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Autore: dalialio    11/09/2014    1 recensioni
Duemilaquattordici.
Se mi trovavo nel duemilaquattordici, non ricordavo assolutamente nulla di quello che era successo negli ultimi sei mesi circa. La botta in testa mi aveva fatto davvero perdere la memoria.
In ogni caso, sapevo cos'era lo scenario che si stagliava di fronte a me.
La fottuta Apocalisse.

[Lievi spoilers nona stagione]
Sospesa per necessitata rivisitazione
Genere: Erotico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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Capitolo 5
W  E  L  C  O  M  E     T  O     T  H  E     N  E  W     A  G  E


I'm waking up to ash and dust,
I wipe my brow and I sweat my rust,
I'm breathing in the chemicals.

I'm breaking in, shaping up,
Checking out on the prison bus,
This is it, the apocalypse.





Capitolo 5





Avrei immaginato di tutto, ma non quello. Mentre mi trovavo dentro una delle tante abitazioni a schiera, fissando il viso di Sam, mille pensieri mi riempivano la mente.
Appena Cas si era incamminato, dopo avermi invitato a seguirlo, era stato solo lo shock a permettermi di zoppicare con le stampelle più velocemente di quanto avessi fatto fino a prima. Finalmente stavo andando a trovare Sam! Significava che era vivo, che Lucifero non era riuscito a possederlo! Ma subito mi erano saliti dei dubbi. Ero tornato da due giorni, dovevano per forza averlo avvisato della mia condizione. Allora perché non era venuto a vedere come stavo?
Fu quando considerai l'unica alternativa possibile che il mio cuore si ghiacciò. Se Cas mi stava portando a vedere la lapide di Sam, non sapevo se avrei potuto sopportarlo.
Il sollievo si era espanso nella mia gabbia toracica quando Cas aveva deviato verso una delle case, bussando piano alla porta d'ingresso. Era venuta ad aprire una ragazza di colore alta almeno due metri, che mi aveva squadrato dall'alto in basso prima di scostarsi per farmi entrare. Cas mi aveva guidato lungo il corridoio verso la parte posteriore della casa, entrando in quella che doveva essere la camera da letto. E uno spettacolo terrificante mi aveva investito come un treno in corsa.
Sam era steso su uno di quei letti d'ospedale super accessoriati e per poco i suoi piedi non uscivano dal bordo del materasso. Era circondato da macchinari di ogni tipo. Un bip ritmato proveniva dall'elettrocardiogramma, mentre numeri e linee a me incomprensibili lampeggiavano sullo schermo. Il petto si alzava e abbassava a ritmo cadenzato, gonfiato dall'aria che veniva pompata da un tubo infilato nella sua bocca. I suoi occhi erano chiusi, il suo corpo immobile. La luce di una lampada sul comodino segnava flebile i contorni delle cose.
Sam era in coma. Di nuovo.
Che cazzo...
Caddi sulla sedia accanto al letto, ormai senza neppure la forza per reggermi in piedi. Le stampelle scivolarono dalle mie mani senza che me ne accorgessi, urtando il pavimento con un rumore metallico. I miei occhi erano fissi sul volto inespressivo di Sam. Aveva i capelli esageratamente lunghi, tanto che ora riuscivano a posarsi sulle sue spalle, e le guance coperte dalla barba di qualche settimana. Era irriconoscibile.
Mi sforzavo di non sbattere le palpebre per non far cadere le lacrime, ma queste si raccolsero nei miei occhi e strariparono sulle mie guance. Sentii freddo, come se l'aria si fosse gelata all'improvviso, ma doveva essere solo una mia impressione. Mi accorsi di tremare.
"Non ci sono stati rilevanti cambiamenti," disse una voce sconosciuta. Sollevai lo sguardo quel tanto che bastava per capire che era stata la ragazza a parlare, consultando un taccuino. "La pressione è scesa verso le quattro di pomeriggio, ma si è subito stabilizzata."
"Grazie, Kristy," disse Cas, con un tono che cercava di farle capire che non era il momento per dilungarsi in futili dati tecnici. La ragazza capì e uscì dalla stanza.
Allungai la mano per toccare il braccio di Sam, per sentire il calore del suo corpo, ma mi fermai a pochi centimetri. Avevo paura a toccarlo. Era come se fosse chiuso in una bolla invisibile, che manteneva stabili le sue condizioni, e temevo che, se l'avessi oltrepassata, sarebbe scoppiata e Sam sarebbe stato male. Ritrassi la mano, tremando, e la posai in grembo.
Sentivo lo sguardo attento di Cas da sopra la mia spalla, che mi osservava come un angelo custode. Sentii il tocco leggero della sua mano sulla mia schiena, ma nemmeno quel contatto servì a confortarmi.
"Cos'è successo?" domandai. La mia voce fu poco più di un sussurro, ma era il massimo che riuscivo a fare.
"E'... una storia lunga," rispose Cas. "Non preoccupartene ora, te la racconterò più tardi."
Non replicai pretendendo che mi dicesse tutto subito, non avendo più voglia di litigare con nessuno. Non m'importava nemmeno più di tanto, in quel momento. In mezzo a tutto il mio dolore, ero riuscito per un attimo a trovare una luce a cui appigliarmi con tutte le mie forze: nonostante la disperazione nel vedere Sammy ridotto a quel modo, ero contento che fosse riuscito in qualche modo a scappare dal suo destino. Se fosse stato posseduto da Lucifero, sarebbe stato difficile per Sam sbarazzarsene, destinandolo a vivere l'eternità chiuso nel proprio corpo mentre il Diavolo lo manovrava come una marionetta. Invece quella situazione mi sembrava migliore, perché dal coma poteva sempre risvegliarsi, no?
Il pensiero che, però, la volta precedente - dopo la caduta degli angeli - il coma lo aveva avvicinato pericolosamente alla morte, spense le mie speranze.
Oppure...
"Da quanto tempo è così?" domandai. Il terrore aveva fatto incrinare la mia voce. Uno scenario peggiore si era fatto strada nella mia mente. Forse non c'era mai stata una «volta precedente». Forse Sam era stato in coma fin dal mio ultimo ricordo. Il mio cuore si mise a battere all'impazzata.
"Quattro anni," rispose Cas.
Quattro anni? Feci un calcolo a mente. Se eravamo nel duemiladiciotto, Sam era in quelle condizioni dal duemilaquattordici, giusto? Significava che non era rimasto in coma dall'ultima volta che lo ricordavo. Era così, no? Doveva esserlo. La testa iniziò a farmi male e mi massaggiai le tempie.
"Quando mi hai detto che l'ultima cosa che ricordavi era Sam in coma, ho creduto per un attimo che ti fosse tornata la memoria. Invece ricordavi la prima volta," spiegò Cas, capendo la mia confusione.
Quindi era così. Quindi Sam si era risvegliato e poi era stato di nuovo male. La cosa non mi fece sentire meglio come speravo.
"Ora è meglio se torni in infermeria," disse Cas, incitandomi con una pacca sulla spalla.
"Voglio stare qui," mormorai. Non volevo allontanarmi da Sam.
"Fa' come vuoi," rispose, sollevando le mani in segno di arresa. "Io vado a stendermi nella stanza qui a fianco." Prima di uscire dalla porta si voltò verso di me. "Ma quando Doc si accorgerà che sei sparito, sarai tu a vedertela con lui."



***



Doc mi trovò addormentato sulla sedia con la testa posata sul letto di Sam. Mi svegliò con vigorose scosse, che mi fecero sobbalzare senza che capissi che diavolo stesse succedendo. Quando i miei occhi stanchi si alzarono, la sua espressione contrariata spiegò tutto. "Non ho parole, davvero," mi rimproverò. "Sei sempre stato uno stronzo, ma quando ti ho ricoverato in passato sei stato più collaborativo."
Mi guardai attorno, spaesato, poi ricordai dove mi trovavo. La luce del sole inondava la stanza attraverso le piccole finestre sulla parete. Sam era ancora immobile.
Il mio collo doleva. Avevo dormito in una posizione scomodissima, ripiegato su me stesso, e ora ne dovevo pagare le conseguenze. Mi massaggiai la nuca trattenendo un lamento.
"Allora?" esclamò Doc, accorgendosi che non lo stavo ascoltando.
Le sue parole rimbombavano nella mia testa. Mi massaggiai le tempie. Avrei voluto dirgli che non c'era motivo di urlare, ma non volevo farlo incazzare ancora di più.
Doc sbuffò. "Non sono il tuo babysitter, Dean, non posso mettermi a rincorrerti per tutto il campo."
"C'era Castiel con me," mi giustificai.
"La cosa dovrebbe tranquillizzarmi?" ironizzò, sospirando. "Forza, torna in infermeria."
"No," mormorai, tornando a fissare Sam per non guardarlo in faccia.
Vidi con la coda dell'occhio Doc aprire la bocca, per poi richiuderla. "Okay, fa' quello che ti pare," disse infine, "ma non venire a lamentarti se la tua ferita non migliora." Poi se ne andò.
Rimasi seduto a fissare Sam, senza realmente vederlo, per un paio di minuti, poi la schiena iniziò a dolere. Dovevo pagare le conseguenze per non aver ascoltato Doc e queste si presentarono come dolori alla schiena e corpo pesante. Raccattai le stampelle dal pavimento e mi issai in piedi con non poca fatica. Mi trascinai fino alla soglia, dando un'ultima occhiata a Sammy, poi uscii dalla stanza.
La porta dalla parte opposta del corridoio era socchiusa. Mi avvicinai, scostandola, e nella fessura intravidi Cas steso su una branda con gli occhi chiusi. Entrai cercando di non fare rumore, con l'intenzione di stendermi sull'altra branda della stanza per dare sollievo ai miei muscoli, ma Cas si mosse. Si stropicciò gli occhi, voltandosi a faccia in su a fissare il soffitto, poi si accorse di me, in piedi sulle stampelle in mezzo alla stanza. "Era Doc quello che ti stava urlando contro, prima?" chiese con un sorriso divertito. La sua voce era impastata. "Ti avevo avvisato che si sarebbe incazzato."
"Sì, beh," risposi, accigliandomi. "So di essermelo meritato, ma non ho intenzione di allontanarmi da Sam."
"No, certo, ti capisco," replicò, lanciandomi uno sguardo dal basso verso l'alto. "Cosa ci fai lì in piedi?" disse, facendo spazio sulla sua branda. "Stenditi un po' con me."
Quella sua proposta mi sorprese, sia per la reazione che mi provocò - lo stomaco andò in sobbuglio -, sia per il modo in cui era stata avanzata. Castiel non si era mai comportato così. Certo, non erano mancate le occasioni in passato in cui era stato un po' troppo diretto, ma la sua sfrontatezza era sempre stata dettata dall'ingenuità. Non c'erano mai stati dei sottointesi sessuali nelle sue parole, né nei confronti di alcuna persona, tantomeno nei miei. Mi domandai come avesse fatto a cambiare così tanto in cinque anni.
Lo sguardo di Cas era insistente. Mi fissava da dietro le sue ciglia scure, con un angolo della bocca alzato con fare malizioso. Distolsi lo sguardo, cercando di riprendere il controllo dei miei pensieri. "In realtà... avrei davvero bisogno di una doccia," mormorai, in imbarazzo.
"Mmh, bastava che lo dicessi," replicò, continuando a fissarmi con quel suo sguardo insistente.
L'immagine di Cas sotto la doccia s'impossessò della mia mente per una frazione di secondo. Scossi la testa, eliminando quella visione. La cosa mi stava sfuggendo di mano e mi metteva a disagio. "Da solo," precisai, schiarendomi la voce, che si era inspiegabilmente incrinata. Sentii le guance andarmi a fuoco. Che diavolo mi succedeva?
"Come desideri," replicò Cas, continuando a guardarmi.
"Non... non è che sapresti dirmi dove posso darmi una ripulita?" chiesi. Speravo che ci fosse un posto migliore dove farsi la doccia della baracca dove c'era Sam.
Cas si tirò su a sedere. "Un posto c'è," replicò, poi si alzò e mi fece segno di seguirlo.
Lanciai un'ultima occhiata a Sam attraverso la porta quando passai di fronte alla sua stanza. Salutai con un cenno la ragazza di colore che il giorno prima ci aveva aperto la porta, che ora era seduta nel piccolo salotto, poi seguii Cas fuori dall'abitazione.
Mentre zampettavo con le stampelle nel fango, la gamba iniziò a implorare pietà. Non prendevo antidolorifici da parecchie ore e ora la mia pessima decisione di non andare in infermeria dava i suoi frutti. Ma avevo solo bisogno di una doccia, di tornare da Sam per qualche ora, e poi avrei affrontato di nuovo Doc.
Cas si fermò davanti ad una bassa abitazione di legno scuro, molto più ben fatta rispetto alla fila di case che avevo appena lasciato. Aprì la porta - che non era chiusa a chiave - e mi fece segno di entrare.
Anche all'interno le pareti erano ricoperte di assi di legno come all'esterno. Un tavolo quadrato con qualche sedia spaiata occupava lo spazio sulla sinistra, mentre sulla destra un angolo cottura con un fornello a gas dava l'impressione di essere poco utilizzato. C'era addirittura un divano a due posti. Niente TV, ovviamente.
Tutto sommato, non era male come sistemazione.
Mi voltai verso Cas, che era entrato chiudendo la porta. "Questa è mia?" domandai.
"Sì, anche se ultimamente ci passo molto tempo anche io," rispose. Il mio sguardo doveva spiegare la mia confusione, perché socchiuse gli occhi e mormorò: "Dovrò spiegarti anche questo. Ma prima vai a darti una ripulita."
A quanto sembrava erano molte le cose su cui io e Cas dovevamo parlare.
"Il bagno è di là," disse, indicando un minuscolo corridoio con due porte. "Sulla destra. Gli asciugamani puliti sono sotto il lavandino."
Mi trascinai  nel bagno, poi chiusi la porta. Posai le stampelle in un angolo, poi mi guardai allo specchio, reggendomi al lavandino. Riconobbi a stento l'immagine riflessa. La barba di qualche giorno copriva le mie guance e la mia pelle aveva un colore che sfiorava il blu. Delle macchie scure segnavano i miei occhi e residui di sangue mi incrostavano ancora la faccia.
Il mio sguardo si abbassò sul lavandino e notai che nel bicchiere c'erano due spazzolini. Quel dettaglio attirò la mia attenzione in modo inaspettato. Sentivo che le cose erano più complicate di quello che credevo. Per un attimo quel particolare fece apparire delle immagini nella mia mente, ma non sapevo dire se fossero frammenti di ricordi o se la ferita alla testa si stesse prendendo gioco di me, mostrandomi immagini di cui non ero mai stato testimone.
Castiel che rideva, e la stanza si illuminava. Castiel nudo sotto la doccia, che si accorgeva di me e si fingeva imbarazzato. Castiel steso sul letto, il lenzuolo che copriva gentilmente il suo corpo.
Scossi la testa, eliminando quelle immagini dalla mia testa. Un'erezione mi aveva sorpreso e premeva contro il tessuto dei pantaloni. Respirai a fondo, cercando di calmarmi, poi mi spogliai lentamente e mi infilai sotto la doccia, sperando di lavarmi di dosso lo spiraglio di felicità che per un attimo si era insinuato nella mia mente.








Note dell'autrice

Lo so, di nuovo in ritardo, ma come avevo previsto la mia ispirazione aveva dato forfait e mi sono ritrovata davanti al pc con le mani ferme sulla tastiera e lo sguardo vacuo perché di idee ne avevo proprio zero.
Ma alla fine un capitolo è saltato fuori lo stesso! Ora però sono sicura che si ripeterà tutto il processo, che inizierà con un vuoto di ispirazione per poi pian piano e con fatica farmi scrivere qualche riga ogni tanto. Il problema è che l'inizio dell'università è alle porte e avrò poco tempo per scrivere (questa estate è durata proprio tre secondi), ma spero di riuscire a scrivere qualcosina ogni tanto.
Ditemi cosa pensate riguardo il capitolo, ci ho messo millanta anni a scriverlo perché temevo che le reazioni di Dean e le sue conversazioni con Cas potessero suonare OOC quindi ho pensato cento volte a cosa fargli dire.
A proposito, cosa sarà mai successo a Sam? Perché si trova ancora in coma? Rimanete con me e lo saprete! xD
Al prossimo capitolo! se ancora avete voglia di seguire la mia storia nonostante la mia pigrizia
   
 
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