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Autore: Yvaine0    13/09/2014    3 recensioni
È la notte tra il dodici e il tredici settembre e mentre tutto dormono, due ragazzi in bicicletta percorrono la stradina di campagna che dal villaggio porta al vecchio capanno abbandonato, che un tempo era una fabbrica. Con uno zaino pieno di birra scadente da supermercato e gli occhi pieni di sogni irrealizzabili, Niall e Zena fingono di non indossare scarpe bucate e vestiti di seconda mano. Per una notte saranno milionari spocchiosi con scarpe da novecento euro in una lussuosa villa in stile vittoriano.
"Zena scuote il capo e alza gli occhi al cielo, poi però accetta la birra – cioè, si corregge, il calice - e lo alza verso il cielo. Vorrebbe trovare qualcosa di sofisticato e pomposo da dire, ma tutto ciò che le viene in mente è un banalissimo cheers.
Niall [...] scuote la testa. No, niente 'cheers'. È il suo compleanno e devono fare le cose per bene: slàinte, in gaelico irlandese si dice slàinte. "
(Storia scritta per il contest "happy birthday, niall!" indetto da Valerie V. Efp su facebook.)
(Niall/fem!Zayn)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Niall Horan, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: Gender Bender
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Dedico, tanto per cambiare, la One Shot a Maria,
perché è grazie a lei se conosco questa parola (cioè, slàinte)
in gaelico irlandese.


 
Slàinte
 
 
La notte è calata placida e serena sul piccolo paesino di campagna; il suo silenzio accarezza i campi che lo circondano e culla i sogni sereni di tutti gli abitanti, rintanati sotto le calde coperte nelle loro modeste e ordinate camere da letto. Una luna pallida di noia scruta il paesaggio dall'alto della sua posizione e non può fare a meno di sorprendersi quando, al di là di ogni regola, nota due biciclette avanzare lungo il sentiero segnato dalla sua stessa luce. Allora abbassa lo sguardo, aguzza l'udito e, incuriosita, decide di partecipare alla loro avventura.
Sono due le persone, due le voci che violano la quiete notturna con canti scoordinati e ubriachi di gioia, mentre si dirigono verso i vecchi capanni abbandonati appena fuori dal paese; un tempo erano stati depositi e laboratori di una fabbrica, oggi, caduti in disuso, raccolgono polvere, piccoli animali selvatici e desolazione. Guidano biciclette dalle ruote sgonfie, si fanno strada con un solo fanale dalla luce fioca, perché l'altro è rotto, e diffondono nell'aria a pieni polmoni le note di una canzone che entrambi amano, ma di cui nessuno si cura di seguire il testo.
Il ragazzo biondo pedala in piedi, senza poggiarsi alla sella, cerca di acquistare velocità per incentivare la dinamo della sua bici a spargere più luce, ma inutilmente. Ride, ride forte, ride un sacco; ha i capelli quasi biondi cosparsi dai riflessi della luna e gli occhi blu che brillano nel buio. È ubriaco di vita e di gioia, un po' anche della birra scadente comprata al supermercato, di cui ha lo zaino pieno; se glielo chiedessi sosterrebbe di non essersi mai sentito più vivo di ora. Il freddo pungente della notte inglese gli pizzica la pelle tracciando una scia di pelle d'oca sulle braccia lasciate scoperte dal giubbotto di jeans, ma lui non se ne accorge nemmeno, troppo impegnato a vivere la prima avventura del suo ventiduesimo anno di vita. Compirà ventuno anni da un momento all'altro e, invece che rinchiudersi al solito pub con gli amici di una vita, è uscito con Zena. Tra tutti ha scelto lei, perché parla poco, osserva molto, capisce tutto; perché è bella, bella da fargli attorcigliare lo stomaco e restringere i pantaloni; perché è sua amica e, anche se non è tipo da dire certe cose ad alta voce, potrebbe rinunciare a tutto in vita sua meno che a lei.
Lui pedala e fa baccano, lei lo segue sorridendo, ogni tanto si lascia sfuggire una risata e interrompe così il flusso delle parole che canta a squarciagola, con quella voce che fa arrossire Niall per l'emozione ogni volta che la sente. Se potesse, suonerebbe per lei tutto il giorno, semplicemente per poterla ascoltare.
Zena lo sa, e forse è l'unica, che lui ha una passione sfrenata per la musica, che se solo avesse abbastanza soldi si comprerebbe una chitarra, a costo di imparare a suonarla da solo; sa che sfoglia ogni giorno la sezione annunci del giornale, ma in quel paesino di mille anime, cani compresi, non c'è nessuno che ne venda una. Tanto meno a meno a lui, il figlio piccolo della famiglia irlandese, quel buono a nulla che il venerdì sera si sbronza con gli amici al pub del villaggio e ride chiassosamente finché il buon vecchio Paul Higgins non chiede loro di portarlo via, all'orario di chiusura.
Arrivano ai capannoni che ancora stanno ridendo; Niall salta giù dalla bici in corsa, inciampa, quasi cade, ma non smette di sorridere nemmeno per un attimo. Lei gli si ferma accanto, con più calma, appoggia la bici ad un tronco e poi lo guarda – o ci prova – nel buio: e ora?
Ora Niall si inchina di fronte a lei, si offre di portarle la borsa e le tiene aperta la porta; la chiama madame con quel suo marcato accento irlandese e dice che le sue scarpe – quelle con la suola talmente consumata da dargli l'impressione di camminare scalzo – sono italiane e costano novecento euro, sebbene non sappia a quante sterline corrispondano. Prima le signore, le dice; anzi, le signorine.
Zena sorride con la lingua tra i denti, si sistema la lunga treccia scura su una spalla ed entra per prima nello stabile – che poi tanto stabile non sembra. I suoi occhi nell'oscurità vedono la sala d'ingresso di un enorme palazzo in stile vittoriano, le sembra di calpestare un tappeto pregiato importato dall'oriente –di quelli che da soli valgono di più di casa sua con tutta la famiglia dentro–, fasciata da un abito elegante di un tessuto prezioso di cui non saprebbe nemmeno inventare il nome; un vestito bordeaux, perché secondo Niall è il colore che più le dona. Per una volta finge che non sia vero, che sta passeggiando al buio su assi di legno gonfiate dall'umidità, su cui rischia di inciampare. Non importa se si sta illuminando il cammino con una vecchia torcia a forma di rana, trovata in un sacchetto di patatine, con le pile ormai scariche: sta fingendo di non avere addosso i vestiti troppo grandi di sua sorella maggiore, che molto magra non lo è mai stata, di essere appena entrata nella casa dei suoi sogni, quella che probabilmente in vita sua vedrà solo in fotografia.
Niall tace, mentre ascolta Zena mormorare a mezza voce la sua fantasia; non si sorprende del fatto che abbia capito al volo il significato del loro viaggio fin là, con tutta quella birra, nel mezzo della notte del suo compleanno: lei lo comprende sempre, prima ancora che lui stesso possa interpretare i propri pensieri.
È dura per entrambi camminare per le strade del villaggio con gli sguardi di biasimo degli abitanti sempre incollati alla schiena: lui è un cattolico irlandese, lei musulmana; lui un buono a nulla, lei una stracciona. Nessuno, nemmeno i loro amici notano gli occhi pieni di sogni irrealizzabili di Niall né le ossa sporgenti sotto la pelle mulatta di Zena, nessuno a parte loro stessi.
Niall nota tutto ciò che riguarda Zena: la tristezza che ogni tanto incupisce i suoi occhi scuri, l'insicurezza che esprime persino ora, mentre cammina a passo lento all'interno dello stanzone buio. Se Niall potesse fare una sola cosa nella sua vita, vorrebbe che quel qualcosa fosse renderla felice. Vorrebbe vedere più spesso la lingua incastrarsi tra i denti un sorriso spontaneo, sentire la sua risata, la sua voce cantare; vorrebbe che non si facesse problemi nell'abbracciarlo, vorrebbe non sentire le costole sotto le dita, attraverso la maglietta, quando la cattura e la stringe a sé prima che lei possa protestare. Vorrebbe poter essere abbastanza delicato da tenerla sempre con sé senza farle male, essere abbastanza uomo da prendersi cura di lei.
Zena lo sa, perché si accorge sempre di tutto, che Niall non ha occhi che per lei. Si è accorta che, nonostante la sua proverbiale sbadataggine, mai nulla di ciò che la riguarda gli passa inosservato. Sa che Niall percepisce ogni grammo che lei perde e che questo è uno dei motivi per cui continua a invitarla a cena dai suoi ogni domenica; sa che Niall la ascolta quando canta e le poche volte che parla, senza mai dimenticare una singola parola; si è accorta che nonostante l'estrema magrezza lui – ed è forse l'unico al mondo – la trova attraente.
Uno dei motivi per cui trova piacevole la sua compagnia è che Niall appena può la bacia, senza tanti preamboli, senza spiegazioni, solo perché ha voglio di farlo: semplicemente interrompe il flusso interminabile delle sue parole, le accarezza il viso, dallo zigomo fino al mento, e la bacia. A Zena piacciono i suoi baci: le fanno dimenticare i problemi economici, i ridicoli abiti che è costretta a indossare, le serate trascorse a lume di candela perché nonostante i reclami non sono riusciti a pagare tutte le bollette, i sacrifici che si sente in dovere di fare per la sua famiglia, la nausea che le serra lo stomaco quando vede suo padre rientrare dal lavoro con due ore di ritardo e l'espressione cupa di uno che ha di nuovo rischiato di perdere il posto. Le piace, perché quando Niall la bacia può dimenticare tutto ed essere solo Zena, una ragazza normale a cui Niall piace, ma che ha paura di dirglielo, perché non si sente abbastanza.
La nebbia di pensieri che prende forma nel buio e nel silenzio svanisce quando lui le prende la mano e – andiamo – la guida alla cieca verso l'angolo in cui sa di poter trovare le scale; sta straparlando come è solito fare, descrive la lussuosa scalinata di marmo che stanno salendo utilizzando parole che gli sembrano belle e che una volta ha sentito da qualche parte, magari in tv, sebbene di alcune non conosca nemmeno il significato. Non gli importa di sembrare stupido: con Zena non ha paura di nulla, lei lo capisce, non lo giudica.
La ragazza intreccia le loro dita, ridendo piano; Niall sorride, percepisce una famigliare sensazione solleticargli lo stomaco, vorrebbe fermarsi e baciarla ma continua a camminare: deve ancora mostrarle gran parte della sontuosa abitazione, la notte è solo all'inizio e loro non hanno ancora sognato abbastanza.
Ci sono quattro camere da letto: una per loro, una per gli ospiti e due per i loro figli – lo dice con naturalezza, ma arrossisce, celato dall'oscurità. I letti sono a baldacchino e il loro materasso è ad acqua, perché sa che Zena ha sempre voluto provarne uno.
Qualcosa si muove nel buio, mentre passeggiano, corre lontano lanciando isterici squittii d'allarme; Zena grida spaventata: un topo! Niall ride forte, mentre le accarezza distrattamente il dorso della mano con il proprio pollice calloso: no, nessun topo, probabilmente il loro gatto ha di nuovo spaventato il chiwawa.
La ragazza non riesce a trattenere un sorriso; scuote la testa e lo segue lungo quel tour, che li porta attraverso l'enorme biblioteca privata, la sala di ricreazione con il tavolo da biliardo, un flipper, l'xbox e un'immancabile chitarra classica – l'ultimo dettaglio è Zena ad aggiungerlo, con intimo compiacimento di Niall.
Nel bagno c'è la vasca idromassaggio, in cucina una cuoca, in cortile un'enorme piscina e un campo da golf – ne è sempre stato affascinato lui, ma non è mai stato in grado di provare a giocarci.
Un rotweiler è la richiesta di Zena, che Niall non si azzarda a rifiutare anche se l'idea un po' lo spaventa.
Ridono, quando hanno sfogato tutte le loro fantasie e non sanno più cosa inventarsi; ridono finché non hanno entrambi le lacrime agli occhi – un po' per il divertimento e un po' per l'amara irrealizzabilità dei loro sogni.
Ridono finché non hanno più fiato, poi lasciano che l'eco delle loro risate si spenga progressivamente rimbalzando tra le mura sottili del capannone vuoto. È solo questione di attimi perché cali il silenzio; loro rimangono immobili, mano nella mano, a digerire l'esasperato desiderio di essere più fortunati. Prima che la malinconia si impossessi di loro –e sarebbe bastato indugiare solo un istante di più perché accadesse–, Niall ha una nuova idea. Sussurra un invito a seguirlo, si avvia a passo incerto verso una zona del secondo piano che ha esplorato qualche giorno fa con Oliver, alza le mani alla disperata e cieca ricerca della corda che gli permetterà di salire ancora più in alto. Cerca a lungo, mentre Zena ride senza capire che cosa lui stia facendo; poi finalmente le sue dita sfiorano qualcosa, la mano afferra il laccio, il braccio tira verso il basso e la scaletta scende, offrendo loro un passaggio verso il cielo.
Si arrampicano sui gradini scricchiolanti guidati dalla luce della luna, si siedono su un tetto pericolante coperto da poche tegole sozze, usurate dal tempo e dalle intemperie. Si perdono per qualche minuto nella silenziosa contemplazione del cielo; Zena prova un certo stordimento ogni volta che alza lo sguardo alle stelle, smarrendosi tra tutte quelle luci con la sua immensa piccolezza, ma non guarda altrove nemmeno per un attimo. Niall invece si lascia distrarre in fretta dalla dolcezza con cui i raggi della luna accarezzano i lineamenti della ragazza, osserva rapito le ciglia lunghe, il naso dritto, le labbra leggermente dischiuse di cui conosce morbidezza e sapore – vorrebbe baciarle, tuttavia, di nuovo, non lo fa.
Senza alcun preavviso ricomincia a parlare, ma a mezza voce per non turbare la tranquillità di quel momento. Spera di vedere una stella cadente, perché ha un sacco di desideri da esprimere.
Di che genere?, domanda Zena, la voce bassa e il tono pacato che la contraddistinguono in quasi ogni circostanza. Non la si vede mai perdere le staffe, non alza la voce per rabbia né per paura o entusiasmo, Zena abbassa la testa e incassa i colpi che la vita le riserva senza mostrare segni di cedimento. Senza darlo a vedere, lei si prende cura degli altri con sacrificio e dedizione; non si lascia sfuggire nessun dettaglio, non dimentica nessuno. Dà l'impressione di avere tutto sotto controllo in ogni circostanza, quando invece vorrebbe solo fuggire e diventare qualcun altro.
Niall ridacchia: da dove cominciare? Ci sono così tante cose che vorrebbe ma non può permettersi. Una bicicletta nuova, tanto per cominciare, se proprio non può avere una macchina; qualche giocattolo nuovo per il piccolo Theo, una casa più grande in cui possano dormire tutti in stanze separate, se lo desiderano – a quest'affermazione Zena sorride amaramente: lei e le sue sorelle hanno a lungo condiviso lo stesso letto, oltre che la stanza. Poi continua: vorrebbe un'auto nuova per suo padre, una cucina degna di questo nome per sua madre, un vero abito da sposa per Denise, che ha dovuto accontentarsi di indossarne uno di seconda mano, ingiallito, chiesto in prestito a qualche zia in occasione del matrimonio. E vorrebbe che lei e Greg potessero volare in Grecia in viaggio di nozze, che Theo un giorno abbia la possibilità di frequentare l'università.
E Zena, Zena cosa vorrebbe, se avesse denaro a sufficienza?
Lei ride con la stessa amarezza di poco prima, mentre sente la solita frustrazione attanagliarle lo stomaco: a qualche miglio da lì, in città, la gente dorme avvolta in pigiami di marca che costano più dell'intero guardaroba della sua famiglia, armadio compreso, mentre lei indossa un maglione di seconda mano di tre taglie più grande, che un tempo era rosso e ora tende al salmone, e un paio di jeans sformati che le nascondono le ginocchia nodose e le cosce sottili. È così arrabbiata con la vita, che per una volta decide di pensare solo a se stessa; risponde alla domanda dando voce a sogni che ha chiuso in un cassetto così tanto tempo prima da averli quasi dimenticati.
Se avesse abbastanza denaro, dice, scapperebbe da quel paese troppo piccolo e si trasferirebbe al sud, magari a Londra; tingerebbe i capelli di viola o bordeaux e – a questo punto ride, perché sa che Niall a stento le crederà – si imprimerebbe sulla pelle tutta la sua vita, senza lasciare indietro niente e nessuno. Vorrebbe un intero braccio coperto di tatuaggi, magari anche una gamba. E – arrossisce della propria vanità – forse si rifarebbe anche il seno, ché della sua prima scarsa non ne può più. Si trasferirebbe in una villetta a schiera, perché la casa dei suoi sogni sarebbe comunque troppo per lei, che tutti i suoi soldi li spenderebbe dal tatuatore, e i vicini la guarderebbero storto attraverso le finestre, nascosti dietro le tende, per via della sua eccentricità e non per il colore della sua pelle. Vorrebbe un cane di grossa taglia, magari anche un'iguana. E un gatto grasso che si accoccoli accanto a lei sul divano, uno che di topi non ne ha mai visto uno. Vorrebbe fare la cantante e avere successo. Perché, cavolo, Niall riesce ad immaginare come debba essere essere ricchi e famosi, avere il mondo tra le dita e piegare la folla al proprio volere con un solo sorriso?
Niall ride forte, divertito: se per dominare la massa è necessario sorridere, lei di certo non ci riuscirà mai.
Zena boccheggia, poi gli schiaffeggia l'avambraccio e si unisce alla risata. Non ha poi tutti i torti, deve ammetterlo. Sorride poco e di solito solo in sua compagnia.
Questa confessione gli imporpora le guance, mentre sghignazza per nascondere l'imbarazzo – ne è felice, anche se si vergogna ad ammetterlo. È fatto così Niall: segue il flusso tortuoso delle sue emozioni; un attimo sente l'impulso di pianificare un fiabesco futuro assieme a lei, quello dopo ha troppo timore persino per allungare la mano e accarezzare la sua. Quello che fa, dunque, è aprire la cerniera dello zainetto ed estrarre due lattine di birra. Ne agita forte una, senza ascoltare le proteste di Zena, che proprio non ha voglia di tornare a casa puzzando d'alcol, poi la apre, aspettandosi che ne esca un fiotto potente, come dalle bottiglie di champagne che ha visto alla fine di ogni gara automobilistica nel televisore del pub. Quello che ottiene, invece, è che un misto di schiuma e birra gli inzuppi i pantaloni. Rimane attonito per qualche lungo istante, mentre Zena ride, poi si rianima, arrossisce e le porge la lattina ancora chiusa. Che cosa può importare loro dello spreco? Questa sera sono ricchi e hanno un'intera cassa di champagne nello zaino.
Zena scuote il capo e alza gli occhi al cielo, poi però accetta la birra – cioè, si corregge, il calice – e lo alza verso il cielo. Vorrebbe trovare qualcosa di sofisticato e pomposo da dire, ma tutto ciò che le viene in mente è un banalissimo cheers.
Niall sta stringendo i pugni sul tessuto perché almeno un po' di birra goccioli via dai pantaloni e nel frattempo scuote la testa. No, niente 'cheers'. È il suo compleanno e devono fare le cose per bene: slàinte, in gaelico irlandese si dice slàinte.
La ragazza aggrotta le sopracciglia, ripete quella parola che non ha mai sentito prima, ne domanda il significato.
Salute, risponde lui con semplicità, poi aggiunge un altro augurio in quella lingua che ha in parte imparato da suo padre: “slàinte mhor a h-uile là a chi 's nach fhaic”, “salute a te, nei giorni in cui ti vedo e anche negli altri”.
Zena lo guarda affascinata, ascolta e cerca di imitare quei suoni a cui gli piacerebbe saper dare un significato.
Niall si scompiglia i capelli, gli occhi che brillano come ogni volta che si sente così vicino alla sua patria, nonostante non ci metta piede ormai da anni. Essere bilingue è una cosa da persone ricche e sofisticate, no?
Probabilmente no, rettifica lei, ma è comunque una qualità ammaliante. Questo non lo dice, per timidezza, ma starebbe ad ascoltarlo parlare una lingua che nemmeno capisce per ore ed ore. Le piace la voce di Niall, la trova confortante e familiare, e ama il suo accento irlandese con tutte le 'r' marcate e gli 'ya'.
Sorride con la lingua tra i denti, porta di nuovo la lattina verso il cielo senza staccare gli occhi di dosso a Niall e augura “slàinte”. Lui ride, imita il suo gesto e pronuncia l'augurio in versione estesa, poi fa cozzare i bordi delle loro lattine e beve una lunga sorsata di quel liquido che finge essere champagne. È piacevole sognare una volta tanto, fingere che tutte le difficoltà che gravano sulle loro spalle di ventunenni non esistano almeno per una notte.
Zena lo sa, qual è l'unica cosa che lui vorrebbe davvero per il suo compleanno?
Lei scuote la testa, incuriosita dall'improvvisa serietà che indurisce appena il tono del ragazzo.
Un bacio. Niall vorrebbe un bacio. Non desidera rubarlo, una volta tanto, vorrebbe che gli fosse donato.
Subito dopo aver pronunciato quelle parole se ne pente: legge il turbamento negli occhi di lei, che volta la testa dell'altro lato per nascondersi e si dà dell'idiota. Sospira e distende il collo all'indietro nel tentativo di distrarsi guardando le stelle e allo stesso tempo di fuggire a propria volta lo sguardo accorto di Zena. È stato avventato, avrebbe dovuto tacere o essere meno diretto. D'altro canto, però, è stato sincero. L'unica cosa che vorrebbe per il suo ventunesimo compleanno è una definizione per quello che sono; Niall non è un tipo che ha bisogno di molte certezze: vive alla giornata, azzarda troppo e spesso per poi rimanere deluso. Per quanto riguarda lei, però, vuole sapere come stanno le cose. Lui sa cosa prova per lei, sa che ufficialmente sono amici, ma sa anche che gli amici non si baciano – non come fanno loro, non con gli occhi colmi della figura dell'altro, non con l'impressione di essere, in quel momento, milionari.
Chiude gli occhi, mentre riflette: in ventuno anni di vita probabilmente non ha mai combinato niente di buono – i lavoretti trovati gli sono puntualmente stati sottratti dalla sua stessa indisciplinatezza, dall'impulsività, dall'orgoglio patriottico – e vorrebbe che il suo primo successo fosse proprio lei. Ha questa sensazione, che da mesi ormai non riesce a scacciare: sente che se un giorno potesse svegliarsi nello stesso letto di Zena, se potesse dormire con lei, tenerla tra le braccia, tornare a casa dopo il lavoro con la consapevolezza di aver faticato per darle una vita dignitosa, allora ne varrebbe la pena. Allora non gli importerebbe degli insulti del capo, dei commenti razzisti dei colleghi, né della fatica o delle bollette da pagare: lo farebbe per lei.
La timida richiesta di Zena di imparare qualche frase in gaelico strappa Niall ai suoi pensieri. Lui si gira di scatto, la osserva sciogliersi la treccia con aria pensierosa e tutto d'un tratto distante; vorrebbe essere in grado di leggerle dentro come solo lei sa fare per capire cosa l'abbia improvvisamente portata così lontano da lui. Nonostante questo, accoglie la sua domanda: comincia dalle parole più semplici, quelle che ha già imparato anche il piccolo Theo; cerca di correggere la sua pronuncia irrimediabilmente divergente, ma Niall non è un tipo paziente e si stanca presto, così cambia tattica e si offre di tradurre per lei tutte le frasi che vuole – l'apprendimento, però, non è più nei suoi compiti.
Zena sorride all'idea di averlo irritato e, dopo aver preso un altro sorso dalla lattina, se ne esce con una richiesta: “Tomlinson è uno spocchioso borghese con la puzza sotto il naso”, al che Niall ride tanto e con tanto trasporto da rischiare di perdere l'equilibrio e scivolare giù dal tetto. Per qualche istante l'unica cosa che si sente è quella sua risata chiassosa e contagiosa, che irrimediabilmente coinvolge anche la ragazza. Ridono insieme a lungo, bevono birra scadente al gusto di champagne in calici di latta, seduti sulla vetta del mondo. E sognano, sognano come pensavano più di non essere in grado di fare; mescolano desideri irrealizzabili a piccoli obiettivi che sperano ancora di raggiungere, creano un intreccio indistricabile di realtà e finzione. Intanto si guardano, cercano di capirsi, di darsi risposte senza porre le domande. Contemplano il futuro finché la luce dell'alba non cancella progressivamente ogni stella senza che loro lo sappiano, perché delle nubi che ostruiscono la visuale. Solo quando un gallo da qualche parte canta, comincia a piovere su di loro la consapevolezza della fine di quella notte così insolita. Allora si accorgono della nebbia che ha impregnato i loro vestiti, del freddo penetrato fin nelle ossa, delle lattine vuote che sono rotolate via e ora giacciono inermi nell'erba; ricordano le richieste lasciate senza risposta, le responsabilità che pesano sulle loro (neo)ventunenni spalle e sanno di dover tornare a casa, alla vita di sempre, dove non bevono champagne, non hanno tatuaggi e la tinta ai capelli è rimasta solo sulle punte, perché non possono più permettersela.
Niall si abbandona ad un sospiro silenzioso e si alza stancamente in piedi; mentre aspetta che Zena faccia lo stesso si spazza via la polvere dai jeans ancora zuppi di birra con le mani, cercando di ignorare il capogiro che l'ha appena colto. La ragazza recupera lo zaino vuoto e si alza con lenta prudenza, perché ora che la tenue luce del mattino la rende visibile ricorda di aver sempre temuto l'altezza.
Niall la guarda, le prende la mano e si avvia a passo lento verso la botola che li riporterà all'interno della vecchia fabbrica. Buon compleanno a lui, mormora come addio alla magica notte in cui ha compiuto ventuno anni. Ora è a tutti gli effetti un uomo e l'idea un po' lo spaventa.
Zena lo ferma, scuote il capo quando lui la guarda e lo corregge: slàinte. Niall aggrotta le sopracciglia e ridacchia, perché il significato non è proprio quello, però apprezza lo sforzo. Sta per dire qualcosa, ma le parole gli muoiono in gola, quando la mano magra di Zena si avvicina al suo viso. Le dita sottili gli accarezzano lo zigomo, scendono a sfiorare il mento appuntito, scivolano sul collo e fin sulla nuca. Prima che Niall possa riprendere fiato, quelle labbra morbide sono sulle sue; ci rimangono solo per un istante, poi sono i nasi ad incontrarsi, due sorrisi ad allargarsi simultaneamente. Poi il braccio del ragazzo le cinge delicatamente la vita stretta, la avvicina a sé, mentre una mano è già immersa nei suoi lunghi capelli neri. La bacia di nuovo, come è solito fare: con infinita dolcezza, con gratitudine, con il timore di ferirla. Una consapevolezza lampeggia nella sua mente: se ci sarà lei al suo fianco, Niall non avrà paura di essere un uomo povero.
Il giorno è sorto con annoiata puntualità sul piccolo paesino di campagna; il pallido sole che porta con sé illumina i campi che lo circondano, sveglia tutti gli abitanti che si preparano ad un'altra giornata di duro lavoro. La luna non è ancora calata dietro l'orizzonte, tiene lo sguardo affascinato fisso sulle due figure che camminano verso il villaggio l'una accanto all'altra, portando le biciclette a mano. Tornano alla vita di tutti i giorni, dopo una notte insolita a cui lei ha avuto l'onore di assistere.



Questo storia partecipa al contest "happy birthday, Niall!" di Valerie V. Efp. 
Si ringraziano i miei amati The Script per la colonna sonora e per l'ispirazione che mi hanno dato con Millionaires, che ho ascoltato così tante volte negli ultimi tre giorni da non poterne (quasi) più. 
Niente, spero che a qualcuno piaccia. Personalmente sono piuttosto soddisfatta del risultato, erano secoli che non scrivevo qualcosa di nuovo e sono stata indecisa fino all'ultimo se postare o meno. Ora fuggo perché sono in ritardo. Grazie a chiunque sia arrivato fino a qui!

  
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