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Autore: clepp    11/09/2014    8 recensioni
Quel ragazzo era così... fisico. Preferiva esprimere a gesti ciò che voleva dire con le parole e quello era un aspetto di lui che a Gwen faceva impazzire. Lei era abituata a parlare, a confrontarsi con le persone, a litigare, urlare, sussurrare e discutere. Lui era il suo esatto opposto, così calmo e pacifico, così gentile, silenzioso delle volte e riservato, ma mai scontroso o schivo: era il perfetto equilibrio tra l’essere troppo e l'essere troppo poco.
SOSPESA
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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07
My story






Louis aveva appena finito di trascrivere gli appuntamenti da un post-it giallo alla sua agenda, quando la porta in vetro si aprì lentamente, portando dentro una ventata di aria fredda.
Erano le cinque e mezza del pomeriggio. Pioveva e il cielo si faceva via via più cupo con il passare dei minuti, costringendo i lampioni delle strade ad accendersi un po’ in anticipo quella sera.
Louis alzò lo sguardo soltanto quando la persona che era appena entrata dalla porta si fermò di fronte alla sua scrivania. Davanti a lui c’era la ragazza dai capelli lunghi e i bei lineamenti che Louis aveva visto gironzolare attorno a Zayn nelle ultime settimane. Anche se non aveva ancora finito di riscrivere gli appuntamenti sull’agenda, con un gesto lento la richiuse e prestò la sua più totale attenzione alla ragazza.
Lei gli sorrise appena e a Louis sembrò fin troppo stanca anche solo per rimanere in piedi.
«Ciao.» disse lui quando si rese conto che lei non avrebbe parlato.
«Ciao.» replicò cominciando a giocherellare svogliatamente con il mazzo di chiavi che teneva stretto in mano. «Sto cercando Zayn.» disse subito dopo, quasi volesse usarla come scusa per non conversare. Louis roteò gli occhi di nascosto: ovviamente, chi altri se no?
Con un gesto vago della mano indicò il retro del negozio dove c’era lo studio personale dei due tatuatori. Gwen annuì e lo ringraziò frettolosamente, senza dargli il tempo di ribattere. Si incamminò verso la porta che le era stata indicata e prima di aprirla con lentezza bussò un paio di volte.
Una voce maschile le disse di entrare ma lei era già dentro ancor prima di ottenere il permesso.
Zayn sedeva scompostamente sulla sedia dietro la scrivania in legno: la sua schiena era china su un mucchio di fogli sparsi su tutto il ripiano ma la sua testa era alzata e l’attenzione rivolta su di lei. Quando la riconobbe, si aprì in un sorriso caloroso che le scaldò le ossa intorpidite dal freddo di Novembre e si alzò in piedi per accoglierla.
«Gwen,» disse e circondò la scrivania così da finirle esattamente di fronte. «Cosa ci fai qui?» le chiese curioso, ma mantenendo un tono neutro.
Non l’aveva più vista da quando aveva riportato a casa lei e Josef dopo averlo trovato accucciato in un bagno pubblico, ovvero più di tre giorni prima.
La guardò mentre lei si sedeva sulla sedia di Louis e si stringeva nelle spalle, soffiandosi sulle mani per riscaldarle. Non era come l’aveva vista le altre volte. Indossava una pesante felpa nera che gli arrivava fino a metà coscia, un paio di pantaloni della tuta e scarpe da ginnastica. Il viso era completamente struccato lasciando intravedere due deboli occhiaie sotto agli occhi stanchi e i capelli erano raccolti in un’alta coda disordinata. Zayn avrebbe voluto chiederle cosa fosse successo dopo che li aveva lasciati a casa, ma non gli pareva il momento. Afferrò lo schienale della sua sedia e la spostò a fianco a quella di Gwen.
«Va tutto bene?» le chiese gentilmente, sporgendosi un po’ di più  verso di lei per cercare di confortarla. Avrebbe voluto toccarla, perché quello era il suo modo di confortare le persone, ma non poteva farlo. Era ancora troppo presto.
Lei annuì appena e tenne lo sguardo puntato sul mazzo di chiavi con cui stava giocando ininterrottamente.
Si schiarì la voce prima di parlare: «Volevo solo scusarmi, Zayn.» esordì, lasciandolo completamente basito, incapace di spiegarsi quel così strano comportamento. Non disse niente, la lasciò continuare. «Da quando ci siamo incontrati ti ho trattato come se fossi un assassino, un pedofilo e persino un maniaco. Mi dispiace di essermi comportata in maniera così diffidente e a volte anche insopportabile, ma sono fatta così e non posso farci molto.» finalmente alzò gli occhi verso di lui e sospirò pesantemente. «Quello che hai fatto per Josef qualche giorno fa è stato... se non ci fossi stato tu non so come avrei trovato la forza di gestire l’intera situazione. Perciò ti chiedo scusa e ti ringrazio.»
Zayn poteva percepire lo sforzo che stava compiendo Gwen nell’abbassare per un attimo le barriere, mostrando il suo lato umano, debole. Apprezzava quel gesto più di quanto potesse spiegare a parole. Il fatto che fosse venuta fino a lì per scusarsi e ringraziarlo era più di quanto potesse mai aspettarsi da una ragazza il cui carattere era così forte e duro.
Si aprì in un sorriso e non riuscì a trattenersi dall’allungare una mano verso di lei. L’appoggiò gentilmente sulla sua gamba e gliela strinse per rassicurarla. Gwen sentì la pelle infiammarsi sotto al suo tocco ma la sua espressione non lasciò intravedere nulla.
Quel ragazzo era così... fisico. Preferiva esprimere a gesti ciò che voleva dire con le parole e quello era un aspetto di lui che a Gwen faceva impazzire. Lei era abituata a parlare, a confrontarsi con le persone, a litigare, urlare, sussurrare e scherzare. Lui era il suo esatto opposto, così calmo e pacifico, così gentile, silenzioso delle volte e riservato, ma mai scontroso o schivo: era il perfetto equilibrio tra l’essere troppo esagerati, come lo era lei, e l’essere troppo perfetti.
Stare al suo fianco la rendeva più tranquilla a sua volta, più serena. Forse era per quel motivo che venti minuti prima aveva trovato la forza di uscire di casa e andare da lui: era talmente stanca che aveva bisogno di qualcuno con cui distrarsi.
«Come sta Josef?» provò a chiedere cautamente Zayn dopo una breve pausa, accompagnando la domanda con un sorriso caldo di cui Gwen non riusciva mai ad averne abbastanza.
«Ora bene,» rispose, lo sguardo puntato sul mazzo di chiavi, «Bene... insomma, si... bene. Dopo essersi sfogato quel giorno al bar, è tornato come prima, quasi non fosse successo niente. Ho parlato con Gretel e lei è andata a scuola per riferire l’accaduto agli insegnanti. I bambocci sono stati puniti, sai? Già... sono stati puniti. Chissà cosa dovranno fare. Un’ora di lettura forzata, o forse scrivere per dieci volte la frase “ho sbagliato” sulla lavagna. Impareranno molto, ne sono convinta, capiranno quanto il loro gesto sia stato disgustoso e irrispettoso e si sentiranno in colpa per il resto della loro vita. Quei piccoli bastardi.» il suo tono di voce era impregnato di malcelata ironia e rabbia, e il disgusto per ciò che avevano fatto a Josef era evidente.
Zayn le strinse nuovamente la gamba con calma, nel tentativo di tranquillizzarla, ma rimanendo in silenzio per darle modo di sfogare ancora il suo nervosismo.
«Sai cos’hanno detto gli insegnanti? Erano dispiaciuti per l’accaduto e hanno ripetuto una decina di volte che i bambini sarebbero stati sgridati a dovere, ma non si sentivano in colpa, neanche un po’ e sai perché? Perché l’atto è stato commesso fuori dall’orario scolastico e Josef non era più sotto la loro responsabilità. Quindi è da tre giorni che penso “ehi, si tu, proprio tu! sei una stronza lo sai? È colpa tua, te ne rendi conto? Josef è così indifeso, e tu l’hai dimenticato. È colpa tua se è successo quel che è successo, è colpa tua, solo tua”.» con rabbia si portò una mano sulla fronte e abbandonò il peso su di essa, sospirando rumorosamente. Chiuse gli occhi e cercò di respirare a fondo e di concentrarsi sulla presa di Zayn ancora fissa sulla sua gamba.
Lui capì finalmente per quale motivo fosse così diversa dalle altre volte, perché fosse così sciupata e stanca: si sentiva semplicemente in colpa e si stava addossando sulle spalle tutto il peso della vicenda. Zayn aveva già appurato il bene che Gwen voleva a Josef e la sua capacità di esagerare le sue emozioni, perciò riuscì a comprendere il  fatto che il senso di colpa la stesse divorando dentro.
«Gwen,» la richiamò deciso, portando una mano sulla sua appoggiata alla fronte e abbassandola con lentezza, «Non fare questo errore. Non farlo.» la guardò intensamente negli occhi che aveva appena aperto e continuò a parlare. «Non è colpa tua. Da quando ti conosco ho capito che faresti di tutto per quel bambino, persino incolparti ingiustamente. Non farlo, per favore. Non è colpa tua, tu hai fatto del tuo meglio e dovresti esserne fiera. Scommetto che Josef lo è e anche Gretel. Io lo sono.» le sorrise, di nuovo, e di nuovo lei non ne ebbe abbastanza.
Sbatté più volte le palpebre e alla fine le tenne chiuse. Come poteva non sentirsi in colpa? Era lei la causa del dolore di Josef, se fosse arrivata in tempo e l’avesse riportato a casa, nulla di tutto ciò sarebbe successo.
«Se io f-» cercò di parlare ma lui la interruppe.
«Se tu fossi arrivata in tempo, probabilmente non sarebbe successo niente, e probabilmente sarebbe successo un altro giorno. Ormai è passato e non puoi farci nulla. Non è colpa tua.» se glielo ripeteva magari le sarebbe entrato in testa. Gli faceva male vederla così vulnerabile e spenta perché era abituato ad un altro tipo di ragazza. Eppure si sentiva anche grato e lusingato perché tra tutte le persone, aveva scelto di condividere le sue preoccupazioni con lui. Aveva scelto lui.
Il flusso dei suoi pensieri venne interrotto da un movimento inaspettato di Gwen. La vide allungare una mano e indicare un punto preciso davanti a se. Zayn seguì la direzione del suo indice e si accorse che stava puntando un indumento appoggiato sul davanzale della piccola finestra: la sua giacca. La vide aggrottare la fronte.
«E’ così che tratti i miei regali?» chiese, un alone di divertimento misto a scetticismo dietro le sue parole. Zayn abbozzò un sorriso e alzò un sopracciglio ironicamente.
«Avevo intenzione di spostarla.» si difese. Gwen scosse la testa e spostò la sua attenzione su di lui.
«Grazie Zayn,» ripeté, e poteva vedere quanta sincerità si celasse dietro quegli occhi grigi. «E’ il caso che io ritorni a casa.» disse e fece per alzarsi.
«Aspetta,» le prese una mano fermandola. «So che non sei più ubriaca e probabilmente non te lo ricordi, ma l’invito ad uscire è ancora valido.» si aprì in un mezzo sorriso che sprigionava dolcezza da tutte le direzioni e Gwen non poté fare altro che sorridere di rimando e bearsi di quel momento.
«Me lo ricordo, Zayn.» rispose, e continuò: «Domani alle nove da me.» si diresse verso l’uscita ma prima di aprire la porta si girò di nuovo verso di lui.
«E non tardare.»
-
Quando il trillo del campanello di casa rimbombò per tutto il salotto, erano ormai le nove e un quarto. Gwen era seduta sul divano con Josef al suo fianco ed entrambi erano impegnati in una profonda discussione sul perché Gretel non volesse fare mangiare al bambino latte e cereali per cena. La bionda era in cucina quando Gwen l’avvisò che stava uscendo.
«Stai attenta, Line!» le urlò dalla stanza richiamandola con il soprannome che lei odiava tanto. «E divertiti.» spuntò dalla porta della cucina con un cucchiaio di legno in mano e un sorriso caloroso stampato in faccia.
«Si, mamma.» Gwen roteò gli occhi mentre Josef ridacchiava ancora seduto sul divano. «Farò la brava.»
«Lo spero.» replicò l’altra, «ora muoviti prima che il tuo cavaliere si congeli mentre ti aspetta.»
Gwen roteò di nuovo gli occhi mentre si avvolgeva una sciarpa attorno al collo e chiudeva i bottoni del suo cappotto grigio.
«Cavaliere? Conoscendo i ragazzi di oggi mi starà aspettando in macchina al caldo.» replicò scettica, afferrando borsa, chiavi e aprendo la porta. Prima di richiuderla lanciò un bacio a Josef e sorrise a Gretel.
Scese le scale del condominio e, una volta arrivata al piano terra si bloccò di scatto. Dal vetro della porta scorse Zayn davanti all’entrata, intento a camminare avanti e indietro con le mani in tasca e il capo chino, nascosto in una sciarpa pesante. Indossava un paio di jeans scuri strappati sulle ginocchia, stivali neri e un cappotto. I capelli corti erano coperti da un beanie grigio e l’unica parte visibile del suo viso erano gli occhi e il naso leggermente rosso.
Trattenne un sorriso mentre si rendeva conto che per l’ennesima volta aveva dubitato del suo buon cuore. Riprese a camminare e quando aprì la porta vide Zayn bloccarsi sul posto e spostare l’attenzione dal marciapiede a lei. Gli angoli della sua bocca si alzarono verso l’alto mettendo in mostra un sorriso per metà nascosto dalla sciarpa.
«Ciao,» esalò lui e una nuvoletta di vapore uscì dalle sue labbra.
«Ciao,» replicò lei e si strinse nelle spalle per cercare di ripararsi dal freddo di Novembre.
Zayn non riuscì a distogliere lo sguardo dalla ragazza che le stava di fronte: i lunghi capelli castani erano sparsi sulle spalle e le arrivavano dritti fin sotto la linea del seno. Gli occhi grigi erano messi in risalto dal trucco e le guance erano rosee per via dell’aria fredda. Indossava un paio di pantaloni neri risvoltati sopra un paio di stivaletti scuri e un cappotto grigio abbinato ad una sciarpa bianca. Non poté evitare di pensare che Gwendoline completamente vestita fosse più bella di tutte le altre donne semiscoperte che incontrava nei locali di tanto in tanto. Sbatté più volte le palpebre per togliersi dalla faccia l’espressione sorpresa.
«Andiamo?» le disse.
Si avviarono insieme verso la macchina di Zayn parcheggiata a qualche metro di distanza dal condominio. Il braccio di Zayn sfiorava lievemente quello di Gwen mentre camminavano silenziosamente. L’elettricità che aleggiava intorno a loro era palpabile e Zayn avrebbe voluto baciarla con ogni singola particella del suo corpo.
Entrarono in macchina sempre circondati da una silenziosa atmosfera.
«Hai freddo?» le chiese premuroso mentre spostava lo sguardo su di lei. Gwen annuì sfregandosi le dita contro il naso per riscaldarlo. Zayn sorrise e accese il riscaldamento puntandolo al massimo.
«Dove andiamo?» chiese Gwen mentre la macchina si immetteva nella strada semideserta.
«In un posto che credo ti piacerà. È tranquillo, appartato. Nulla di troppo stravagante. Ci lavora un mio amico.» rispose lui mantenendo lo sguardo fisso sulla strada, una mano stretta al volante e l’altra sul cambio, pericolosamente vicina alla coscia di Gwen. Lei se ne accorse e per un momento si sentì indecisa; poi spostò la gamba leggermente a sinistra e il tessuto dei suoi pantaloni sfiorò le dita di Zayn, facendo in modo che l’azione risultasse casuale.
Con la coda dell’occhio vide la sua espressione accendersi e le sue palpebre strabuzzarsi di sorpresa. Subito dopo un debole sorriso comparve sulle sue labbra ma come se non fosse successo niente mantenne lo sguardo fisso sulla strada.
«Non mi abituerò mai al tuo accento inglese, sai?» esordì all’improvviso, portandosi dietro l’orecchio un ciuffo di capelli. Zayn spostò la mano dal cambio al tasto del riscaldamento per regolare l’aria calda che fuoriusciva dalle aperture per poi riposizionarla dove era prima, con la gamba di Gwen ad istigarla. Lei fece in modo che la sua coscia e la mano di Zayn si toccassero di nuovo.
Sorrise: «E io al tuo accento americano.» replicò  controllando che dalla strada opposta non arrivassero altre macchine.
«A proposito, se non sono indiscreta...» si morse il labbro, giocherellando con le sue dita. «Per quale motivo un inglese vorrebbe mai trasferirsi a Boston?»
Zayn non fu sorpreso da quella domanda, era sicuro che quella sera avrebbe dovuto sanare la curiosità di Gwen riguardo il suo accento inglese, perciò si era già preparato le risposte giuste che avrebbe dovuto darle.
«E’ una lunga storia ma dato che il locale è vicino, te la racconto in breve.» rispose fermandosi davanti ad un semaforo rosso. Per la prima volta da quando erano entrati in macchina, il suo viso si voltò verso quello di Gwen e i suoi occhi incontrarono quelli chiari della ragazza. Sorrise.
«Ho vissuto in una cittadina di nome Bradford per diciotto anni. Una sera ho incontrato un ragazzo inglese che abitava a Boston con il padre. Abbiamo istaurato un bel rapporto d’amicizia, e  abbiamo scoperto di avere la stessa passione per i tatuaggi. Dopo che ho capito che per me non c’era futuro in una cittadina piccola come Bredford, ho deciso di seguirlo fino in America e aprire con lui un negozio di tatuaggi. Avevo diciannove anni quando ho tatuato per la prima volta.» il verde del semaforo scattò all’improvviso e Zayn rispostò l’attenzione sulla strada. Quando accelerò, Gwen si trovò a desiderare di volere ancora il suo sguardo addosso. Scosse la testa e cercò di eliminare quel pensiero.
«Oh,» esalò «e i tuoi genitori? Voglio dire... ti hanno permesso tranquillamente di trasferirti in America a soli diciotto anni?» chiese, trattenendo la sua incredulità. Non poté evitare di spostare i suoi pensieri a Jaxon che voleva trasferirsi dall’altra parte della città a diciannove anni.
Zayn si mosse scomodamente sul sedile: si era aspettato anche quella domanda.
«Beh... all’inizio mia madre non era del tutto convinta, ma poi ha capito che non poteva farci niente quindi l’ha accettato. Il vero problema è stato mio padre. Ho sempre avuto uno strano rapporto con lui, di quelli in cui il figlio non ha quasi mai diritto di parola, perciò con lui è stato più difficile.» spiegò pacato. Gwen vide le sue sopracciglia aggrottarsi in un’espressione crucciata così decise di non indugiare oltre riguardo quell’argomento.
«Quindi lavori in quel negozio da quattro anni? Non hai mai pensato di andare all’Università?» chiese lei, sempre più incuriosita dalla vita del ragazzo che aveva davanti. Si sporse leggermente verso di lui come per entrare ancora di più nel vivo della storia e ignorò il sorrisino che gli comparve sul viso.
«Si, da quattro anni. Quando avevo vent’anni ho cominciato a frequentarla, ma mi sono reso conto che con i costi del negozio e quelli del mio appartamento non ci stavo dentro, perciò ho fatto una scelta.»
Gwen annuì in assenso. Non avrebbe mai detto che Zayn avesse mai anche solo preso in considerazione l’idea di andare al college, figuriamoci frequentarlo per un breve periodo di tempo. Come al solito, l’aveva sottovaluto.
«E come ti trovi qui, in America?» domandò pochi secondi dopo, mentre Zayn faceva inversione e si immetteva in un grande parcheggio dietro un piccolo bar.
Aspettò di aver parcheggiato e di essersi assicurato che la macchina non uscisse dalle linee prima di rispondere.
«In questo momento, molto bene.» si voltò verso di lei esibendo un sorriso a denti scoperti che le fece roteare gli occhi e allungare una mano per colpirgli la spalla. In realtà, avrebbe voluto afferrargli il mento tra le mani e stampargli sulle labbra screpolate uno di quei baci senza fiato.
Scesero dalla macchina e s’incamminarono verso l’entrata del bar la cui insegna dettava “Irish Bar”. Prima che Gwen potesse allungare una mano per aprire la porta, Zayn fu più svelto e l’aprì al suo posto, facendole segno di entrare con un sorrisetto ironico.
Gwen roteò di nuovo gli occhi e entrò. Il bar era piccolo e accogliente. Le pareti e i mobili erano in legno di ciliegio e le luci soffuse rendevano l’atmosfera calda e deliziosamente intima. Il chiacchiericcio dei clienti era leggero, in linea con la musica bassa che veniva trasmessa dalle casse appese alla parete.
Gwen adorava quel posto. Non si accorse nemmeno che Zayn l’aveva affiancata e le aveva appoggiato una mano sulla schiena per sospingerla verso il bancone, talmente era occupata a guardarsi intorno.
«Ti piace?» le sussurrò in un orecchio e lei non poté fare a meno di sorridere e annuire, ammaliata.
Per risvegliarla dal suo stato di trance, Zayn si tolse il cappello di lana, passandosi una mano tra i capelli scompigliati prima di infilarlo scherzosamente in testa a Gwen, abbassandoglielo fino agli occhi. Lei non ebbe il tempo di fare altro se non colpirlo di nuovo sulla spalla, perché la voce squillante di un ragazzo in piedi dietro al bancone la interruppe.
«Zayn!» esclamò il barista, battendo le mani e sporgendosi verso l’amico per dargli una pacca sul braccio.
Il ragazzo doveva avere più o meno l’età di Gwen. Era alto quanto lei e non molto muscoloso, ma comunque ben definito. Aveva capelli biondo scuri con qualche striatura castana, occhi azzurri come il cielo in agosto e un sorriso brillante che trasmetteva allegria. Se non ci fosse stato lui dietro al bancone, Gwen era quasi certa che quel posto non sarebbe stato lo stesso.
«Ciao Niall,» lo salutò Zayn amichevolmente. «Lei è una mia amica, Gwen.» gli presentò la ragazza che le stava accanto. Gwen allungò una mano per educazione, ma inaspettatamente Niall le afferrò le spalle e se la portò vicino, chiudendola in una specie di goffo abbraccio, dato che il bancone limitava i loro movimenti. Gwen non poté fare a meno di scoppiare a ridere: se fosse stata un’altra persona probabilmente avrebbe reagito diversamente, ma quel ragazzo gli ispirava voglia di vivere.
«Ciao Gwen, è un piacere conoscerti!» esclamò con il suo accento irlandese.
«Anche per me,» replicò lei sorridendo mentre si toglieva il cappello di Zayn e glielo ridava in mano.
«Andate pure a sedervi, io intanto vi porto la lista.»
Zayn le poggiò di nuovo la mano dietro la schiena, con dolcezza, e questa volta lei la percepì perfettamente. La sospinse in avanti, verso un tavolo libero posto sopra un piccolo soppalco. Si sedettero in un silenzio piacevole.
Gwen si tolse la giacca e la sciarpa, per poi portare l’attenzione sulle decorazioni del locale. Aveva un’aria suggestiva, le sembrava quasi di essere veramente in un paesino sperduto dell’Irlanda, invece che a Boston, in America.
«Ti piace proprio eh.» commentò Zayn, senza distogliere neanche un secondo l’attenzione dalle sue espressioni. Gwen annuì semplicemente.
«E’ uno stile che mi affascina molto.»
Zayn avrebbe voluto rispondere con un “lo so”, ma Niall li interruppe lasciando due liste sul loro tavolo e intrattenendo per qualche secondo una breve conversazione con Gwen. La osservò mordersi il labbro inferiore nel tentativo di trattenere una risata ad una battuta del biondo, ma alla fine le sue labbra si separarono e dalla sua gola uscì una risata roca, bassa, ma bella quanto lei.
«E’ davvero simpatico.» disse quando Niall scomparve dietro il bancone. Zayn annuì in accordo.
«Cosa vuoi ordinare?» le chiese.
«Cosa mi consigli?» disse, aprendo la lista e nascondendocisi dietro.
«Direi qualcosa di leggero, sai, non vorrei doverti riportare di nuovo in braccio verso la macchina.» replicò lui schiettamente, trattenendo una risata.
Gwen socchiuse le palpebre e gli lanciò un’occhiata sinistra.
«Parli come se non ti fosse piaciuto.» replicò lei, alzando un sopracciglio e riportando l’attenzione sulla lista dei nomi dei cocktail. Zayn ridacchiò mentre faceva lo stesso.
«Non mi stavo lamentando.»
Rimasero in silenzio finché Niall non ricomparve per prendere gli ordini. Zayn ordinò una coca cola media – “devo guidare, Niall” - e un piatto di patatine fritte mentre Gwen un Cosmopolitan.
Sia Zayn che Niall la guardarono con una strana espressione, ma soltanto il primo si azzardò a dire qualcosa.
«Un Cosmopolitan?» chiese alzando un sopracciglio. «Non puoi fare la tipica snob americana in un locale irlandese.» la riprese, scherzosamente, ma con un fondo di verità.
Niall rise mentre appuntava gli ordini.
Gwen storse il naso: «Non so cos’altro prendere.»
«Una birra.» fecero in coro lui e Niall. Gwen storse di nuovo il naso e scosse la testa.
«Odio la birra.» disse, suscitando in Niall un malore improvviso. Afferrò il bordo del tavolo e finse un mancamento.
«Cosa sentono le mie povere orecchie irlandesi.» bisbigliò chiudendo gli occhi. Gwen rise e alzò le spalle: in realtà non aveva mai assaggiato la birra, ma dall’odore, era sicura che non le sarebbe piaciuta.
«L’hai mai provata?» chiese Zayn e quando lei scosse la testa anche lui lo fece a sua volta. «E come fai a saperlo allora?» si rivolse a Niall e fece segno di aggiungere una birra.
Gwen sospirò pesantemente, ma non ribatté: non aveva alcuna intenzione di comportarsi come la tipica snob americana. Avrebbe bevuto quella birra a costo di ingoiarla con un imbuto.
-
Due ore dopo, sul tavolo erano rimasti un piatto con una sola patatina bruciacchiata, un bicchiere vuoto di birra, uno di coca cola e uno di Cosmopolitan. Alla fine, Zayn aveva preso dalle mani di Gwen il bicchiere di birra e l’aveva finita lui perché le sue espressioni corrucciate mentre la beveva erano un insulto all’Irlanda. Dopo aver usato la scusa del bagno, si era alzato e di nascosto le aveva ordinato il cocktail che voleva inizialmente.
Avevano parlato di tutto. Zayn le aveva raccontato della sua infanzia, delle sue sorelle e del primo periodo a Boston, durante il quale aveva vissuto per un po’ a casa di Louis. Le aveva raccontato di quanta paura avesse avuto quando aveva dovuto tatuare il suo primo cliente, un uomo di circa trent’anni che voleva marchiare la propria pelle con il ritratto della figlia. Poi avevano sviato l’argomento ex fidanzati e si erano soffermati per un mezzora buona a battibeccare su quale squadra di basket meritasse di vincere il campionato quell’anno. Si erano scambiati le informazioni generali, per esempio il giorno di nascita, il colore preferito e l’altezza. In quel momento, Zayn aveva affermato che secondo lui Gwen non fosse alta quanto Niall, ma almeno di cinque centimetri in meno. L’avevano chiamato e Gwen si era messa di fianco a lui per controllare chi dei due avesse ragione. Gwen aveva vinto e Zayn era stato obbligato a bere un sorso di Cosmopolitan, cocktail che odiava.
Successivamente i discorsi si erano fatti più seri e Gwen aveva cominciato a raccontare a Zayn di come aveva conosciuto Gretel alle superiori. Lei faceva parte del comitato di accoglienza e quando aveva saputo che al quinto anno era arrivata una ragazza tedesca era stata la prima ad andare a parlarci, nonostante lei fosse solo una matricola. Gli aveva raccontato dei periodi con Bruce e di quanto Gretel stesse costantemente male con lui. Della gravidanza, della loro rottura e della nascita di Josef. Della decisione di andare a trasferirsi insieme e dei suoi fratelli. Aveva approfondito il perché della sua morbosità con Josef e Zayn aveva capito qualcosa di più riguardo l’intera situazione.
Josef soffriva di attacchi di panico fin dalla tenera età e si era ritrovato spesso in bruttissime situazioni. Il rapporto con il padre e con i bambini della sua età inoltre avevano aggravato quella situazione. Gwen aveva cominciato ad essere così protettiva nei suoi confronti quando, oltre all’ennesimo attacco di panico del neonato Josef, aveva dovuto farsi carico anche dei continui litigi di Bruce e Gretel che in quel periodo in particolare non facevano altro che discutere su qualsiasi cosa fino a dimenticarsi persino della presenza del bambino.
Alla fine, avevano cambiato argomento e avevano iniziato a parlare del più e del meno, giusto per alleggerire un po’ l’atmosfera.
Adesso, Zayn era appoggiato alla parete esterna del locale con una sigaretta tra le labbra e le mani nascoste dentro le tasche del cappotto: gli occhi fissi sulla figura di Gwen, quasi gli risultasse impossibile tenere lo sguardo lontano da lei per più di cinque secondi.
La ragazza era davanti a lui, stretta nel cappotto grigio e arrossata per via dell’alcol e del freddo. Stava camminando avanti e indietro, cercando di seguire la linea retta del ciglio del marciapiede con le braccia aperte per mantenere l’equilibrio e gli occhi puntati sui suoi piedi. Zayn si sporgeva in avanti ogni volta che la vedeva scivolare di colpo giù dal marciapiede, pronto ad afferrarla in qualsiasi momento ma cercava di controllarsi perché non voleva darle l’impressione di essere troppo apprensivo. Comunque lei rideva, ad ogni scivolone e tornava a camminare come se niente fosse, lanciandogli di tanto in tanto qualche occhiata divertita.
Dio, le mani gli tremavano per lo sforzo che stava compiendo nel non ridurre le distanze con due falcate e baciarla con forza.
«Posso provare?» gli chiese all’improvviso, bloccandosi di colpo dal camminare. Saltellando lo raggiunse, fermandosi esattamente ad un passo da lui. Certo che lei  però non aiutava il suo autocontrollo.
«Cosa?» chiese invece, aggrottando le sopracciglia. Lei indicò la sigaretta che ora era incastrata fra il suo indice e il medio. «Non hai mai provato?»
Gwen annuì: «Qualche volta ogni tanto. Allora posso?»
Era incredibile quanto cambiasse con un po’ di alcol in circolo. Diventava un’altra persona, più affabile, divertente e spensierata, come se non dovesse più cercare di nascondere qualcosa dietro una facciata non sua.
Zayn tentennò: non voleva che fumasse per colpa sua, ma non voleva neanche dirle di no. Così non ci pensò troppo e allungò la mano con la sigaretta verso il suo viso, facendo in modo che lei prendesse in bocca il filtro dalle mani di Zayn e non dalle sue.
Quando la prese in bocca, aspirò con calma prima di afferrare la sigaretta tra le sue dita e buttare fuori una nuvola di fumo. Si leccò le labbra per inumidirle e Zayn dovette deviare lo sguardo su qualcos’altro.
Rimasero in silenzio per un paio di minuti: Gwen fumava silenziosamente, soffiando – di proposito o non – il fumo contro il viso di Zayn che a sua volta guardava – di proposito o non – qualsiasi cosa eccetto Gwen.
«Sono stanca.» mormorò la ragazza di colpo, passandogli la sigaretta del tutto finita e abbozzando un debole sorriso.
Senza aggiungere una parola si avviò verso il parcheggio. Zayn l’avrebbe potuta buttare quella sigaretta perché era ormai praticamente finita, ma preferì portarsela alla bocca e fare un altro tiro per sapere che in qualche modo le labbra di Gwen le stava assaporando. Gettò la sigaretta mentre la seguiva lungo la strada asfaltata.
Entrarono in macchina in silenzio e Zayn si premurò di accendere il riscaldamento e di controllare che Gwen fosse comoda.
Il tragitto fino a casa di Gwen fu silenzioso e tranquillo. Ad un certo punto, tra il negozio di fiori e il piccolo supermercato aperto ventiquattrore su ventiquattro, però Zayn non sentì più il contatto con il tessuto dei pantaloni di Gwen, ma non ebbe il tempo di guardare perché qualcosa di più caldo e morbido sostituì il precedente tocco. La mano di Gwen si era intrufolata tra il palmo di Zayn e il cambio della macchina, incrociando le loro dita con gentilezza.
Una volta superata la sorpresa, Zayn strinse la sua mano e le accarezzò il dorso con il pollice, facendole capire che era lì e che si, c’era dentro fino al collo.
Quando la macchina accostò davanti al condominio di Gwen, questa si slacciò la cintura di sicurezza e si voltò verso di lui.
«Buonanotte Zayn,» abbozzò un sorriso che racchiudeva tanto, troppo, e si sporse verso di lui.
Allungò una mano sulla sua guancia, accarezzandola lievemente, e gli lasciò un bacio sull’altra guancia e poi, inaspettatamente, uno anche a fior di labbra. Fu troppo breve però, come un battito di ciglia, ma invece di lasciarlo insoddisfatto, lo lasciò completamente basito.
C’era dentro, eccome se c’era. 

 







Sinceramente, non ho la più pallida idea del perchè io alle nove di sera della Vigilia di inizio scuola, io sia qui su efp a pubblicare il settimo capitolo di Hush, baby. Molto probabilmente è perchè sto facendo di tutto per non finire gli ultimi compiti rimasti, che comunque non farò. 
Allora, buonasera!! 
Sarò davvero molto breve questa volta, rispetto alle altre.Vi dico subito che questo è l'ultimo capitolo scritto - siamo nella m*rda - e che quindi non so dirvi come saranno i prossimi aggiornamenti. Dipende tutto dall'ispirazione - che va e viene -, dagli impegni scolastici, dalle ripetizioni che devo dare, dalla mia vita sociale, e da Zayn e Gwen che diventano sempre più difficili da trascrivere. Mi impegnerò comunque per far si che gli aggiornamenti siano più o meno puntuali.
Mi è piaciuto molto scrivere questo capitolo, un po' perchè bravamo l'avvicinamento di questi due, e un po' anche perchè è entrato in scena uno dei personaggi che amo un sacco descrivere nelle mie storie: Niall! Ce lo vedo troppo bene in America a dirigere il suo Irish Bar. Ah, per questo locale ho preso ispirazione da uno dei miei bar preferiti - che è appunto un Irish Bar. 
Comunque, cosa ne pensate del loro primo appuntamento ufficiale? Non ho voluto descriverlo tutto, ma solo darvi un elenco dei loro argomenti. Penso che così sia molto meglio e decisamente meno pesante! 
Adoro il finale e il fatto che Gwen non abbia ceduto nel baciarlo. State tranquille che cederà molto presto ahahah 
Spero di aver descritto decentemente i sentimenti che provano l'uno per l'altro e la tensione - sessuale - che si nasconde dietro certi sguardi! 
Come al solito, le parole non bastano per farvi capire quanto io sia grata di avere un seguito come il vostro! Davvero, grazie di cuore! Adoro le vostre recensioni e i vostri complimenti su facebook.
Grazie, grazie, grazie.
Un bacio,
clepp
 
 
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