Anime & Manga > Last Exile
Segui la storia  |       
Autore: Kanchou    29/09/2008    6 recensioni
C’è sempre stata una tensione “non professionale” tra Alex e Sophia. Ma ora sembra che stia prendendo il sopravvento su di loro…
Genere: Romantico, Introspettivo, Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alex Rowe, Sophia Forrester
Note: Lemon, What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


13. “Yuris ormai non c’è più”



Il portellone della vanship si aprì, Sophia apparve.

Era seria, come una sovrana.

Scese il primo, il secondo scalino, toccò la piattaforma d’atterraggio. Si sforzò di pensare che quello era il suolo di casa, dopotutto.

Marius la guardava negli occhi con trepidazione. Sophia non sorrise.

La lunga veste di seta frusciava intorno al corpo. Non era abituata a quel suono pacato e tagliente col quale si espandeva l’identità regale tenuta segreta a bordo della nave.

Abbassò gli occhi, solo per un attimo. Ancora una volta pensò al corpo che l’aveva stretta per tutta la notte. Solo la millesima parte dell’amore che Alex era capace di dare. Quello che aveva dato a Yuris. Immenso. Ora lo capiva.

Le aveva preso il volto tra le mani e poi accarezzato i capelli per farla addormentare.

Non le aveva detto di amarla.



§§§



Il comandante non aveva accompagnato il tenente colonnello Forrester alla pista di decollo. Non rientrava nei suoi doveri ufficiali.

Aveva osservato l’allontanarsi della vanship imperiale rossa da un oblò del ponte di comando, ripetendosi che salutare Sophia sarebbe stato per entrambi comunque più penoso di quell’assenza di parole.

E quando il puntino rosso era sparito nell’azzurro splendente della mattina, Alex non era stato capace di rimanere sul ponte all’improvviso vuoto, con le voci, i rumori quotidiani diventati surreali ed estranei, con gli ufficiali che ad ogni occhiata sembravano rimproverarlo tacitamente di quella partenza inattesa.

Uscì all’aria aperta. C’era vento, lo sentì freddo sulla faccia. E sotto i guanti fini, fredda, quasi gelida, anche la ringhiera della terrazza panoramica. Alex non sapeva che nello stesso punto, la sera prima, si era appoggiata la mano di Sophia.

Ma a lei pensava e alle sue mani tenere.

Yuris…non aveva quelle mani.

Yuris aveva mani da artista. Sensibili, nervose, vive, mani che esploravano il mondo come le ali di un falco. Mani lunghissime, persino troppo, e mobili, snodate come quelle di una danzatrice, voraci di conoscenza, forti e aggraziate qualsiasi cosa facessero.

Le mani di Sophia erano piccole, affusolate, sempre in ordine. Si posavano sulle cose con una delicatezza discreta, come se si accontentassero di portare dolcezza e comprensione, e cercavano timidamente, ma senza incertezza, senza fragilità. Erano mani fatte per toccare il cristallo, per accarezzare e crescere un figlio e dare la felicità a un uomo.

C’era stato un momento in cui nella notte passata era stato felice. D’improvviso, solo per un attimo, l’inquietudine e il senso di colpa erano scomparsi e con essi persino il desiderio furioso di annullarsi dentro il corpo di Sophia.

Ricordava la luce pallida dell’alba sul suo dolce viso estenuato. Anche lui era sfinito. Aveva chiuso gli occhi, ma senza dormire, cullandosi del respiro che sentiva accanto a sé. Poi, d’un tratto, aveva sentito un tocco sulla bocca. Un bacio a fior di labbra, così piccolo, così delicato da sembrare quasi solo un sogno. Un bacio che non chiedeva nulla, perché Sophia, credendolo addormentato, non desiderava svegliarlo. Tutta la semplice grandezza del suo amore era in quel bacio. Non c’era altro. E lui aveva sentito qualcosa frantumarsi dentro, ma senza dolore, no, solo con la sensazione che tutto fosse semplice e bello come quel bacio e come era lei, tutta quanta, il suo viso, il suo odore, la sua pelle accanto.

Le aveva preso il viso tra le mani. Perché era la donna più bella del mondo e meritava di più, meritava gioia e devozione. Perché voleva dirle ciò che provava e mille altre cose. Perché doveva dirle una cosa…una sola, quella che ancora adesso non riusciva a scollarsi dalla testa.

Tornò dentro la nave. Salire al ponte era fuori discussione.

Mentre camminava verso la cabina, continuava a ripetersi che doveva essere diventato definitivamente pazzo.



§§§



Da una parte, sopra la porta, apparve il volto contorto di un condannato legato al palo di un rogo. Più in là, separato dall’ombra, i denti digrignati di un uomo sotto tortura e lì, proprio sopra la finestra, la spada del boia che decapitava una fanciulla. Le immagini sprizzavano dall’oscurità della stanza come nel cielo notturno i lampi di un temporale lontano.

Non scene complete. Pezzi sparsi di composizioni distese sulla volta della cella da artisti morti cento e cento anni prima, tutto ciò che degli affreschi la fiamma sulla candela permetteva di scorgere col suo ondeggiare lento.

Torture. Esecuzioni capitali.

Come quella che spettava a lei. Tra un giorno, tra un’ora, forse, secondo la volontà dell’imperatore. Questo era il destino che un padre assegnava a una figlia.

Padre

Quante volte aveva pronunciato quel nome! Eppure mai, mai dalle sue labbra era uscito con la vibrazione del sentimento che avrebbe dovuto accompagnare quella parola. Padre, Altezza, Sire, nomi tra loro legati come anelli di una catena di ferro. Padre. Una parola così vuota per lei.

Aveva sondato il cuore di quell’uomo corrucciato, vestito di nero, seduto in trono. Gli aveva chiesto pace e pietà per i disperati di Disith. E lui, suo padre, non l’aveva ascoltata, ma aveva gettato su di lei le parole dure dell’accusa di tradimento, senza incertezza e senza dolore.

Anche con lui la sua voce era come muta. Anche le orecchie di suo padre erano chiuse, il suo cuore remoto.

E’ destino che io debba aspirare inutilmente all’amore di un uomo.

Alex non l’aveva tenuta accanto a sé. L’imperatore la condannava.

Inutile. Ovunque io vada, sono inutile.

Questo era persino più spaventoso della condanna a morte.

Aveva lasciato la Silvana col cuore gonfio di dolore, ma confortata dalla speranza di essere utile. Abbandonava Alex, ma per uno scopo più grande del suo amore.

Ora quel sacrificio aveva perso ogni significato. Era sola, non amata. Perfettamente inutile.

La gioia provata la notte prima era svanita come una goccia d’acqua nella sabbia. Nemmeno scavando riusciva a sentirne il fresco contatto sulle dita.



§§§



“Sophia! Sophia!”

La voce di Yuris, calda e vivace come allora, la chiama.

Chiude gli occhi e quando li riapre è una bambina di nove anni assorta a guardare il cielo.

Un falchetto è passato ad ali distese nell’azzurro estivo e Sophia, come incantata, ne ha seguito il volo tranquillo fino alle alte cime del bosco.

“Sophia! Il servizio tocca te.”

Li vede tutti, ancora sull’erba verde del piccolo parco del palazzetto che sorge vicino alla Prima Acqua, la purissima sorgente imperiale. Yuris, come lei in completo da tennis bianco, ha i capelli legati a coda di cavallo e il bel volto abbronzato e sorridente. Marius studia una mossa su una scacchiera d’avorio. Ripara la testa dal sole con un buffo cappello di paglia che Yuris gli ha regalato per scherzo. E qualche metro più in là, presso il bordo del campetto da tennis sul quale giocavano le due ragazze, Alex guarda la partita seduto sull’erba. Ha i piedi scalzi e i pantaloni arrotolati sul polpaccio ancora bagnati per aver camminato nella sorgente.

Fa caldo, ma il fresco alito della fonte che gorgheggia oltre il boschetto rende l’aria piacevole, di quella dolcezza estiva che invita alla compagnia e alla spensieratezza.

“Sophia! Se continui a distrarti, dovrò giocare con Alex. A tennis fa pena.”

La bambina lancia in aria la palla e la colpisce tranquillamente con la racchetta. Cresce in altezza a vista d’occhio, ha gambe lunghe da cavallino. Yuris le dice spesso che anche per lei è stato così: presto smetterà di allungarsi e prenderà delle belle forme femminili, perché Sophia le somiglia in tutto.

Nei pochi istanti in cui attende la palla rilanciata da Yuris, Sophia nota che Alex ha rivolto un occhiolino proprio a lei. “Se faccio pena,” scherza il ragazzo “è solo colpa della mia pessima insegnante.”

Sophia segna un punto. “Yuris ha insegnato a giocare anche a me” dice mentre si prepara a lanciare nuovamente la palla del servizio “e non sono poi così male.”

“Ah ah!” esclama Yuris.

Alex sorride e si allunga all’indietro, appoggiando i gomiti sull’erba. “Sì, ma a me ha insegnato diversamente. Lo ha fatto apposta per impedirmi di batterla.”

Marius ridacchia senza alzare lo sguardo dalla scacchiera.

“Papà!” sbraita Yuris.

Sophia corre a recuperare la palla finita in una siepe. E’ un’ottima scusa per allontanarsi. Sente che le guance le bruciano, deve essere arrossita e non ne sa il motivo. Forse perché si vergogna di aver contraddetto Alex o forse perché ha notato lo strano sguardo che Yuris ha rivolto al ragazzo, uno sguardo così diverso da quelli affettuosi che rivolge a lei o a suo padre.

Fruga nella siepe e trova la piccola sfera bianca. Torna indietro palleggiando, ma dall’altra parte della rete non vede più nessuno. Il campo è vuoto, al posto di Yuris c’è la sua racchetta abbandonata per terra.

Si volta e li vede. Loro tre sono insieme, sul prato al bordo del campetto. Yuris si è chinata sulle spalle di Marius e lo abbraccia. Gli ha spostato le pedine sulla scacchiera per dispetto, ma il padre ride, mentre lei gli bacia la guancia. Alex le si è messo accanto, sulla testa ha il cappello di paglia che Yuris ha tolto a Marius, e la fissa incantato come se fosse la creatura più bella del mondo.

Sophia resta immobile al centro del campetto. Dall’altra parte, sull’erba, c’è un’armonia che lei non conosce.



§§§



Come sempre, i passi del comandante risuonavano calmi nei corridoi metallici della nave.

E mentre il fruscio del mantello si disperdeva alle sue spalle. Alex cercava di ignorare, ma senza successo, la sensazione di vuoto che percepiva dietro di sé, ora che il camminare di Sophia non lo seguiva a un passo di distanza, ora che sapeva che nessun corpo avrebbe sfiorato il suo se si fosse fermato all’improvviso.

Scacciare quella strana sensazione di solitudine sembrava impossibile, come cercare di allontanare l’ombra proiettata dal proprio stesso corpo. Gli pareva di essere un insetto invischiato nella tela di un ragno. Tentava in ogni modo di liberarsi da quella sensazione per ritrovarsene prigioniero più di prima, come se continuare a ripetersi che tutto era normale, che la solitudine era la sua condizione necessaria e naturale, non facesse altro che aumentare l’angoscia per la distanza che lo separava dalla vanship rossa partita quella mattina e dal respiro tranquillo di Sophia, allo stesso modo che dieci anni prima le urla gridate nel Grand Stream non erano servite ad altro che a renderlo più disperatamente inutile mentre il corpo di Yuris svaniva nella corrente.

La verità era semplice, per quanto ancora non avesse il coraggio di ammetterla, a se stesso e alla donna che aveva lasciato mestamente la nave, sconfitta dalla sua ostinazione. Una verità che bere non era stato sufficiente a cancellare, quella mattina. D’altronde il whisky era sempre stato inutile, tranne che per vincere l’insonnia o per aiutarlo a sopportare l’orrore che gli si spalancava dentro a tradimento.

Nemmeno l’immagine di Yuris era venuta a soccorrerlo, perché era svanita in una nebbia densa e profonda dalla quale non era più riemersa, e inutile era stato continuare a cercarla nella fotografia sbiadita. Del suo volto vedeva i singoli tratti, le labbra sorridenti, le sopracciglia regolari, gli occhi bruni e dolci, ma senza riuscire a comporre l’immagine che da allora era almeno riuscito a tenere dentro di sé con una percezione nitida e costante. Soltanto adesso lei pareva davvero morta, dissolta non dal tempo ma dalla forza invadente di sentimenti nuovi, non voluti, disperatamente combattuti.

Si sentiva sull’orlo, non sapeva di cosa. Solo di questo era certo, che da una parte e dall’altra c’era un baratro vuoto. Non trovava Yuris, ma non era capace nemmeno di riempirsi l’anima di Sophia. E questa era la prova di quanto fosse morto, di quanto ormai somigliasse a un’ombra fredda ed immobile.

O forse no…forse…

Per due volte, da quella mattina, qualcuno lo aveva rimproverato, il ragazzo che lo aveva sorpreso a bere nella cabina e il vecchio che lo aveva battuto a scacchi. Claus aveva difeso ingenuamente il cuore ferito di Sophia, Recius gli aveva ricordato che tutto ciò per cui avrebbe dovuto combattere aveva appena lasciato la nave. Nessuno dei due aveva capito il suo nuovo tormento e quanto fosse tremenda per lui la lotta che stava combattendo per continuare a difendere qualcosa che avrebbe dovuto dare un senso alla sua vita e che non vedeva più.

Si sentiva un fantasma, mentre percorreva lo stesso corridoio deserto in cui Sophia lo aveva trovato la sera prima. Ora i suoi passi gli giungevano come se appartenessero ad un altro, forse all’uomo che già, nella confusione di avere scoperto d’amare, aveva percorso i metri tra una cabina e l’altra e sfiorato una porta e poi baciato la fronte che si offriva a lui e affondato le mani in capelli soffici e cercato una bocca per colmare la distanza tra ciò che era e ciò che poteva essere.

Entrò senza rumore nella cabina del vice-comandante completamente vuota. Lei non era dentro, non era in nessun posto. I suoi libri mancavano, gli scaffali erano vuoti, gli spazi desolati. Tutto era stato lasciato in un ordine anonimo, come se lei non avesse mai vissuto là dentro e nemmeno sulla nave.

Ma l’aria – ogni particella di ciò che Alex respirava - sembrava ancora impazzire di lei: il suo profumo resisteva tenacemente, fluttuava sul letto, tra le pareti di metallo, come una creatura imprigionata in una gabbia.

Era il profumo che aveva assaporato dal suo collo, assorbito dai suoi capelli, inseguito in ogni parte del suo corpo, odore di pelle e di fiori nel quale si era stordito, mentre tutto di lei sembrava dirgli che Yuris non c’era più e che l’unico sorriso al quale avrebbe voluto rispondere non era quello fissato dalla vecchia fotografia ma quello di Sophia.

Alex si lasciò cadere sul letto.

Yuris ormai non c’è più.

Ma no, non era per questo che ora si sentiva vuoto e solo.



Segue capitolo 14…



Note e ringraziamenti

Non vedo l'ora di finire questa storia. Non ne posso più! Ma ci sono varie cose da raccontare ancora e spero che non abbiate perso la pazienza. Ringrazio le persone che hanno letto, amato e recensito.

Stavolta (ma solo per questa volta), però, lascio una risposta solo alle due ragazze che non avevano mai recensito prima, perché so che hanno tardato a farlo per timidezza.

Aleteia – Anche tu hai fatto una gran bella analisi, non ti è sfuggito niente. Mi piace troppo quando i lettori sentono e si emozionano proprio come speravo. Sul fatto che Alex sia proprio un personaggio alla Byron, ti do completamente ragione. Ti dico solo questo: nel capitolo 2, quello del vino, e poi nel 12, ho messo proprio una citazione da Byron (quando Alex dice che ci sono piante bruciate dal gelo alla radice e poi nel 12, quando pensa di essere una pianta uccisa dal gelo, riprende proprio un monologo del Manfred di Byron.

Halina – veramente, mi sorprendo sempre quando dicono che nelle mie pagine metto tutte queste emozioni. Io non me ne rendo conto. Grazie anche a te, è troppo bello sapere che ho un’altra lettrice così fedele.

  
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Last Exile / Vai alla pagina dell'autore: Kanchou