Vincitrice del contest "My favorite songs", indetto da Elisaherm.
How can you see into my eyes
like
open doors
leading you down into my core
where I've become so numb...
Maximus tolse bruscamente
le mani luride di uno schiavo aggrappate alla sua toga.
Maledizione
a te, Agnes, dovevi morire proprio ora?
Chi mi preparerà i pasti?
Camminò
spedito tra la
folla dei ricchi abitanti della capitale, facendosi largo con il corpo
massiccio fortificato dalle tante campagne di guerra nelle terre fredde
dei
Germani, alla volta di un gruppo numeroso di nuovi arrivati. Doveva
procurarsi
una serva, ma non l'avrebbe più scelta anziana. Aveva ancora
in mente
l'immagine del cadavere grinzoso e rattrappito che aveva ordinato di
gettare
via.
Una
ragazza, giovane e bella.
Sghignazzò,
pregustandosi
l'utilizzo che ne avrebbe fatto. Del resto, prima o poi, avrebbe dovuto
rinunciare alle scorpacciate di Agnes, se non voleva diventare come uno
di quei
ridicoli liberti arricchiti. Colpa di quel rimbecillito di Claudio, che
aveva
concesso loro troppo potere e fiducia. Zoticoni arroganti, con delle
pance
grosse quanto le sfere di pietra di un onagro, che stavano lentamente
insozzando il nome del cittadino romano per le loro manie esibizioniste
e
l'incontenibile volgarità.
- Correte, sbrigatevi! Ne
sono arrivati una ventina dal Peloponneso! -
Il centurione velocizzò il
passo. Sapeva perfettamente, come chiunque in quello sporco mercato,
che i
greci andavano a ruba. Erano gli unici tra cui era frequente trovare
uomini
acculturati, ai quali destinare l'istruzione primaria dei propri figli.
Victoria...
Giunse davanti ad un
palco
rudimentale in legno dove erano state fatte salire dieci coppie di
individui di
sesso opposto. Il venditore più conosciuto di schiavi, un
uomo viscido e
brutale, pronto a presentare la partita fresca di merci vive e
scalpitanti.
- Allora, allora! Guardate
cosa vi ho portato oggi! Ultimamente i
pirati ne hanno catturati a bizzeffe di
questi effeminati e queste... puttane
-
Afferrò
malamente una donna, costringendola ad avanzare e ammiccò
verso la calca rumorosa che premeva eccitata contro lo steccato. Quella
cercava
di coprirsi il seno, reggendo la stoffa stracciata e impiastricciata
che a
stento la copriva, ma l'uomo con forza le allontanò le
braccia, scoprendole il
seno.
- Che cosa abbiamo qui? Se fossi in voi, non me la lascerei
sfuggire -
Maximus guardò impassibile la straniera dimenarsi, nel
tentativo
di sottrarsi ai suoi palpeggiamenti. Aveva intuito che il mercante
nutriva un
interesse personale per lei e che l'avrebbe tenuta per sé,
se nessuno l'avesse
comprata.
E'
un dolore che non mi riguarda, donna, è la tua vita. E'
il destino che gli dei hanno scelto per te, prenditela con loro. A
tutti, prima
o poi, tocca soffrire.
Sostenne il suo sguardo supplicante senza problemi: la sua, di
vita, gli aveva riservato già fin troppe spiacevoli
sorprese, per provare pietà
ed essere caritatevole. Probabilmente aveva la sua stessa
età, probabilmente
era una madre. Dov'era finito il suo bambino? Morto.
Portava una
collanina di conchiglie al collo, ma la fascia nera al polso urlava la
tremenda
verità.
Nessun dito si sollevò per la sfortunata. Venne trascinata
via da
un paio di guardie del mercante, dopo aver imprecato in greco rivolta
al cielo,
strappandosi i capelli.
Naturalmente Maximus aveva individuato la sua preda, stava
soltanto aspettando che avanzasse. Non erano molti e importanti i
motivi per
cui le aveva rivolto l'attenzione. Il caldo soffocante che aveva
rallentato
spostamenti e vendite in quei giorni, aveva spinto tutti a scoprirsi,
compresi
gli schiavi.
- Non mi toccare! -
Il centurione sollevò la testa, attirato dal tono deciso
della
nuova voce femminile. Un sorriso compiaciuto si dipinse lentamente
sulle sue
labbra, constatando che l'oggetto dei suoi recenti desideri era proprio
lì, di
fronte a lui. Se avesse allungato un braccio, avrebbe potuto toccare il
ventre
ansante della ragazza più in alto.
- Modera il linguaggio, sgualdrina! -
Si soffermò ad analizzare i tratti della giovane, malgrado
si
dimenasse a tal punto da mettere in difficoltà il venditore
rabbioso che la
bloccava da dietro.
C'era
qualcosa di strano in quella ragazzina, che lo inquietava.
Ci
impiegò qualche attimo per scorgere un particolare che non
aveva mai visto. I
suoi occhi erano di due colori diversi, uno di un profondo blu e
l'altro di un
verde smeraldo. Insieme conferivano al suo sguardo
un'intensità
straordinaria.
La
straniera lo stava affrontando sfacciatamente, studiandolo con le sue
occhiate
penetranti. Teneva le labbra sigillate, tuttavia il disprezzo che
provava traspariva
ugualmente, diretto proprio contro Maximus.
Come osa!?
Come osa puntarmi contro i suoi occhi da demone!?
Il
centurione avrebbe voluto piegarle a forza il capo, artigliandolo per
la folta
chioma corvina, per ricordarle la sua esatta posizione in quella dura
gerarchia.
C'era
qualcosa di speciale in quella ragazzina, che lo tentava.
Attraverso
le iridi marine e campestri, si era infilata sin dentro la sua anima
gelida e
dilaniata.
All'ennesima
minaccia della schiava per i continui e indelicati palpeggiamenti, il
mercante,
oramai oggetto di scherno del pubblico per l'incapacità di
tenerla a bada,
s'infervorò e chiuse una mano attorno al suo collo lungo. La
greca si difendeva
a suo modo picchiando con i pugni sulle braccia pelose dell'uomo,
facendo ridacchiare
gli spettatori di quell'umiliazione, quando all'improvviso
sollevò bruscamente
il ginocchio per colpirlo tra le gambe. Al grido addolorato del
mercante, i
cittadini trattennero il respiro.
Che
ragazzina
impertinente... ti insegnerò io cosa sei e come devi
comportarti.
Prima
che la sgozzasse con il coltellaccio che aveva tirato fuori dalla veste
orientale, Maximus si fece sentire con la sua voce grave.
-
La compro io! -
Alla
fine il venditore, ferito nell'orgoglio, ferito nell'intimo, era
stato
più che felice di liberarsi della straniera ribelle.
Gliel'aveva venduta ad un
costo ridottissimo, che il centurione aveva ovviamente accolto con
piacere. La
ragazza, che si era rifiutata di rivelarle il suo nome, non aveva fatto
altro
che lamentarsi, sulla strada del ritorno, della condizione in cui era
finita:
apparteneva ad una famiglia altolocata, era l'informazione che l'uomo
aveva
carpito nei suoi lunghi discorsi. Lui non partecipò a
neanche uno delle sue
lagne fastidiose, scortandola invece nel giardino interno della sua
villa.
Trovò disposti in fila tutti gli schiavi che si era
procurato negli anni che lo
accolsero con un profondo inchino, non azzardandosi a proferire parola.
A loro
non era concesso aprire bocca in presenza del dominus.
Si sfilò la cinghia
che teneva sotto la toga per tenere stretta in vita la tunica e
ordinò alla
giovane di voltarsi.
- C-che vuoi fare? -
Stringendole
forte un polso, piegandolo dietro la sua schiena, la costrinse a
girarsi.
-
Che ti serva da lezione, ragazzina, non sei più in Grecia,
non sei più la
primogenita ereditiera. Tutto di te mi appartiene, sei la mia ancilla!
-
Gli
strilli acuti della straniera rimbombarono nella quiete della campagna.
Neanche
una lacrima, però, uscì dalle sue ciglia nere,
nemmeno una preghiera di
risparmiarle la dolorosa punizione dalla bocca.
...
without a soul my spirit sleeping somewhere cold
until
you find it there and lead it back home...
-
Taci! -
Non
conosceva ancora il suo stupido nome greco, in compenso aveva spento in
lei
quel mordente che l'aveva spinta a calciare nelle palle il mercante
allupato.
Non si opponeva più al suo tocco rude e irrispettoso,
lasciava che la spingesse
malamente sul muro o sui triclini - non l'aveva mai condotta nella sua
stanza -
e s'insinuasse tra le sue gambe tornite.
-
Non guardarmi! -
Odiava essere fissato dai suoi
occhi dannati,
soprattutto durante i rapporti sessuali. Maximus non aveva abbassato la
fronte
nemmeno davanti al più efferato dei Barbari, eppure lo
sguardo pieno di biasimo
con cui lo guardava la donna lo metteva a disagio. E lei doveva averlo
intuito,
perché non smetteva di scrutarlo finché non le
veniva schiacciata la testa a
lato.
-
Sei un porco -
Per
la quarta volta, quella notte, si era recato nella stanza delle schiave
e
silenziosamente l'aveva trascinata fuori, desideroso di possederla
ancora.
C'era
qualcosa di
magnetico in quella ragazzina, che lo attirava.
Aveva
lentamente ravvisato in lei una somiglianza famigliare. Erano trascorsi
appena
sei mesi, ma conosceva a memoria ogni singolo centimetro del suo corpo.
Nascosta dalle ciocche corvine, poco più in avanti delle sue
orecchie, spiccava
una macchiolina rossastra.
E'
identica, identica
alla tua, mea uxor*.
- Non
hai cuore -
Maximus
rincarò la presa sui fianchi minuti, che sicuramente le
avrebbe lasciato dei
lividi, e spinse con violenza il bacino contro il suo, facendole
intendere che
le sue parole in quel momento non erano affatto gradite. La ragazza
allora
tentò di spingerlo via, premendo i palmi sul petto ampio, ma
la sua forza non
bastava. Gli addentò una spalla, nella speranza di fermarlo.
Il centurione
emise un gemito, mollandole in risposta un manrovescio sulla guancia
accaldata.
-
Non hai anima! -
Inaspettatamente
la schiava ottenne ciò che si era augurata. Maximus si
bloccò, restando nella
sua intimità.
-
Potrei ucciderti, con le mie mani, proprio adesso, se non chiudi la tua
bocca -
-
Fallo! Non sei un uomo, sei soltanto un animale! -
Maximus
portò una mano sul suo mento e questa volta la
obbligò a guardarlo.
-
Il mio animus*, ragazzina, si
è perso
nei boschi ghiacciati nella Germania, dove non è possibile
muovere un passo in
sicurezza, sempre minacciati dalla
presenza muta dei Goti. Non hai la più
pallida idea di cosa significhi rimanere in quei posti e combattere
contro di
loro, contro i lupi, contro le paure. La mia anima*
mi è stata strappata via, brutalmente, due inverni
fa, da
cinque briganti che l'hanno violentata e abbandonata in strada -
Si
avvicinò al suo volto, tanto da poter osservare i bizzarri
colori delle sue
iridi diverse.
-
Sì, sono un animale e tu, una sciocca e inutile serva, non
riuscirai a
ritrovare il mio spirito, non riuscirai a cambiarmi -
call my name and save me from the dark
Tra
le numerose schiave a sua disposizione, alcune estremamente diligenti
ed
esperte, aveva deciso di portarsi lei alla
cena di Longinus. E, in realtà, non sapeva neanche spiegarlo
razionalmente.
Cosa andava a suo favore? L'indisponenza, che gli avrebbe procurato
figuracce
davanti ai suoi compagni? La lingua lunga, che avrebbe innervosito gli
altri
romani? O il suo corpo eccitante, che avrebbe scatenato invidie? Si
rimproverò,
per la poca lucidità, mentre ormai avevano già
fatto il loro ingresso nella domus
del centurione veterano come lui.
-
Ave, Invictus*! -
La
greca risaltava in mezzo a tutte le donne presenti. Nella grande sala
con i
triclini a più posti e l'andirivieni dei servitori del
padrone di casa, che
trasportavano vassoi carichi di prelibatezze, nonostante fosse anche
lei una
schiava, teneva la testa alta e le spalle aperte, apparendo
un'aristocratica.
Le aveva fatto indossare la classica tunica destinata ai servi, ma per
l'occasione
gliel'aveva fatta decorare con delle sottili rifiniture in porpora,
spendendo
una salata cifra per quel colore raro. Inoltre, si era aggiustata i
capelli in
una tipica acconciatura greca: aveva
lasciato i
capelli sciolti, dando loro una forma ondulata e sbarazzina e con un
nastro
fine li aveva fermati in forma di corona. Avrebbe dovuto richiamarla,
fustigarla per la sua inadeguata iniziativa, tuttavia quando era andato
a
prelevarla nella Pars Rustica, era
rimasto folgorato. Circondata dalle altre ancillae
esaltate nell'agghindarla, l'aveva vista per la prima volta
come una donna
e non come una proprietà su cui riversare voglie e violenze.
Per questo aveva
rinunciato a punirla.
-
Quid agis*,
Maximus? -
Non si era steso per mangiare, non era sua abitudine,
specialmente dopo aver rischiato di soffocarsi con un boccone. Prendeva
il cibo
che la sua serva gli porgeva e ogni tanto le rifilava curioso qualche
occhiata.
Doveva essere affamata, da come spiava desiderosa le portate.
- Non so tu, Longinus, ma io sono più che felice
di non avventurarmi più al di là del Reno! -
- Oh, anche io, anche io -
L'altro centurione non lo guardava, troppo preso
dalla figura femminile al suo fianco. La stava divorando con gli occhi.
Maximus
era a conoscenza dell'usanza di scambiare i "pezzi" più
belli della
servitù, però non era affatto intenzionato a
praticarla.
- Ma, dimmi, lei
chi è? -
La bruna, chiamata in questione, si girò verso
Longinus.
- Ha preso il posto di Agnes -
- Vuoi dirmi che questa bellezza lavora nelle cucine?
Mi stupisce -
Disse sornione, schiacciando tra le dita callose
un chicco d'uva.
- Infatti non è neanche lontanamente brava quanto
Agnes -
La ragazza gli lanciò un'occhiataccia.
- Non lavoro nelle cucine -
Longinus inarcò le sopracciglia, meravigliato dal
fatto che avesse preso parola.
- E' il mio
padrone a lavorare su di me, più che altro -
Maximus le strinse un polso, intimandole in
silenzio di tacere, mentre Longinus scoppiò a ridere.
- E deve piuttosto piacergli, se ti ha permesso
di conciarti da finta signora romana -
La
pagherai cara, greca insolente.
Stava
per riprendere le redini di
quell'imbarazzante discorso, ma la straniera intervenne nuovamente.
- Voi romani non vi degnate nemmeno di leggere
ciò che scrivono i vostri conterranei. Siete soltanto delle capre sanguinarie! -
Gliel'avrebbe spezzato, lo scafoide del polso, se
non avesse smesso di essere così sfacciata.
- Cosa mai dovremmo leggere, noi capre
sanguinarie, schiava? -
- Seneca ha parlato chiaro a proposito del
rapporto tra dominus et servus nelle
sue lettere, a quanto pare conviene ignorarlo! Non mi sono conciata da
"finta
signora romana", centurione, ma da essere umano, non da vostra
superflua res! Potete aver
conquistato il mondo intero, ma la maggior parte di voi è
non sa cos'è il rispetto
e manca di humanitas! -
Qualche altro invitato nelle loro vicinanze smise
di chiacchierare con l'interlocutore per ascoltare i giudizi
irriverenti della
schiava sconosciuta. Maximus, accortosi di avere l'attenzione di molti,
strappò
di mano il vassoio alla greca e le sibilò all'orecchio di
sparire
immediatamente dalla sua vita e da quella degli ospiti. Longinus,
tuttavia,
scosse piano il capo, sorridendo apparentemente divertito.
- Non arrabbiarti, amico mio -
Poi si rivolse direttamente alla ragazza.
- E tu, resta pure -
- Mi scuso per il comportamento della mia
schiava, verrà severamente punita -
Ancora, il padrone di casa fece no con il capo.
- Non preoccuparti, Maximus. E' normale che con
la perdita di tua moglie tu sia un po'... confuso. Stai cercando una
donna che
possa sostituirla... -
Nessuno
può sostituirla!
- ...
tuttavia, rivederla in una schiava, mi sembra
un offesa al ricordo di Clodia -
A quell'affermazione, persino la greca sobbalzò.
Tutti i commensali smisero di parlottare ed
abbuffarsi per prestare ascolto alla discussione pizzicante. Maximus,
dalla sua
parte, stentava a credere di aver udito una simile dichiarazione:
Longinus
conosceva da tempo sia lui che Clodia, aveva assistito al loro
matrimonio e gli
era stato accanto, a sostenerlo, nel corso del funerale della consorte.
Come
poteva insinuare che una semplice schiava
la stesse rimpiazzando? Digrignò i denti, una vena
cominciò a pulsare sulla
sua tempia e la collera a fremere nei suoi pugni.
- Sei tu che stai offendendo me, Longinus, per un
pensiero del genere! -
Tuonò, guardandolo dritto negli occhi.
- Ti sei lasciato conquistare da un paio di cosce
e un ventre caldo! Dov'è finito l'Invictus?
Le hai permesso di insultare il nostro popolo senza battere ciglio!
Dov'è
finito il tuo orgoglio? Lasci che viva come una romana
perché finga di godere
quando te la scopi? -
In un attimo, Maximus si avventò contro l'altro,
furente di rabbia. Finirono a terra, sul pavimento, iniziando a lottare
duramente come se fossero in vero scontro corpo a corpo. Si sferrarono
diversi
pugni sulle parti scoperte, sul volto, fino a tagliarsi e sanguinare,
offrendo
agli ospiti uno spettacolo inatteso, che difficilmente avrebbero
dimenticato.
- Maximus!
-
Sentì il calore di una mano minuta sulla sua e
solo allora si rese conto di aver impugnato uno stiletto. Stava per
uccidere un
uomo, un compagno, davanti ad un
pubblico impaurito di concittadini.
Dov'è
finito l'Invictus? Dove sono finito io? Non c'è
più luce. Soltanto
tenebre.
-
Non farlo! -
Scapparono dalla vasta abitazione urbana di
Longinus, sottraendosi alle occhiate sbalordite e di disappunto dei
convitati,
per poter far ritorno alla villa. Incapace di ragionare, con la testa
piena
delle parole oltraggiose del centurione, si lasciò guidare
dalla schiava, che
lo prese per mano e lo trascinò. Avvertiva dentro di
sé una spaventosa voglia
di ammazzare, la stessa che gli aveva consentito di non arrendersi di
fronte
alle schiere urlanti dei nordici e di continuare a combattere.
Ma
non sono più in guerra... ho paura, paura di questo vuoto,
paura di
me stesso.
La
greca lo portò fino al patio della villa,
anche lei ansante e turbata per il raptus del suo padrone.
- Maximus... -
Era la prima volta che sentiva la voce di una
schiava pronunciare il suo nome. Finalmente parve accorgersi di lei, si
voltò a
guardarla e poi la afferrò per le
spalle.
E'
tutta colpa tua, greca, se ho quasi accoltellato Longinus!
Illuminato
da una nuova consapevolezza, si sentì
meno colpevole, scaricò sulla straniera il peso
dell'aggressione che proprio
grazie a lei, invece, aveva evitato. Con un urlo di rabbia le si
scagliò
addosso, strappando la veste che le aveva fatto cucire.
- Cosa v-vuoi fare!? -
Lesse panico nei suoi occhi maledetti, terrore di
fare la fine che poco prima aveva risparmiato a Longinus. Prese la
pesante
cintura ornamentale dei centurioni, composta da placche quadrate e
sollevò in
alto un braccio.
- Ti
prego... -
Una frustata impattò sulla pelle leggermente
abbronzata, subito la lacerò, lasciando un profondo spacco.
C'era
qualcosa di toccante in quella ragazzina, che lo rabboniva.
Pianse,
esplose in un fiume di lacrime. Pianse e
lo fece violentemente, per tutte le angherie che aveva subito, a cui
aveva
sempre resistito senza lamentarsi. Maximus non ebbe il coraggio di
infierire
ancora, lasciò cadere a terra la cintura e corse nella sua
stanza, abbandonando
la greca ferita sull'erba umida del giardino.
...
all this time I can't believe, I couldn't see
kept
in the dark but you were there in front of
me...
Di quella serata
pericolosa era rimasto un ricordo da cancellare e un solco lungo
qualche
centimetro, che nessuno avrebbe potuto dimenticare. La straniera aveva
completamente smesso di protestare e contraddirlo. Aveva smesso di
parlare, in
verità. Si era trasformata in una delle tante serve sempre
indaffarate e con lo
sguardo basso, tutte inchini e riverenza. Maximus ne aveva tratto
soddisfazione
nella settimana seguente all'accaduto, però poi aveva
iniziato a ricredersi.
Una strana nostalgia in lui era cresciuta senza controllo e i sensi di
colpa
per la sua ingiustificata tortura lo stavano piano piano divorando. Era
diventato ancora più irascibile del solito, inasprito da una
situazione che
pensava potesse essere gradita e che, invece, si era rivelata
frustrante.
- Dov'è la greca? -
- Nelle
nostre stanze, dominus -
S'incamminò
in direzione dell'ala destinata alla servitù, precisamente
nella parte
femminile. Passò sotto l'arco e con lo sguardo
cominciò a cercare la ragazza
nelle numerose cubicula, nelle
quali
dormivano più persone di uguale sesso. Riconobbe quella
della giovane schiava
dall'odore che permeava l'aria. Un profumo di rose e mirra. Dovette attendere dei minuti che a lui
sembrarono un'eternità,
prima che la greca facesse la sua comparsa. Si era appena lavata, non
indossava
nient'altro che un panno imbrattato. Si arrestò sulla soglia
dell'entrata, non
appena avvistò l'uomo, poi fece un profondo inchino e
calò la testa.
- Vèstiti, ancilla -
La serva
lasciò cadere la pezza, per nulla a disagio a causa della
presenza di Maximus.
Lui osservò il suo corpo florido, riflettendo sul fatto che
non aveva più osato
toccarla da quella sera. Ora, sulla curva della sua schiena invitante,
c'era
una traccia indelebile della sua brutalità. Con un paio di
falcate, la raggiunse.
E'
una donna e io non ho fatto altro che usarle
violenza.
Un
suo
polpastrello ruvido ripercorse la breve linea di pelle più
chiara, tocco
improvviso che fece voltare la schiava.
E'
così bella e io non ho fatto altro che
disprezzarla.
Gli
unici
occhi che aveva per lui, ormai, erano occhi spaventati e offesi.
Avrebbe voluto
riportare audacia, sfrontatezza e orgoglio nel suo sguardo, tuttavia
era
consapevole di non esserne in grado.
- Perdonami... -
La ragazza
sbarrò gli occhi stupefatta, udendo delle scuse uscire
proprio dalla bocca del
suo dominus. Non l'aveva mai
baciata,
eppure in quell'istante non desiderò altro che posare le
labbra sulle sue.
- Non avrei
dovuto -
Sfiorò
lievemente una guancia liscia e poi la baciò. La serva
esitò a quel nuovo
contatto, temendo che fosse soltanto un pretesto per potersi
approfittare di
lei, ma, quando Maximus le circondò la vita e se la spinse
dolcemente contro,
si lasciò andare in un sospiro di sollievo e sofferenza,
ricambiando.
Sei
stata sempre qui, di fronte a me, ma non ho
saputo vederti.
Passò
una
mano nella folta chioma scura, sorridendo. Ebbe un piccolo sussulto,
osservando
anche la sua bocca schiudersi e stendersi in un sorriso sincero.
- Non
lavorerai più nelle cucine. Ho trovato qualcosa di
più adatto alle tue capacità
-
Immaginò che
fosse combattuta tra l'essere contenta o temere una mansione peggiore.
- Sei
intelligente e istruita, non lascerò che tu vada sprecata -
La greca lo
osservava incredula.
- Ho una
figlia, Victoria... mi farebbe piacere se tu diventassi sua precettrice
-
- Kyriake -
Provò
un'immensa gioia nel sentire nuovamente la sua voce, pur non avendo
compreso
quello che aveva detto.
- E' il mio
nome -
... don't let me die here
there must be something more
bring
me to life.
Si
premette
una mano sull'addome, quasi urlò per il dolore lancinante
che l'attraversò. Il
pezzo di stoffa grondava di sangue e la sua fronte di sudore,
nonostante
tremasse per il freddo.
- Non lasciarmi sola... -
Non era più
in grado di distinguere l'immaginazione dalla realtà.
Percepiva le manine di
Victoria accarezzargli il viso barbuto, la bocca carnosa di Kyriake
lambirgli
il collo. Ma, all'improvviso, la terribile consapevolezza di trovarsi
in un
accampamento tra le foreste della Britannia lo coglieva, facendogli
sperare che
la morte giungesse al più presto.
- Nerone ti aveva congedato, non puoi... non
andare via... -
Si accorse
appena di non essere solo nella tenda, qualche compagno era venuto a
fargli
visita, mentre il dottore discuteva preoccupato con gli altri veterani
richiamati al dovere dall'Imperatore. Anche se le sue orecchie non
avevano la
forza di captare ciò che si dicevano, Maximus sapeva che
probabilmente
l'argomento dei loro discorsi era la sua imminente fine.
- Alle tue spalle, Maximus! -
Non aveva mai provato la sensazione di essere
trafitto da una lama. Non sentì niente, soltanto quando il
suo sguardo si
poggiò sul manico dell'arma che spuntava a destra della sua
pancia, avvertì una
lunga fitta. La lasciò nel suo corpo e continuò
imperterrito a difendersi dai
nemici. Combatté, sgozzò e infilzò
finché le forze non gli mancarono e svenne.
Maximus prese in braccio la bambina che gli era
saltata sopra, accarezzandole la testolina riccioluta.
- Mi ha letto un sacco di libri, padre! Anche se
odia i romani e ogni tanto si lamenta di te, non mandarla via, per
favore! -
Il centurione ridacchiò leggermente, scuotendo il
capo.
- No, Victoria, non sono qui per questo -
Guardandosi attorno, vide la greca tentare di
afferrare un rotolo in una nicchia troppo in alto rispetto alla sua
altezza.
Con un sospiro, posò la figlia per terra e si
avvicinò alla donna. Alle sue
spalle, tendendo un braccio, riuscì a prendere la pergamena.
- Maximus! Mi hai spaventata -
Gli sorrideva felice, un po' sorpresa dal suo
arrivo. Raramente si recava nella biblioteca della villa.
- Ti devo parlare -
Andarono all'esterno della residenza,
passeggiando per i sentieri ombreggiati che portavano alle colline
vicine
estremamente colorate per la fioritura di primavera. L'uomo non voleva
che la
piccola sentisse la spiacevole notizia che aveva ricevuto da un messo
dell'Imperatore proprio la notte prima. Avrebbe affidato il compito
alla sua
schiava preferita di raccontarle una bugia a fin di bene. Victoria
sarebbe
cresciuta senza una madre... e senza un padre.
- Domani parto per la Britannia -
Kyriake lasciò cadere il papavero rosso che
teneva fra le dita, fermandosi sbigottita.
- Cosa!? -
- La mia centuria non ha un ufficiale -
La ragazza scrollò bruscamente la testa.
-
Nerone ti aveva congedato, non puoi... non
andare via... -
Il
centurione le afferrò il viso sconvolto.
- Ha ritirato il mio congedo. Non posso fare
niente, Kyriake -
Ma l'altra lo allontanò con un gesto secco.
- Rifiutati! Hai combattuto per vent'anni, hai
già dato tanto a Roma! -
L'espressione dell'uomo s'indurì.
- Non posso rifiutarmi -
- Hai una figlia! Preferisci la guerra a lei!? -
Soffrì, vedendo i suoi occhi bagnarsi di lacrime.
- Ti prenderai cura di Victoria, promettimelo -
- E chi si prenderà cura di me? -
Maximus tentennò.
- Ti libererò dalla tua condizione, non dovrai
più essere schiava... non avrai bisogno del mio aiuto -
Kyriake si lasciò sfuggire un singhiozzo
addolorato, toccandosi la pancia.
- Sono incinta -
- Quattordici
mesi... -
Era trascorso
più di un anno dalla sua partenza.
Il
bambino!
Kyriake
doveva aver partorito. Coprì il volto con le mani,
sentendosi schiacciare dal
pensiero grave. Le aveva nuovamente fatto del male, abbandonandola per
una
promessa d'onore a Roma. Aveva fatto del male a sé stesso,
lasciando l'unica
persona in grado di scacciare le tenebre che lo attanagliavano.
Urlò a
squarciagola il suo nome e picchiò sul terreno.
Bruciò per il rimorso di aver
rinunciato alla felicità per spegnersi solo e dimenticato.
Poi alzò lo
sguardo, lo puntò sull'orizzonte bianco.
Credette di
essere sopraffatto da una nuova allucinazione, scorgendo una carrozza
trainata
da due cavalli neri. I magnifici animali galoppavano proprio nella sua
direzione, bloccandosi a poca distanza dal suo corpo quasi esanime.
Qualcuno
stava correndo verso di lui, distese un braccio, volendo afferrare
quella
figura incappucciata che la sua mente stava proiettando.
- Maximus! -
Inciampò,
finendo ai piedi dell'arrivata. Si aggrappò alla lunga veste
di stoffa spessa
che indossava e la tirò giù. Con le mani
macchiate di rosso, le tolse il
cappuccio.
- Non
lasciarmi morire qui... -
La donna lo
fece posizionare tra le sue braccia, scostandogli i capelli bagnati che
gli
offuscavano la vista. Mise una delle sue mani affusolate sul petto
dell'uomo,
che chiuse le palpebre.
- Riportami in vita -
Il battito
del suo cuore tornò a prendere ritmo.
*moglie mia
*anima: intesa, alla senecana, come
persona cara.
animus:
principio pensante, coscienza, sentimento.
*Invincibile, è il
soprannome dato a
Maximus dai suoi soldati.
*Come va, Maximus?