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Autore: MalfoyLeto_131    15/09/2014    4 recensioni
Dobbiamo parlare, ti aspetto a casa mia per le 11.00
Non mancare.
Quando l'ex campeggiatrice terminava un messaggio con un punto c'era qualcosa che non andava e questo, più o meno tutte le persone che conosceva, lo avevano imparato a loro spese; quando la ragazza era incazzata, snervata, annoiata o infastidiva terminava sempre con un piccolo, fastidioso e perentorio punto.
In quel caso era arrabbiata e stanca, stanca delle prese in giro e dei continui "prima o poi glielo dico" che, puntualmente, non portavano a nulla, se non all'ennesima ed estenuante litigata
Dedico la storia a princess4444 e HanMarin99…. Non sono riuscita a fare il seguito (ci sto lavorando) ma spero che questa piccola pazzia vi piaccia
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Courtney, Gwen | Coppie: Duncan/Courtney
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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        Dobbiamo parlare, ti aspetto a casa mia per le 11.00

Non mancare.

 

 

Quando l'ex campeggiatrice terminava un messaggio con un punto c'era qualcosa che non andava e questo, più o meno tutte le persone che conosceva, lo avevano imparato a loro spese; quando la ragazza era incazzata, snervata, annoiata o infastidiva terminava sempre con un piccolo, fastidioso e perentorio punto.

In quel caso era arrabbiata e stanca, stanca delle prese in giro e dei continui "prima o poi glielo dico" che, puntualmente, non portavano a nulla, se non all'ennesima ed estenuante litigata; sospirò staccando a fatica gli occhi scuri dal display luminoso i quali, imperterriti, continuavano a leggere e a rileggere il messaggio che, circa una decina di minuti prima, aveva inviato.

Con aria scocciata, lo sguardo perso altrove e una miriade di pensieri nella mente, prese a torturasi le unghie, scalfendo lo smalto color bordeaux che Bridgette tanto adorava; al pensiero dell'amica sorrise, ripromettendosi che in settimana l'avrebbe chiamata.

 Avrebbe voluto soffermarsi a pensare al viaggio di nozze della surfista, ma la sua testaccia ostinata era tornata a concentrarsi sul problema che da nove mesi e mezzo era divenuto una costante nella sua vita ordinaria e noiosa.

All'inizio era stato tutto molto eccitante, tutto così nuovo e diverso, ma poi la diversità era divenuta quotidianità e tutti gli sforzi e le ripromesse di non innamorarsi erano andati allegramente a farsi fottere.

 

 Si innamorava sempre delle persone sbagliate lei.

 

Si sforzò di volgere lo sguardo in direzione della grande finestra alle sue spalle e si concesse un attimo per riorganizzare le idee che le attanagliavano la mente da parecchi giorni.

Ogni volta giungeva alla solita lampante conclusione ed ogni volta sbuffava alla luce della prevedibilità dei suoi pensieri. 

Quella situazione doveva finire punto. 

Abbastanza prevedibile no? Ma i fatti stavano così e lei doveva agire il prima possibile, per evitare che, prima o poi, il tutto sfuggisse dal suo controllo; lei odiava che qualcosa, anche la più insignificante, sfuggisse dal suo controllo.

 

Doveva fermare tutto.

 

Se lo era detta molte volte ed altrettante non era riuscita a porre fine a quella situazione disastrosa; si era sempre considerata una ragazza forte, una con gli attributi, ma perché allora si sentiva come legata, perché non riusciva a reagire?

Scosse il capo facendo ondeggiare i capelli contro la pelle morbida di collo, clavicole e spina dorsale: inconsapevolmente la mente tornò a quelle mani che, una volta alla settimana, le carezzavano quegli stessi punti e le torturavano ciocche di lunghi capelli corvini...

 Lo fece di nuovo, mosse la testa da destra verso sinistra, ma questa volta con fare di disapprovazione: finché quella sera non l'avrebbe affrontata a viso aperto non era il caso di pensare a quella persona.

Con uno scatto fulmineo si alzò dal divano arancione, si diresse verso il tavolino e tornò ad esaminare le ultime pratiche che le erano giunte dal tribunale; posò il Blackberry al lato della cartellina rossa che giaceva in quella posizione da tutta la giornata e si focalizzò sul lavoro.

Già, il lavoro, se quella faccenda fosse venuta a galla per l'avocatessa migliore di Toronto, sarebbe stato un bel guaio…

Già era molto difficile essere presa seriamente a causa della sua taglia di reggiseno e le sue gambe toniche; se la cosa fosse venuta alla luce i suoi colleghi avevano perso quel minimo di rispetto che lei, dopo anni, era riuscita a guadagnarsi.

 

"hai ricevuto un messaggio"

 

La sua voce metallizzata la fece sobbalzare: la sua segreteria personalizzata.

Con la mano tremante sollevo il cellulare, digitò il codice di quattro cifre e, trattenendo il fiato, pigiò il dito sull'icona dei messaggi

 

  "Facciamo per le 23,30

Ci sarò."

 

Per un attimo aveva sperato di non ricevere una risposta, di poter fare finta di nulla, rimandare il discorso e la conseguente litigata: ormai litigavano così spesso loro…

Si gettò con forza contro lo schienale della sedia e buttò la testa all'indietro: stava scomoda, molto scomoda, un po' come quando vai dal parrucchiere e quegli stupidi lavandini ti fanno venire il torcicollo. La ragazza si portò le mani alle ginocchia per poi stringere con forza: quando aveva bisogno di forza e di coraggio lo faceva sempre ed in quei giorni era divenuto una sorta di tic nervoso

 

Forza e coraggio…

Due cose che ormai le mancavano quasi completamente

 

Raddrizzò la testa, fece correre le mani lungo le cosce, per poi fermarle all'altezza dei fianchi e ficcare le unghie nei buchi del magioni allargandoli 

 

Questa volta sarebbe stata forte, questa volta non avrebbe ceduto.

 

Con un pizzico di determinazione in più nello sguardo si alzò sulle gambe, facendo leva sui palmi delle mani posati sul tavolo si mise in piedi scorrendo la sedia all'indietro. 

Con passo riluttante si diresse verso le scale che l'avrebbero condotta al piano superiore, arrancò sino alla sua camera da letto e con l'aiuto di un leggero sonnifero sprofondò in un sonno nero e privo di sogni che la cullò per circa sei ore.

  Scese a cenare verso le dieci e mezza, racimolò del prosciutto, una scatoletta di mais e condì l'insalata che dal giorno precedente attendeva pazientemente di essere mangiata; come d'abitudine sedette a capotavola, con il viso rivolto verso il quadro cubista di Picasso ed il telegiornale che faceva da sottofondo.

Dopo cena sintonizzò il televisore sul primo canale che non trasmettesse reality o storie d'amore; C.S.I New York era iniziato da circa tre minuti ma non era stato commesso ancora nessun efferato crimine.

Quando Courtney aveva deciso che quella robba era una noia mortale il caso era arrivato al suo epilogo: la nonnetta stava finalmente per confessare l'omicidio dei nipotini quando il campanello suonò e l'ansia tornò padrona in lei; l'occhio destro prese a traballare convulsamente e i battiti del suo cuore si ravvelocizzarono sino a raggiungere un ritmo estenuante

 

Due respiri profondi Courtney, due respiri

 

Aveva ripreso le lezioni di autocontrollo e finora non aveva avuto nessuna crisi isterica o cedimento, ma ogni sera, per dormire doveva affidarsi a pesanti sonniferi e di tanto in tanto Jeremy le passava qualche psicofarmaco sotto banco, ne stava divenendo dipendente. 

Jeremy era un trentatreenne dai tipici tratti scandinavi;  biondo, occhi azzurri,  lentiggini a tutto spiano,  mascella squadrata e fisico muscoloso era in grado di far  girare la testa quasi tutte le donne che incontrava.

Inoltre era primario all'ospedale psichiatrico di Toronto, in questo modo aveva accesso ad ogni tipo di pasticca o sostanza si desiderasse, bastava saper chiedere…

I due avevano avuto una relazione, breve ma intensa, che era terminata circa due anni prima quando lui si era sposato.

Nonostante l'addio non fosse stato dei migliori erano rimasti in ottimi rapporti: era come il fratello maggiore che aveva perso dieci anni prima in una rapina in banca, con l'unica differenza che suo fratello non le avrebbe mai permesso di fare uso di certi medicinali…

 

<<  Si gela qua fuori, apri >> 

 

L'ispanica, incurandosi di rispondere, aprì la porta con estrema lentezza incontrando davanti a se gli occhi che la tormentavano da una vita: se ne stavano lì, immobili, a fissarla con un guizzo di divertimento nello sguardo. Ultimamente pareva che si divertissero di fronte a quelli indecisi e paurosi dell'amante

 

<< Principessa >> 

 

Courtney aveva preso ad odiare profondamente quell'appellativo, era così pieno di sarcasmo, così tendente alla presa in giro…

La figura davanti all'avvocatessa ghignò in modo preoccupante, per poi scansare l'altra dalla porta e farsi strada in casa per conto proprio: conosceva quella villa meglio delle sue tasche… E poi non si disturbava mai troppo nei convenevoli con Courtney.

La giovane donna rimase una manciata di secondi in più sulla soia della porta, lasciando che il vento fresco le donasse il coraggio per tornare dentro ed affrontare tutto, ma prima che potesse farlo qualcuno le prese le spalle appogiandosi al suo corpo irrigidito ed intirizzito dal freddo pungente.

Facendo pressione col viso sul suo collo, l'aggressore,  face in modo che esso si piegasse, per poi iniziare a baciarla; generalmente Courtney amava quel tipo di attenzioni che costituivano uno dei suoi più grandi punti deboli; come previsto rilassò i muscoli e tese il collo verso destra fremendo sotto le labbra sottili che la mordicchiavano qua e la

 

No. Non questa volta.

 

Con un violento scossone si ricompose, chiuse la porta alle sue spalle e cercò di mettere quanta più distanza possibile tra lei ed il suo ospite; prese posto sulla poltrona in pelle e poggiò i gomiti sulle ginocchia posando il volto tra i palmi delle mani.

Sapeva di apparire debole in quel modo, ma francamente, in quel momento, non le importava di fare la figura della leonessa

 

<< Basta tra noi è finita, vattene >>

 

Parlò tutto d'un fiato e trattenne il respiro aspettando la risposta, che non tardò molto ad arrivare

 

<< Quanto? >>

 

Courtney sapeva esattamente cosa intendesse… Quanto tempo ci metterai a tornare da me e ad umiliarti ancora di più? 

Tornare, lei tornava, lei tornava sempre alla fine.

 

<< Ma non senti? Sparisci! >>

 

<< Guarda che se mi lasci andare, se mi lasci non mi vedrai mi più >>

 

L'orgoglio, o quel che ne restava, della ragazza le fece alzare lo sguardo; i suoi occhi erano freddi e non tradivano emozioni.

 

<< Sappi che hai fatto la scelta sbagliata >>

 

Dei passi, il rumore di un cancello che si apre cigolando, il rombo di un auto che s'accende e poi più nulla, il vuoto.

Courtney, che era rimasta a contemplare i capelli bluastri durante tutto il loro tragitto, si alzò e con passo tremante chiuse la porta dopo aver salutato il vuoto.

 

Addio Gwen, ti ho amata.

 

 

angolo dell'autrice: oooook, dopo "la vera storia di Duncan Courtney e Gwen"  sentivo il bisogno di scrivere qualcosa di nuovo su questa fantastica coppia ed eccomi qui…

  
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