoi intenti. Non voleva abbandonare casa sua dopo anni di assenza, non aveva intenzione di cercare un altro posto durante il suo periodo di riposo, soprattutto dato che lì, almeno per lei, l’alloggio era a parametro zero. Perché doveva andarsene a spendere? Non che i soldi le mancassero, ma non era solito sperperarli con facilità, soprattutto quando i programmi iniziali viravano nella direzione opposta.
«Io nemmeno». Jared alzò entrambe le sopracciglia e accennò un sorriso con un solo angolo delle labbra. Aveva lo sguardo accesso e furbo, voleva comunicare a Georgie che il suo gioco era appena iniziato, e il premio era proprio lei.
«Ha detto che per il disguido ti restituirà parte dei soldi dell’affitto». Finse indifferenza, ma quello sguardo le metteva in subbuglio lo stomaco, meglio di qualsiasi dieta.
«Per quale motivo?» il cantante non capiva davvero il motivo di quel gesto.
Lei si appoggiò con il sedere lungo il bordo del tavolo prima di rivolgergli la parola: «Nel caso in cui decidessi di rimanere e dividere con me la tua permanenza qui».
Era stata asciutta e per nulla rancorosa, esattamente come aveva desiderato risultare. In fondo erano alle conclusioni finali della vicenda, doveva arrendersi ai fatti.
«Ribadisco, io non me ne vado. Sono venuto per fare una vacanza e non ho intenzione di rinunciarci per… beh, te». Jared la fissò a lungo, più serio che mai. Non voleva offenderla, ma era vero: non la conosceva e non avrebbe fatto il cavaliere, non dopo aver speso dei soldi per trovarsi lì.
«Purtroppo per te siamo sulla stessa lunghezza d’onda, non ho intenzione di rinunciare alla mia settimana di ferie, né tantomeno di non passarle a casa mia»
«Bene allora, fammi strada e mostrami la mia stanza, per favore…» la invitò a rivelargli il suo nome, dato che ancora non si erano presentati e Jared odiava partire svantaggiato rispetto a chi gli stava davanti.
«Georgie». Inutile dire che si chiamava Georgiana, soprattutto per rivelargli che il nome nasceva da Orgoglio e Pregiudizio e dalle fissazioni della madre. Già, perché dopo aver letto il romanzo di Jane Austen aveva sempre sperato di trovare il suo personalissimo Darcy, il lord inglese che l’avrebbe amata nonostante le loro differenze.
«Jared, piacere»
«Sì, certo» disse poco convinta Geo mentre saliva le scale. «Comunque puoi scegliere quella che preferisci, tranne l’ultima in fondo al corridoio a destra o le limitrofe»
«E perché?» Jared, da gentiluomo qual era, l’aveva fatta salire per prima e l’aveva poi seguita. Inutile dire che percorse la scalinata con gli occhi fissi sul sedere di lei, trattenendosi dal prenderlo a morsi. Sì, ai suoi occhi era molto invitante, ma non c’era cosa che in Georgie non lo fosse.
«Perché quella è la mia stanza».
Sorrise compiaciuto, i giochi potevano essere ufficialmente aperti.
Bingo.
 
Inutile dire che Jared aveva scelto la stanza di fronte a quella di lei. Non voleva darle fastidio, non solo perlomeno, ma era stata la camera che più aveva apprezzato. Più moderna, più scarna e con tocchi più virili. Senza contare gli ampi spazi del bagno e la luce naturale che la rendeva ancora più gradevole.
Il tempo di portare le proprie cose nella stanza e sentì vibrare il cellulare nella tasca dei pantaloni. Lo estrasse mentre Georgie, in uno slancio di gentilezza, si era offerta di aiutarlo con i bagagli.
«Ma guarda, tua madre mi ha inviato il tuo numero. Per ogni evenienza, dice. Anche per il sesso?» alzò lo sguardo dallo schermo e la fissò interessato e lascivo, senza abbandonare il sorriso sbruffone e impertinente che sapeva accennare così bene.
«Ha parlato di evenienza, non di beneficenza». Scosse la testa e uscì dalla stanza, diretta nella propria. Da quella sera avrebbe dovuto ricordarsi di chiudere la porta a chiave mentre dormiva, era sì bello, ma forse un po’ troppo maniaco. Ancora non era riuscita a comprenderlo.
«Posso mandarti un messaggio?» era sarcastico. Certo, lui si divertiva a irritarla, ma lei si divertiva a non dargli soddisfazione, non molta.
«Non ci provare!» e si piegò sul letto per recuperare il costume, sentiva il bisogno impellente di cambiarsi e andare in spiaggia, lontana abbastanza da quella casa e da Jared Leto.
«Ah, comunque hai dei bellissimi occhi».
Sapeva che se si fosse girata l’avrebbe trovato con il collo fuori dalla porta della propria stanza.
Difatti si voltò di scattò e lo scoprì intento a guardarle il sedere con rinnovato interesse.
Per fortuna faceva pilates.
Si alzò e chiuse la porta alla proprie spalle.
Bene, ora era fuori dalle grinfie di Jared. Era di nuovo al sicuro tra quelle quattro mura.
Sentì il cellulare vibrare e lo guardò: un nuovo messaggio da un numero che non conosceva.
 
Confermo, uno sguardo molto interessante
 
Non si sarebbe mai liberata davvero di lui, nemmeno se avesse messo tra di loro tutta la Costa Azzurra. Quella settimana sarebbe stata lunga.
Ringhiò per manifestare il suo disappunto, e per la prima volta lo sentì ridere, veramente divertito dalla sua reazione.
Il problema era solo uno: aveva una risata bellissima, e lei se n’era accorta.


 


Inutile dire che questa storia (cinque capitoli circa) è nata da cose – e “case” – che ho realmente visto in vacanza. Le ville dei Rolling Stones, di Alfayed e di Bill Gates proprio lì, a Cap Ferrat. Non l’ho scelto per elogiare questo stile di vita o chissà che altro, ma perché la trama mi è venuta in mente nel fare un tour panoramico tra quelle ville che posso solo sognarmi (forse manco quello!), quindi ho deciso di avvalermi di un posto che ho visto e in cui pure Jared, se non erro, ha soggiornato anni fa.
Posti comunque meravigliosi, mi sono innamorata della costa azzurra e in particolar modo di Nizza.
Ma continuiamo con il dire che ogni capitolo avrà come titolo il verso di una canzone dei Mars. Partiamo dal S/T, quindi qui ho preso la citazione di Capricorn, nel secondo avremo una frase presa da una canzone di ABL e via dicendo. Cosa mi invento per l’ultimo capitolo? Naaaah, non ve lo dico, mi piacciono le sorprese.
Perché “I will disappear”? Beh, ho trovato rappresentasse bene entrambi, dato che si ritrovano a scappare dalle loro vite a dalle loro realtà per avere un po’ di meritato riposo. E il loro modo di sparire è isolarsi in una casa enorme protetta da mura e costruita su una lingua di terra non molto grande.
Un ringraziamento alla mia moglia che mi ha fatto un trailer pazzesco, molto arrapante e che trovo a dir poco azzeccato. Grazie davvero perché se non ci fossi tu metà delle mie storie non ci sarebbero.
Ed è per te che pubblico ora, perchè so che ne hai bisogno.
Niente, spero che la storia possa interessarvi, al solito ci si legge tra una settimana, perché aggiornerò ogni mercoledì?! Boh, magari anche martedì... Vediamo
Ci si sente qui se avete dubbi o pareri in merito, o nel mio gruppo fb: Love Doses.
A settimana prossima, sbaciucchiamenti marsosi, Cris.
   
 
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