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Autore: Sae    01/10/2008    2 recensioni
“Finirò all’Inferno”
Diceva e provocava clamore nel prossimo. “Tu?”
Ma nulla la smuoveva e certe volte nell’inverno muto di quella vallata la vedevi aggirarsi bianca tra quei fiocchi e sembrava che sulla sua testa gravasse una muta condanna.
“All’Inferno…” E sorrideva misteriosa con un luccichio strano negli occhi nocciola.

Buon Compleanno Sora89, Giò questo pensierino è per te ^_-!
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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"C'è una strada che va dagli occhi al cuore senza passare per l'intelletto

"C'è una strada che va dagli occhi al cuore senza passare per l'intelletto."

Gilbert Keith Chesterton (1874-1936), scrittore e critico inglese.

 

Così come sei

 

 

 

L’ennesimo coccio di cristallo che cade senza eppure far rumore alcuno. Il tuo respiro d’altronde è troppo forte e copre ogni gesto, ogni azione.

Scivola quella traccia visibile di te, nel silenzioso e lugubre castello.

Il sangue si raggruma sospetto, su un lembo di stoffa, lì per terra. Il pezzo di vetro muto un po’ più avanti a te, non ti è mai apparso così invitante.

Scuoti la feroce mascella con la luna alta nel cielo a beffarsi di te, della tua sorte.

E desideri il sole più di ogni altra cosa.

Che illumini quel sangue, quello specchio in frantumi che illumini te ridandoti la vita che meriti almeno fino al tramonto.

E urli disperato che non l’hai scelto tu il tuo destino, che ti è stato imposto dall’alto senza alcuna spiegazione. Sei nato così? Non lo ricordi, non hai memoria del passato…sai solo che le due personalità che convivono dentro di te sono complementari: l’una non esiste senza l’altra.

 

In fondo anche il tuo nome è una muta constatazione del tuo essere uomo-bestia. Non è forse con soprannomi che l’uomo va avanti cercando di arrivare al nocciolo delle cose? Adesso ignori anche questo; muto e solitario nel tuo dolore, nel buio e luccicano i canini aguzzi, gli occhi stanchi,  il vetro per terra.

E aspetti il raggio di sole cercando il modo di convivere con te stesso, con le due parti di te…anche se mai lo accetterai perché è assurda la forma che ti racchiude, la vita che ti ha voluto così.

 

I mostri hanno anima?

È questo che ti tortura.

La tua anima rimane tale anche in questa forma?

 

Ti chiudi in quel silenzio che conosci solo di notte, perché nel giorno tu sei diverso loquace prendi beffe di tutto anche di te stesso. E poi…sparisci al tramonto, facendo rumore la notte e cercando spiegazioni assurde il giorno quando miti cameriere si domandano perché ogni notte, oramai da anni, lo specchio vada in frantumi. E non sai quanti specchi hai rotto, quanti cocci hanno raccolto…tanto che nemmeno più loro ci fanno caso, presentandosi con una paletta per raccogliere ciò che giace per terra.

E al primo raggio esci fuori, ruggendo quasi, per la luce del sole che lambisce il tuo volto i tuoi lineamenti, i tuoi capelli neri mossi dalla brezza della mattina.

 

Poi è arrivata.

Arrivata la vita a rispondere alle domande che non trovano soluzione di notte.

Arrivata sotto forma di una cugina, bella, prepotente mandata dagli zii a vivere con te nel tuo castello. La vita non era mai stata più assurda nel presentare quella forma di carne e di viola davanti ai tuoi occhi.

 

Perché se eppur vero che la tua forma cambia di notte…mai avresti pensato delle tonalità che poteva assumere una zazzera completamente diversa e mai vista prima di allora. Un colore che non esiste né in cielo, né in terra; ma che sta lì, sull’orizzonte unendo il cielo d’un blu profondo con il marrone cangiante della terra. È li, che osservando bene capisci qual è il vero colore dell’orizzonte: viola.

 

È assurdo come anche il petto e l’anima di giorno prendano nuova vita; come se mai la parola rimpianto avesse sfiorato la sua mente. Litighi, urli, lanci maledizioni senza fermarti a quel viola; che risponde, non come vorrebbe una signorina d’alta classe alla ricerca del marito. Sorridi, provando solo tenerezza allo sguardo di una donna che mai poteva essere tua confidandoti con lei per la sciattezza della cugina. Lei che invece ride e ti confonde parlando d’amore… Amore che tu eri sicuro di provare per lei ma che in realtà è sbocciato prepotentemente per un altro nome, per altra forma, altro colore.

 

Ti chiamava con soprannomi la dolce Hikari e anche i tuoi amici che solo di giorno frequentano il tuo giardino (non trovando ancora spiegazioni perché di sera la tua casa mai l’hanno vista, compreso te) tu eri: Dai, Davis. Forse il tuo nome era troppo lungo ?

 

Ma lei non si fa intimorire. Non ti chiama Conte. Mai l’avrebbe fatto. Tu per lei sei solo Daisuke.

 

E rompendo lo specchio la notte fai meno rumore, aspettando solo con più ansia il giorno.

 

Daisuke sei solo Daisuke, Non Davis o Dai non due parti del tuo essere che ti confondono…sei Daisuke.

 

Poi l’hai vista presa da qualcuno con lineamenti giusti, che non cambiava la sua forma… da una zazzera quasi come la sua…e tu sentivi di essere il castano della terra e lui il mare….Lei avrebbe dovuto scegliere il colore dal quale attingere di più.

 

E la presenza della terra è così data per scontata… che quando ti chiese se potevi organizzare una serata di gala per lei, per l’Ichijouji… hai solo pensato che il mare è anche più forte della terra perché con l’onda distrugge anche la roccia più ferrea.

 

E allora la notte facevi più rumore portavi di nuovo dei segni sulle mani, sul collo di giorno, riaprendo vecchie ferite che all’arrivo di quel viola si erano man mano attenuate.

E i cocci si sporcavano di più lentamente, sempre di più. E morivi dalla voglia di uscire da quella stanza, di far vedere il tuo vero essere.

 

Non eri mai presente la sera.

Lei non scoprì mai il perché, convinta che tanta era la rabbia nei suoi confronti e la non voglia di stare con lei, da far rinchiudere in un primordiale sonno.

Spinta da un orgoglio superiore, lo stesso che li faceva litigare di giorno continuamente, mai aveva bussato alla sua porta, interrogando tutt’al più i camerieri che scuotevano le teste non spiegandosi nemmeno loro tale comportamento.

Solo il più vecchio, il più accorto cameriere, sorridendole le fece capire che lei faceva bene al signor conte, che lei gli aveva ridato luce e nuova vita e che non se la doveva prendere se mancava al tramonto. Le fece capire che si chiudeva in un dolore non voluto e tutto suo.

 

Miyako Inoue fu, per l’ennesimo tentativo di capire che propose quella cena, non perché agoniava una vita mondana e già da moglie, non perché innamorata come tutti credevano dell’Ichijouji….

Quella era una prova. Di sera, lui avrebbe dovuto affrontarla prima o poi.

 

Ma il padrone di casa le lasciò tutto in mano, si occupò lei di ogni dettaglio e quella famosa sera come le altre precedenti…fu assente.

I rumori del ballo salivano fin dentro la sua stanza. Lo specchio ancora integro rimandava la sua immagine inumana.

 

Daisuke ovattò come meglio potè ogni rumore, cercando di placare i battiti del cuore…e capendo che la sua anima no, era sempre la stessa, anche se in quella forma…che forse dopotutto non era un mostro.

 

Ma la gente mai lo avrebbe capito, lei nemmeno! Anche se era l’unica a dargli solo un nome e che testarda mai ne avrebbe inventati o dati altri!

 

“Daisuke!” Strillava incollerita o sussurrava con stupore se intenerita da un suo sorriso o parola…o gesto.

Era solo Daisuke per lei…eppure… mai lo avrebbe amato per come era… innamorata del mare e non della terra.

 

 

Si mordeva le labbra, cercando di non urlare. “E Dai, contessa Miyako, dov’è?”

“E Davis?”

Sbuffava. “Daisuke…non si sente tanto bene…credo sia a letto” E tamburellava i pollici sulla tavola. Il viola raccolto da una elegante crocchia…vestita di tutto punto…con la speranza di…e invece!

 

Fu allora guidata da un forte istinto che non ci fa capire il perché delle azioni e di quello che stiamo per fare… che Miyako Inoue imboccò il salone mollando il gala, la festa, le voci che la chiamavano.

 

Era convinta che la gente avesse un’idea sbagliata del cugino, appropriandogli dei soprannomi che non lo rispecchiavano. Lo definivano perfino superficiale…forse un po’ lo era…ma lei l’aveva conosciuto sotto un altro aspetto… dopo il tramonto chiuso in una stanza all’insegna del suo dolore.

“Mi dispiace se ogni sera…non sono presente e perdo la tua compagnia, cugina” Glielo aveva detto quasi prendendola in giro sotto la luce del giorno, eppure aveva visto il marrone luccicare come all’insegna di qualcosa di cui vergognarsi. “Mi dispiace molto…”

 

“Daisuke!!” Aveva urlato di fronte alla sua porta in quella zona dove non metteva mai piede. “Daisuke!! Scendi ti prego…o almeno apri questa porta!”

 

Aveva sentito solo un ruggito sommesso, malamente. Il sangue le si era ghiacciato nelle vene.

Era scesa senza insistere velocemente dalle scale incontrando il dolce Ichijouji.

“Miyako Inoue…domani mi rifarò chiedendo un favore al conte vostro cugino…ma perdonatemi se oso troppo chiedendovi adesso la mano”

 

Ed era rimasta attonita nel muto della sala. I volti di tutti sorridenti, ipocriti quasi, e si rivedeva solo nella confusione e nell’incredibilità di altri…Hikari, Takeru erano fra questi gli amici del conte per eccellenza.

“No!” Aveva urlato forse scoppiando a piangere. “Perdonatemi Ichijouji, perdonatemi!”

 

E le luci della festa lo scintillio della vita che avrebbe potuto avere…erano svaniti in un lampo. Solo i sorrisi sinceri di due partecipanti l’avevano capita e benedetta con lo sguardo.

Forse loro sapevano? Forse loro per questo chiamavano un’anima in due modi diversi?per alleggerire la condanna?

 

“Daisuke!” La notte fonda ribussò a quella porta, aveva sentito distintamente dei cocci cadere a pezzi nel silenzio del castello. “Daisuke apri..apri ti prego, apri questa porta.. qualsiasi dolore tu affronti voglio esseri vicina…”

 

“…Ichijouji” Un logorio sommesso rauco.

“Oh lui… lui non è ciò che voglio! Daisuke apri!!”

 

Non sapeva per quale motivo i suoi artigli lunghi, scintillanti, si erano mossi verso la maniglia d’ottone.

“Te ne pentirai… e io ti perdonerò” aveva mugolato con una voce rauca che non gli apparteneva.

 

Quando la porta si spalancò mostrando una bestia. Miyako rimase immobile. Le fauci che sporgevano e i peli che coprivano una figura aiutante. Però…Miyako alzò gli occhi verso le pupille dell’animale e rivide Daisuke.

 

“Daisuke”

 

I cocci gocciolarono per terra a quel suono.

 

“Cosa…cosa…sei?”

 

Lui ruggì e lei indietreggiò emanando un urlo spaventata. “Vattene via adesso!Vattene!” ringhiò la bestia e la voce d’uomo a malapena si riconosceva.

Lei scappò… scappò barricandosi nella sua stanza…piangendo come quello specchio in frantumi.

 

Ma la mattina giunse a riscaldare la anime. Al primo raggio Miyako camminava per il castello, ancora verso quella stanza. “Daisuke” chiamò stupefatta persino lei dalla sua determinazione, dalla determinazione del suo amore…nell’amare senza sapere un perché, un licantropo che tale non era.

 

Daisuke aveva solo un’anima malgrado due forme diverse.

 

Aprì la porta e trovò il giovane d’un bianco di carne tra le sue coperte. Gli occhi chiusi, il sangue che si era fermato adesso colorava leggermente i palmi della sua mano, macchiando in un’unica scia come una lacrima le lenzuola.

“Daisuke…” sussurrò piano con dolcezza.

Lui si svegliò a quel suono con un sussulto. E come al solito si soffermò per un attimo sulle mani ritornata quelle d’uomo.

Non fece domande vedendola. Ed anche lei rimase in silenzio forse solo imbarazzata come se si trovasse davanti a un amore e per di più alla prime armi.

 

Rimasero in quella stanza… cominciando a parlare e del più e del meno come se il segreto non fosse mai venuto a galla. Si presero anche con i soliti insulti o violenti scambi di battute ma né lui né lei fecero né diedero segno di voler lasciare la camera.

Lo specchio solo nel mentre era stato sostituito e le ferite curate da mano attenta, da quella incredibili a dirsi, di Miyako.

 

All’improvviso con gli ultimi istanti del giorno, con il sonno dell’astro. Lui fece cenno che adesso poteva andarsene ma lei rimase, cocciuta e determinata.

“è il tramonto”

 

Lei le prese la mano ancora d’umano e lo condusse alla luce della terrazza. “Non ho paura”

Con la morte dell’ultimo raggio e con il tocco di colore che cambiava il cielo una luce violastra avvolse dapprima le mani, trasformandole in arti pelosi e poi il resto della forma del conte.

 

Miyako non disse una sola parola.

 

Lo condusse allo specchio. Accedendo la luce di una candela mai consumata nella stanza.

Disse solo “non ho paura perché sei sempre tu Daisuke”

 

E sorridendo donna e nuova forma aspettarono il sorgere della luce assieme.

Lo specchio per la prima volta non cadde in frantumi e da allora le cameriere dimenticarono improvvisamente tutte le volte che dovevano pulire e stare attente ai cocci impregnati di rosso.

 

“Daisuke, sei tu, così come sei”

 

 

**

 

Eccomi, stavolta porgo omaggio a Roe, perché le avevo promesso una fic per il compleanno ^.^!!! Spero ti piaccia questa Miyako per Daisuke portata ai limiti dell’Au! Spero davvero ti piaccia Rò!

 

Un bacione a tutti e ringrazio la mia Sora89 e  Padme Undomiel  che hanno commentato il primo capitolo!

 

 

Vostra Sae

 

p.s.: proponetemi voi la prossima coppia o situazione irreale XD cercherò D’ accontentarvi!

 

(p.p.s avviso per Spdl… Tex T-T t’aggia dì na cosa: sempre te voglio bene e maledetti cellulari che vanno come mucche pazze XD ancora rotolo!! Baci Tex)

 

 

 

  
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