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Autore: SophieJ    19/09/2014    1 recensioni
L'amore, si sa, è irrazionale e i sentimenti spesso fioriscono alimentati dalla forza del desiderio anche quando dall'altro non sembra arrivare alcun segnale di incoraggiamento. È l'amore impossibile, a senso unico o non corrisposto. "L'amore fugge come un'ombra l'amore reale che l'insegue, inseguendo chi lo fugge, fuggendo chi l’insegue”. A chi non è capitato di provarlo almeno una volta nella vita?
Ginger ha amato Evan fin dal primo istante, prima ancora di poter associare alla sua voce un volto. Il tenero sentimento di lei è cresciuto con il trascorrere del tempo, nonostante, inizialmente, la giovane non avesse saputo dargli un nome. A distanza di quattro anni dall’ordalia con l’amato, i due si rincontrano in un caffè letterario, per un ultimo scontro/confronto finale.
2° classificata nel contest 'Impossible Love Stories' indetto da Geah.Nee e vincitrice del premio 'trama d'argento'!!!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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You should be mine.

 

Camminavo sotto la pioggerellina autunnale di ottobre, strascicando i piedi e rallentando il passo solo per assaporare quel momento.

Lui mi stava aspettando al caffè letterario, il nostro preferito. 

L’unico capace di prepararti un cappuccino che fosse veramente tale. 

Quello era il Giorno dello Scambio. 

Lo avevo aspettato, bramato, vissuto e amato. Ma non per ciò che avrei ricevuto, o meglio, non solo per quello. 

Evan era arrivato presto e si era seduto al suo solito posto, vicino alla finestra, ben visibile a tutti, nel luogo più misterioso e nascosto che ci fosse in quel locale, perché com'era solito dire, quando il mondo intero è osservato, schedato e numerato, l'unico modo di scomparire è quello di rendersi visibili.

Mi ero fermata sul ciglio opposto della strada, guardandolo e sperando che lui si voltasse e ricambiasse. 

Ma non è successo. 

In compenso però ho ricevuto non poche imprecazioni colorite, un paio di colpi di clacson e degli spintoni, propugnatimi dai pedoni che si affrettavano verso le proprie destinazioni. 

Mi ero sentita mancare non appena avevo scorto i suoi capelli corvini, rigorosamente sparati all'insù. Il suo profilo trasudante mascolinità, ammorbidita da un tocco di eleganza aveva risvegliato in me desideri così carnali e primordiali che non ricordavo neppure d'avere.

Chissà se i suoi occhi sono ancora penetranti e vivaci come lo sono sempre stati. Dio, quanto vorrei che tu fossi mio!

Si, perché di tutto l'insieme, quelle perle di ossidiana erano sicuramente il suo tratto più peculiare.

Si tingevano di malizia con la stessa rapidità con cui assumevano sfumature giocose, dolci, eppure in essi c'era sempre un che di altero.

Mi avevano catturata nel loro campo magnetico fin dal primo sguardo, non lasciandomi possibilità di fuga.

Dannazione! Ho bisogno di caffè.

La nonna era solita dirmi che i momenti migliori dell'amore sono quelli di una quieta e dolce malinconia, dove tu piangi e non sai perché, e quasi ti rassegni riposatamente ad una sventura… e non sai quale essa sia. 

E io avevo pianto. E per molto tempo. 

Di sicuro avevo contribuito ad arricchire le aziende produttrici di fazzoletti. 

 

 

Il liceo era stato il folle volo prima della rovinosa caduta.

Lui spesso passava di fronte alla mia classe, anche solo per fare un saluto, e non m'importava né delle risatine maliziose delle mie compagne né del fatto che le mie guance si scottassero sotto il fuoco del suo sguardo ardente, capace di lasciarti tramortita, imbambolata.

Il nostro primo incontro avvenne prima delle lezioni del terzo anno.

Lui era lo studente nuovo, che ancora non si era del tutto ambientato, e cercando la scuola, si era trovato sul sentiero segreto all’ombra dei ciliegi.

Quei piccoli e delicati petali mi sfioravano il viso, in dolci coccole floreali.

Dio, quanto adoro i ciliegi e la cascata rosata che ogni anno si riversa sul sentiero, sospendendo la realtà e annullando ogni tipo di concretezza a favore di una dolce e confortante astrazione.

Ricordo di aver sentito passi concitati avvicinarsi alla panchina dove io mi trovavo.

“Questo è il Liceo G.?”

Non avevo alzato subito gli occhi. Di solito i ragazzi mi evitavano a causa dell’aura di maturità e serietà che mi aveva sempre accompagnata.

Credo che sia rimasto in attesa per parecchio, prima di azzardare un lieve cenno della mano nella mia direzione. 

Con la coda dell’occhio lo vidi tentare di sfiorarmi la spalla, ma poi ci ripensò, optando per un gesto meno personale.

Alzai gli occhi e li puntai su quello sconosciuto che mi aveva distolta dalla mia lettura preferita Dune di Frank P. Herbert e so per certo che non mento, quando dico che non potei più volgerli altrove.

É stato come nascere per la prima volta. E quel paesaggio così bello eppure effimero, aveva segnato l’inizio delle mie tachicardie legate alla sua presenza, alla sua sola vista, al solo pensiero di lui.

Ci misi un po’ a ritrovare la voce. Probabilmente lui credette che fossi ritardata, o non molto sana di mente o socialmente instabile, ma non m’importava, perché le prime parole che gli dissi furono:”Ci vado anch’io… Se… Se vuoi ti mostro la via.”

E lui aveva sorriso, in un modo così accattivante che non riuscì a prendere la boccata d’aria successiva e mi piegai dal tossire.

“Tutto bene?” i suoi occhi scuri erano velati di preoccupazione. E io mi aprii ad essi, come i fiori di gelsomino si aprono alle prime note della notte.

“Ho dimenticato di respirare.” gli ho detto senza pensarci e mi pentii subito di quell’affermazione.

Lui mi squadrò un altro po’, poi rise con calore, mentre una lacrima sgorgava dall’angolo del suo occhio sinistro. Poi il suo sguardo era tornato tenebroso e penetrante.

“Beh, allora sarà meglio che ti scriva un post-it. Nel caso tu te ne scordassi di nuovo.”

Io gli sorrisi e non perché aveva detto una delle cose più dolci che avessi mai udito, ma perché nelle sue parole vi era l’implicita promessa di un seguito a quell’incontro, che io non avrei mai sperato accadesse.

“E comunque, ragazza-che-non-sa-più-respirare io sono Evan. Evan Lancaster.”

Mi aveva teso la mano, ma io non l’avevo stretta perché mi ero messa a cercare freneticamente il blocco di post-it che avevo in borsa.

“Ginger. Ginger Johnson. Ed eccoti qui i post-it nel caso tu voglia iniziare subito a supplire alle mie mancanze.” Glielo tesi ed era la cosa più stupida che avessi fatto, e probabilmente se fosse stato un altro, non avrebbe gradito, ma lui non era un altro, lui era Evan e lo prese quasi gioia.

“Intanto direi che sarebbe prassi iniziare con i nostri numeri di telefono, non credi? Così potrei fare un buon lavoro a trecentosessanta gradi.”

Quella constatazione mi spiazzò.

Esisteva davvero un ragazzo così dolce? E se sì, perché gli angeli non me lo avevano mandato prima?

Ci scambiammo i numeri e ci avviammo lungo il sentiero di ciliegi in fiore, che ora mi parevano i più belli e più suggestivi su cui avessi mai posato il mio sguardo.

 

Ed è stato allora che ho iniziato a desiderarlo.

 

Quando la scuola era ricominciata, ero ormai totalmente assuefatta dai ricordi della sua voce, dei suoi sorrisi, di quegli occhi intensi.

Non avevamo modo di trascorrere molto tempo insieme, però avevo saputo che aveva preso parte al club di nuoto e quindi ogni pomeriggio mi trattenevo un po’ più a lungo, solo per lui. E a quasi per caso era diventato il nostro rito, tre volte a settimana. Il nostro piccolo infinito nella finitezza del mondo circostante.

Era diventato molto popolare quasi subito, per via della sua gentilezza verso chiunque, senza fare distinzioni.

Nonostante ciò, quando ci trovavamo, lui era sempre il mio Evan, il ragazzo che avevo conosciuto ed imparato a conoscere.

 

Una sera avevamo deciso di andare al cinema. 

Lui da perfetto gentiluomo aveva offerto tutto, allontanando dalla mia vista quegli scontrini, così che io non potessi obiettare, visto che non sapevo quanto aveva speso.

Il film scelto era ovviamente d’azione, un po’ fantasy e con l’immancabile storia d’amore, che se non c’è non fa vendere nemmeno un film.

Mentre aspettavamo l’apertura delle sale, mi aveva raccontato che lui e la sua squadra di nuoto avrebbero preso parte alle competizioni provinciali, sperando di piazzarsi con un buon tempo, per gareggiare anche ai regionali.

“Da quello che ho potuto vedere, secondo me non avrete problemi.”

“Certo, ma non sarà così semplice una volta giunti ai regionali: lì troveremo gente veramente tosta, molto più capace di noi e …”

Lo zittii con un’occhiata eloquente. Era dolcissimo, perfino quando era insicuro, anzi forse ancor di più.

“Mi stai prendendo in giro? Per uno che già alle medie aveva fatto faville, non sarà poi così complicato! E poi neppure tu sei da meno degli altri!” 

La mia voce si era fatta roca nell’ultima parte del discorso e temetti che lui avesse colto il mio doppio senso. Di certo non mi riferivo alla sua bravura nello stile libero, anzi. 

“Sei fin troppo ottimista, ma grazie per il complimento! Verrai a vedermi, non è vero?”

Evan mi aveva rivolto uno di quei suoi sguardi imploranti e talmente teneri da farmi sciogliere, liquefare dalla troppa dolcezza.

Feci spallucce. Ma vedendo poi i suoi occhi farsi tristi, quasi feriti, mi sentii malissimo.

Sfoggiai il mio miglior sorriso con tanto di pollici alzati e gli dissi:”Certo, che ci vengo! Anche perché dubito fortemente che riusciresti a vincere senza il tuo portafortuna!”

Il suo viso si aprì in un incontenibile moto di gioia ed ero certa che mi volesse sollevare e far roteare in aria, ma io me la svignai verso il bagno, evitando quella situazione alquanto imbarazzante.

“Lo so, Ginger che cosa stai facendo! E prima o poi ti prenderò, sappilo!”

 E io mi ritrovai a pensare con fervore: ti prego, fallo! Se sei tu, puoi prenderti tutto, perfino l'anima se vuoi!

Quando tornai indietro, non ci separavano che pochi metri, eppure incrociando il suo sguardo, sentii di avere una connessione diretta con il suo 'io interiore', che poteva provenire soltanto da un'esperienza ultraterrena passata. 

Diamine! 

Avevo le palpitazioni ed ero certa di essere arrossita, poiché percepii distintamente un lieve torpore farsi strada sulle mie guance esposte a quelle invadenti ed abbaglianti luci. 

E anche quando mi trovai perfettamente di fronte a lui, non riuscii ad interrompere il contatto visivo, talmente eravamo presi l'uno dall'altra. 

“Sei bellissima, anche con della carta igienica sotto le scarpe.” Ha detto e io ho distolto lo sguardo, portandolo verso il basso e vedendo ciò che prima mi era sfuggito. Mi coprì il viso con una mano, rossa di vergogna e incapace di dire una parola.

Lui doveva aver notato il mio stato d’animo, perché si era chinato e aveva sfilato il sottile foglio di carta da sotto le mie scarpe e lo aveva buttato nella spazzatura con nonchalance, quasi gli fosse del tutto naturale.

Avevo sperato che mi sfiorasse la caviglia, che colmasse quella distanza che si era venuta a a creare tra noi, ma non l’aveva fatto.

E il momento si era rovinato.

 

”Ehi! Polpetta!"

Aveva sussurrato alle mie spalle con voce da maniaco, il che mi aveva fatta sobbalzare e già stringevo saldamente la borsa, pronta a colpire il malintenzionato. 

Io e un paio di amiche eravamo sedute in mensa, chiacchierando della sempre più prossima competizione agonistica di nuoto della squadra del liceo.

Mi volsi verso di lui con un'espressione tra il concitato e lo stizzito.

"Scemo. Non farlo mai più!”

Lui sorrise, inclinando leggermente la testa di lato, chiedendo implicitamente scusa.

"Eh no! Non ti perdono! Sopratutto perché rischiavi di prenderti una borsellata in testa e lo sai che poi mi sarei sentita in colpa fino alla fine dei tempi!" 

Cercavo di non mostrarmi troppo contenta di vederlo, anche se temevo che tutti in quella stanza fossero consapevoli del battito frenetico del mio cuore, che premeva per uscirmi dal petto.

Dio, Ginger, ti prego non svenire!

"Si direbbe che tu sia preoccupata per me..." Mi sentivo il viso in fiamme, le quali divennero un tornado di fuoco nel momento in cui incrociai gli sguardi stupefatti delle mie amiche, che non mi avevano mai vista così in imbarazzo e soggiogata da un uomo "Eh già! Ne so qualcosa..." Quella confessione mi stupii, anche se non capii subito a cosa si riferisse. 

"In che senso scusa?"

Fece un sorrisetto malizioso, che mi lasciò con la gola arida. 

Ho bisogno di bere

Deglutii.

“Lascia stare: non bisogna rivangare il passato o ne verremo annientati. Piuttosto… per un po’ non ci vedremo per via degli allenamenti… C’è qualcosa che posso fare per te?”

Il suo viso era a pochi centimetri dal mio, i nostri occhi concatenati e trattenni il fiato, conscia di quanto fossimo vicini.

Il suo respiro caldo mi rendeva difficile, se non impossibile, concentrarmi. Mi imposi di controllarmi e organizzare i miei pensieri in un qualcosa di più consistente e coerente di un ‘eh?’.

Lentamente e con cautela respirai il suo odore di shampoo alla pesca, dopobarba e virilità.

Mi resi conto che era in attesa di una riposta e gli dissi ciò che non pensavo, perché era ormai palese che desiderassi lui, il suo corpo, la sua anima. E lo volevo tutto, con quell’avidità che caratterizza colui che non ne ha mai abbastanza.

“Non saprei… Suppongo che l’unica cosa saggia da chiedere sia: cerca di vincere!”

La risposta fu piuttosto soddisfacente perché lui sorrise amichevolmente e poi si allontanò per raggiungere i suoi amici, non prima di avermi sussurrato: “Ginger… Ricordati di respirare.”

“Avresti dovuto essere sincera, Ginger, fosse anche per ricevere un rifiuto. Adesso devi muovere quel culo e dichiararti prima che lo faccia qualcun altro.”

Mary mi aveva guardata con disapprovazione ed ero totalmente d’accordo con lei: adesso avrei dovuto sudare per ottener un’altra occasione simile.

 

 

Un pomeriggio, dopo i suoi allenamenti, ce ne stavamo seduti sul nostro sentiero.

Lui mi aveva guardata in modo strano e quando gli avevo chiesto di vuotare il sacco si era rifiutato categoricamente.

Finalmente, quel giorno mi sarei dichiarata fosse l’ultima cosa che facevo.

Ero emozionata e mi tremavano da morire le mani. Dio, se mi tremavano!

Perché nonostante fossimo buoni amici, io non riuscivo ad accontentarmi. 

Stavo diventando avida, ne sono consapevole.

“Evan… Io…” lui mi zittì per un istante. 

“Prima devo darti io una grandiosa notizia!” sorrideva come un ebete e sperai che lo stesse facendo per me, perché magari doveva dichiararsi.

“Scarlet ed io usciamo insieme.”

Cercai con tutte le mie forze di metabolizzare quanto aveva appena detto, cercando di convincermi che Scarlet fosse uno dei nomignoli che mi aveva affibbiato, che stesse per forza parlando di me, dal momento che non passava mai così tanto tempo con qualcuno che non fossi io.

“Scarlet… Chi? Io?” Lui aveva riso e aveva scosso la testa.

“Ma che dici? No! Parlavo di Scarlet Payton. Da una settimana a questa parte mi prepara dei dolcetti che mi lascia vicino al mio armadietto. Poi ieri si è dichiarata e stranamente ho scoperto che il sentimento è reciproco. Pensa un po’! Credevo di avere una cotta per te, ma cupido a quanto pare ha sempre qualche nuova freccia pronta a capovolgere la situazione!”

Mandai giù a vuoto, decisa a non mostrarmi debole e indifesa, eppure era così che mi sentivo. 

Aveva una cotta? Una cotta per me? No, impossibile…

Eppure una strana inquietudine si fece spazio tra i recessi della mia anima, dilaniando tutte le mie certezze.

Era stato come ricevere una pugnalata allo stomaco da qualcuno da cui non te lo saresti mai aspettato.

Era stato come se avessi camminato nella luce al suo fianco ed ora mi ritrovassi a cercare a tentoni la sua mano, ma non avrei mai più potuto afferrarla.

Avresti dovuto essere mio. Mio! Vorrei tanto che tu fossi mio…

Lui si era voltato verso di me e probabilmente aveva scorto la mia tristezza e le implicite recriminazioni, ma io non lo vedevo più. Mi ero levata su di scatto dalla panchina e i miei piedi avevano preso il volo da soli. E io li avevo seguiti, incapace di decidere alcunché. Loro non mi avrebbero mai tradita, non mi avrebbero mai fatto proposte irragionevoli, non mi avrebbero mai illusa e svuotata.

Avevo sentito la sua voce chiamarmi in lontananza, ma era così attutita e lieve che mi convinsi di essermela immaginata.

 

Ero corsa a casa e avevo sbattuto la porta della mia camera, gridando contro il mondo, contro Evan, contro me stessa.

Avevo fatto spazio sulla scrivania, buttando a terra tutto quanto ci fosse sopra. E quando la voce mi era venuta a mancare, era stato il turno delle lacrime.

Il cellulare non la finiva di lampeggiare, tra telefonate e messaggi, ma io ignoravo tutto e tutti, chiudendo loro la porta in faccia e non volendo più aprirla.

Le lacrime mi avevano fatto male, perché c’era voluta la perdita della persona desiderata perché io realizzassi quanto ne avevo bisogno.

Ero totalmente e inequivocabilmente dipendente da Evan. Innamorata da star male e in effetti era così che mi sentivo.

Ma ormai non serviva più a nulla fantasticare.

Ormai era annientata e annullata nel mio essere donna e nel mio essere una creatura senziente.

 

Per una settimana mi rifiutai di andare a scuola.

Evan venne quasi tutti i giorni sotto casa mia per sapere come stavo, ma io non gli risposi. Dissi, no, obbligai mia madre a mentire per me.

Non volevo essere costretta ogni volta a sopportare la vista di quanto avevo perso, di quanto mi era stato strappato ingiustamente.

Poi quando le lacrime finirono e i fazzoletti pure, mia madre mi rispedì a scuola.

Il rientro in società fu traumatico.

Non avevo calcolato la portata delle piene che i miei occhi avrebbero dovuto sostenere e non avevo controllato di essere mentalmente stabile e fisicamente pronta a quello che vidi.

Il primo impatto fu devastante. 

Il solo vederli insieme felici e gioiosi mi faceva venire il mal di stomaco. 

Ogni volta era come ricevere una pugnalata dritta al cuore e mi doleva. 

Ma neppure la mano appoggiata sul petto, nel vano quanto disperato tentativo di placare quell’opprimente e soffocante sensazione di fallimento, era servita a qualcosa.

Mary e le altre mi guardavano preoccupate. 

Mi dicevano che non stavo reagendo alla perdita, che non era come quando ci si lascia, ma come quando muore qualcuno a te vicino.

Ed effettivamente era andata così. Io ero la vittima di quell’amore crudele. 

E non c’era nessuno al mio funerale che mi facesse un elogio… C’era solo il becchino e il prete; il restante pubblico era costituito da gente che se n’era andata da molto tempo e che non ne voleva sapere di ascoltare un’altra funzione funebre.

Li evitai per tutto il giorno. Non risposi neppure ai messaggini di Evan che aveva saputo del mio ritorno.

Ogni volta che li scorgevo in lontananza, cambiavo direzione, incapace di affrontare quella  spinosa realtà.

 

Venne il giorno della competizione, ma mentre tutti erano in piscina ad assistere alla staffetta, io ero in biblioteca ad affogare i miei malumori in un romanzo rosa. A leggere sulle pagine quello che ormai era completamente irrealizzabile nella realtà.

Scarlet mi mandò una serie di messaggini, pregandomi di prender posto sugli spalti da dove lui mi avrebbe potuta vedere, ma io non lo feci.

In fondo, perché avrei dovuto? Per aiutarli nella loro gloriosa storia d’amore di cui io, IO, sarei dovuta essere la protagonista? Per osservare come terzo incomodo il film di come sarebbe la mia vita, se non ci fosse stata lei?

No. No, grazie.

E invece avrei dovuto, ma la piccola me malata e cattiva non ce la faceva proprio.

Ero così egoisticamente concentrata su me stessa che non mi curai di lui. Affatto.

E persero di pochissimo.

E inconsciamente non potei fare a meno di sentirmi un po’ in colpa.

Perché stavolta ero stata io quella che lo aveva pugnalato in pieno stomaco.

E presi la mia decisione.

 

 

Mi avviai verso il caffè con passo sicuro.

Non ero più la ragazzina del liceo, ma una giovane donna di ventun anni, conscia dei suoi pregi e difetti e del suo posto nel mondo.

Entrai e mi diressi subito verso di lui, lasciandomi cadere con grazia sulla sedia.

“Buongiorno anche a te, Ginger.”

Il suo sorriso era rimasto immutato nel tempo. E ora che aveva quasi del tutto perso quell’aria innocentina che aveva al liceo, mi ritrovai ad apprezzarlo ancor di più.

Posai sul tavolo Dune di Frank P. Herbert e lo spinsi verso di lui.

“Mi doni uno dei tuoi libri migliori? Devo aver proprio fatto il bravo per ottener un privilegio simile.” Sorseggiò il suo cappuccino, puntando quei due occhi maliziosi su di me.

“Non te lo sto regalando, sia chiaro. É un prestito.”

Lui annuì, con l’espressione di chi la sapeva lunga.

Ordinai un cappuccino e una brioche salata. Il solito, insomma.

“Non sei cambiata affatto nei modi, mentre nell’aspetto sei sbocciata. Da bozzolo grezzo e delicato, sei diventata una fiera e bellissima farfalla.”

Distolsi lo sguardo, cercando di non farmi soggiogare dalla sua voce roca e dai suoi occhi curiosi.

Dio, se era cambiato! Eppure l’attrazione che ci aveva unito in passato mi aveva investita come un uragano ancora una volta.

Dovresti essere mio…

“Invece di dire idiozie… Stai ancora con Scarlet? La vostra storica relazione procede?”

Evan si sporse un po’ di più nella mia direzione e sussurrò: “É finita l’anno scorso. In realtà potrei affermare con certezza che era finita già alla fine di quel fatidico terzo anno…”

Sollevai gli occhi di scatto. Perché? Perché dire una cosa simile?

Era fasciato in un completo blu scuro. Ora che aveva finalmente raggiunto una prestigiosa posizione nell’azienda del padre, poteva permettersi smoking da tremila dollari.

I tempi in cui sognava di nuotare alle olimpiadi erano finiti da un pezzo.

“Che intendi dire?” lo guardai con sospetto. 

Lui prese un altro sorso di cappuccino e lasciò vagare lo sguardo sulla strada trafficata, i pedoni celati da una miriade di colori, quanti erano i loro ombrelli, si districavano tra chioschi ambulanti, tassisti frettolosi e turisti. 

“Perché te ne sei andata, Ginger?”

“Te l’ho già detto! Perché ero certa che il liceo T. offrisse un’istruzi…” Lui le posò un dito sulle labbra.

“Non voglio sentire la versione ufficiale, quella che hai raccontato talmente tante volte che ormai è classificata sotto la voce ‘verità’ nella tua testolina. No. Voglio la vera ragione.”

Cercai le parole adatte, ma non le trovai. Che cosa potevo dire? Che ero fuggita a causa sua? Beh, ormai, tanto, che differenza faceva? Presi perfino in considerazione l’idea di mentire, ma i suoi incandescenti occhi scuri mi inchiodarono sul posto, svelando ogni mia possibile menzogna.

“Perché tu avevi scelto lei e io non potevo sopportarlo.”

“Vedi che alla fine ci siamo arrivati alla vera motivazione?” mi scrutò con ironia “Lo sai perché scelsi Scarlet?”

Feci segno di no con la testa.

“Perché lei almeno ebbe il coraggio di chiedermelo, mentre tu, tu che vivevi nelle tue peregrinazioni fantastiche… Tu invece hai rifiutato di credere all’evidenza dei fatti e ti sei nascosta dietro la convinzione di essere indesiderata e indesiderabile.”

Fu come ricevere uno schiaffo. Uno schiaffo bello forte.

Ne avevo abbastanza. Non poteva filare tutto liscio come negli ultimi due anni a questa parte? Perché mi stava facendo questo?

Mi tirai su dalla sedia e mi apprestai ad andarmene, quando lui mi afferrò ad un polso.

“Lasciami, Evan!” Cercai di divincolarmi con scarso successo.

“No. Non ti lacerò andare stavolta, Ginger! Non hai fatto altro che scappare! Non ho perso la gara di nuoto quell’anno perché tu non c’eri, ma perché ti eri chiusa nel tuo dolore e avevi allontanato anche me, come se fossi uno dei tanti! Ma io non sono uno dei tanti!”

Rimasi spiazzata da quell’affermazione. E così Mary aveva sempre saputo la verità che io non avevo voluto ammettere.

Eravamo entrambi in piedi adesso, i respiri affannati e un’espressione colpevole dipinta sul volto.

Evan si passò una mano tra i capelli, visibilmente contrariato.

“Che devo fare, Ginger? Dimmelo. Che devo fare per farti capire quanto ti amo?”

Mi ero seduta di nuovo al mio posto, in uno stato di shock. 

Lo aveva detto davvero. Aveva detto che mi amava. 

Lui mi ama? Lui mi ama. Lui mi ama!

“Da quando?”

Lui mi squadrò, cercando di capire a cosa mi riferissi.

“Da quando sei certo di questi… sentimenti per me?”

Evan sbuffò.

“Suppongo, da sempre. Fin da quel dannatissimo giorno in cui ti ho incontrata sul sentiero dei ciliegi. Da sempre, insomma. Avrei voluto sfiorarti, baciarti, condividere con te tutto. Ti darei il mondo, Ginger, se potessi. Ma ogni volta che tentavo un approccio, non ero mai certo della tua reazione. Sei così imprevedibile…”

Calde lacrime mi bagnarono le guance. Ed erano lacrime di gioia e sollievo.

Finalmente a distanza di quattro lunghi anni da quel fatidico anno, venivo a conoscenza della verità.

“Io ho rovinato tutto, non è vero?”

Evan mi asciugò le lacrime con il pollice, stringendo con dolcezza la mia mano.

“Suppongo che anche l’idea di farti ingelosire uscendo con Scarlet, sia stata pessima. Mi dispiace. Per tutto il dolore, per tutta la… frustrazione del non sapere.” I suoi occhi erano sinceri, ardenti di una convinzione incrollabile. 

Annuii e potei finalmente sorridere. Nonostante avessi gli occhi appannati, nonostante non avessimo ancora stabilito nulla di preciso, ero comunque sollevata e… felice. 

“Andiamocene via di qui.”

Evan era già in piedi e mi tendeva la mano. “Speravo che lo dicessi! Credo che abbiamo ravvivato la giornata di fin troppe persone oggi!” e indicò il nostro piccolo pubblico, facendomi arrossire ancor di più. 

Uscimmo sotto la pioggia, incuranti dell’esser zuppi fino al midollo.

Eravamo insieme e questa era una ragione valida per sopportare qualunque cosa.

Mi avviai lungo la strada, con un sorriso da ebete sulla faccia, ma poi dovetti voltarmi indietro: Evan si era fermato a guardare in alto, verso le nubi piangenti.

“Per avere l’arcobaleno bisogna sopportare la pioggia, non trovi?”

E si volse verso di me con un sorriso così abbagliante da sfondare quella coltre di nubi e regalarmi tutti i colori, assenti in quella giornata grigia. 

“Come sei poetico… Scrivi anche haiku, adesso?” Mi avvicinai con estrema lentezza e gli misi le braccia intorno al collo. 

Ora c’eravamo davvero solo noi, con il nostro piccolo infinito. 

Mi sollevai in punta di piedi e gli posai un tenero bacio sulle labbra. “Beh abbiamo sopportato fin troppo la pioggia, non credi? Penso che sia ora di vivere nell’arcobaleno.”

Le nostre fronti si congiunsero, così come le nostre labbra e le nostre anime e tutto ebbe senso.

Each day I feel so blessed to be looking at you

Cause when you open your eyes, I feel alive

My heart beats so damn quick when you say my name

When I'm holding you tight, I'm so alive

Make it last forever

Donnina nell’ampolla: 

Salve a tutti! Questa One Shot mi è balenata nella mente un po’ per caso, un po’ perché frutto di un’esperienza della mia migliore amica mista a stralci della mia! Spero che vi piaccia e ringrazio in anticipo chiunque la leggerà, recensirà o che semplicemente le dedicherà un po’ del suo tempo! ;D I versi finali sono tratti dalla canzone 'Blue' di Beyoncé! <3

[2° Classificata al Contest di Geah.Nee: Impossible Love Stories ]

Sophie J

 
   
 
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