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Autore: EsterElle    13/09/2014    4 recensioni
Edmund Doyle è un vecchio strambo. Vive in una povera soffitta ma, in tasca, porta orecchini di perle e monete d’oro, veste di stracci e conserva sete preziose in una cassapanca. In questa storia, ci parlerà di sé e, soprattutto, di Orla.
Che non esiste.
(Seconda classificata al contest "AAA Protagonista cercasi" indetto da Mariam_Kasinaga)
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Nick sul forum/EFP:  Ester/EsterElle
Titolo: Storia di Orla
Schema scelto: Tragediografo
Coppia: Nessuna
Lunghezza: 5 pagine (Times New Roman 12)
Rating: Giallo
Eventuali note: Certi passi potrebbero trarre in inganno, ma in questa storia non c’è nulla di sovrannaturale: niente fantasmi, spiriti o zombie! E, aggiungo, a scanso di equivoci e spiacevoli fraintendimenti, neanche di erotico! Probabilmente, però, non è la storia ideale per persone facilmente impressionabili!!
Breve introduzione: Edmund Doyle è un vecchio strambo. Vive in una povera soffitta ma, in tasca, porta orecchini di perle e monete d’oro, veste di stracci e conserva sete preziose in una cassapanca. In questa storia, ci parlerà di sé e, soprattutto, di Orla. Che non esiste.

 
 
 

 
 

 
Storia di Orla

 
 
Dal cappello del vecchio Edmund Doyle correvano rivoletti d’acqua; nella sua barba bianca e irsuta, macchiata di fango e di zuppa, si impigliavano mille goccioline.
Il “ciaf, ciaf” dei suoi stivali nella melma accompagnava ogni suo passo lungo la via principale del piccolo villaggio di Market Chipping[i]. Tra le dita della mano destra, sprofondata nella tasca del suo pastrano, rigirava alcune monete d’oro.
La pioggia era arrivata prima dell’alba, quella mattina di metà novembre, e sembrava voler rimanere con gli abitanti del borgo fin dopo il tramonto. Ma, di questo, Edmund Doyle non si curava.
Camminava lento e a volto basso, curvo, registrando il risveglio delle botteghe dopo la lunga notte. Il profumo fragrante del pane appena sfornato, l’odore acre proveniente dalla conceria, il martelletto del ciabattino che scandiva i secondi: Edmund aveva imparato ad amare questo tipo di spettacolo.
“Buongiorno signor Doyle” salutò un ometto tutto nero sulla porta del bordello di Madama Lyla.
Edmund ricambiò con un pigro cenno del capo e fece per proseguire.
“Signor Doyle, signore, scusi un momento!”
Si voltò con studiata lentezza, allora, e sollevò un solo sopracciglio.
“Si, ecco, mi chiedevo se può aiutarci qui, con una certa faccenda” continuò l’omuncolo, rigirandosi una bombetta nera tra le mani.
Una faccenda di bordello: alquanto strano e interessante. Annuì.
Fu allora che la porta nera e sbilenca della casa si aprì cigolando; i canti e le urla della notte non si erano ancora esauriti e il vecchio Ned riuscì a cogliere un refolo di profumi orientali e il calore di un fuoco. Poi, la porta si richiuse.
Quindi, un secondo uomo si apprestò a scendere in strada; tra le braccia, portava un lungo fagotto avvolto in un lenzuolo macchiato di sangue.
Con un colpo secco, una delle finestre al piano superiore si chiuse e ad Edmund sembrò di udire l’eco di un singhiozzo.
“Perfetto John, passala a me” mormorò l’uomo con la bombetta, allungando le braccia.
Gravato di quel fardello, piegò le ginocchia e, con un sorriso triste, fece cenno ad Edmund di raggiungerlo.
“Bene, signore, portiamola sul carretto” disse.
La pioggia batteva senza sosta e presto il sottile lenzuolo grigiastro divenne fradicio. I due uomini adagiarono quel bozzolo su un carro sgangherato, guidato da un vecchio cavallo pelle e ossa.
Lì, sulle assi di legno umide, il corpo stava disteso con grazia; perché, ormai, era chiaro che di un cadavere si trattava.
“Voglio vederlo in faccia” chiese il vecchio Doyle, con la sua voce bassa e profonda.
“Come, signore?”
“Scopri il suo volto” ripeté, perentorio.
Il piccolo uomo in nero non perse tempo a discutere; con lentezza, fece scivolare via il lenzuolo dal corpo pallido di una donna. Era completamente nuda e la sua pelle di cadavere era ricoperta dalla fitta rete delle gocce di pioggia.
Edmund le sfiorò una guancia gelida con la più impalpabile delle carezze.
“È bellissima” mormorò.
“Andiamo, signor Doyle! Era solo una puttana. È morta questa mattina presto” s’innervosì il suo compare, che le stramberie proprio non le sopportava.
“Una puttana” ripeté Edmund in un soffio di voce, mentre le prendeva la mano piccola tra le sue.
“È perfetta. Una puttana perfetta”.
L’uomo prese a far vorticare la bombetta, in ansia.
“Si, infatti. Adesso deve scusarmi, ma mi aspettano al campo santo. Con permesso” mormorò, affrettandosi a montare a cassetta.
Una mano sulla spalla fu più che sufficiente ad impedire al piccolo uomo di mettersi in marcia.
“Lei, la ragazza, la porto con me”.
“Non è possibile, signor Doyle, siate ragionevole! Bisogna tumulare il corpo prima che sia troppo tardi” cercò di convincerlo il becchino, con una nota di disperazione nella voce.
“Non temete; baderò io a lei”.
“Ma è già stata scavata la fossa! E, per di più, è immorale prendersi gioco dei morti. Vi prego, lasciatela andare”.
Doyle restò qualche minuto in silenzio, faccia a faccia con il viso da topo dell’uomo. Infine, estrasse dalla tasca cinque monete d’oro e le posò con studiata lentezza, una ad una, sul sedile del carro.
Il becchino deglutì a vuoto.
“Lei la portò con me” ribadì, con l’ ombra di un sorriso sul volto rugoso.
Senza aggiungere altro, sistemò con cura il lenzuolo fradicio sul corpo della donna e vi gettò sopra il suo pastrano. Poi, la prese tra le braccia, con la delicatezza di un innamorato.
L’uomo a cassetta l’osservava, senza osare proferir parola; con un gesto lesto della mano, intascò le monete e diede voce al cavallo.
Rimasto solo, Edmund Doyle strinse il fagotto più vicino al suo petto e camminò a passo svelto lungo le vie di Market Chipping.
Edmund viveva in un sottotetto; i lucernai portavano la luce del sole nascente nella stanza ingombra, quando questi vi entrò col suo prezioso carico.
Preso da una strana frenesia, sgomberò il tavolo da cucina con un movimento secco del braccio, lasciando che ciotole e bottiglie, fogli e calamai, andassero a schiantarsi sul pavimento.
Lì adagiò il cadavere della donna e, pian piano, la scoprì del cappotto e del lenzuolo macchiato di sangue.
“Sei così bella e piccola, mio tesoro” prese a mormorare, mentre le girava intorno.
Le raddrizzò le gambe e le braccia, piegò il suo viso leggermente a sinistra. Distese le sue mani, lasciando i palmi aperti e rivolti verso l’alto.
Calpestando le cianfrusaglie sparse sul suo pavimento, si avventò sulla brocca colma d’acqua e ne versò una generosa quantità in un bacile. Cercò a lungo in un vecchio armadio basso, fin quando non ne emerse stringendo tra le mani una piccola boccetta scura; versò anche il suo contenuto nel catino. Un fragrante profumo di zagara si diffuse nell’aria, clandestino, importato sotto il naso di frati ben pasciuti.
Con la delicatezza di una mamma verso il suo bimbo appena nato, Edmund Doyle si avvicinò alla donna con un panno zuppo di quella mistura e prese a ripulirle il volto e il petto, le braccia e le gambe, fino a quando nessuna macchia, nessun granello di polvere, rimase sulla pelle cinerea.
E intanto, parlava.
“Raccontami, piccola, raccontami la tua storia. Ti ascolto, non vedi? Come sei finita qua, chi ti ci ha portato?” mormorava, sfregandole le guance con dedizione.
“Davvero, dici? Solo sedici anni. È così triste averti qui, con me. Dovresti essere in un prato a giocare con le amiche, in casa a preparare il pranzo ai fratelli. Dovresti dormire nel tuo letto, sognare bei sogni, e non su questo tavolone. Trovare qualcuno da amare”.
“E poi? Com’è andata? Racconta, ti prego”.
Con mani delicate, le districò i nodi dai capelli bruni; li lavò, profumo, intrecciò.
“D’accordo, non voglio obbligarti. Sei bellissima, lo sai?”.
“Te l’hanno detto in molti, si, ci credo”.
La ragazza aveva un viso sottile, la fronte ampia, gli zigomi alti. Il naso forse un po’ all’insù, la bocca dalle labbra troppo carnose; ma era un volto bellissimo, il pallore della morte incorniciato dai capelli scuri.
“Ancora non mi hai detto come ti chiami, però” mormorò il vecchio mentre rovistava in una grande cassapanca senza una gamba.
“Orla. Orla. Un bellissimo nome, mia cara” sorrise, mentre la vestiva di una sottoveste di seta.
Dalla tasca dei calzoni sfilò due piccoli orecchini di perle e glieli infilò alle orecchie già forate.
“Un tocco di classe, che dici?”
“Chissà che voce dolce che avevi, e che dolce sorriso” bisbigliò, mentre le tingeva le labbra troppo pallide di una tintura rosata, pescata da un cassetto del tavolone.
“Io? No, mia cara, io sono un uomo senza allegria. Non so dirti come, né quando; ad un certo punto della vita, ho capito che di ridere non ne avevo più voglia. E’ il mio lavoro”.
Edmund Doyle si pulì le punta delle dite, macchiate di nero e di rosa, sui calzoni, e sedette un momento, su uno sgabello al lato della sua bella.
Il suo respiro stanco saturava la stanza, sempre più luminosa.
“Vedi, tesoro, c’è una maledizione su di me. Giuro, non sto scherzando. Posso dire solo ciò che c’è. Mi capisci?” disse, portandosi una mano alla fronte.
Poi, ridacchiò.
“No, no, nessuno incantesimo, nessuna magia. Io sono fatto così”.
“Preferisci raccontarmi di te? Certo che ti ascolto, son qui”.
“Si, sai di campagna. Vivevi tra i campi di cereali, una grande famiglia, un piccolo borgo. Piacevi a tanti, non è vero? Così bella!”
“Scusami, non volevo. Scusami. È stata la tua rovina questa bellezza, ma io non lo sapevo. Non lo dirò più”.
“Sognavi l’amore, lo so. Tutti lo cercano, si sa”.
“No, io no. Io non cerco più nulla, non ho bisogno di donne, la mia parte l’ho avuta. A me basta avere pensieri, sentirmi la testa pesante, vedere i miei concetti al di fuori di me. Vivo per questo. È il mio lavoro”.
“No, mia cara, non essere triste. Va bene così”.
“Orla, tesoro, scusa se chiedo. Ma…”
“Immaginavo. Così come sei, quante insidie avrai ricevuto! Chi supplicava un bacio alla tua bella bocca, chi smaniava una carezza. Anche al tuo paesello sei stata additata, perseguitata. Quand’è che l’amore si trasforma in oppressione, mi chiedi? Io non lo so, ma di certo tu si”.
“Eppure cosa?”.
“Non ci pensavo. Davvero è andata così? Chi conquistò il cuore di Orla, la bella?”
“Che voce sottile che hai! Ti prego, parla più forte”.
“Ah, beata gioventù! Ricci capelli, dolce d’aspetto, le spalle forti e parole gentili. Ingannò il tuo cuore, mia cara?”
“Già. Nei giorni lieti non si pensa all’inganno. Com’è vero che siam stolti, quando il cuore batte forte nel petto!”
“Orla!”
“Allora, ho un dono per te”.
Come una molla il vecchio Edmund si alzò; zoppicando, raggiunse la stessa cassapanca senza una gamba di poco prima. Non dovette cercare a lungo; subito ne venne fuori, portando tra le braccia metri e metri di stoffa bianca.
“Ecco, mia cara, indovina cos’è?” le chiese, mentre tornava al tavolo.
Con delicatezza, sollevò le membra rigide, permettendole di indossare il lungo abito che voleva donarle. Come una bambola, la vestì, sistemando le pieghe della gonna, gli sbuffi delle maniche, raddrizzando il pizzo sul corpetto.
La pioggia continuava a cadere sul tetto, la luce del sole brillava in egual modo nella soffitta ingombra. Il villaggio di Market Chipping tornava alla vita, ma nulla scalfiva la quieta atmosfera di quella stanzetta.
Una sposa giaceva sul tavolo, adesso.
“Si, è un abito da sposa. Ne hai mai visto un bello così?”.
“No, lo puoi tenere. Non hai mai avuto il tuo; questo io l’ho conservato per trent’anni e più”.
“Di mia moglie, Orla. Che è morta, proprio come te, si”.
“No, non parlo mai con lei. È morta, come si fa?
“Di questa tua storia, vorrei saperne di più, ti va?”.
“I preparativi eran fatti? Allora il matrimonio era proprio alle porte, povera cara”.
“Davvero crudele, quell’uomo. La notte prima delle nozze ti prese così, senza chiedere, senza aspettare. La gentilezza, mi chiedi? Non lo so, non so dove l’aveva nascosta questa anima nera. E poi?”.
“Scusa, non voglio farti soffrire”
“Si, so che sei morta, che non parli, che son solo in questa stanza. Ma mi dispiace farti soffrire. Ricordi? È  la mia maledizione; posso dire solo ciò che c’è”
“Si, bella Orla, continua così”.
“Ti lasciò sola nel granaio, alla luce dell’alba, rotta, spezzata, senza un perché. Mi chiedi se gli uomini son tutti così? Chi hai conosciuto tu, forse si”
“No, ti prego, basta. Non voglio costringerti a raccontare tutto il dolore, tutta la pena, di un tradimento. Non si è curato di te, della tua anima bella, della giovane età e dei sogni di bimba. No, non scusarlo, non lo farei”.
“E poi?”
“Quanto dolore per il desiderio di un uomo! La povera tua madre, il giusto tuo padre: che visione di te, rotta e aperta, come malata. Cosa accadde, Orla mia cara, chi consolò, chi ti curò?”.
“Non posso sentire, lo giuro!”
“No, non piangere tu, però. Scusa, ti prego, questo vecchio babbeo”.
“Ti ascolto, sfogati pure”.
“Fu la tua mamma a cacciarti di casa? Cuore di pietra, ventre di ferro, ad allontanare la propria creatura, come si fa?”.
“Orla, mia cara, lascia che io faccia qualcosa per te”.
Il vecchio Doyle, a quel punto, slacciò i bottoni della sua giacca e pescò una sottile catenina d’oro dal taschino interno.
Rigirò quel ninnolo tra le dita, in silenzio, per un po’. Piccoli inserti di corallo punteggiavano il braccialetto e una chiusura sottile ne segnava la fine. Con gesti goffi, Edmund lo assicurò al polso della ragazza morta vestita da sposa, ornata di perle, coi capelli intrecciati. Le sue grossa dita, macchiate di nero, trafficarono a lungo con i gancetti, ma, infine, il vecchio poté sollevarle il braccio ingioiellato e piegarlo delicatamente sulla pancia di lei.
“Ecco, ti piace?”.
“Mi chiedi cos’è, ma io so che tu già lo sai, Orla la furba”.
“Brava, hai indovinato. Era della mia bimba di un tempo, sposa infelice di oggi, lontana da me come da qui al mare”.
“Si”
“Sempre”
“Tieni, mia cara, fingi che sia il pegno di un padre affettuoso che non ha dimenticato. Farai questo per me?”
“Dove eravamo rimasti? Ah, si, mia piccola, continua così”.
“Eri sola, quaggiù?”
“Freddo, fame e povertà, ecco il dono della dama tua madre”.
“Quanto tempo sei rimasta tra le strade grigie di questo villaggio, al buio di questa città?”
“Chi? Chi fu il tuo angelo custode, che ti portò finalmente in porto sicuro?”
“Hai ragione, Orla, sono davvero uno stolto. Potevo arrivarci da solo; ormai la storia sta per finire, non è così?”
“Madama Lyla sa essere assai gentile, credo di si”.
“Bella, povera e disperata com’eri, che ghiotto bottino sei stato!”
“Le strade di Market Chipping non sono una casa, né un bel fuoco o un sorriso vicino. Di’, scampasti alla morte, allora, mia bella?”.
“Che vita d’inferno, che orrido affare! Hai avuto compagne crudeli, mi dici? Ma che fine fa, la solidarietà?”
“Si, Orla, tesoro, non posso mentirti. Ho pagato anch’io per un bel seno e dolci carezze, una mezz’ora di tempo e un fuoco speziato. Mi vergogno, mia bella, lo sai?”
“Giuro. Son troppo vecchio, ormai”
“Ripeti, ti prego”
“È brutto morire?”
“Si, non mi spavento. Un ultimo grasso cliente, un peso sul cuore, le mani fredde. Le troppe sofferenze han fatto il danno, Orla, mia cara”.
“È stato veloce? Meglio così; una caduta, il rumore di passi. E gli occhi si chiudon senza più frette. Vorrei fosse così anche per me, piccola bella”. 
“Orla, sei una sorpresa! Non ci pensavo, non ti vedevo a consumar le ginocchia nel far del mattino, a supplicare il signore buon Dio con la tua bella boccuccia”.
“Ti credo, si, non mentiresti”
“E per cosa pregavi, mia cara, se posso?”
“E lo sarà, mia dolce fanciulla. La tua anima salva e il perdono concesso. Qual dio crudele potrà mai negarti quest’ultima pace?”
“No, non c’è bisogno”.
“Orla, la buona, sei un dono del cielo. Ma io non credo in nessuno, al di là delle nubi. Ricordi? Posso dire solo ciò che c’è. È il mio lavoro”.
“D’accordo, puoi farlo. Prega per me, per questi miei ultimi giorni. Guida tu, da lassù, questi ultimi passi”.
“No, nessuno sforzo. Come si fa, a creare ciò che è nascosto? Tu sei diversa, piccola cara”.
“Cosa, come dici?”
“Ti senti pronta, adesso?”
“Aspetta, ti prego, permettimi di darti un ultimo dono”
Il vecchio si avvicinò ad uno dei lucernai e, con dita delicate, sfilò un elleboro profumato dal mazzo. Glielo appuntò tra i capelli, tra la lunga treccia odorosa di zagara. Le diede un bacio, sulla fronte gelata.
“Ecco, Orla, mia cara. Va pure e sii felice” mormorò infine.
“Grazie infinite”.
Con un gesto secco, prese il lenzuolo grigio e glielo gettò addosso, coprendola completamente.
Allora, zoppicò fino ad un banchetto presso la finestra e guardò giù, verso il villaggio; il Gran Teatro, l’edificio sotto la sua soffitta, apriva i battenti e una compagnia d’attori si affrettava ad entrare. Edmund Doyle sorrise mentre afferrava il pennino, le dita macchiate di nero, e lo intingeva nel vecchio calamaio. Si grattò il mento un secondo, lanciando uno sguardo fugace al tavolo dietro di sé.
“Posso dire solo ciò che c’è”.
Adesso, aveva una storia. Prima non c’era, non riusciva a vederla. Aveva cercato a lungo, scavato tra la memoria, inseguito la fantasia, supplicato l’immaginazione. Ma l’ispirazione non giungeva mai, mai, mai.
Che tragediografo da due soldi che era!
“Posso dire solo ciò che c’è”.
Doveva costruirla, la storia, e doveva essere più reale che mai. Chi era quella ragazza stesa sul suo tavolo da cucina? Edmund non lo sapeva. Eppure le aveva regalato una storia, una vita, ed ora stava per renderla immortale. Solo così sapeva comporre, solo così sapeva essere grande. Subito dopo, avrebbe riportato il corpo al cimitero, così composto, pronto per l’ultimo viaggio.
Intinse di nuovo il pennino.
La prima frase scivolò giù dalla sua penna liscia come l’olio.

 
«Ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per cento giusti che non hanno bisogno di conversione»
Questo pensai guardando Orla, la bella, quella notte, nel granaio. Questa, è la sua storia.
  


 

[i] Market Chipping: piccolo cammeo a Diane Wynne Jones e al suo “Il castello errante di Howl”.


Note dell'autore
Questa storia partecipa al contest sul forum di EFP "AAA Protagonista cercasi", di Mariam_Kasinaga. Un grosso in bocca al lupo a tutti gli altri partecipanti, ovviamente!! :)
Dico solo che questa è la storia più strana che io abbia mai scritto!!
Un grande grazie ai lettori,
saluti
EsterElle


 
  
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