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Autore: Chihaar    12/09/2014    1 recensioni
L'idea originale parte da un problema che molti scrittori hanno. il protagonista della storia ci si confronta in maniera insolita.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Quarta notte: insonne.

Rimango a fissare quel foglio, come se fosse un buco nero, un orizzonte degli eventi che si spande e inghiotte tutto. Un po’ lo è. Su quel foglio dovrebbe incominciare l’ultimo capitolo del mio libro, l’ultimo libro di una serie che porto avanti da anni, che ha venduto milioni di copie per ogni pezzo della storia.
Non doveva andare così.
Dovevano essere solo due libri.
Arrivato alla fine del secondo libro, ho iniziato ad avere degli incubi, me lo ricordo come se fosse appena successo. i miei personaggi mi inseguivano, i buoni e i cattivi, i vivi e i morti, tutti armati e io correvo in uno spazio buio, infinito e più correvo più gente mi inseguiva, volti che non conoscevo, volti che non avevo mai nemmeno immaginato, eppure erano lì, furiosi, e volevano fami la pelle. Così decisi di lasciare un finale aperto. L’unico non contento fu il mio editore che mi disse di non sperare troppo nella possibilità di un terzo volume. Fu proprio quel secondo che mi portò al successo, portando il primo a ben 10 ristampe in un anno a causa dei numerosi ordini. Al tempo gli ebook non esistevano.
Poi vennero le interviste per giornali e rubriche specializzate, vennero gli inviti a fiere e mostre letterarie, vennero i premi. E quella domanda.
“Quando inizierà a scrivere il terzo volume?”
Inebriato e confuso da quello che mi stava succedendo, risposi con presunzione e orgoglio.
“Presto!”
“Sarà il capitolo conclusivo?”
Gli incubi tornarono a farmi gelare il sangue.
“Forse. Chi lo sa. Vedremo!” rispondevo sorridendo.

Passarono 7 mesi, volevo finire quel dannato libro, ero arrivato ad odiare la situazione in cui stavo mettendo i mii personaggi, le mie creazioni. Le mie creature. Mi sentivo come un dio pazzo che si diverte a complicare l’esistenza di chi ha creato.
Poi di nuovo gli incubi. Più agghiaccianti, sempre più volti, sempre più oscurità davanti a me in quella fuga dai miei personaggi.
Ripetei l’errore. All’utenza piacque, persino più dei precedenti, ritrovandomi ancora una volta nello stesso delirio di onnipotenza. Mi sentivo il dio buono che li mette alla prova e poi si pente, si rende conto che per loro è troppo, che non sono ancora pronti e li aiuta. Di nuovo il successo, di nuovo la domanda.
Il tutto si ripeté ancora.
E ancora.
E ancora.
Per 10 volte.
Ogni volta la folla cresceva, ogni volta andava più veloce, ogni volta era meglio armata, con le armi che io gli avevo dato.
Ogni volta il terrore era più grande. Ora è immenso.
Non mi importa più da tempo dei soldi. Ne ho tanti.
Non mi importa più della fama. Non c’è lettore al mondo che non conosca il mio nome o la mia serie.
Non mi importa più dei personaggi che ho creato. Mi terrorizzano.
Quindi voglio farla finita. Non so come.
Li devo salvare tutti? Li devo uccidere tutti? Devo scegliere chi salvare e chi far morire?
Come li salvo? Come Li uccido?
Non riesco a pensare ad altro, non mangio da due giorni, non faccio un sonno da più di mezz’ora senza svegliarmi madido di sudore e urlante da quattro. Ho iniziato a prendere dei calmanti, che non funzionano granché, mi tremano le mani se mi stendo a letto e provo a chiudere gli occhi.
Per cui ho deciso, questa notte sarò la loro notte del giudizio.
Una moneta, il 50% di possibilità per ognuno. Ho fatto una lista di nomi, una croce o una testa decideranno la morte o la salvezza nella scena finale. Otto lanci. Otto vite in ballo. Otto personaggi che pregano per non morire. Ma a questo punto, arrivati a portarmi in questo stato, non hanno più diritto di replica.
Mi addormento sulla sedia, di colpo.

Non siamo in uno spazio nero, sembra una seduta degli alcolisti anonimi, ma non ci sono alcolisti, ci sono loro, rassegnati, che aspettano che io dica qualcosa. Nel sogno ho una cartelletta con i loro nomi scritti sopra, una penna e una moneta. Voglio essere crudele. Non dirò loro cosa deve uscire per vivere e cosa per morire. Mi limiterò a far tirare a loro la moneta, decideranno da soli il proprio destino. Senz’appello. Senza rimorsi. Senza colpa.
Il primo è il guerriero, il mio primo protagonista. Per 11 libri ha sofferto, gioito, perso e trovato di tutto. Ha sfidato cielo e terra, dei e demoni. Ed ora è solo un ad un lancio dalla salvezza o dalla dipartita.
Tira. Testa. Salvo. Quasi logico.
Il secondo è il suo braccio destro, comparso nel secondo volume. Una persona astuta, non troppo saggia, ma leale. Ha visto e udito tanto, ha segreti e promesse che si porta a presso.
Tira. Croce. Morto. Addio alle promesse.
Il terzo è la compagna del protagonista, forte, bella, non si è mai data per vinta da quando ha conosciuto lui, l’eroe. Dal primo libro ha accompagnato le gesta e i viaggi del suo uomo.
Tira. Croce. Morta. Il suo viaggio finisce qui.
Il quarto personaggio è un folle che li segue, un uomo un tempo importante nella storia, ma trovatosi dalla parte sbagliata di un sortilegio, per salvare lei, di cui era innamorato.
Tira. Croce. Morto. Potrebbe morire cercando di salvare lei. O lo uccidono dopo che lui l’ha uccisa.
Il quinto è una ragazza, innamorata del folle, mai ricambiata, ma che lo ha accudito durante la sua pazzia.
Tira. Croce. Morta. Sfortunata fino alla fine, così va la vita.
Il sesto è un ex cattivo che abbandonata la sua causa li ha seguiti per capire perché lo avevano battuto. Interviene solo se la sua vita è a rischio o se chi minaccia gli altri lo deride o gli manca di rispetto.
Tira. Testa. Salvo. Non me lo aspettavo, credevo che morisse. Ma la moneta ha deciso.
Il settimo è un mercante, viaggia col gruppo da poco, in cerca di opportunità: lui finanzia e gli altri lo proteggono. Opportunista? Magari sì, ma è il modo migliore per restare vivi in quel mondo che ho creato.
Tira. Croce. Salvo. Alla fine l’opportunista ha sempre le spalle coperte.
Prima di fare lanciare l’ultimo, guardo i volti dei precedenti concorrenti a questa lotteria di vite. Sono tutti tristi. Forse perché sanno che, nonostante tutto, è la fine della loro storia.
L’ottavo è un ragazzino, un veggente che l’eroe ha liberato per caso durante il quarto libro e che ha iniziato a seguirlo, senza motivo. Non parla molto, quando lo fa predice morti e disastri che l’eroe e il suo gruppo cercano di sventare laddove possibile e di portare a compimento laddove necessario.
Sta per tirare. L’eroe lo ferma. Mi pietrifico. Ero convinto di condurre io questo gioco.
Mi guarda negli occhi, sfodera il pugnale e me lo punta alla gola.
“Se lui deve morire, uccidi anche me. Chiaro?”
“Non sono io a decidere, è la moneta. Prenditela con la moneta, quando verrà il momento!”
Si infiamma. Ringhia. Spinge tutta la lama contro la mia gola, di piatto con la lama verso l’alto.
“SONO-STATO-CHIARO?” mi grida a due centimetri dal viso.
Annuisco debolmente. Non so di cosa avessi realmente paura. Sapevo che erano solo creazioni della mia mente. Ma come ho già detto, mi terrorizzavano, tutti loro.
Si alza l’ex cattivo e mi si avvicina, mentre l’eroe mi fissa ancora in faccia e sento il suo fiato nasale contro il viso che mi appanna gli occhiali. Mette la mano sulla spalla dell’eroe e lo fa sollevare, staccandolo da me.
“Permetti?” rivolto all’eroe, il quale rinfodera il pugnale e torna a sedersi.
“Se lui muore, per me non ha senso continuare a vivere. Se chi mi ha battuto viene battuto, io non sono più il secondo. Sono il terzo. E non posso tollerarlo. È fuori discussione, inoltre, che io uccida chi lo ha ucciso, perché, parliamoci chiaro, se lo fai morire per un incidente o per una malattia, sei un idiota e non capisco come tu abbia fatto a portare avanti questa nostra storia così a lungo. Se muore per sacrificio o per proteggere qualcuno, inutilmente o meno, sarebbe lo stesso per mano di qualcun altro. E io non lo tollererei, piuttosto che far morire lui nella parte dell’eroe martire, mi ammazzo io e buona notte. Se muore per via di qualche evento sovrannaturale o superiore, è una boiata, non ha senso. Per dieci libri lo hai descritto come pragmatico, quasi ottuso rispetto a ciò che non aveva spiegazione e ora gli faresti accettare la fine per mano di qualcosa che non capisce o che non può essere compreso? Ma per favore! Quindi vediamo di fare le cose con senso. Grazie.”
Dopo la sfuriata, torna a sedersi.
“Sono morto. In ogni caso.” borbotta il mercante.
“Come prego?” dico io per richiamare la sua attenzione.
“Andiamo, è ovvio.” risponde lui.
“Cosa è ovvio?”
“La logica vorrebbe che una mente normale decide testa=vivo, croce=morto, giusto? E tu sei una persona normale, perché quando ti mettevamo paura ci hai assecondati. Ho contato tre teste: lui, il cattivo e io.
Se loro muoiono io resto da solo, e non ho speranza, visto dove ci troviamo nella storia. Non so combattere come lui, non uso la magia come il cattivo, non ho abilità di alcun tipo. Sono solo intelligente e opportunista! Cosa dovrei fare, cercare di inturlupinare la bestia che abbiamo dinnanzi con la mia lingua? Se scrivi una scena del genere, ha ragione il cattivo, sei un idiota. In ogni caso se il ragazzino muore, io sono morto.”
Resto basito. I miei personaggi pensano. No, beh, è il mio subconscio che ragiona e si da’ le loro facce.
Prima che io posa riprendermi il ragazzino lancia la moneta. La prende con una mano schiantandola sul dorso dell’altra. Poi si alza e, sempre con la moneta coperta, mi si para di fronte, alle spalle gli altri personaggi. Solleva la mano, guardiamo entrambi la moneta e poi la fa cadere.
Mi sveglio di colpo.
 
Il giorno dopo.

Il mio editore è nel mio salotto che legge l’ultimo capitolo con un caffè davanti. Sono le 9:30 del mattino.
Non ho chiuso occhio.
Scorre una riga dietro l’altra, un paragrafo dietro l’altro, li divora. Passa il primo foglio, il secondo, il terzo, e così fino all’ultimo. È mezz’ora che legge. Ha finito.
Tira un sospiro lunghissimo.
“Allora? Che ne pensi?”
Dopo il terzo libro, lui è diventato il mio più grande fan e forse anche il mio migliore amico. Mi ha fatto da revisore per tuti i capitoli, voleva sempre essere il primo a leggerli per potersene vantare su forum e con altri suoi amici, miei fan. Sono il suo testimone di nozze e il padrino di sua figlia, giusto per rendervi l’idea.
Mi fissa immobile, occhi sbarrati. Lucidi. Ha le lacrime.
Ha le lacrime?
Oddio.
Inspira profondamente. E poi emana il suo verdetto.
“WOW. Semplicemente WOW. E adoro l’ultimo paragrafo. Davvero.”
“Dici che come finale ci sta?”
“Ci sta? Con questo credo che ristamperemo tutto, dal primo volume. Ce li richiederanno fino al nostro esaurimento.”
“Mi fa piacere.”
“Posso chiederti una cortesia?”
“Dimmi pure! Lo sai che se posso, lo faccio.”
“Me lo rileggi ad alta voce?”
“Cosa?”
“L’ultimo paragrafo.”
Sospiro. Ricordo che mentre le dita correvano sulla tastiera, sentivo il coltello ancora sulla gola. Fino a quel paragrafo.
“Va bene. Dammi il foglio.”
“Grazie, sei un grande!”

La bestia guardava quei corpi sparsi, chi privo di vita, chi agonizzante, ma sapeva che non le rimaneva molto da vivere, dato che il suo ventre era squarciato e le sue interiora ricoprivano in parte colui che le aveva estratte; uno era infilzato sulla sua ala destra, un altro era stato trapassato dai suoi artigli, un quarto era stato tranciato nel mezzo dalla sua coda sulla scalinata in pietra, le due femmine erano state fatte a pezzi dalle sue fauci mentre l’ultimo, uno più giovane degli altri, era morto carbonizzato nella sua bocca, dove gli aveva inferto il colpo peggiore di tutti: gli aveva tagliato la lingua mentre bruciava, facendo fuoriuscire una quantità di sangue eccessiva perché la creatura potesse continuare a vivere a lungo; con le sue ultime forze, la bestia emise un urlo terrificante che fece tremare mura e soffitto del tempio dove si era consumata la sua esecuzione: tutto iniziò a farsi polveroso, i massi cadevano come foglie e le colonne come spighe sotto la falce del contadino. Ma la bestia rise, fino all’ultimo, con una risata che avrebbe gelato il sangue a chiunque, fino a che una colonna non gli fracassò la testa e i detriti la sommersero.
Prima di sparire sotto le macerie, il mercante, dalla scalinata in pietra, vide nel soffitto un buco, uno squarcio di cielo e sorrise. “È fatta.” concluse, e spirò.
Dell’antico tempio, ora restano solo macerie, seppellite nel profondo di una collina.
Questa è la storia degli eroi che diedero tutto per salvare genti che non li avevano mai neanche sentiti nominare.
Questa è la storia di coloro che seguirono un sogno di giustizia.
Questa è una storia che risale all’alba dei tempi.
Questa è solo una storia.

 
   
 
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