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Autore: Ikki95    18/09/2014    1 recensioni
Una parte della one shot: "Era l'alba quando Artos si svegliò, preparandosi per andare a lavoro. Come di consueto fece colazione con la famiglia, coccolando in quel breve tempo moglie e figlio. Uscì di casa imbracciando l'aratro e si voltò a salutare con la mano i suoi familiari, dopodichè s'incamminò verso il campo. All'improvviso, una luce luminosa quanto intensa scaturì direttamente dal cielo ed illuminò tutto il villaggio di Erendel. Molti degli uomini che, come Artos, stavano recandosi ai loro posti di lavoro, si coprirono di scatto il volto con un braccio per proteggersi dalla luce. D'un tratto lo vide..."
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Mamma, mamma, papà è a casa!" Il bambino indicò una sagoma all'orizzonte, riconoscendola. Saltellava dalla gioia. Una donna uscì fuori di casa con ancora su il grembiule che usava per cucinare. Fece una carezza al piccolo e gli sorrise.
"Vai a salutarlo, Bray." Il bambino sorrise di rimando e iniziò a correre verso suo padre. Quando lo raggiunse lo abbracciò forte cingendola alla cintura. "Papà!"
"Ehilà, campione! Sono contento di rivederti!" I due si incamminarono mano nella mano verso la piccola casetta di legno nella quale la donna li aspettava.
"Ciao tesoro." Fece lui.
"Ben tornato, amore." Gli stampò un bacio sulle labbra. L'uomo posò appena fuori dall'uscio il forcone che usava per lavorare nei campi e i tre entrarono in casa per la cena. Quando finalmente furono a tavola l'uomo si tuffò nella sua ciotola come se non toccasse cibo da giorni.
"Come è andata oggi, tesoro? Sei stanco?"
"Non c'è male." Disse tra un boccone e l'altro. "Lavoro sodo per potervi dare un futuro migliore. Quest'anno sono sicuro che la semina darà un raccolto fantastico!" Fece l'occhiolino al bambino. La donna sorrise per un momento, poi distolse lo sguardo come preoccupata.
"Non dovresti faticare così tanto, sai? A noi va bene così." Gli accarezzò una mano con fare caritatevole.
"Lo so, ma voglio darvi di più, voglio darvi ciò che meritate davvero!"
"Papà, non devi stancarti così tanto..." Interruppe Bray.
"Oh, ma io non sono stanco!" Scompigliò i capelli del piccolo con la mano. Erano castani, proprio come i suoi. Bray aveva preso molto da lui, proprio a cominciare dai capelli, ricci e scarmigliati come i suoi, passando poi per gli occhi di color mogano e terminando con i  lineamenti abbastanza marcati nonostante la giovanissima età. In cuor suo la donna avrebbe dato qualsiasi cosa pur di togliere dalla testa di suo marito la fissazione di dover elevare la famiglia ad una classe sociale superiore, ma il pensiero che lui si preoccupasse così tanto per loro la faceva sentire protetta da tutto. Erano felici. Terminata la cena, l'uomo aiutò la moglie a lavare le scodelle dopo aver messo a letto il bambino. Dopodichè il giovane, molto provato per la giornata di lavoro, accarezzò i lunghi capelli neri della donna e la guardò nei suoi verdi occhi prima di baciarla e coricarsi.
"Buonanotte, Artos, cerca di riposare."
"Stai tranquilla, tesoro. Sto bene!"

Era l'alba quando Artos si svegliò, preparandosi per andare a lavoro. Come di consueto fece colazione con la famiglia, coccolando in quel breve tempo moglie e figlio. Uscì di casa imbracciando l'aratro e si voltò a salutare con la mano i suoi familiari, dopodichè s'incamminò verso il campo. All'improvviso, una luce luminosa quanto intensa scaturì direttamente dal cielo ed illuminò tutto il villaggio di Erendel. Molti degli uomini che, come Artos, stavano recandosi ai loro posti di lavoro, si coprirono di scatto il volto con un braccio per proteggersi dalla luce. D'un tratto lo vide. Apparve dal niente, come se fosse sempre stato lì. Una figura alta, slanciata, con due grandi ali bianche che oscurarono addirittura il sole stesso. Un angelo fluttuava davanti ai lavoratori. La reazione generale fu quella di rimanere stupidi, interdetti, immobili a bocca aperta ad osservare la creatura che si stagliava dinanzi a loro. Fu proprio l'angelo a rompere gli indugi.
"Popolo di Erendel." La sua voce penetrò nelle teste degli ascoltatori così a fondo da rimanere impressa in loro come se scavata con la pietra. "Siete stati scelti. Il Consiglio degli Angeli ha osservato l'umanità a lungo e si è trovato di fronte ad una scelta: porre fine alla sua esistenza oppure redimervi tutti? E' stata per voi decisa una prova. Ho personalmente nascosto nelle profondità della foresta una chiave. Colui che recupererà la chiave potrà aprire una porta eterea, costituita con la stessa materia della quale sono costituiti i  Cieli del Paradiso, e in essa trovare la redenzione per tutti ed un tesoro per sè. Avete tempo fino al tramonto per trovarla, a vostro rischio e pericolo. Fate la vostra scelta. Addio."
L'angelo scomparve all'istante. Nessuno aveva avuto il coraggio di dire nulla, anche se erano tutti allibiti. "Decidere il destino dell'umanità? Il Consiglio degli Angeli? Una porta eterea? Che ieri io abbia esagerato con il cibo?" Artos si ritrovò ben presto a formulare questi pensieri, credendo che non fossero molto dissimili da quelli che anche gli altri stavano facendo in quel momento. Artos raggiunse Fyn, un vecchio amico un po' più anziano, per chiedere consiglio. Era leggermente più alto e massiccio di lui, portava la barba incolta e i capelli gli erano cresciuti fino alle spalle. Si conoscevano da molti anni. Quando lo trovò i due si salutarono con un cenno con la testa. Fyn sapeva che cosa voleva chiedergli Artos.
"Che cosa ne pensi?"
"Penso che sia tutto vero."
"Cosa? Sul serio?" Artos si sorprese. Notoriamente Fyn non credeva alle profezie o cose simili.
"Si, sul serio. Mio nonno me lo ripeteva sempre: - stai attento, Fyn, da lassù ci osservano, per cui comportati sempre bene e spera che tutti facciano come te. - Ed io domandavo il perchè, ma lui non mi rispondeva mai perchè ero piccolo. Adesso capisco tutto."
Artos s'incupì un poco. "Qui ad Edendel siamo tutti contadini, lavoratori, brave persone..."
"Credi davvero?" Fyn fece un cenno con la testa verso degli uomini in armatura che si avviavano alla piccola taverna del villaggio. "Conosco quelli uomini. Prima di stabilirsi qui erano mercenari, adesso si sono ritirirati ma conservano le loro armi ed il nome che si portano dietro sulla scia delle loro azioni. Sono violenti, rissosi, senza scrupoli. Devastano tutto ciò che trovano, campi compresi, e si spostano da un posto all'altro per non essere presi dalle guardie dell'Imperatore. Il loro capo, poi..." Indugiò con lo sguardo per un momento, fissando un uomo che stava richiamando all'ordine gli altri, facendo loro cenno di andare verso la foresta. "Lui è il più abietto di tutti. Lo conosco bene, si chiama Xeron ed un tempo era nella guardia reale. Diesertò l'esercito e da allora si è messo alla testa di quei... Banditi. Loro non sono brave persone, Artos, non lo sono proprio. E a giudicare dalla direzione che hanno preso stanno andando verso la foresta per cercare la chiave. Brutto affare..."
L'uomo strinse i pugni e chinò leggermente il capo. "Andrò io."
"Cosa? No, non puoi. Hai famiglia, come me. Non essere sconsiderato."
"Tu non capisci, Fyn. Che cosa succederebbe se uno di loro trovasse la chiave? Come ci giudicherebbe il Consiglio?"
"Adesso ci credi? Bah, comunque smettila di dire idiozie, tu sei un contadino, non un guerriero."
"Si, lo so. Ma non ho scelta. Devo andare ad informare la mia famiglia." Iniziò a correre in direzione di casa. Fyn tese una mano come a volerlo fermare, ma l'uomo era già lontano.
"Artos!"

Giunto a casa, Artos non sapeva come affrontare sua moglie rendendola partecipe della sua decisione. Scelse di essere breve e schietto. Bray dormiva ancora, per fortuna. Aprì la porta e trovò sua moglie Fedora seduta al tavolo. Si guardarono in silenzio per un po'. Artos capì che la moglie aveva già intuito tutto.
"Ho sentito cosa ha detto quell' angelo, la sua voce ha riecheggiato fino a quà. Andrai?"
"Si, amore, ho deciso di andare."
La donna si alzò in piedi di scatto, protestando. Aveva gli occhi rossi e gonfi. "Sei uno sconsiderato! Non hai pensato a cosa succederebbe se tu non tornassi, eh? A me e Brey non importa nulla di vivere nel lusso, a noi basta il tuo amore! Siamo sempre stati poveri ma nessuno si è mai lamen-"
Artos la interruppe baciandola, poi s'inginocchiò prendendole la mano.
"Anche se non posseggo un castello voglio che tu sia la mia principessa. Sei la donna migliore della terra e la mamma più brava di tutte... Mi hai dato un erede che adoro e che terrà alto il  nostro nome nella generazione avvenire... Sento che devo andare, Fedora... Tornerò da te, lo prometto."
La donne proruppe in un pianto che tentò di celare mettendosi una mano alla bocca. Artos le fece una carezza, abbracciandola, e poi andò nella camera da letto del figlio per salutarlo. Rimase con le braccia conserte ad osservare Bray dormire per qualche minuto, ripensando ai dieci anni passati insieme, dopodichè gli diede un bacio sulla fronte e, dopo aver dato un ultimo saluto alla moglie, partì armato solo del suo forcone.

Lupi, orsi, trappole... La foresta vicino Erendel era di dimensioni esigue, eppure era nota per essere ricolma di pericoli, e la gente del villaggio se ne teneva infatti alla larga. Artos aveva camminato a lungo in quel dedalo di alberi ed arbusti, sempre stringendo vicino a sè il forcone, quasi volesse sentirsi in qualche modo più sicuro. Durante il cammino aveva pensato più volte di tornare indietro. In fondo lui non era un guerriero, nè tantomeno un combattente o anche solo un soldato. Non aveva ricevuto alcun addestramento militare. Avanzava piano, misurando ogni suo passo. L'aria si era fatta pesante e Artos percepiva chiaramente uno strano odore... Odore di sangue. Si accorse ben presto che attorno a lui vi erano i corpi di numerosi uomini. Riconobbe le armature che Fyn gli aveva fatto notare al mattino, era la banda di mercenari di Xeron. Uccisi... Da cosa? Che la sete di potere e ricchezza li avesse spinti ad attaccarsi tra loro? Il terrore si fece strada nella mente del giovane contadino. Raccolse una spada da uno dei corpi. Ritenne che un'arma più consona avrebbe potuto fargli comodo. Si sentiva stranito ad imbracciarne una, ma pensò che doveva dargli un aspetto nobile e virile.
"Aiutatemi, aaaargh, qualcuno mi aiuti."
Un grido scosse Artos dal torpore dei suoi pensieri. Drizzò le orecchie e corse nella direzione dalla quale gli sembrava provenire. Arrivò ad una grande radura e la vide. Non avrebbe mai immaginato che nella foresta si celasse un tale mostro: Una enorme chimera teneva fermo un uomo grazie alle grinfie di una delle zampe anteriori. Artos ebbe un sussulto, seguito dall'impulso di fuggire. Avrebbe fatto ancora in tempo, in fondo l'animale non l'aveva ancora visto, essendo impegnato con un'altra preda.
"Tu... Aiutami... Salvami, ti prego..." L'uomo supplicò Artos, avendolo scorto.
Riconobbe Xeron sotto agli artigli della bestia. Se anche Artos avesse avuto una scelta, adesso era troppo tardi per compierla: oramai la chimera lo aveva visto. Si decise a fare ciò che andava fatto. Impugnò la spada e si avvicinò alla creatura, deciso a salvare anche l'uomo della peggior stirpe ricordandosi del giudizio divino che incombeva sull'umanità. Un conato gli salì sù per la gola quando vide la chimera straziare il corpo di Xeron con una facilità quasi irrisoria. La vita di un uomo era stata distrutta così, in un attimo. Artos realizzò immediatamente che non era tagliato per fare l'eroe; a chi voleva darla a bere. Osservò la creatura farsi avanti. Ognuna delle due teste, una leonina e una caprina, avevano assunto una espressione terrificante. Digrignavano i denti e gli occhi erano d'un rosso così scuro da sembrare carbone. La coda aveva all'estremità il volto di un serpente, ed era estremamente lunga e poteva essere utlizzata dalla chimera come una frusta oppure per attacchi a sorpresa. Si sentiva sovrastato dalla grandezza del mostro; lui, un uomo armato solo di una misera spada. Poi, però, pensò a sua moglie che lo aspettava a casa, e a suo figlio che già lo vedeva come un eroe prima che decidesse di fare finta di esserlo. Non poteva arrendersi, perchè adesso tutto ciò che contava era tornare a casa. Impugnò con forza la spada e schivò il morso della testa dalla sembianze di leone senza nemmeno sapere come, quasi per inerzia. Fu la coda, però, a colpirlo violentemente all'addome e a scaraventarlo contro una grande roccia poco lontano. Il colpo alla schiena fu tremendo: pensò di essersi spezzato tutte le ossa. La creatura si avventò su di lui, ma Artos sfruttò il breve attimo nel quale riprese coscenza per rotolare sotto di essa e tagliare la coda con un veloce e robusto fendente. Il ruggito di dolore della bestia si udì per miglia. La chimera si voltò di scatto, infuriata per la perdita della sua appendice, e diede una zampata al giovane. Artos saltò all'indietro ma rimase ferito all'addome. I tagli non erano profondi ma il sangue uscì subito ed in fretta, cosa che portò l'uomo a toccarsi la ferita con una mano e quasi a perdere i sensi. La creatura sollevò una zampa e fece per schiacciare la sua preda. Artos però schivò di lato, ma non fu abbastanza rapido a causa del colpo precedente, e la gamba destra rimase gravemente ferita dall'attacco della creatura. Stanco, emaciato e rassegnato, l'uomo quasi si consegnò alla chimera distendendosi a pancia in sù. Guardò il cielo che faceva capolino tra le foglie dei rami. Respirava a fatica. Ben presto la creatura fu sopra di lui. Tirò leggermente indietro la testa, pronta a vibrare il morso decisivo. Artos non aveva più le forze per fare niente, la morte era oramai inevitabile. Nuovamente, però, le immagini della moglie e del figlio si sovrapposero ai suoi cattivi pensieri ed una nuova determinazione si fece strada in lui. A dispetto del dolore, del sangue perduto, della gamba ferita e della stanchezza, sfruttò l'ultimo attimo utile per imbracciare nuovamente la spada ed infilzare la chimera alla pancia, proseguendo poi con il taglio fino ad aprire uno squarcio nell'addome della creatura, la quale cadde priva di vita dopo poco a causa della ferita.

"Ce l'ho fatta?" Pensò. Era veramente riuscito ad uccidere quella creatura? Lo aveva fatto quasi per caso, senza nemmeno rendersi bene conto di ciò che stava succedendo. Si voltò un'ultima volta verso il corpo esanime della chimera, oramai riverso su un fianco, e lì lo notò. Uno strano luccichio proveniva proprio dalle interiora del mostro. Fece leva sulla spada per aiutarsi ad alzarsi e, zoppicando, arrivò al capezzale della chimera. La chiave era proprio lì, nascosta all'interno del mostro. La raccolse e non si pose nessuna domanda sul perchè fosse finita lì. A prima vista sembrava essere una comunissima chiave, anche se fatta completamente d'oro, ma di certo priva di poteri magici. Oramai era arrivato fin lì, dunque si fece forza e girò la chiave nell'aria. Dopo pochi istanti una porta trasparente si aprì esattamente nel punto nel quale Artos aveva girato la chiave, emanando una luce simile a quella provocata dalla venuta dell'angelo. Il giovane si fece coraggio ed attraversò quel varco senza sapere dove portasse. Si ritrovò nelle vicinanze di casa sua.
"Cosa...? Che diavolo è successo...? Un sogno?" Si disse tra sè piano.
"No, nessun sogno." Artos si voltò di scatto e si spaventò nel vedere l'angelo di fianco a lui. "Tutto ciò che hai fatto lo hai fatto per davvero."
"... Chi sei tu?"
"Sono uno dei nove Araldi del Paradiso, Amarath, l'Angelo della stirpe umana."
"Io... proprio non capisco..."
"Ho il compito di vegliare sull'umanità, assicurandomi che le mele marce vengano estirpate dalla terra, con qualsiasi mezzo. Voi uomini siete così prevedibili, basta offrirvi il potere ed il denaro e voi lo rincorrete come se fosse chissà cosa."
"Quindi... Era tutto un piano per uccidere quei mercenari?"
"Esatto. Io intervengo dove c'è più bisogno. Presto o tardi avrebbero messo a ferro e fuoco il villaggio, e voi non avreste saputo difendervi."
"E io, allora? Potevo rimanere ucciso anche io!"
"Tu non saresti dovuto andare. Tu, Artos, sei un uomo giusto, equilibrato, devoto alla famiglia. Che cosa ti aspettavi di trovare in quella foresta? Oro? Potere? Gloria? Niente di tutto questo sarà mai prezioso come l'avere una famiglia; una moglie che ti ama, un figlio che ti considera un eroe. Rifletti su questo, mortale, e capirai che, quando parlavo di un tesoro oltre alla porta, non mentivo." L'angelo scomparve improvvisamente.
"Ehi, aspetta, non hai ancora risposto alle mie..." Artos si interruppe. Sorrise tra sè e sè. Forse non importava che l'angelo rispondesse alle sue domande. Aveva finalmente capito tutto ed era riuscito a cavarsela. S'incamminò lentamente verso casa. Quando Bray lo vide gli corse incontro, proprio come la sera precedente, esattamente come ogni giorno. La moglie si mise una bocca alla bocca e pianse di gioia. "Sei tornato..."
Artos abbracciò suo figlio e lo prese in spalla, poi si avvicinò alla moglie e la baciò a lungo.
"Siamo stati così in pensiero per te..."
"Lo so, riuscirete mai a perdonarmi...?"
"Ma certo papà! Sono sicuro che hai affrontato un sacco di pericoli nella foresta!"
"Ahahah diciamo di si, piccolo mio!"
"Hai trovato ciò che cercavi...?"
"No, ho trovato di meglio, amore."
"Che cosa?"
"Una storia da raccontare e, soprattutto, ho ritrovato voi due."


 
Spazio dell'autore: Questa è la mia prima one shot! Grazie per averla letta e , se volete, lasciatemi un parere, vi risponderò appena possibile ^^ Vi lascio il link delle mie altre fic, se vi va di passare anche da lì! ^^
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