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Autore: Black_Raven    11/09/2014    1 recensioni
[Dal primo capitolo]
Girolamo scrutò il paesaggio oramai cupo e desolato dell’Urbe pur di non posare gli occhi sulla sua figura. Non era innamorato della donna che aveva dinanzi a sé. Quella fanciulla che era stata la sua Laura era morta anni prima così come quel ragazzo ingenuo e diligente che l’aveva bramata più di ogni ricchezza e possedimento. Bianca era abbastanza certa che non avrebbe esitato ad annientarla se gliene avesse offerto l’occasione. Erano sin troppo disillusi per poter agire altrimenti.
« Sei tanto smanioso d’esser preso a cannonate da un Artista, cugino?» perdurò in quel gioco che sapeva l’avrebbe irretito. L’Artista era importante, vitale, indispensabile come l’ossigeno in quella trama architettata anni prima. Doveva incontrarlo, spiegargli il suo ruolo, ammonirlo e indirizzarlo verso le giuste strade da percorrere.
« Le notizie corrono,» sibilò irritato, un lampo d’indignazione negli occhi scuri. Nessuno mai aveva osato rifiutare qualcosa a lui, al paladino della Chiesa, alla spada della Cristianità. Bianca si costrinse a non sorridere dinanzi a quell’espressione. Il Conte le avrebbe negato il suo desiderio se avesse scorto anche il minimo cenno di derisione.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Girolamo Riario, Leonardo da Vinci, Lucrezia Donati, Nuovo personaggio, Papa Sisto IV, Papa Sisto IV
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Locked out of Heaven
 
C’è una stagione per ogni cosa e un tempo per ogni scopo sotto questo cielo: un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per seminare e un tempo per raccogliere ciò che si è seminato, un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli, un tempo per gemere e un tempo per danzare. Ciò che è stato è adesso e ciò che dovrà essere è già stato. Un tempo per avere e un tempo per dare, un tempo per serbare e un tempo per gettare via, un tempo per stracciare e un tempo per rammendare, un tempo per tacere e un tempo per parlare. Io ho detto al mio cuore che Dio giudicherà i giusti e i malvagi, poiché c’è un tempo per ogni scopo sotto il sole.
 
L’inizio del gioco
 
Si vis pacem, para bellum
Se desideri la pace, prepara la guerra.
Cicerone
 
 
Il tanfo della morte, della povertà e dell’ingiustizia angustiava le strade sporche come il peccato, un tempo tanto gloriose, dell’Urbe in quegl’anni. L’edera cresceva sulle antiche statue e sui monumenti che avevano celebrato le gesta di un popolo di guerrieri imbattibili. Era stata la corruzione dilagante a renderli deboli ed essa perdurava a infettare le genti del mondo come un morbo invisibile e ferino.
Bianca osservava pigra lo spettacolo deprimente che era divenuta la Caput Mundi,  assaporando del vino. Fango e distruzione, orfani dai ventri gonfi e gli occhi di brace, donne spezzate nell’animo e dissolute soltanto per gli ipocriti. Quella era la Roma di Sisto, quarto del suo nome. Quella era la Roma di Francesco della Rovere.
La fanciulla, che più non poteva definirsi tale, sorrise tetra per poi posare il calice d’oro, vuoto come l’espressione nelle sue iridi castane, sul cornicione di quella camera buia come la notte e fredda come il ghiaccio. Era spoglia, anonima, come se in essa non vi riposasse alcuno. Al centro v’era un talamo imponente dalle coperte nere rifinite d’oro. Il pavimento era lucido, d’onice avrebbe asserito per quei ghirigori scuri sulla superficie perlacea. S’era potuta specchiare e non aveva gradito ciò che aveva scorto.
Innanzi a lei v’era una donna longilinea, avvolta da una veste grigia ed accollata, dalla carnagione più scura di ciò che taluni avrebbero additato come nobile. Una fanciulla dalle gote piene, dalle labbra vermiglie e sottili, dai capelli biondi che come una corona le incorniciavano il capo. Gli occhi, però, erano velati di stanchezza, colorati da occhiaie profonde.
Il viaggio di ritorno era stato tedioso tanto da risultarle infinito. Eppure le notizie che aveva appreso erano valse lo spossamento di quei lunghi giorni sotto il Sole caldo e ostile di Costantinopoli. V’era una speranza per il mondo, per suo padre, costretto in una prigione come il più miserabile tra i briganti.
Strinse la mancina, indispettita dai suoi stessi pensieri e chiuse le tende, privandosi di quella rivoltante ed amara visione, imponendosi una calma che non le apparteneva. L’uomo che attendeva sarà presto giunto e doveva scorgerla imperturbabile come l’acqua di un ruscello.
Tutto sarebbe andato in fumo ancor prima di incominciare quel percorso che si prospettava lungo e periglioso, se avesse ceduto alle sue emozione e si fosse lasciata trascinare dagli eventi. Il Turco l’aveva avvertita e l’Oracolo era stato ancora più preciso.
Udì la serratura scattare. S’affrettò a celarsi nell’ombra, lontana dalla luce di una Luna crescente, segno di un nuovo inizio.
Il Conte Girolamo Riario fece il suo ingresso nelle camere a lui riservate a Castel Sant’Angelo in solitudine, proprio come Bianca aveva previsto, una mano sull’elsa della spada e un’espressione arcigna sul volto giovane. Aveva tagliato i capelli neri come le piume di corvo dall’ultima volta in cui le aveva impartito un ordine.
Girolamo si abbandonò contro la prima sedia disponibile, un sospirò sfuggì alle sue labbra esangui e chiuse gli occhi scuri, tanto simili ai suoi per un crudele scherzo del Fato.
« Mi domandavo proprio quando saresti tornato,» esclamò la fanciulla gioviale e divertita come poche volte s’era mostrata a lui, avanzando d’un passo, immersa nella luce pallida. Girolamo spalancò di scatto gli occhi, rafforzando la presa sulla spada. Bianca rise tra sé, sottovoce, cauta, per non turbare la quiete della notte. Girolamo la individuò e un baluginio di furia malcelata animò le sue iridi. Mugugnò qualcosa d’incomprensibile e scosse il capo, sorridendo appena per quell’apparizione fuliminea quanto indesiderata. Si issò in piedi e azzerò la distanza tra loro, scostandole una ciocca dorata che era sfuggita all’acconciatura severa che le avevano impartito sin dalla più giovane età.
« Debbo chiamare le guardie?» domandò sarcastico, il fiato caldo che le arrivava sino alle gote, un’ombra nei suoi occhi che non seppe come interpretare. Suo cugino sapeva essere un mistero. Rammentava di un tempo in cui avrebbe tanto desiderato sposarlo e trascorrere il resto delle loro esistenze insieme, innamorati come soltanto due fanciulli di quattordici anni potevano essere. Tutto era mutato quando Girolamo era divenuto il mostro che il Santo Padre aveva creato.
« Non credo vi sarà necessità, Girolamo. Sono giunta in pace,» mormorò gentile, gli occhi resi melanconici da quei ricordi che erano come una lama nel petto che, in quel momento, era scosso da battiti troppo accelerati.
« Improbabile,» commentò asciutto prima di notare il calice che aveva abbandonato, forse turbato quanto la fanciulla per quella vicinanza che egli stesso aveva creato. Bianca sollevò appena le spalle, accennando una breve risata. Scosse la mano destra, alla quale portava l’anello di famiglia, per sminuire quell’abitudine che s’era insediata nel suo animo, « Accomodati, però,» continuò ancora atono, così diverso dal ragazzo che soleva leggerle le Sacre Scritture all’ombra degli ulivi, dal ragazzo a cui s’era concessa per la prima volta, « Ti sei già servita da sola quindi non ti offrirò altro vino.»
Bianca annuì tra sé quando il cugino le diede le spalle, senza indugiare troppo su quell’ultima lapidaria frase. Sospirò lieve ed osservò l’eterna Regina del Cielo stellato che li osservava trionfante, beffandosi di loro due, anime spezzate che avevano conosciuto solo dolore. Poi s’accomodò dinanzi all’uomo quando egli si sedette dov’era prima.
« Ho udito che ti rechi a Fiorenza. Di nuovo,» soggiunse caustica, posando le mani giunte sotto il mento arrotondato, osservandolo e perdendosi in quel mare d’ambra che erano gli occhi del Conte. Girolamo sorrise, divertito quanto lei, un pigro stiramento delle labbra che durò solo un istante, ma il suo sguardo era perso nel suo volto. Indugiò sulle labbra schiuse della giovane e per un attimo, Bianca ne era certa, l’uomo quasi sporse verso di esse. Era un riflesso del suo corpo, incondizionato e naturale proprio come lo era la respirazione.
« Ebbene?» domandò, invece, osservandola mentre le sue dita giocavano con la montatura importante dell’anello. Girolamo scrutò il paesaggio oramai cupo e desolato dell’Urbe pur di non posare gli occhi sulla sua figura. Non era innamorato della donna che aveva dinanzi a sé. Quella fanciulla che era stata la sua Laura era morta anni prima così come quel ragazzo ingenuo e diligente che l’aveva bramata più di ogni ricchezza e possedimento. Bianca era abbastanza certa che non avrebbe esitato ad annientarla se gliene avesse offerto l’occasione. Erano sin troppo disillusi per poter agire altrimenti.
« Sei tanto smanioso d’esser preso a cannonate da un Artista, cugino?» perdurò in quel gioco che sapeva l’avrebbe irretito. L’Artista era importante, vitale, indispensabile come l’ossigeno in quella trama architettata anni prima. Doveva incontrarlo, spiegargli il suo ruolo, ammonirlo e indirizzarlo verso le giuste strade da percorrere.
« Le notizie corrono,» sibilò irritato, un lampo d’indignazione negli occhi scuri. Nessuno mai aveva osato rifiutare qualcosa a lui, al paladino della Chiesa, alla spada della Cristianità. Bianca si costrinse a non sorridere dinanzi a quell’espressione. Il Conte le avrebbe negato il suo desiderio se se avesse scorto anche il minimo cenno di derisione.
« Su ali d’argento, mio caro. Portami con te nella tua delegazione,» soggiunse perdendo qualsiasi accenno di divertimento sia nelle iridi che nel tono. Girolamo doveva accettare. Non sapeva in che altro modo avrebbe potuto avere libero accesso nella Repubblica toscana, ella, una della Rovere, la nipote del Papa.
Figlia.
Deglutì a vuoto nel rammentare la voce di Lucrezia, della sua dolce sorella maggiore. Entrambe erano figlie di Francesco, ma l’Impostore aveva preso il ruolo di suo padre e le aveva schiavizzate dopo aver ucciso la loro piccola Amelia.
« Perché dovrei?»
« Libro delle Lamine. Ho delle informazioni per te. Disquisiremo meglio in una città corrotta sino alle fondamenta, non trovi?» replicò con falsa e civettuola allegria, le labbra arricciate in un sorriso che mostrava i denti candidi. Girolamo sembrò interessato, poi strinse il pugno destro avvicinandolo alle sue mani giunte sul tavolo, come in preghiera, in un gesto che compiva di rado. Ad un soffio interruppe quel breve percorso. Era il loro segno. Bianca sbatté le palpebre, incredula che potesse ancora rammentarlo, poi posò l’indice e il medio sul pugno.
« Adesso brami unirti a tua sorella in quella Sodoma arricchita tanto da sfidarmi?» esclamò Girolamo sporgendosi e posando la mancina sulla nuca, avvicinandola a sé. Per un solo attimo, dimentica di tutto ciò che era avvenuto in quegli anni, Bianca desiderò davvero che Girolamo posasse le labbra sulle sue. Si limitò, invece, ad un riso accennato, quasi di scherno verso colui che le aveva rubato l’innocenza, la famiglia e la possibilità d’amare nuovamente.
« Oh Girolamo, entrambi siamo in grado di carpire una buona offerta quando ci viene resa manifesta,» mormorò suadente carezzandogli il pugno ancora serrato sino a creare degli invisibili segni sulla pelle candida. Il gioco era appena cominciato.
   
 
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