Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: lunadelpassato    16/09/2014    2 recensioni
(seguito de Se senti ancora freddo)
per il prequel: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2818487&i=1
°
Una madre che non riconosce il proprio figlio non è una madre.
È una regina di ghiaccio.
Genere: Angst, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anna, Elsa
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Le due facce della realtà'
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Inganno.

 






Aprì gli occhi dolcemente, assaporando ogni minuscola goccia del liquido che le era appena sceso per la gola. Miele, a giudicare dal sapore.

Sentiva un dolorino sordo nel polso, come se si fosse tagliata leggermente.

La nebbia tremula che l’avvolgeva la cullava benefica, le sussurrava di abbandonarsi nella sua coltre calda, ma Elsa non riusciva a fidarsi. Una nota leggera di sadismo appariva tra le tenui parole che sentiva, come se abbandonandosi sarebbe stata risucchiata in un vuoto senza fine.

Nonostante questo, la regina era felice. Si vedeva nell’ombra come una rosa, delicata ma forte allo stesso tempo.

Sbatté le palpebre a fatica, e la nebbia sembrò essere meno reale, mentre i contorni distinti di una stanza le sfumavano attraverso. Elsa li sbatté ancora e ancora.

Quando finalmente riuscì a mettere a fuoco il luogo dove si trovava, sentì la felicità scemarle dal corpo come un velo che le venisse strappato all’improvviso.

Il dolore al polso divenne improvvisamente troppo forte per essere frutto di un semplice taglio.

Come in sogno, diresse lo sguardo verso la mano destra. Solo che non c’era più.

Il suo braccio finiva all’improvviso in un involto di bende macchiate di sangue coagulato, dove un tempo doveva esserci stato il polso.

Ricordò tutto.

-Finalmente ti sei svegliata. –le disse una voce profonda e dura. Le parole le erano rivolte da un uomo visibilmente trascurato.

Un tempo doveva aver avuto capelli e occhi di un morbido castano, mentre il viso avere angolature non troppo appuntite; ora invece la guardava con occhi di pietra, spettatori di troppi orrori, mentre i capelli erano unti ed asimmetrici.

Aveva un mucchio di stracci tenuto delicatamente tra le braccia, come se contenesse qualcosa di infinitamente prezioso.

-Uberto? –domandò Elsa incerta. Solo allora si accorse di non essere coricata nella sua tenda e di essere disarmata. Era troppo debole perfino per evocare la sua magia.

All’uomo brillò una luce sinistra nello sguardo.

-Conosco il mio nome, non serve che tu me lo ripeta. –le ringhiò. Il mucchio di stracci emise un gemito, che subito Uberto zittì cullando.

-Si, Uberto. L’uomo con cui ti sei sposata, ricordi? Il matrimonio combinato, Arendelle ed il suo problema finanziario…

-Ricordo. – lo interruppe Elsa, gelida come il potere che le scorreva nelle vene.

Non che il problema si fosse risolto. Ora il suo regno era diviso dalla guerra. Uberto non si era mostrato molto comprensivo nel conoscere il suo maleficio.

Si alzò a sedere ignorando il capogiro.

-Bene. Ora sei mia prigioniera, quindi se non sbaglio… ho vinto io.

Uberto sorrise, ma gli occhi rimasero immobili su di lei.

Elsa si accorse di essere vestita con una leggera vestaglia trasparente che lasciava ben poco all’immaginazione.

Incrociò le braccia al petto, più per ascoltare l’ombra del senso del pudore che ancora aleggiava in lei, che per indicare un sentimento di rabbia verso l’uomo che credeva alle streghe malvagie.

Sorrise mentre lo sguardo di Uberto risaliva al suo volto, visibilmente frustrato.

-Ti ricordo che la guerra non è come una partita a scacchi, - gli ricordò Elsa, -Mi verranno a liberare presto.

-Non così presto. –aggiunse subito dopo il re. Si alzò dalla seggiola in cui era stato seduto sino a quel momento e le porse il fagotto di stracci, invitandola a svolgere un determinato lembo di tessuto.

Quello che vide le creò un sacco di emozioni contrastanti. Il piccolo che non aveva avuto il coraggio di prendere in braccio nemmeno una volta ora la fissava col suo unico occhio buono.

Il labbro leporino era stato ricucito con del filo di ferro, ma la parte che Elsa aveva congelato rabbiosa

(Mia regina, lei deve vederlo, almeno una volta! –Ora basta! Non voglio vederlo!)

era rimasta uguale nell’espressione a tre mesi prima.

-Lui è Ray, il mio bastardo primogenito. Il figlio che tu volevi affogare.

Elsa non rispose.

-Almeno non dovrai allattarlo, visto che ormai ci pensa tua sorella.

-Anna? –chiese debolmente la regina. Si sentiva debole, vulnerabile come un cucciolo appena nato. Come il piccolo che la fissava con i suoi occhi ancora acerbi dal suo seno.

-Esatto. Quella ragazza non ha preso tanto bene il fatto del tipo che ti sei arruolata per sconfiggermi.

Il suo tono era velenoso, ma evitò accuratamente di menzionare il fatto che aveva dato via il suo umore con tanta facilità. Si stupì a pensare che, più del potere del ghiaccio, era quello a turbarlo.

Elsa mormorò qualcosa che Uberto non capì.

-Cosa dici, strega?

-Posso sciogliere la sua paralisi. –ripeté lei distanziando bene le parole. Avvicinò la mano ancora intatta alla fronte del bambino, poi chiuse gli occhi.

-Prova ad usare il tuo potere sul bambino e ti mozzo anche quella buona. –la avvertì il re. Prima che Elsa potesse aprire gli occhi, aveva già strappato Ray dalle braccia della madre e l’aveva preso tra le sue.

-Volevo solo guarirl…

-Non me ne frega un cazzo di quello che volevi fare o non fare!- urlò Uberto scattando in piedi.

-Tu toccalo e finisci con la testa infilata in un fottuto palo di legno. Hai capito?

Elsa annuì, più per la debolezza che sentiva che per sottostare a quello che diceva l’uomo davanti a sé. Un’enorme sospetto si insinuò su di lei.

-Mi hai drogata, non è vero? –disse tranquilla. In un momento simile avrebbe dovuto provare rabbia e frustrazione, e invece riusciva solamente a pensare al piccolo che aveva tenuto in braccio. Lo voleva ancora stretto su di lei, piccolo esserino ancora in boccio.

Uberto restò serio.

-Si. – fu il suo unico commento. Poi, quasi fosse stato contagiato dalla freddezza della regina, se ne andò dalla tenda. Ed Elsa dormì.

 

-Cos’ha detto? –fu la prima cosa che chiese Anna appena preso Ray dalle braccia di suo padre.

Il re girava nervosamente intorno alla sedia a dondolo in cui era seduta la principessa, che seppure così giovane, gli fece venire in mente sua nonna.

-Non aveva ancora smaltito gli effetto della morfina.

Anna lo guardò profondamente con i suoi occhi smeraldini, duri come roccia.

-L’hai fatta drogare mentre era ancora addormentata, in modo che sarebbe rimasta sveglia per pochi minuti. –indovinò Anna cullando Ray, che ignaro di tutto si succhiava il pollice.

-L’ha riconosciuto? –chiese freddamente al re. Lui si fermò davanti a lei.

-Vai a chiederglielo tu stessa.

Detto questo, uscì a grandi falcate dalla tenda rossa in cui alloggiava la sorella della sua peggior nemica.

Anna aspettò il tramonto prima di affidare il bambino ad una balia, aggiustarsi il cappuccio scuro a coprirle il viso ed incamminarsi verso la tenda candida che conteneva sua sorella.

Non c’era nessuno in giro. Le poche famiglie rimaste erano racchiuse nelle loro tende, intenti ad assaporare gli ultimi bagliori del giorno insieme. Anna poteva sentire il rumore dei suoi stivaletti contro le numerose pozzanghere fangose.

Quando arrivò all’entrata della tenda fu tentata di bussare, ma le sembrò così assurdo che per poco non scoppiò a ridere. Aprì il lembo ed in un attimo fu dentro.

 

Elsa era seduta nel letto. Aveva lo sguardo chino verso il moncherino, intenta a cambiarsi la fasciatura. Anna ebbe la sfortuna di vederlo.

Il braccio, invece di finire nel polso, si spezzava di netto in un lembo di carne violacea tagliata a fil di spada. Dal moncherino stillavano piano alcune gocce di sangue vermiglio, che la regina si affettava ad asciugare con il lembo di uno straccio lurido.

-Più che prevenire, penso che stai favorendo l’infezione.

Elsa scosse le spalle. Le era sembrata una voce così innaturale, conosciuta, impossibile… Anna.

Si girò a fissare una figura incappucciata e piuttosto esile, cosa che la identificava come una donna. Sorrise caldamente.

-Anna, pensavamo tutti che fossi morta in battaglia. Dov’eri finita?

La figura si tolse il cappuccio, rivelando due trecce biondo fragola e occhi infuocati. Non si avvicinò alla sorella né fece qualsiasi tipo di riverenza.

-Hai riconosciuto Ray? –disse freddamente. La regina sembrò non capire.

-Il bambino che hai abbandonato con il labbro leporino ed una paralisi a metà del viso. –le ricordò Anna.

-Io non ho nessun bambino.

La principessa avvertì un pugno allo stomaco. Che le parole del re fossero state vere?

-Elsa, non puoi far finta di niente. In quattro ti hanno vista mentre partorivi, e io ho visto in sogno il momento in cui l’hai abbandonato.

Elsa non ribatté. Sembrava sempre più confusa.

-Non l’hai nemmeno preso in braccia. Te ne rendi conto? Non l’hai nemmeno voluto toccare!

Anna era ormai sull’orlo della disperazione. Elsa la guardava come se l'avesse accusata del peggior reato (e non lo era abbandonare un bambino in fasce sul ciglio di una strada?) che avesse mai potuto commettere.

-Mi dispiace, Anna, ma io non ho mai avuto un bambino. -ripeté Elsa istupidita, la mano ed il moncone posati entrambi delicatamente nel grembo e lo sguardo basso. La principessa restò immobile davanti a lei.

Aveva gli occhi di fuoco.

-Se avessi detto si, mia cara regina, se solo lo avresti accettato... -sibilò trattenendo a stento la rabbia.

-Avresti riavuto una sorella.

Disse questo, buttò a terra il bicchiere di cristallo posato sul tavolino accanto al letto, lo stesso che dieci minuti prima aveva contenuto liquido drogato, e questo si frantumò.

Dopodiché di girò di scatto e uscì dalla tenda a grandi passi rabbiosi, lasciando dietro di sé i cocci dell'oggetto a terra ed il vento gelido che era entrato di nascosto quando aveva aperto il lembo di tenda.

Elsa rimase a fissare l'uscita per qualche secondo. L'espressione nei suoi occhi era vuota.

-Io non ho mai avuto una sorella.

Fece una smorfia, come se un ricordo speciale gli si fosse all'improvviso aperto nella mente, ma fu troppo veloce per tramutarsi in nostalgia.

Sbadigliò sonoramente, cullata dalla grossa dose di morfina che il suo nemico gli aveva aggiunto nel the, si coricò attenta a non posare il braccio sbagliato e si addormentò all'istante.

Quella notte Ray non mangiò. Anna era troppo presa ad insultare pesantemente la sorella per ricordarsi di una cosa tanto banale.

Camminava freneticamente su e giù per la stanza scagliando i peggiori epiteti che aveva avuto modo di imparare mentre elemosinava, urlando nella notte scura come una strega.

-Come Elsa, la strega per eccellenza. -si specificò da sola.

Come se il bambino avesse capito le sue parole, si rimise a piangere disperatamente in cerca di latte.

-Stai zitto, moccioso! -gli urlò la principessa, trovando l'occasione per fermarsi con i pugni chiusi rivolti verso il letto. Ai suoi piedi, sdraiato sulla terra nuda, era posato il piccolo strepitante.

Sua sorella non l'aveva riconosciuto. Non era riuscita ad ammettere nemmeno alla sua unica sorella, colei che si era fatta ghiacciare il cuore, il suo piccolo sbaglio. Perché Anna era sicura che Elsa considerasse così il bambino che la principessa si era presa tanta premura di accudire.

Alla regina di ghiaccio non interessava suo figlio.

-Oh, ma allora che senso ha tenerlo in vita? -si chiese Anna, le mani giunte sopra il viso come in preghiera.













Angolo autrice
Penultimo racconto di questa serie.
Nubi nere scorrono tra le due fazioni, in una guerra sempre più aspra e inutile.
Come nelle precedenti, siete invitati a segnalarmi errori o chiedere delucidazioni.
A presto.
Luna

  
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