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Autore: _Connie    11/09/2014    1 recensioni
There's a boy who fogs his world and now he's getting lazy
There's no motivation and frustration makes him crazy
He makes a plan to take a stand but always ends up sitting
Someone help him up or he's gonna end up quitting.

«Si sentivano un po’ come del vetro rotto, caduto per terra. Poi, un giorno, Rufy entra nelle loro vite senza preavviso, come un vero e proprio ciclone, e in qualche modo raccoglie da terra quei frammenti, li rimette insieme, li salva dall’oblio in cui erano caduti senza chiedere nulla in cambio. Lui è fatto così.»
[...]In quel momento, Zoro si rese improvvisamente conto di essere appena stato raccolto da terra.
Zoro/Sanji, AU,INCOMPLETA
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Mugiwara, Roronoa Zoro, Sanji, Z | Coppie: Franky/Nico Robin, Rufy/Nami, Sanji/Zoro
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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{ Capitolo 13: Do I Wanna Know? – Parte I }
 
Quel mattino, Zoro fu svegliato da una palla di pelo che continuava a strusciarglisi addosso. Gli ci volle qualche secondo per stiracchiarsi pigramente, voltare il capo e sbattere un paio di volte le palpebre per mettere a fuoco ciò che gli era di fronte, cosa che riuscì a strappargli un mezzo sorriso ancora assonnato: Chopper quella mattina aveva deciso che lo spadaccino avesse dormito più che abbastanza e così si era prodigato a svegliarlo con i mezzi a sua disposizione – il suo pelo che, a contatto con la pelle, gli procurava sempre del solletico, insomma. Una volta accortosi di aver raggiunto il proprio intento, gli si parò proprio di fronte al viso ed emise un miagolio che Zoro avrebbe definito di soddisfazione. La cosa lo fece ridacchiare.
Allungò una mano verso di lui ed iniziò ad accarezzarlo lentamente, godendosi la morbidezza di quel pelo sempre perfettamente pulito – anche per essere un gatto, infatti, quando si trattava di igiene Chopper sapeva essere anche fin troppo pignolo – e le fusa che l’altro gli regalava erano segno che anche l’altro stesse apprezzando. Quando, dopo pochi attimi, il suo cervello iniziò a snebbiarsi e a rimettersi in moto, cosa che, appena sveglio, prendeva sempre il suo tempo con Zoro, quest’ultimo si rese improvvisamente conto di star dimenticando qualcosa, qualcosa di assolutamente fondamentale, ma non riusciva proprio a ricordare cosa, dato che il suo cervello, compiuto quello sforzo di memoria immane, aveva deciso di prendersi ancora qualche altro secondo di ristoro prima di ricominciare a rimuginare su quel problema. Problema che, incredibilmente, fu risolto in men che non si dica da una voce che decise proprio in quel momento di dire la sua – una voce fin troppo familiare.
«Oh, marimo, allora ti sei svegliato.»
L’intero corpo di Zoro s’irrigidì all’istante, mentre i ricordi della sera precedente iniziavano ad affollargli la mente.
Ecco cos’aveva dimenticato. Merda.
Ora capiva perché si trovasse disteso completamente nudo sul divano-letto del club con solo una coperta a coprirlo e si sentisse anche stranamente appiccicaticcio.
Ingoiò a vuoto e si voltò verso Sanji: quest’ultimo si trovava all’impiedi – e, il suo cervello non poté fare a meno di constatare, era anche già vestito da capo a piedi – accanto ad un tavolo da poker con una tazza di quel che sembrava cappuccino in una mano e un vassoio con una colazione pronta per essere mangiata nell’altra. La cosa che più colpì Zoro, però, fu il suo sguardo: lo stava guardando con aria di sufficienza, quasi a voler far finta che la notte appena passata non fosse mai esistita, e che quindi in realtà non si fosse mai lasciato spogliare nella foga tra un bacio rovente e l’altro, né si fosse ritrovato sotto di lui tremante di desiderio, né che gli avesse lasciato esplorare ogni suo centimetro di pelle con la lingua, lasciando una calda scia di saliva per tutto il corpo, mentre le mani continuavano la propria opera d’esplorazione personale, finché non si erano fermate su quei glutei sodi e perfetti e...
No. No, no, no. Quello non era per niente il momento di pensare a certe cose – nonostante il suo amichetto lì sotto sembrasse pensarla diversamente.
Rendendosi probabilmente conto che il suo stato di shock sarebbe durato ancora un po’,  Sanji decise di lasciarlo perdere e si sedette su una delle sedie di fronte al tavolo. L’evidente smorfia di dolore che apparve sul suo viso non aiutò per niente Zoro a non pensarci.
Ci fu qualche altro secondo di profondo, imbarazzante silenzio. Nessuno dei due aveva idea di che cosa dire o fare, né aveva intenzione di essere il primo a portare a galla un argomento tanto scottante. Per il momento, si accontentavano quindi di restare in silenzio.
Quando però l’atmosfera iniziò a farsi decisamente pesante – e il fatto che quel cuoco di merda avesse deciso improvvisamente di ignorare la sua esistenza e di non far incrociare i loro sguardi nemmeno per scherzo non era certamente d’aiuto – Zoro decise di fare la cosa che in quel momento gli sembrava più logica ed assennata: una doccia. Una lunga, lunghissima doccia, per essere precisi.
Detto fatto: senza dire una parola Zoro si alzò – e al diavolo l’essere nudi, quel cuoco aveva visto fin troppo del suo corpo per poter rimanere scandalizzato da una cosa del genere, e in più sembrava ancora intenzionato a prestare tutta la sua attenzione alla parete di fronte – afferrò la coperta e se la trascinò con sé in bagno. La buttò senza mezzi termini nella lavatrice insieme al detersivo – e al diavolo le dosi – aprì il getto d’acqua della doccia e si lasciò scorrere addosso l’acqua gelida nella speranza che riuscisse a sbollirgli quel mare di pensieri ed emozioni che continuavano a travolgerlo come un vulcano in eruzione. Niente da fare.
Prese un lungo respiro nel tentativo di calmarsi. Ok, partiamo dai fatti nudi e crudi.
Lui ed il cuoco avevano fatto sesso. E già qui c’era da fermarsi e chiedersi come cazzo era potuta succedere una cosa del genere tra loro due, che si erano odiati già dal primo sguardo. Già, come? Si erano forse ubriacati così tanto da perdere completamente coscienza di sé e finire per fare una cosa così stupida? No, lui gli avvenimenti di quella sera li ricordava fin troppo bene, al massimo potevano essere stati un po’ brilli, ma niente di più. Ma allora perché?
Ricordava distintamente il momento in cui, sotto casa del cuoco, aveva iniziato a prendere a sassate la sua finestra per svegliarlo – e chissà perché, col senno di poi, la scena gli ricordava dannatamente uno di quegli orrendi film d’amore adolescenziale da quattro soldi, ugh – e quando aveva poi trascinato il cuoco al club per chiedere spiegazioni circa il suo strano modo di comportarsi degli ultimi tempi; ricordava anche ogni singola parola dello sfogo emotivo del suddetto cuoco: sembrava che ogni parola detta gli costasse uno sforzo immane, ma lui continuava a parlare, parlare e parlare, come se quelle parole fossero state sempre lì, ad aspettare di essere pronunciate, non riuscendo però a trovare mai un punto di sfogo e rimanendo incastrate in gola, quasi a volerlo soffocare per ripicca.
E lui, Zoro, si era sentito una merda. Sì, proprio una merda, visto che si era accorto che fino a quel momento aveva giudicato il damerino sempre e solo per ciò che appariva all’esterno – ed era proprio la cosa che odiava di più al mondo, giudicare dalle apparenze. Ricordava quindi di essersi scusato sinceramente, cosa che aveva naturalmente lasciato di stucco l’altro. Ma quando il cuoco, poi, l’aveva ringraziato, era stato il suo turno di rimanere scioccato. Quel semplice grazie aveva avuto il potere di contorcergli le viscere e di farlo sorridere: quel cuoco non era poi così male, in fondo.
E poi era successo. La catastrofe delle catastrofi, il cataclisma dei cataclismi.
Quel cazzo di cuoco di merda, l’amante eterno delle donne, colui che continuava a prenderlo per il culo ad ogni buona occasione e non, l’aveva baciato. E no, non c’era da sbagliarsi mica, su questo.
L’aveva baciato. Aveva proprio baciato lui, Zoro.
E se magari nella sua mente, già fin troppo intenta a tentare di registrare, elaborare e cercare di capirci qualcosa dell’avvenimento, ci fosse stato ancora qualche dubbio riguardo il fatto che sì, il cuoco aveva voluto baciare proprio lui, e non l’abat-jour lì affianco o Chopper – in quel momento il suo cervello stava fondendo per il sovraccarico d’informazioni, decisamente – ecco che quel deficiente si allontana da lui ed inizia a fissarlo con quello sguardo terrorizzato da cane bastonato che lo destabilizza definitivamente. Quindi non si era trattato di un errore o di chissà che altro: era proprio lui, Zoro, quello che il cuoco aveva voluto baciare. Ma perché? Perché lui? Perché non Nami o Robin o chiunque altro sulla faccia di questa terra? Era perché si trovava per caso nelle sue immediate vicinanze? Era perché lo sfogo gli aveva mandato in pappa il cervello rendendolo vulnerabile e spingendolo a fare quel che ha fatto col primo che capitava?
Ogni possibile risposta che si affollava nella sua mente, però, gli sembrava sempre meno probabile della precedente. A quel punto, però, seduto sul divano ancora perfettamente immobilizzato dallo shock, un atroce e folle dubbio gli attraversò la mente come un’improvvisa intuizione.
E se… e se il cuoco si fosse innamorato di lui?
Ma non ebbe nemmeno il tempo di elaborare meglio questo pensiero che sentì il tocco della mano dell’altro sulla propria spalla e il suo nome venir chiamato dalla stessa voce che fino a quella sera non aveva fatto altro che sputare commenti acidi e insulti nella sua direzione, ma che in quel momento gli era sembrata di una fragilità infinita. E vuoi per l’atmosfera creatasi, vuoi per altri fattori che in quel momento non aveva proprio voglia di andare ad analizzare, si era avventato sul cuoco e aveva iniziato a baciarlo, a spogliarlo, a farlo suo con una foga e un desiderio che non aveva mai pensato di provare. Ed ora eccoli lì, che non riuscivano nemmeno a guardarsi in faccia o a parlarsi normalmente.
Sospirò pesantemente, con lo scroscio dell’acqua che gli rimbombava nelle orecchie.
Passò almeno mezz’ora prima che Zoro uscisse fuori dalla doccia, si coprisse con un asciugamano ed aprisse la porta del bagno. Del cuoco non era rimasta altra traccia all’infuori della colazione lasciata sul tavolo, ormai fredda.
Sentì una fitta lancinante al petto.
 
Oh merda. Merda, merda, merda.
Era morto. E questa volta sul serio.
Se lo sentiva, non sarebbe riuscito di nuovo a passarla liscia: Lucci l’avrebbe ammazzato. Letteralmente.
Zoro si fiondò nel CP9 passando come sempre dalla porta sul retro, con la flebile speranza che, magari, nonostante le due ore di ritardo sulle spalle, Lucci non l’avrebbe notato.
«Roronoa, finalmente ti sei degnato di onorarci con la tua presenza.»
E quando mai.
Zoro si avvicinò al suo capo come qualcuno che si dirige al proprio patibolo.
«’Giorno, capo, non l’avevo vista.» Ugh. Forse far finta di nulla non è la tattica migliore.
Lucci lo fissò come se volesse incenerirlo con lo sguardo. «Facciamo anche i finti tonti, eh? Ti devo ricordare che ti trovi sul filo del rasoio? Potrei licenziarti anche seduta stante, se lo volessi.» Per l’appunto.
Zoro decise di deporre le armi e di arrendersi all’evidenza. Ma come avrebbe dovuto giustificarsi? Mi dispiace ma, sa, ieri sera ho fatto sesso con un mio amico e non ho la minima idea né di cosa lui provi per me né tanto meno di cosa provo io, in più non ci guardiamo neanche più in faccia, sto iniziando a pensare che sia stato uno sbaglio enorme e in tutto ciò ho completamente dimenticato il lavoro. Ora posso andare, vero? «Mi dispiace, ho avuto un contrattempo.»
Se possibile, lo sguardo di Lucci divenne ancora più truce. «Un “contrattempo”? E che genere di contrattempo potrebbe mai farti arrivare con due ore di ritardo al lavoro?»
Questa era difficile da spiegare.
Fortunatamente, come un angelo disceso dal cielo, Kaku arrivò in suo soccorso prima che ricominciasse a mettersi in ridicolo con delle scuse campate in aria.
 «Zoro, sei arrivato! In realtà non mi aspettavo proprio di vederti.»
Eh? E ora che succede? Il suo salvatore aveva per caso battuto troppo forte la testa cadendo dal cielo?
Lo sguardo d’ammonimento che gli lanciò, però, gli fece perdere ogni proposito di fare commenti.
Lucci inarcò un sopracciglio. «Perché non te lo aspettavi? Non è il suo giorno libero.»
«In realtà ieri mi aveva chiesto di anticiparglielo ad oggi per via di alcune commissioni importanti che doveva sbrigare, ma vedo che ha fatto prima del previsto.»
«Ehm… già, è così» fu l’unica cosa che riuscì a balbettare il principale interessato.
«Devo essermi dimenticato di avvisarti, Lucci, è colpa mia.» Certo che come attore Kaku era formidabile. Probabilmente Zoro non si sarebbe sorpreso più di tanto se un giorno avesse scoperto che in realtà fosse una spia in incognito.
Lucci, comunque, non parve particolarmente convinto neanche di questa scusa, ma decise di lasciar correre. «Va bene. Roronoa, il tuo prossimo giorno di ferie lo passerai qui a lavorare. Intesi?»
Zoro ringraziò l’intera volta celeste di avergliela fatta cavare con così poco.
Quando Lucci si fu sufficientemente allontanato, si lasciò andare ad un sospiro di sollievo. «Davvero, Kaku, sei la mia salvezza. Come cavolo tu faccia a convincerlo ogni volta, poi, è un mistero.»
L’altro ridacchiò. «Diciamo che ho i miei metodi. Tu piuttosto: perché diavolo sei arrivato così in ritardo? D’accordo che non sei mai puntuale, ma due ore sono troppe persino per te. Cosa ti è successo?»
Zoro sospirò di nuovo. «è una lunga storia.»
L’altro lo osservò a lungo prima di ritornare al proprio lavoro.
 
Anche quella giornata di lavoro era finita, ma in realtà Zoro non sapeva se sentirsi sollevato o no: da una parte era in qualche modo liberatorio uscire finalmente fuori dal CP9 e tornarsene al Mugiwara Club, ma d’altra parte in quella manciata di ore di lavoro era riuscito a non pensare per un po’ a quel damerino di merda che continuava ad entrare nella sua mente manco avesse un ariete pronto ad abbattere ogni forma di difesa che avrebbe alzato. Era inutile tentare di non pensarci, tanto più che una volta al club l’avrebbe sicuramente incontrato di nuovo.
Deglutì a vuoto.
 
Le cose erano andate anche peggio del previsto.
Il cuoco non si era presentato al club per tutta la sera. Mai. Nemmeno per un saluto veloce alle sue adorate dee o che so io.
Pur di evitarlo era scomparso di nuovo dalla circolazione, e Zoro non poteva dire di poterlo biasimare, ma la cosa era riuscita comunque a fargli provare una strana sensazione di malessere fin dentro le viscere.
Gli altri ovviamente, completamente ignari degli avvenimenti della fantomatica notte precedente, non avevano fatto caso più di tanto alla sua assenza.
Come rovescio della medaglia, però, si erano interessati anche fin troppo a lui.
«Zoro, sicuro di sentirti bene?»
«Hai una faccia!»
«Zoro, perché sei così pallido? È successo qualcosa?»
«Perché oggi hai la testa fra le nuvole? Non è da te.»
«Yohohoho, Zoro, non ti sembra di star esagerando troppo con gli allenamenti stasera?»
«Zoro, forse dovresti andare da un medico, con quella faccia non mi stupirei se collassassi seduta stante.»
Diamine! Persino Chopper lo osservava con uno sguardo accusatore che sembrava dire “io so cosa è successo, so tutto, e fattelo dire: sei nella merda più totale”. Grazie, Chopper, lo so da me.
Ma il suo stato d’animo era davvero così scontato?
A quanto pare sì.
L’unica persona che era rimasta in silenzio per tutto il tempo scrutandolo attraverso gli occhiali da vista come a volerlo analizzare da cima a fondo era, ovviamente, Robin. Mentre tutti gli altri avevano continuato a ronzargli intorno chiedendo spiegazioni a destra e a manca, infatti, lei era rimasta seduta sulla sua poltrona preferita ed aveva continuato a leggere come suo solito, o almeno apparentemente. Perché Zoro li aveva sentiti, quello sguardo dietro la schiena che continuava a studiarlo e quel cervello che elaborava gli indizi ottenuti ed arrivava alle proprie conclusioni. Tutte giuste, su questo Zoro non aveva il minimo dubbio.
Cazzo se quella ragazza non gli metteva i brividi, certe volte.
E difatti eccola lì: appena prima di varcare la soglia del club per andarsene con Franky ad uno dei loro appuntamenti, si era avvicinata a Nami e le aveva sussurrato qualcosa all’orecchio. Quest’ultima aveva assunto per un attimo un’espressione scioccata, la quale fece però ben presto largo ad un ghigno che definire vittorioso sarebbe stato un eufemismo. A quel punto si erano voltate verso di lui e gli avevano rivolto dei sorrisetti maliziosi che non avevano lasciato più alcun dubbio circa la natura delle loro conversazioni e deduzioni.
Sherlock e Watson non erano nulla a confronto.
Se ne erano quindi andate senza dire una parola, ridacchiando sotto i baffi mentre i loro rispettivi fidanzati, che le aspettavano sulla soglia, le guardavano sbigottiti, nel tentativo di capire cosa diavolo ci fosse di tanto divertente. Probabilmente non avevano notato anche loro l’espressione di puro terrore che si era dipinta sulla faccia di Zoro.
Con quelle due streghe a conoscenza della verità, la sua vita poteva dirsi ufficialmente finita.
 
 
[Angolo dell’autrice]
Eeeeeeed eccomi qua.
Sì, lo so, per i miei ritardi dovrei morire nei modi più atroci possibili, ma vi giuro che questo capitolo è stato difficile da concepire. Della serie: oddio, e ora come cavolo posso descrivere le loro reazioni post-cataclisma in modo che siano IC? 
Spero di essere riuscita a non sforare nell’OOC.
Anyway, Zoro si trova nella merda, come avete potuto notare. Poverino, il suo cervellino già fatica a capirci qualcosa e in più si mettono in mezzo il lavoro e il duo Sherlock&Watson a complicare le cose. Sono perfida XD
Come potete vedere, poi, questo capitolo è denominato “Parte I”: questo perché avrei voluto inserire in un solo capitolo tutto il percorso che porterà questi due zucconi a mettersi insieme, ma ovviamente sarebbe stato un papiello infinito e ho preferito ripiegare su una specie di, ehm, saga? Non esattamente, però volevo sottolineare che il capitolo/i capitoli successivi (perché non so nemmeno quanto durerà ‘sta cosa) sono collegati dal fatto che finalmente i nostri eroi questi due faranno i conti con i loro sentimenti, ecco.
Con la fine dell’estate spero di poter aggiornare più spesso. Perché io col caldo non ho voglia di fare assolutamente NULLA.
Ringrazio davvero di cuore tutti coloro che nonostante i ritardi immani seguono ancora questa fic. Vi adoro. Mi fate felice dal più profondo del mio cuore. ç_ç
Alla prossima, dunque, sperando che venga presto!
 
P.S. Il titolo è preso dalla canzone Do I Wanna Know? degli Arctic Monkeys, che ho trovato molto azzeccata. :3 
  
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