Disclaimer: i
personaggi utilizzati sono © di Hoshino-sensei, parte dei dialoghi segue
fedelmente il volume 2 del fumetto di D.Gray-man. La frase in apertura, è presa
dalla canzone “We Are” di Ana Johnsson.
Note: era
inevitabile che io arrivassi a scrivere qualcosa inerente al volume 2, dove c’è
quella tragedia tanto puccha di Lala e Gsor ç_ç. È stata una sofferenza
leggerla e lo è tutte le volte che lo rifaccio (perché il masochismo di un fan
non ha mai fine). Ho voluto provare a capire cosa, ben oltre il dialogo del
manga, potrebbe aver provato Allen. Spero di esserci riuscita.
Special Thanks:
a quella buon’anima di Ruru, che mi ha passato la canzone di Lala, scatenando
la voglia di rileggersi il 2.
A Yua, per il
commento a “Requiem for an Exorcist”, mi ha fatto davvero piacere X3
Dedica: a
Sephta, per il suo compleanno: so che è una fic triste e no, non è adatta come
regalo, ma… considerando che sono certa amerai il personaggio di Lala (se non
lo ami già), mi sento di dedicartela comunque. Auguri ^**^
E poi, silenzio
You keep talking, but it
makes no sense;
You say we’re not
responsible, but we are.
We are.
Rimane in silenzio, la posizione non delle più comode, sulla scalinata che conduce al luogo in cui Lala sta cantando la sua canzone. La sua ultima melodia per Gsor.
Seduto su uno dei tanti
gradini di pietra, leggermente erosa dal tempo, le gambe piegate sono
parzialmente avvicinate al petto. Il busto, chinato in avanti affinché possa
poggiare i gomiti sulle ginocchia, fa sì che parte della sua divisa da
Esorcista tocchi terra, impolverandosi, divenendo di un colore diverso dal nero
che solitamente la caratterizza.
Le braccia incrociate
fungono da sostegno al capo, chinato in avanti in modo da nascondere il viso, i
capelli bianchi unico segno di riconoscimento, come sempre sono stati per lui.
Poco sopra la propria testa,
sente il rumore del battito d’ali di Timcampi e dell’altro Golem.
Sono giorni ormai, che Lala
canta, senza sosta, riecheggiando per le vie di Mater, udita da uomini
incoscienti di ciò che il vento porta con sé. Non uno strano suono, frutto
della suggestione e dello stormire delle fronde degli alberi in un modo
diverso, o per qualche diversa ragione. Nessuna acqua ad alterare il suono che
solitamente emette il soffiare del vento.
Solo, una canzone.
Una voce capace di
riecheggiare nell’anima, così come di carezzarla con dolcezza dall’esterno,
proprio come fosse aria. Sospira: forse, si è detto, se fosse stato più
accorto, sarebbe potuta andare diversamente.
Forse, Lala non sarebbe
stata rotta da qualcuno che non era Gsor, rendendo impossibile mantenere la
promessa.
O magari, sarebbe rimasta
almeno la stessa bambola vissuta con Gsor per tutto quel tempo.
E invece no. Ed era colpa
sua.
Tutta colpa sua.
Sente dei passi interferire
con quella melodia che, chissà, probabilmente gli sta dando alla testa. Tace,
senza dar segno di essersi accorto della persona in arrivo.
«Che cavolo dormi? Fai la
guardia come si deve!» sente dire all’inconfondibile voce di Kanda.
Seccante. È seccante il modo
in cui sente che al giapponese, tutto quello, sembra solo un’immane perdita di
tempo, qualcosa che rallenta il cammino, il totale completamento della
missione.
Solo quella, sembra essere
importante, e nulla pare possa fargli cambiare idea.
Gli fa rabbia.
Tutta… quell’indifferenza.
«Oh… cosa ci fa qui, una
persona guaribile in cinque mesi?» lo sfotte, anche se il tono che gli esce è
un misto strano fra ironia e stanchezza, né completamente l’uno, né del tutto
l’altro.
Totalmente inconcludente:
esattamente come Kanda, probabilmente, reputa tutto quello.
L’attesa, la promessa fra
quei due, la sua guardia.
Il suo ascoltare.
Per il giapponese, deve
sembrare tutto estremamente stupido.
«Sono guarito.» si sente
rispondere, mentre avverte chiaramente l’altro sedersi.
«Stai mentendo…»
«Sta zitto!» lo blocca sul
nascere il diciottenne.
Così fa avvertendo Timcampi
che dalla sua spalla, dove si era posato, si rialza in volo poco distante da
sé. Il Golem, probabilmente, è di nuovo affianco a Kanda, visto che non lo
sente svolazzare vicino, ma più avanti.
Chissà quanti gradini più in
basso è il giapponese?
«Comunicazione da parte di
Komui.» lo sente interrompere di nuovo la melodia. Perché non tace? Perché non
può semplicemente stare lì in silenzio, come al solito, come se nulla lo
sfiorasse e lasciargli ascoltare la canzone di Lala, fino al momento in cui non
smetterà di cantare?
E… quando? Quando la bambola
si sarebbe fermata, smettendo di funzionare?
Di certo, ci sarebbe voluto
un altro giorno, a giudicare dalla voce limpida e chiara che gli arrivava come
se fosse unico spettatore, a poca distanza da lei, da loro.
Ignaro del flusso dei suoi
pensieri, Kanda continua: «Io parto adesso per la prossima missione.» aggiunge.
Bene, che se ne vada.
Che lo lasci solo, come
vuole stare.
Lì, in silenzio, lasciandosi
cullare dalla voce e dalla… tristezza.
«Tu torna al quartier
generale a consegnare l’Innocence.» conclude Kanda.
Sospira. Un piccolo sforzo,
uno solo, e il giapponese potrà considerare la faccenda conclusa e si sarebbe
alzato, andandosene e lasciandolo finalmente in pace.
«Ho capito.» replica, dopo
un brevissimo indugio, quasi ogni parola avesse avuto bisogno di una lunga e
considerevole riserva di ossigeno per essere pronunciata.
Sente Kanda indugiare. O
forse, è solo la sua suggestione che ormai va da sé.
«Se devi soffrire, allora
vai a fermare quella bambola. Tanto ormai non è più Lala, no?» lo ascolta
parlare di nuovo.
Non è andato via, non lo ha
ignorato.
E parla, parla… proprio
quando di ascoltare, di capire, di perdonare Allen non ha voglia.
Perdonare, sì.
Perché è colpa sua, è colpa loro,
se sta andando a finire così.
E lui non capisce. Kanda non
capisce mai anche se lui, Allen, continua a ripetere, con pazienza, ogni volta,
ogni volta. Una sola missione insieme e già è irritato.
Kanda è un tipo che non
capirà mai.
«È una promessa tra loro
due. Lala deve essere rotta da Gsor.» risponde, pur non riconoscendo la propria
voce.
Roca, bassa. Chissà, forse
Kanda non l’ha nemmeno sentita.
Oppure, molto più probabile,
si comporterà come se ciò fosse accaduto.
Non importa mai, quanto le
sue parole lo raggiungono: il giapponese non gli permette di arrivare oltre il
semplice udito. Lui non viene mai smosso, certo.
Lo secca, terribilmente.
E no, non solo il fatto che
il moro è così.
Kanda… non viene mai ferito.
A rigor di logica, dunque, lui non dovrebbe essere in grado di ascoltare, o di
curare le ferite altrui. Né di dare sicurezza in casi come quello.
Per questo, Allen è
arrabbiato.
Perché dal momento in cui
Kanda si è seduto sui gradini… ascoltare la canzone di Lala è divenuto più
sopportabile, e meno oppressivo. Anche se solo un po’.
«Sei proprio ingenuo, tu.
Noi siamo distruttori, non salvatori.» gli sente pronunciare.
Rassicurante.
Ma devastante.
Così è Kanda. Yuu Kanda… si
dice che dovrebbe assolutamente ricordare quel nome e quella persona.
Alza la testa, rivelando un
cerotto sullo zigomo destro e un paio che tengono una garza vicino alla tempia
destra. Sposta lo sguardo sul giapponese, individuandone l’esatta posizione per
la prima volta da quando si è seduto. Sorride, tra il mesto e l’ironico.
«Lo so. Però io…» comincia,
fermandosi.
Bloccato, come il sangue che
non sente più scorrere per quanto sia impossibile, come il cuore i cui battiti
non gli arrivano all’orecchio e, al tempo stesso, arrivano troppo veloci, quasi
sovrapposti l’uno all’altro.
Lo sguardo incredulo. Lo
stesso che ha Kanda, e che lui non vede.
Non c’è più nessuna canzone,
nessuna nota.
E la voce di Lala, è stata
inghiottita dal silenzio.
«Ha smesso di cantare…» sussurra,
per paura che la sua frase possa fermarla davvero, mentre in un angolo remoto,
forse piccolissimo del suo cuore, spera che non sia così.
[La notte del terzo giorno dopo la morte di Gsor…
la bambola si fermò.]
Porta lo sguardo sull’immagine davanti ai suoi occhi.
Lala, i lunghi capelli
sporchi in più punti, tiene il volto levato verso l’alto, come in un canto
verso il cielo.
I tiepidi raggi del sole,
filtrando in quella stanza che cade in pezzi, accarezzano sia il suo volto che
quello di Gsor, il cui corpo senza vita è steso. Il capo sulle gambe di Lala,
come un bambino che ascolta la ninna nanna di sua madre.
Una ninna nanna di morte per
lui, di bei sogni per lei, che non lo riconosceva più mentre cantava.
Sospira, chiedendosi quanto
ha osservato la scena prima di decidere, di imporsi di muoversi.
Si china con un unico
movimento fluido verso Lala, accanto a lei, un ginocchio ora a contatto con il
terreno, il gomito destro poggiato sulla gamba corrispondente, semi piegata.
L’altra mano, stringe appena
un lembo della stoffa nera sull’altra gamba.
Prende aria, sperando di
prendere con essa anche un briciolo di decisione: deve prenderle il cuore, deve
farcela.
Perché per alcuni peccati
non c’è redenzione, e per quella colpa che Kanda non vede, o nega, o forse spera
davvero non li riguardi, non c’è scusa.
Sacrificando la vita di un
altro per la loro causa… gli Esorcisti vivono.
E lui, Allen, è un
Esorcista.
Fa per allungare una mano,
lo sguardo su Lala, che però non la vede davvero.
«Grazie.»
Gelo, paura, stupore, incredulità.
Colpito da tutto, in uguale
misura, senza preavviso, senza aspettarselo, senza capire.
E il viso di Lala, che
lentamente si volta verso di lui, il sorriso dolce sulle labbra: non può
essere. Non davvero.
È viva? È in grado di
parlare, di ringraziare, di capire?
Lala è di nuovo la Lala di
Gsor?
[Non credere alle illusioni, Esorcista.
Non fanno parte del tuo mondo.]
Sgrana gli occhi, quando vede il suo sguardo nel proprio.
«…per avermi fatto cantare
finché non mi sono guastata. Così ho potuto mantenere la promessa.» le sente
pronunciare, il tono gentile e caldo, proprio come quello di un essere umano,
proprio come la Lala che ha sentito parlare a Gsor.
Forse, c’è ancora speranza!
E non pensa che, dopotutto,
che Lala fosse rotta o meno, il suo cuore doveva essere comunque portato via.
Anche se non voleva. Anche
se era sbagliato.
Perché è questo, che fanno
gli Esorcisti. Loro sono distruttori.
Non fa in tempo a replicare
nulla, che la bambola cade lateralmente, verso di lui.
Così simile ad una persona che
sviene, che perde conoscenza, eppure con quel rumore che sa di meccanico, che
sa di falso. Una falsa vita, un intrattenimento per l’uomo, che da lui è stato
gettato.
Una bambola rotta.
Una ragazza morta.
Arriva il momento in cui
nessuno, nemmeno Allen Walker è più in grado di riconoscere l’una dall’altra,
di vederne le differenze.
Abbassa lo sguardo, il volto
sporco di una bambola la cui fronte si poggia al suo petto, come una bambina in
cerca della protezione del fratello maggiore, dell’amico. Di colui di cui si
fida, forse.
I capelli ad incorniciarle
il volto, la bocca semi aperta; l’occhio aperto e bianco, come quando si
mettono le bambole a dormire e quell’iride che le rende uguali a noi insieme a
tutto il resto torna indietro per chissà quale meccanismo.
Ed è allora, che lo nota.
Lo sporco del viso che parte
dall’occhio, da entrambi anche se l’altro non c’è, è rotto. Come… lacrime.
Lacrime di un fantasma che
ha pianto la morte della persona cara.
Pianto di una bambola che ha
visto morire il suo padrone.
Tristezza di una ragazza che
ha cantato per la morte della persona amata, dell’amico fidato, del salvatore.
Sente dei passi, Allen, ma
non si volta: «Eh? Cos’è successo?»
È Kanda. Ma adesso, nemmeno
lui può fare o dire nulla.
Niente che farà sentire
Allen Walker meno colpevole per la morte di una bambola, come ce ne sono tante.
[Non credere alle illusioni, Esorcista.
È probabile che poi faticherai troppo a rialzarti,
nella tua realtà.]
Stringe Lala al petto, in un
abbraccio caldo in contrasto con il freddo corpo di lei.
La mano destra raggiunge il
volto, fino a coprirne gli occhi: la stoffa nera asciuga le lacrime e per un
po’ saprà di sale e rimpianto.
Il giapponese e Toma, il
Finder di quella missione, sono in piedi sulla soglia dell’entrata e lo sguardo
è sul quindicenne.
«Kanda…» mormora, ma sa di
essere udito: «…nonostante tutto, io voglio diventare un distruttore che salva
le persone.» pronuncia, senza lasciare la bambola.
Lo sa, che è un desiderio da
bambino e che nella voce gli altri due hanno sentito le lacrime.
Lo sa bene, Allen, che
quello che ha detto è ciò che porta Kanda a chiamarlo “ingenuo”, o
“mammoletta”, ma non può farne a meno, non ci riesce. Se non giura a sé stesso
di non permettere più un sacrificio simile, Allen crollerà.
Se non promette, stringendo
Lala fra le braccia, che cercherà in ogni modo di essere più forte per poter
sostituire la salvezza alla distruzione di cui gli Esorcisti necessitano, Allen
sente che potrebbe non riuscire più ad alzarsi, quando invece deve proseguire.
Allen deve assolutamente
dare la sua parola che nessuno mai dovrà soffrire così tanto, se a lui sarà
possibile evitarglielo.
E nel momento in cui fa
tutte quelle promesse, in silenzio, aspettandosi un rimprovero di Kanda… Allen
Walker, in cuor suo, sa che per colpa sua, di un Esorcista, ci saranno tanti,
troppi sacrifici.
Più di quanti ne
permetterebbe.
Più di quanti servirebbero
alla guerra secondo le parole di Kanda.
Molti, molti di più… di
quanti potranno sopportarne, sentendone il peso sulle spalle, sulla coscienza.
[Perché nel mondo degli Esorcisti,
non esistono le favole.]