Anime & Manga > Capitan Harlock
Ricorda la storia  |      
Autore: Targaryen    16/09/2014    10 recensioni
E’ divenuta questa la mia esistenza dopo la nostra caduta … un petalo di ciliegio sospeso nel vento, che brama la terra e che non può conquistarla.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harlock, Miime
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Il Canto delle Stelle'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Vita sospesa
 

 

“Siamo tutti nati nel fango,
ma alcuni di noi guardano le stelle.”
Oscar Wilde


 
Non provo più nulla. L’agonia che mi straziava si è spenta come fuoco precipitato all’improvviso in fondo al mare, lasciando solo vuoto laddove vi era dolore.
So che mi stai stringendo, so che le tue dita scorrono lievi tra i miei capelli in questa nuova oscurità che ci nasconde, eppure non avverto alcuna sensazione. E’ come se queste spoglie non fossero più mie, è come se la mia anima mi fosse stata strappata e fosse stata condotta in un luogo che non riesco a raggiungere.
Abbandonato su questo seggio cerco di ricordare te e il nostro passato, ma mi è impossibile farlo. La mia mente si rifiuta di comporre pensieri, terrorizzata dal fantasma dell’unica memoria che aleggia in questa non esistenza e che vanifica i miei sforzi. Il paradiso che ho tramutato in inferno, il mostro di lacrime e rimorso che ho modellato con le mie mani è da qualche parte, là fuori. Un fumo nero e denso avvolge l’Arcadia e mi impedisce di vedere, ma ormai esso fa parte di me. La sua immagine è un marchio indelebile che non potrò mai cancellare. Dovrei aver paura, ma non riesco ad avvertire neppure quella.
Seguo il tuo riflesso sul vetro mentre sollevi la mano e mi porti il calice alle labbra. Bevo, ma il vino non ha sapore. E’ solo un liquido scuro che mi scorre lungo la gola e che non lascia traccia. La tua voce è soffusa, gentile, ma il significato delle parole che mi stai rivolgendo mi sfiora appena per poi dissolversi come un lontano miraggio al calare del sole. Il loro suono risveglia in me l’eco di sentimenti e di sensazioni che sono ancora qui, assopiti, ma che non riesco ad afferrare in questo limbo di nulla che mi soffoca.
Mi sento prosciugato, arido come la Terra che ho trucidato a causa della mia scelta scellerata e inconsistente come la cenere in cui ho tramutato amici e nemici. Ho rischiato e ho fallito, distruggendo ciò che desideravo salvare, e non posso tornare indietro.
La tua attenzione è su di me e le tue mani mi domandano tacitamente di alzarmi. Mi sollevo e ti seguo sino al letto, distendendomi come ho fatto un numero imprecisato di volte. Avverto il tuo movimento mentre prendi posto al mio fianco e mi attiri a te, le braccia strette intorno al mio corpo e il respiro che mi sfiora la pelle. Quando hai iniziato a dormire insieme a me, Meeme? Non ricordo la prima volta che lo hai fatto, e una rabbia improvvisa vince per un istante questa mia incapacità di sentire. Vorrei che durasse, ma anche questo anelito di vita si dilegua prima che io riesca a ghermirlo.
Chiudo gli occhi e mi annullo nel torpore di un sonno che non riesce a darmi ristoro. Non ci sono sogni ad attendermi, solo il vuoto e un gelo che non è di questo mondo. Al ritorno della coscienza non sono in grado di stabilire quanto tempo è trascorso. Pare che il tempo abbia smesso di fluire in questo eterno crepuscolo, e la vita con lui. Tu sei ancora accanto a me e la tenue luminescenza che il tuo corpo emana mi avvolge, quasi volesse restituirmi il calore che la mia anima ha perduto. Intorno a noi l’Arcadia tace. L’allegro riecheggiare di passi è ormai relegato alle più lontane memorie, e le tante voci che ne accompagnavano la cadenza sono state sostituite dall’assordante rumore di questa quiete innaturale.
Siamo soli.
Mi alzo e mi rivesto, accarezzato dal tuo sguardo che mi segue ma che non riesce più a parlarmi. Non ricordo quando ho perduto la capacità di comprendere ciò che non dici. Lascio l’alloggio e vago per i corridoi senza alcuna meta, inanellando un respiro dopo l’altro e un passo dopo l’altro. Sento la nave intorno a me come fosse una creatura viva, sento la sua linfa scorrere insieme al mio sangue … la materia oscura che l’ha così orridamente mutata e che ha mutato me.
Non ho ancora visto il suo scafo dall’esterno di questa prigione di tenebra, eppure so esattamente qual è il suo nuovo aspetto. Attraverso le palpebre vedo le orbite del teschio di prua fissarmi con il loro sguardo di sangue, e vedo la bandiera con le tibie incrociate fluttuare nel nulla come un oscuro presagio. Immaginando antichi velieri chi la osserva vi legge libertà, ma per me è schiavitù. Sono legato a questa mia nave. La mia dannazione ha messo radici in lei e i miei sensi si espandono attraverso il metallo. Faccio mio il suo respiro, assaporo la sua rabbia, la sua agonia e la sua disperazione mentre divora lo spazio, dominandolo e piegandolo al suo volere.  
Avverto la coscienza di Tochiro pulsare tra le sue spire, ma non voglio raggiungerla. Lui non ha colpe da scontare e demoni con cui coesistere e non desidero ancora mostrargli i miei. Percepisco anche te, Meeme. Di te l’Arcadia ha voluto l’essenza che alimenta il suo cuore di luce, l’unico a cui riesco a guardare in questo abisso nero come il mio peccato.
Mi fermo ed accosto la schiena alla parete, scivolando lentamente sino a ritrovarmi accasciato a capo chino. E’ divenuta questa la mia esistenza dopo la nostra caduta … un petalo di ciliegio sospeso nel vento, che brama la terra e che non può conquistarla.
In questo tempo spezzato passato e presente si confondono e l’oggi si tramuta nella mia eternità, spingendomi a credere che non vi sia altro in serbo per me. Nient’altro, solo questa parvenza di realtà fatta di attimi sempre uguali.
Non nutro speranza di cambiamento e mi trascino come il fantasma dell’uomo che ero, giorno dopo giorno, notte dopo notte, i giorni vuoti come le notti e le notti insonni come i giorni, indistinguibili, senza senso, in un flusso incessante di istanti che non riesco a trattenere.
Eppure, ancora una volta, mi sbaglio.
Le candele sono accese quando un’insolita turbolenza scuote l’Arcadia e un calice in bilico si arrende alla gravità. Il suono secco e repentino mi desta e l’ombra di un ricordo s’insinua in me. Un granello di cenere rossa, la fata morgana di un pianeta che muore, dita di fuoco che scavano la terra e le urla del silenzio. La paura mi aggredisce e si tramuta in terrore, il terrore risveglia nuove memorie e le memorie lo alimentano in un circolo vizioso. Balzo in piedi e mi precipito verso la vetrata in cerca di una via di fuga. Respiro a fatica, le mani premute contro la superficie liscia e il mio unico occhio rivolto verso quelle stelle che sono sempre state le custodi della mia anima, e che ora mi sono nascoste. Un’oscurità quasi tangibile si frappone tra me e loro, una polvere impalpabile che odora di morte e di dannazione. Il respiro è talmente veloce che il petto mi duole, il cuore una scheggia impazzita su cui non ho controllo. Guardo me stesso con occhi non miei e per una frazione di secondo la vita si ferma. Poi, all’improvviso, la coscienza ritorna e il velo si squarcia. I muri che avevo eretto a difesa crollano ed agonia e disperazione mi trascinano di nuovo ad un passo dalla follia. Ricordo tutto in un istante, e muoio di nuovo per ogni scintilla che ho spento.
Mi volto in preda al panico, il dolore un mare mosso da venti di uragano che erode la mia anima spinto dalla furia del rimorso, e sobbalzo dinanzi alla tua immagine.
Non mi ero accorto della tua presenza alle mie spalle e solo ora, guardandoti, mi pare di vederti davvero. Solo ora mi rendo conto di averti trascinata nel mio limbo e di aver reso ombra anche te, e questa nuova sofferenza mi permette di non precipitare nel baratro che è tornato a spalancarsi sotto ai miei piedi.
Mi osservi e sembri stanca. La tua luce è meno intensa di quanto la mia mente ricordi e c’è una nebbia sottile che offusca il verde dei tuoi occhi.
“Quanto tempo è trascorso?”, ti domando in un sussurro.
Paiono secoli, ma so che non è così.
“Per noi il tempo si è fermato, Harlock”, rispondi tu.
Cerco di evitare che la paura si impadronisca nuovamente di me. Il tempo si è fermato …  è questa dunque la sensazione che provo? L’assenza di tempo. Non posso invecchiare, non posso morire, non posso fuggire dalla mia colpa. E’ questa la mia condanna. Incatenato per l'eternità a questo vascello, tormentato dai ricordi e per sempre vittima del mio passato.
“Quanto tempo è trascorso?”, insisto.
Attendo mentre distogli lo sguardo. Sembra che tu voglia evitare di pensare, e per la prima volta capisco che cosa ti ho fatto. Qualcosa si spezza dentro di me, qualcosa che credevo non esistesse più dopo quel giorno, e tremo.
“Dobbiamo ritornare per saperlo”, rispondi, il tono privo di espressione.
Ma la mia domanda non ha più alcuna importanza.
“Mi dispiace, Meeme. Perdonami.”
La mia voce si ode appena. Tu torni a fissarmi con occhi in cui l’apprensione per me si mescola al dolore.
“Ubbidire è stata una mia scelta.”
“Perché lo hai fatto?”, chiedo.
Non mi aspetto risposte e tu non me ne dai. Ti avvicini, il capo inclinato di lato e le palpebre lievemente abbassate, e sospiri.
Le tue labbra non si muovono, ma io sento la tua voce ripetere parole già pronunciate che mi proiettano in un altro tempo e in un altro luogo.
“Hai sempre così tante domande, Harlock.” (*)
Mi perdo nelle mille sfumature delle tue iridi cangianti e quasi ti vedo camminare sulla linea di confine, ancora incapace di scegliere tra me e l’oblio. Vedo l’angusta cabina in cui ti toccai per la prima volta, e sento il dolore e la solitudine di quei giorni sciogliersi in quel tocco lasciandoti libera. In un battito di ciglia rivivo una vita intera e il nostro passato torna ad essere mio.
Mi guardo intorno e osservo questa sala come se non vi fossi mai stato prima. Vasti spazi si sono aperti laddove vi erano spesse paratie, il legno si è fuso con il metallo e l’oscurità è divenuta padrona di ogni anfratto. Si intravedono teschi, teschi ovunque, bagnati dalla luce tremolante delle candele e sorti dalle profondità del metallo come a ricordarmi ciò che non mi è concesso ottenere. Nessun riposo per me, solo un eterno vagare nei meandri della mia anima nera.
Mi volto, costringendomi ad affrontare di nuovo il mio riflesso, e per un istante vacillo. L’occhio spento mi fissa, vuoto ed inumano come il grido della Terra che si è fossilizzato nell’abisso della sua cecità. Intorno ad esso solchi profondi disegnano ragnatele sul mio volto … dov’è finita la mia giovinezza?
Scuoto il capo, cercando di mettere a tacere memorie che ora non sono in grado di sostenere, e mi allontano dall’immagine che continua a fissarmi impietosa.
In un angolo quasi nascosto scorgo un piccolo tavolo in legno e, su di esso, un candelabro a tre bracci illumina un mucchietto di terra che riposa accanto ad una manciata di frammenti di vetro.
Un nuovo flusso di ricordi mi travolge come una pioggia di gelide lame e il mio ginocchio cede. Sento i tuoi piedi che scivolano rapidi sul pavimento e le tue braccia che mi cingono da dietro, impedendomi di cadere. Mi appoggio a te e serro le palpebre nel tentativo di recuperare il controllo, ma continuo a vedere il suo volto coperto di sangue e a rivivere la sua morte fino a quando, intorno a noi, la nave inaspettatamente vibra.
Trattengo il respiro e d’istinto rivolgo l’attenzione alle maestose volte che hanno sostituito il soffitto dei nostri alloggi. Senza bisogno di vederti so che anche tu stai facendo lo stesso. Di nuovo la struttura si espande e si contrae, emettendo una nota sommessa che potrebbe essere confusa con un respiro. Quasi non mi rendo conto di averti stretta a me mentre ascolto la voce dell’amico che credevo perduto. Non capisco cosa stia cercando di dirmi, ma comprendo che egli ha vinto la sua battaglia e la consapevolezza che la sua essenza vive ora nel cuore dell’Arcadia allevia in parte il mio senso di colpa.
Raggiungo il tavolo a piccoli passi senza abbandonare il sostegno che continui ad offrirmi, e ti guardo sorpreso quando metti un piccolo vasetto di colla tra le mie mani. Per un istante mi vedo riflesso nei tuoi occhi come una fugace apparizione sulla quieta superficie del mare.
“Abbiamo tutti un’anima di vetro”, sussurri.
Distolgo lo sguardo e lotto furiosamente contro una lacrima solitaria, uscendone sconfitto. Abbiamo tutti un’anima di vetro su cui piovono gli errori commessi, e può capitare che la superficie si incrini o che addirittura si spezzi.
Appoggio il vasetto sul tavolo e osservo con cura il mucchietto di frammenti, scegliendone due. Li rigiro con delicatezza tra le dita, facendo scorrere il pennellino intinto lungo i bordi, e li avvicino lentamente l’uno all’altro. I margini si toccano e i due pezzetti si uniscono. Li depongo accanto agli altri e mi volgo verso le vetrate. Ancora una volta immagino le stelle rifulgere oltre la polvere nera e l’orizzonte svanire al di là di esse.
“Possiamo lasciare l’orbita?”, domando.
La tua risposta è un semplice sì e sorriderei, se potessi, quando l’Arcadia si inclina e volge la prua verso l’infinito.


_____________
 
(*) Riferimento a “Origini”.





 
  
Leggi le 10 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Capitan Harlock / Vai alla pagina dell'autore: Targaryen