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Autore: yuki013    13/09/2014    1 recensioni
Ripensa a molte cose futili, piccoli frammenti che di solito la sua mente tralascia perché troppo occupata a concentrarsi sul presente. [...] Il pianto dei gemelli, il profumo di curry, il sapore dello sgombro con l’ananas, la sensazione delle lenzuola sulla pelle. Sente con la testa e ricorda con il cuore quelle minuscole cose alle quali in fondo non ha mai dato troppa importanza perché comuni, perché proprie di tutti i suoi giorni.
Genere: Angst, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Haruka Nanase, Makoto Tachibana
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Your soul out into the night
Wordcount: 1025
Personaggi: Tachibana Makoto/Nanase Haruka
Rating: G
Avvertimenti: angst, shonen-ai, post serie, what if? (versione alternativa post-decisione di Makoto)
NdA: prompt Mako/Haru, angst su Goodbye my lover, goodbye my friend di James Blunt. Makoto dice addio a Haruka per la NB #4 di free_perlatrama // Questa cosa degli addii mi tocca profondamente per ragioni che non sto qui a spiegare, e questo è il risultato. Vi consiglio davvero di ascoltare la canzone e apprezzarne ogni singola parola, se potete.
P.P.S. Non posto spesso, ma quando lo faccio è roba angst (ノ^ヮ^)ノ
 

Your soul out into the night
 
Iwatobi è tutta uguale, e Haruka non se n’è mai reso conto davvero. Ci ha passato tutta la sua vita e probabilmente è lì che resterà, con Sasabe, al club di nuoto. Ha percorso le stradine decine di volte – a piedi, in bici, correndo da solo e in compagnia. Conosce Iwatobi come le sue tasche, ma non gli è mai sembrata così ripetitiva e monotona. Forse perché non ricorda quando è stata l’ultima volta che l’ha attraversata in auto. Magari è colpa della neve, che copre tutto di bianco e fa apparire le case tutte uguali, il paesaggio tutto uguale, le persone tutte uguali. Forse è solo che Haruka sente di dover trovare tutto monotono in quel momento per poterlo apprezzare appieno successivamente nella sua semplicità.
Ripensa a molte cose futili, piccoli frammenti che di solito la sua mente tralascia perché troppo occupata a concentrarsi sul presente. Un festival estivo, una bancarella di takoyaki, una mano protesa, un sorriso, bambini che corrono in un cortile, rumore di spruzzi d’acqua. Il suono di un otturatore che si chiude, una polaroid che rigetta un’immagine sfocata. Il pianto dei gemelli, il profumo di curry, il sapore dello sgombro con l’ananas, la sensazione delle lenzuola sulla pelle. Sente con la testa e ricorda con il cuore quelle minuscole cose alle quali in fondo non ha mai dato troppa importanza perché comuni, perché proprie di tutti i suoi giorni.
Makoto guida e tace. Resta in uno di quei silenzi seri che – Haruka lo sa – nascondono l’intricata matassa di pensieri che annaspano senza via d’uscita nella sua mente. Fissa davanti a sé attraverso le lenti degli occhiali e non dice niente. Non parla da tutta la sera, ma è normale. Non è normale, ma va bene così, si corregge Haruka. Un punto del finestrino si appanna quando ci respira sopra. Vorrebbe disegnarvi qualcosa, ma non ne trova la voglia. I suoi pensieri sono ancora rivolti alla sensazione del cloro sulla pelle e al tintinnio delle posate all’ora di pranzo.
Accostano su una curva della strada statale, laddove tanti turisti si fermano per scattare foto con il promontorio roccioso sullo sfondo. Nessuno parla, ma Makoto esce dall’auto. Haruka sa di dover fare lo stesso, ma qualcosa gli dice di no. Una parte di lui lo prega vergognosamente di restare in macchina, la stessa che da piccolo gli diceva di cercare rifugio in acqua. Osserva la schiena di Makoto, intento a osservare le stelle in muta attesa. Haruka sa che aspetterà per tutto il tempo necessario, perché dopo di tempo non ne avranno più. Di tempo non ce n’è mai stato moltissimo fra loro, ma soltanto perché quello che avevano lo hanno dato fin troppo per scontato.
Le mani gli tremano quando apre la portiera. Anche Makoto sobbalza, ma non si gira verso di lui. Aspetta che sia Haruka a raggiungerlo, ad fermarsi accanto a lui con lo sguardo perso sull’oceano scuro. Sembra così assorto nei suoi pensieri da aver dimenticato il freddo, e l’ora, e sembra che non si accorga della mano di Haruka che scivola nella sua. Ma se ne accorge, eccome.
«Non dirmi addio.»
Makoto inizia a piangere, scuote la testa. I suoi genitori si aspettano tanto, i suoi fratelli si aspettano tanto, Haru si aspetta tantissimo da lui. Gli ha chiesto di essere felice. Lo ha pregato di trovarsi un posto, nella grande città. Di fare quella vita normale che si merita, di non rimanere ancorato a lui e ai suoi egoistici desideri. Ma Makoto scuote ancora la testa e si volta, affonda il viso nella spalla di Haruka e singhiozza ti amo, ti amo, ti amo a bassa voce. Le braccia di Haruka non lo lasciano mai, neanche quando anche lui si lascia scivolare poche lacrime giù per il viso. Ricorda le lucciole ad agosto e i fuochi d’artificio scoppiettanti, il primo bacio dopo l’acquazzone, la foto ricordo tutti insieme. E continua a piangere osservando la neve cadere, perché è l’ultima volta che potrà toccare Makoto come un amico e un amante e sentirsi la persona a lui più vicina. La prossima volta sarà alla sua laurea, o al suo matrimonio, o a quello dei suoi figli, ma non potrà più fare lo stesso. Non sarà mai, mai più lo stesso senza Makoto.
«Torno a prenderti.»
«No.»
Si chiede come saranno da vent’anni a quella parte. Se Makoto sarà ancora felice, se lui sarà ancora felice. Se rideranno ancora nel ricordare le sciocchezze fatte in gioventù o se si sorrideranno amaramente per il tempo che avrebbe potuto esserci e non c’è stato. Gli manca il respiro e al tempo stesso sente di poter lasciare andare tutto, di potersi estraniare da tutto ciò che è superfluo. Per Makoto può.
Le mani dell’altro gli avvolgono il viso. Fronte contro fronte lo guarda negli occhi, socchiude i propri umidi. Ha il viso rigato di lacrime e Haruka vorrebbe, in un gesto che non è da lui, asciugargliele una per una e cullarlo fino a farlo addormentare. Vorrebbe che Makoto facesse lo stesso con lui, che lo cullasse mentre tenta di risanare la voragine che si sta aprendo nel suo petto alla consapevolezza che Makoto se ne sta andando. Se ne va lontano, dove i suoi occhi non possono vederlo. Dove la sua mano tesa non può più afferrarlo.
«Torno a prenderti, promesso.»
Makoto mantiene sempre le promesse, per questo Haruka scuote la testa a sua volta. Al tempo stesso però si arrende al proprio egoismo e alla propria debolezza. Si arrende perché l’abbraccio di Makoto è caldo e la notte è fredda, e gli anni passeranno prima che possa ritrovarsi ancora in esso senza svegliarsi la notte per paura che sia soltanto un sogno. Le sue labbra lo salutano, ma i suoi occhi gli dicono che aspetterà. Gli dicono che sarà ancora lì, quando vorrà tornare.
Perché Makoto tornerà, ma diverso. Anche Haruka sarà diverso, divorato dalla solitudine che sembra non scalfirlo nemmeno. E cercheranno di ritrovarsi nelle diversità, di amarsi come una volta. Nessun addio, solo un arrivederci a una data lontana – a quando il tempo sarà con loro meno tiranno, e si fermerà giusto il tempo per farli sorridere ancora nella breve durata di una vita.
   
 
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