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Autore: SakiJune    18/09/2014    0 recensioni
"Gallifrey si era risvegliata con un ruggito di dolore, non con uno sfarfallio di ciglia. La pace futura doveva fondarsi su un ultimo, necessario atto di violenza. Ma il Dottore non ne fu testimone né causa. Non sentì le voci stridule risuonare nelle strade, le voci gravi sillabare con prudenza all’interno di stanze sigillate, né le voci amiche chiamare il suo nome, i suoi tanti nomi, in un tono che non attende risposta ma ne ha bisogno, ne ha sete. Non sentì giungere chi, fuggito o intrappolato all’inizio della Guerra del Tempo, si era rifugiato in differenti linee temporali e ora aveva sentito il richiamo, sempre più forte, giungere da casa. Erano tornati - gli spauriti e i vili, i saggi e gli idealisti..."
Sequel di "A Taste of Honey".
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Doctor - 12, Jenny, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'From Lungbarrow to Trafalgar Square'
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Per chi non teme gli SPOILER, consiglio di leggere questa shot. Inizia un po' prima di questo capitolo ed esplora una parte del futuro dei protagonisti, introducendo nuovi personaggi su cui non ho ancora scritto. Qualche nota, orsù:
- Irving Braxiatel compare in moltissimi audio di DW (inclusa la serie "Gallifrey" e dello spin-off su Bernice Summerfield. Dovrebbe essere il fratello del Dottore, ovviamente nel 'verse in cui la Maledizione della Pizia non è esistita. Appartiene in ogni caso alla sua stessa famiglia e ha avuto un ruolo fondamentale nella sconfitta di Pandora, nemesi ed alter ego di Romana.
- La battuta sulla Sorellanza di Karn si riferisce, oltre che alla pozione bevuta dall'Ottavo Dottore per trasformarsi nel War Doctor, al serial "The Brain of Morbius".
- Un "perigosto stick" è una sorta di giocattolo gallifreyano che viene nominato sia nella serie classica che in numerosi romanzi e audio. Dovrebbe assomigliare a un sottile birillo con cui fare juggling a quattro dimensioni, ma pare si possa anche suonare. Vista la sua forma è spesso oggetto di doppi sensi.


Il nuovo Telaio assomigliava al figlio d’amore di una gelatiera e un tostapane. Sarebbero occorsi anni prima che fosse in grado di svolgere tutte le sue funzioni, ma aveva già il suo posto d’onore in uno stanzino apposito, nato in una sola notte per accoglierlo. Ovviamente non aveva un libretto di istruzioni, ma sperimentarono un po’, facendogli contare il numero dei membri superstiti e le loro rispettive rigenerazioni. Numero che non era affatto scontato, perché quando gli andava di captare una dimensione differente si metteva ad oscillare di brutto, segno che Irving Braxiatel era ancora là fuori a combinare o riparare danni.

A qualche giorno dalla nascita di Thistle, il Dottore le aveva tagliato un ciuffetto di capelli - non che ne avesse molti - con una cautela estrema e terrorizzata, che a raccontarlo Ada si commuoveva ancora, e l’aveva inserito nel cassettino apposito. In pochi istanti, la macchina senziente aveva riconosciuto il materiale come appartenente alla famiglia e il display tattile si era acceso, permettendogli di inserire la prima parte del nome con una sequenza di movimenti circolari.
“Sicura?” aveva chiesto a Ada. Lei aveva riso, pallida e stanca ma felice, e aveva annuito. Non le importava se il risultato sarebbe stato impronunciabile. Era figlia sua, era figlia di Clara, ma prima di tutto era figlia di Gallifrey. Non l’avrebbe mai dimenticato, si era ripromessa, anche a costo di strapparsi l’anima.
Il Dottore aveva premuto il pulsante e un ologramma aveva illuminato la stanza, dorato e a tre dimensioni. Era una parola, complessa nel suo intrecciarsi di cerchi e linee.

Emozione e stupore erano comparsi sul suo volto e su quello di Innocet, ma Ada sapeva leggere molto lentamente e appariva visibilmente frustrata balbettando una sillaba per volta. Lui si affrettò ad attivare il dispositivo di traduzione: voleva condividere con lei ogni dettaglio di quella cerimonia.

“Dottore, non credo funzioni perfettamente. Le ha assegnato un titolo... il titolo”

“Ti ha anche definita la sua madrina. E ha riconosciuto…” Si interrompeva sempre per un istante quando doveva nominarla, e questa volta non aveva fatto eccezione. “Ha riconosciuto Clara. Ti sbagli, Innocet, funziona benissimo e sa quello che fa.” La bimba stava fissando ipnotizzata la figura luminosa, e non aveva protestato quando il Dottore l’aveva privata delle braccia rassicuranti della Governante per stringerla tra le sue, ossute e nervose. “Sa che dal nostro bagaglio genetico non potrà nascere qualcosa di meglio. Non per i prossimi diecimila anni.”

“Dottore, la tradizione impone che il Kithriarca possa nominare il suo successore solo il giorno prestabilito per la sua morte...”

“Oh, lo ricordo bene, ed è per questo che ho evitato accuratamente l’ultima farsa. Spiacente, avrò altro da fare quel giorno! E ti scongiuro, non ho nessuna voglia di pensare a robe noiose come morire! No, è questa Casa ad averla scelta. Può sempre rifiutarsi, come ho fatto io… ma ho il presentimento che non lo farà.” Ada aveva spostato lo sguardo da uno all’altra, confusa. Era una discussione fuori luogo, totalmente fuori luogo, ma era chiaro che contraddirlo sarebbe stato inutile e la lieve alzata di spalle di Innocet le aveva dimostrato che stava pensando la stessa cosa.

“Perché sei una principessa, ecco cosa sei. La mia principessina carciofina. Oh, sì!” Il Dottore era completamente assorbito da Thistle, e stava ridacchiando toccandole il naso con il suo. Lei aveva emesso un verso che sembrava di approvazione. “Oh. Oh, cosa dici, eh? Scusa, non me n’ero accorto…” L’aveva sollevata un poco, soppesando con una mano il pannolino e storcendo il naso. “Thistleswincetlungbarrowmas, hai fatto la caccona più puzzona di tutta Kasterborous! Andiamo a cambiarci, ragazza.”

“Ci penso io” aveva detto Ada, avvicinandosi per prenderla in braccio, ma il Dottore si era rifiutato vivacemente, facendole la linguaccia:

“È la caccona della mia carciofina, è tutta mia!”

“Thete!”

“Uffa, suonava meglio nella mia testa...”

Innocet si era avvicinata al Telaio e l’aveva messo in stand-by con un sorriso indecifrabile, scambiandosi un’occhiata serena con Dorium che non aveva aperto bocca per tutta la cerimonia, forse per non mostrare ai quattro venti di essere commosso. Nel frattempo il trasmettitore del soggiorno si era messo a suonare, e Ada aveva accettato la comunicazione.

“Siete richiesti ufficialmente su Karn” aveva annunciato la voce di Romana, “Sembra che il lieto evento non sia passato inosservato alla Sorellanza.”

La voce del Dottore si era fatta sentire fin dalla nursery: “Hanno di nuovo bisogno di un fuochista o organizzano un'altra degustazione di cocktail?”

“Spiritoso! Un po’ di rispetto, paparino”.


Non un briciolo di questa spensieratezza aveva accompagnato la nascita di Jack, qualche anno dopo: erano stati giorni difficili e angosciosi. A posteriori, bisognava ammettere che Ada si era strapazzata un po’ troppo tra le mille occasioni ufficiali, nonostante la sua condizione. Perché sì, alla fine Romana aveva offerto al Dottore un impiego importante e lui aveva tentennato per un po’ e prima di accettare si era consultato con la famiglia, persino con Thistle che all’epoca sapeva dire solo quattro parole e nemmeno di fila, ma lui sosteneva che si capivano benissimo. E nessuno aveva avuto da obiettare, naturalmente: soprattutto Innocet era più che sollevata ch’egli avesse delle responsabilità di cui farsi carico anche fuori di casa, perché da quando aveva di nuovo la sua TARDIS sussisteva sempre il pericolo che gli saltasse in mente di fuggire per l’ennesima volta. Era la storia della sua vita, attenderlo: colma di orgoglio e rabbia e nostalgia, appesantita dai propri capelli intrecciati sulla schiena - un fardello sempre più insopportabile da sostenere, così come quel vuoto in cui il ricordo della sua voce si faceva beffe di lei, di tutti loro. Oh, sì, era tornato a liberarli, dopo sei rigenerazioni e davvero, se l’era presa molto comoda... con quel cappello sulla chioma nera gettata all’indietro e il suo ombrello e la sua ironia graffiante, ma più di tutto con le risposte che in quasi settecento anni non aveva mai trovato fra le mura umide ricoperte di muschio e funghi e nei corridoi bui che squittivano di terrore, l’aveva sottratta ad una prigionia ingiusta per consegnarla ad un’altra, più intima e serena, che all’epoca aveva riconosciuto di aver sempre desiderato.

E Ada, che si era ripromessa di non incappare nella sindrome della First Lady, era troppo fangirl nell’animo per negargli il suo supporto e non accompagnarlo ad ogni singola occasione mondana. Le feste da ballo, su Gallifrey, non erano molto diverse da quelle terrestri, se si ha in mente l’alta società newyorkese. Alcune si svolgevano su treni lussuosi che sfrecciavano come lampi nel deserto, collegando le città del continente meridionale. Altre erano sulle colonie ed era un’occasione per far fare un giretto alla TARDIS, che fino a quel momento era servita più da guardaroba e computer che come mezzo di trasporto.

L’incubo era iniziato con un bicchiere in frantumi nel salotto buono della Casa di Fordfarding, mentre il sangue le colava tra le gambe e una macchia si allargava sul vestito e più che per il dolore lancinante, più che per la debolezza che l’aveva afferrata, si era sentita morire dalla vergogna.

Il Dottore non avrebbe mai dimenticato l’odore della parete di vetro che lo teneva separato da lei, chiusa in una macchina che forse le avrebbe salvato la vita e forse si sarebbe dimostrata impotente quanto lui. E in seguito non avrebbe sopportato di sentir affermare che il vetro fosse un materiale neutro, inodore e insapore, perché lui conosceva la verità, vi aveva sbattuto i denti e l’aveva impiastricciato di lacrime e impronte. Non vi era nulla di neutro nel terrore. Il pensiero di tornare a casa solo, affrontare lo sguardo già fin troppo adulto di Thistle, dirle che la mamma non sarebbe tornata a casa mai più… era semplicemente insopportabile.

Ma alla fine non era andata così.

Ada aveva riaperto gli occhi sul suo sguardo stremato e sollevato insieme, con mille domande sulle labbra, ma lui le aveva lasciate in sospeso con un bacio.

Allo specchio, una volta tornata a casa, avrebbe scoperto che i nanogeni, se da una parte non erano stati in grado di restituirle un utero funzionante, erano stati un po’ troppo solerti nello svolgere compiti non richiesti - le avevano reso la pelle più luminosa, persino raddrizzato i denti, come se dei futili dettagli estetici potessero ripagarla del dolore e del vuoto.

Il Dottore si era trovato in imbarazzo a cercare di consolarla, perché era impossibile trovare le parole giuste. “Avrei potuto perderti,” le diceva. “Avrei potuto perdervi entrambi”; e non era abbastanza. Non riusciva più a vivere il presente, né a gioirne; ogni cosa le appariva ovattata e priva di sapore.

“Tutto ciò che sarebbe potuto essere” pensava, portando alle labbra il ciondolo della collana di Thistle, che la Sorellanza aveva forgiato alla Sacra Fiamma. Era la Foglia dei Potenziali Futuri, così l’avevano chiamata, lo stesso simbolo che aveva fatto implodere Akhaten e permesso a Clara di trovare la strada per uscire dal flusso temporale del Dottore… non esisteva un amuleto più potente, ma non era stato creato per lei, proprio come lei non avrebbe più creato nulla.

Aveva lentamente superato quel dolore e se l’era lasciato alle spalle, infine, perché quando Jack aveva iniziato a scorrazzare nel giardino masticando i germogli di Violaspina che ogni volta rischiavano di costargli un orecchio - Innocet andava in bestia quando lo coglieva in flagrante a molestare le aiuole - le malinconie erano state sostituite da legittime preoccupazioni per la sua incolumità, visto il suo caratterino avventuroso. Aveva i capelli biondi e lineamenti classici che lo facevano assomigliare alla quinta incarnazione di suo padre, a differenza di Thistle che aveva ancora l’aspetto di un carciofo spennacchiato, come se quel gioco di parole si fosse dimostrato una profezia. Jackjamin, questo era il suo nome per esteso e sorprendentemente breve per i canoni della famiglia, non aveva paura di nulla e lo dimostrava con fin troppo zelo.

All’età prestabilita era andato sicuro verso lo Scisma, quindi, come da un amico di famiglia che ti lascia un po’ perplesso ma sai che non c’è bisogno di temere, come quando era molto piccolo e il marito di Lady Romana l’aveva accarezzato su una guancia e quella mano era così antica e incerta, quasi timorosa di ferirlo con il retaggio di secoli polverosi e oscuri.

Era andato sicuro perché a suo tempo Thistle ne era tornata assolutamente radiosa, e con una luce nuova negli occhi. Sapeva che c’erano dei pericoli, ma erano pura teoria e calcoli astrusi e lui aveva otto anni e due gambe svelte e tanta curiosità.

 

Guardò.

E non corse via, non perse la ragione e non ne fu ispirato.

 

Un brivido gli scivolò sotto la pelle, e fu come se ali scure avessero gettato un’ombra dietro di lui, o qualcuno gli avesse posato un mantello gelido sulle spalle. Non distolse gli occhi dallo Scisma: non era il Tempo a spaventarlo, non era lo Spazio, era quella presenza estranea. Impossibile descriverlo a parole, era più una sensazione impalpabile che una certezza concreta. Sarebbe riuscito a vederla con la coda dell’occhio se fosse stato molto, molto veloce, ma non ne aveva nessuna intenzione.

Da allora ebbe un compagno invisibile, ma non si trattava di un ritmo marziale com’era stato per il Maestro, bensì di una voce suadente, convincente, quasi una voce interiore che per molti anni non sentì come aliena ai suoi stessi pensieri. Gli parlava, però, sempre quand’era lontano da Lungbarrow, come se la Casa e il suo amico segreto non andassero d’accordo.

La prima volta accadde nel bosco degli Hollows, dove i genitori li avevano portati per una gita, durante le sue prime vacanze. Si era allontanato, com’era solito, a esplorare per i fatti suoi. Ada non era del tutto d’accordo, ma Dottore lo lasciava fare - frenarlo troppo sarebbe stato controproducente. Si era inoltrato parecchio nel folto, imitando i gorgheggi degli uccelli, ma quando questi si alzarono in volo da ogni fronda, come spaventati da un nemico invisibile, cadde il silenzio. Tirava una brezza che invitava a sonnecchiare, ma insieme alle foglie d’argento dagli alberi caddero parole. Ed erano sue, così gli sembrava, e ricordava confusamente di averle pensate o di averne meditato il senso. Narravano

 

una lenta salita verso il luogo da cui non si percepivano differenze o sfumature, solo il potere e la soddisfazione che ne derivava.

 

Si era risvegliato con ricordi soltanto vaghi di ciò che gli era sembrato uno strano sogno e nulla di più, e i vestiti sporchi di terra e foglie. Era tornato nella radura dove sua madre stava raccogliendo i resti del pranzo e scrollando le coperte, mentre il papà e Thistle si concedevano un’ultima partita a carte. Innocet ci provava, a nascondere le sue preziose carte da divinazione, ma quei due le scovavano sempre e ci giocavano a ramino. Il fatto è che la Casa aveva ancora troppe poche stanze per potervi nascondere qualcosa efficacemente. Aveva solo due piani, e quello superiore non era ancora abitato: c’era solo la soffitta, insomma, e la biblioteca dove avevano studiato sotto la guida attenta di Badger. E poi lo stanzino del Telaio, già, ma quello stava sottochiave: finché non fosse stato pronto, la famiglia non sarebbe cresciuta comunque.

- Dov’eri finito? - l’apostrofò la sorella, rimescolando le carte per l’ultimo giro. - Ti sei rotolato in una palude?

Lui la fissò con stizza e d’improvviso anche l’ultimo riflesso di quel sogno sembrò svanire dalla sua mente, e così rimase, dimenticato… almeno finché non si trovò di nuovo a scuola.

 

Ora, il suo primo semestre aveva permesso ai suoi nuovi insegnanti di avere un assaggio del suo temperamento, ma quell’autunno videro tornare un allievo completamente diverso e si chiesero, ma solo per un istante, cos’avesse innescato quel cambiamento, per poi tirare un sospiro di sollievo generale. Erano state scelte semplici, dapprima: quando il suo amico Blynexus, il rampollo di Blyledge, proponeva di giocare a perigosto dopo l'ora di Ingegneria Applicata, si inventava una scusa e andava a ripassare in aula studio con Ashred e gli altri secchioni della classe. Nel sonno, la voce lo incoraggiava.

 

Ogni giorno ti avvicina alla meta. Nessuno sa, nessuno immagina: ma arriverai. Saranno molto, molto fieri di te… e soprattutto io lo sarò.

 

- A quanto pare, ha iniziato a prendere le lezioni seriamente. A volte serve solo un po’ di tempo per adattarsi alla disciplina… non siamo mai stati troppo severi con lui, dopotutto.

- Dì pure che tu non ti sei mai adattato, Thete.

- Oh. Oh, beh, dettagli.

Ma la metamorfosi riguardava soltanto l’ambiente scolastico, e durante le vacanze Jack tornava ad essere il solito rompiscatole, nervoso e ribelle. Finché i bimbi erano stati piccoli, Dorium aveva avuto la pazienza di un santo, anche quando gli venivano infilate dita e matite nel naso e nelle orecchie, ma da un ragazzino di nove anni pretendeva un minimo, almeno un minimo di rispetto. Perennemente sull’orlo di una seria crisi di nervi, spesso esplodeva in sequele di fantasiose bestemmie e più di una volta chiese a gran voce di essere riportato nel Settimo Transetto: naturalmente invano, e per fortuna, poiché di lì a poco avrebbe conosciuto una creatura che avrebbe cambiato il senso della sua esistenza.

 

 

   
 
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