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Autore: KarmaBoss    12/09/2014    0 recensioni
Una sigaretta accesa, uno sguardo vuoto e una testa stracolma di pensieri. L'anonimo soggetto era di classe, aveva lo stile giusto. Stava sempre nell'angolo, e anche così, la notavano tutti: la chiamavano, la cercavano.
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"Io volevo stare sola nella mia solitudine e tutti gli altri volevano far anche loro parte di quel profondo e sconfinato nero, quel nero assoluto che toglie ogni briciola di colore alla vita". (Chapter 2)
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Avevo solo otto anni quando ebbe inizio la mia storia, quando ebbe inizio TUTTO. All’epoca non vivevo una bella situazione familiare. I miei genitori non facevano altro che litigare ed ogni volta che urlavano mi ricordo che pigiavo le mani sulle orecchie per paura che qualche altro insulto, o anche solo qualche altra parola, potesse essere percepita dal mio giovane, e ancora relativamente debole, cervello. Questo mi provocava molti problemi a scuola, perché ero sempre silenziosa ed oramai, per abitudine, quando qualcuno urlava i portavo le mani alle orecchie; quasi come fosse un movimento automatico di difesa. Tutto questo quando avevo otto anni. I miei genitori mi avevano chiamata Helen, come la regina di Troia dell’Iliade. Mi ripetevano sempre, quando eravamo ancora una famiglia, che un nome così bello, non poteva che essere dato ad una bambina così bella.; perché loro, come qualsiasi altro genitore, mi reputavano la bambina più bella e più dolce del mondo. E credo di esserlo stata davvero per un primo periodo della mia vita; finché non sono cominciati i casini. Dicevo; i casini iniziarono quando i miei genitori cominciarono a litigare. Praticamente vivevo la mia vita in macchina, portata da una nonna all’altra, perché dicevano che non era un ambiente sano ed adatto ad una bambina, quello in cui stavo vivendo. Ma non sapevano che stavano facendo crollare il mondo addosso ad una bambina di appena otto anni. I miei genitori non erano mai a casa, i posti più probabili in cui poterli trovare forse erano il tribunale o un bar in cui si stavano ubriacando. In base ai fatti che stavano accadendo, io rimanevo sempre più tempo da sola a casa ed iniziai ad avere paura praticamente di ogni cosa: dell’armadio, del corridoio, di luci spente e di luci accese. Iniziai ad avere paura della mia stessa ombra. Alcune notti, lo ricordo con freddezza e dolore, quando mia madre non tornava e forse Dio solo sa cosa faceva, per la paura mi rannicchiavo in un angolo della casa e rimanevo con gli occhi sbarrati e dovevo toccare con spalla il muro, perché avevo paura che qualcosa potesse prendermi da dietro e portarmi chissà dove. Se le telecamere di casa avessero mai filmato qualche scena di quei momenti, sono certa che sarebbe parso come un film dell’orrore. La conseguenza radicale fu che mi chiusi totalmente in me stessa. Non parlavo con nessuno, preferivo pranzare da sola e tutti gli altri bambini si allontanavano da me; ma questo forse perché i capelli biondi ricoprivano un visto stanco, ormai quasi bianco come la ceramica per la paura e per la stanchezza e le occhiaie che mi incorniciavano gli occhi azzurri, anche quelle dovute alla paura. I miei genitori mi stavano distruggendo. Eppure loro dovrebbero essere la giuda, come dice Gesù, spirituale e morale dei proprio figli. Per me furono solo la peggiore cosa che mi potesse capitare al mondo. Nessuno voleva essere mio amico, nessuno voleva giocare con me. Il perché riuscivo a capirlo benissimo da me. Ero la bambina disagiata, quella che le mamme dicevano ai propri figli di non frequentare, “quella” strana. La “strana” era il mio soprannome.
   
 
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