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Autore: Maximilian    30/09/2008    11 recensioni
Cos'è il tempo se non la più raffinata arte del raccontarsi e raccontare? Non v'è mondo irraggiungibile, non v'è destinazione alla quale l'occhio non possa giungere.
Attraverso il tempo, l'animo assapora lo specchio di sé.
Attenzione, Alternate Universe non è necessariamente sinonimo di OOC. Lo preciso perchè talvolta questo genere d'avvertimento viene confuso.
Genere: Azione, Suspence, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Prima d’iniziare vi ricordo che questa è un’alternate universe, quindi alcuni luoghi, personaggi e vicende non appartengono al mondo del manga o dell’anime. Alcune caratteristiche sono state modificate per rimanere fedeli allo scritto. Alcune scene non potrebbero essere adatte ad un pubblico minore, (non eccessivamente ma è sempre bene avvertire) quindi si consiglia di prendere nota degli avvertimenti della fic prima di leggere. Ringrazio Urd, per avermi aiutato con lo scritto e per avermi consigliato su come renderlo al meglio. Bene, non credo ci sia da dire altro. Buona lettura dunque.

Note di copyright : I personaggi di Ranma ½ appartengono a Rumiko Takahashi e questa è solamente l’opera di un fan della serie.

A Leap Into The Void

Prologo

La scia della saliva in gola che lentamente si coagulava col sangue. Un distillato di pura agonia che si rimescolava densa al martellare incessante del battito cardiaco. La spuma del mare che si preoccupava di lambirgli i capelli sciolti, sparsi a ventaglio sulla sabbia asciutta. Arida come l’udito che, lentamente, lasciava dietro di sé i rumori sconnessi e metallici della katana, oramai riversa e conficcata nel suolo sottostante.

Non un alito di vento osava disturbare quello che era divenuto il palcoscenico della loro battaglia, nemmeno il fremito d’ali di qualche rapace. Tutto era rimasto così, intatto come la natura l’aveva creato. Solamente il suo destino in quel momento era cambiato, a cominciare dalla necessità impellente del corpo di stramazzarsi al suolo a causa della fatica accumulata.

Gli stessi occhi che l’avevano visto nascere sedici anni prima, ora lo stavano osservando.

Uno schermo di bruma in quel momento scendeva ad adagiarsi sul suo corpo, lo si sarebbe potuto fendere con una lama.

Suo padre era rimasto immobile ad osservarlo : nessun movimento, a parte quello delle iridi gli si scorgeva in volto, le muoveva come un falco pronto ad agguantare la preda. Se non si fosse rialzato, in quel preciso istante avrebbe sicuramente ricevuto la morte.

“Alzati!” la sua voce bassa e atona lo stava risvegliando, rinvigorendo quella che in lui s’era tramutata in rabbia.

Non poteva arrendersi!

Il riversare terso delle onde  stava raggiungendo il suo orecchio, assieme all’imperativo comando del genitore. Si fece forza sulle braccia, stremando anche la più piccola stilla di forza rimastagli dentro.

Riuscì a sollevarsi col busto, sino a poter sollevare lo sguardo su di lui. Lo colse improvviso un impulso: quello di strappargli dal volto quell’espressione di sufficienza. Avrebbe voluto gridargli in faccia d’essere suo figlio in fondo, di non meritarsi un allenamento del genere. Non lo fece. Lo stress e l’ansia accumulati in quei giorni, l’avevano portato al punto di non poter più sopportare, di dover reagire. Persino le cicatrici sul corpo parvero infiammarsi sotto quel segnale improvviso.

Lo fece. Gli obbedì prontamente, sollevandosi su entrambe le ginocchia, per poi trovarsi di nuovo in piedi di fronte a lui.

“Continuiamo!” aveva accennato, prima di gettare un’occhiata all’infamante distesa di sangue che in quel momento striava, in un orrido spettacolo, la laguna.

Il padre avanzò di pochi passi, estraendo la spada del figlio dalla sabbia.

“Sei troppo debole, non riuscirai mai a manovrarla come dovresti; se continuerai di questo passo sarò costretto ad interrompere gli allenamenti.” L’aveva proferito in una tonalità così fredda, che la lama che gli fece passare sotto il mento, parve addirittura ustionarlo.

Sollevò un braccio deciso, aggrappandosi con la mano al filo della vecchia katana, stringendolo con quell’ultimo alito di forza rimastogli dentro.

“Non darmi del debole!” era stato secco, aggressivo com’era nella sua indole. Non aveva mai portato rispetto a colui che diceva d’essere suo padre. Non l’aveva nemmeno considerato mai tale, forse.

Il tramonto, infine, annegò all’interno dell’acqua lentamente, gettando riverberi di luce sulla lama arrossata.

Se vi fossero stati spettatori, avrebbero ammirato quel quadro di figure umane così singolarmente disegnato a quell’ora. Erano rimasti come due statue, l’uno dinanzi all’altro, dopo le parole del figlio. Un sorriso nascosto pose fine al silenzio semi imposto dalla circostanza.

“Stai crescendo Ranma” furono le sue ultime parole, prima di lasciar ricadere nuovamente la spada, stavolta in mano al suo avversario che la trattenne.

L’aggirò con circospezione, prima di fermarsi all’altezza della sua spalla. I fuochi scarlatti del crepuscolo s’infiammarono nello sguardo del giovane primogenito dei Saotome, i quali parvero assumere una tonalità del tutto innaturale.

“Lo so, non c’è bisogno che tu me lo dica” rispose prontamente. In quel momento aveva trattenuto un sospiro interiore che s’era adagiato celere alla base del diaframma, per non sfuggirgli dalle labbra.

Non avrebbe mai mostrato un minimo cenno di soddisfazione.

Genma Saotome continuò a sorridere senza aggiungere altro, sollevando semplicemente il capo verso l’alto in una sorta d’assenso, per poi avviarsi all’ingresso della tenuta estiva.

Rimase solo. Finalmente. Non s’adagiò però sulla spiaggia, come avrebbe dovuto fare; in fondo era stremato, ferito, umiliato. Chiuse gli occhi, lasciandosi sfiorare dalla brezza marina: aveva un qualcosa di calmante. Sin da bambino, quel gesto l’aveva aiutato a tranquillizzarsi.

Poco dopo, lasciò cadere la spada, aprì la mano portandola davanti al viso e ne osservò il palmo sfregiato. Non sentiva dolore; ormai, il corpo completamente lacerato fungeva da catarsi a qualsiasi altro strazio.

“Io sono pronto, sei tu che continui a non crederci.” aveva asserito quella frase mordendosi la lingua.

Doveva imparare a trattenere quell’ira nei confronti del padre. Il suo destino dipendeva da lui, da quel vecchio pazzo che continuava ad allenarlo con la delicatezza d’un aguzzino.

Si spostò verso la battigia, laddove le spume d’un bianco puro concentravano maggior consistenza.

Avanzò sino ad immergersi all’altezza dei calcagni. Sentì lentamente la pelle sfrigolare al contatto col sale e mano a mano che arrancava nell’acqua, i tagli prendevano a bruciare e a disinfettarsi lentamente. Resistette sino all’addome, dove la casacca s’apriva in uno squarcio ampio, liberando in parte la carne viva arrossata dalla sua stessa linfa. Fece stridere i denti, nel momento in cui l’acqua andò a rasentare quella porzione di pelle. Gli parve quasi corrosiva ed allo stesso tempo detergente.

Non ho imparato a sopportare il dolore. Un pensiero che lo fece alterare più di quanto già non lo fosse prima. In tutto quel tempo cos’aveva fatto? S’era divertito a giocare con dei pupazzi forse?

Si chiedeva quanto avrebbe dovuto attendere ancora per poter divenire Guardiano. La sua attuale situazione ostacolava la riuscita di quel suo intento.

Quel vecchio in realtà cercava solamente d’aiutarlo, solamente che lui non voleva rendersene conto. Se fosse divenuto custode, non l’avrebbe di certo dovuto a  lui. Doveva riuscirci da solo, con le sue forze.

Ricadde in ginocchio nell’acqua, immergendo il braccio destro in profondità, sino a raccogliere parte del fondale al suo interno. I capelli scuri seguivano le pieghe dell’acqua, muovendosi sopra di essa.

S’immerse completamente, ritrovandosi nel nulla incontrastato.

Rumori annullati.

Niente più dolore a tormentarlo. Solamente lui finalmente. Fu proprio in quel momento che si sentì di dover lasciar libero quel sospiro trattenuto, proprio lì sotto, nascosto da tutto e da tutti. Le labbra si schiusero, permettendo al fiato d’uscire sottoforma di bolle sotto il pelo dell’acqua. Le richiuse seduta stante, impedendo la fuoriuscita ulteriore dell’aria rimastagli a disposizione.

La forza ritrovata poco prima lo stava lentamente abbandonando, lasciando il posto alla spossatezza. Si tirò su nuovamente, le stille d’acqua presero a scivolargli addosso, quasi avessero incontrato un corpo liscio al loro passaggio.

Il sapore salmastro gli invase la bocca, insieme con l'ultimo sorso di sangue. Assieme ad esso s’estinse anche il livore che covava nell’animo sino a pochi istanti prima.

Era riuscito a riprendere il controllo di sé. Sin dall’infanzia, l’unico modo per fuggire alla perdita dell’autocontrollo, era quello d’entrare in contatto con l’acqua. Un’ affezione sconfinata l’aveva sempre legato a quel tipo d’elemento, per un motivo o per l’altro, era stato sempre presente nella sua vita.

Una volta divenuto guardiano però, avrebbe dovuto abbandonare per sempre quell’unico lido di contentezza.

Risalì la sponda, gettandosi indietro, nuovamente sulla sabbia. Chiuse gli occhi, concedendosi finalmente riposo.

Presto abbandonerò questo luogo e allora dirò addio anche al tuo ricordo , sino ad allora, manterrò la mia promessa.



Note di Max: Ringrazio Laila per avermi fatto notare quel 'sarebbe' vagante, dev'essermi sfuggito nella correzione. Ho modificato, ora credo sia ok.

Ringrazio anche Kuno per aver corretto periodi e punteggiatura che andavano sostituiti. Apprezzo moltissimo che mi facciate notare certi errori, ho provveduto alla correzione.

Non fatevi scrupoli, se notate qualsiasi cosa d’impreciso segnalate.

  
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