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Autore: sara20    20/09/2014    3 recensioni
- Maximus! -
Sentì il calore di una mano minuta sulla sua e solo allora si rese conto di aver impugnato uno stiletto. Stava per uccidere un uomo, un compagno, davanti ad un pubblico impaurito di concittadini.
Dov'è finito l'Invictus? Dove sono finito io? Non c'è più luce. Soltanto tenebre.
- Non farlo! -
.......
Wake me up inside
call my name and save me from the dark

(Bring Me To Life)
Genere: Drammatico, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Non-con | Contesto: Antichità greco/romana
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Vincitrice del contest "My favorite songs", indetto da Elisaherm.

How can you see into my eyes like open doors
leading you down into my core
where I've become so numb...

 
- Non mi toccare, feccia! -
Maximus tolse bruscamente le mani luride di uno schiavo aggrappate alla sua toga.

Maledizione a te, Agnes, dovevi morire proprio ora? Chi mi preparerà i pasti?
Camminò spedito tra la folla dei ricchi abitanti della capitale, facendosi largo con il corpo massiccio fortificato dalle tante campagne di guerra nelle terre fredde dei Germani, alla volta di un gruppo numeroso di nuovi arrivati. Doveva procurarsi una serva, ma non l'avrebbe più scelta anziana. Aveva ancora in mente l'immagine del cadavere grinzoso e rattrappito che aveva ordinato di gettare via.
Una ragazza, giovane e bella.
Sghignazzò, pregustandosi l'utilizzo che ne avrebbe fatto. Del resto, prima o poi, avrebbe dovuto rinunciare alle scorpacciate di Agnes, se non voleva diventare come uno di quei ridicoli liberti arricchiti. Colpa di quel rimbecillito di Claudio, che aveva concesso loro troppo potere e fiducia. Zoticoni arroganti, con delle pance grosse quanto le sfere di pietra di un onagro, che stavano lentamente insozzando il nome del cittadino romano per le loro manie esibizioniste e l'incontenibile volgarità.
- Correte, sbrigatevi! Ne sono arrivati una ventina dal Peloponneso! -
Il centurione velocizzò il passo. Sapeva perfettamente, come chiunque in quello sporco mercato, che i greci andavano a ruba. Erano gli unici tra cui era frequente trovare uomini acculturati, ai quali destinare l'istruzione primaria dei propri figli.

Victoria...
Giunse davanti ad un palco rudimentale in legno dove erano state fatte salire dieci coppie di individui di sesso opposto. Il venditore più conosciuto di schiavi, un uomo viscido e brutale, pronto a presentare la partita fresca di merci vive e scalpitanti.
- Allora, allora! Guardate cosa vi ho portato oggi!
Ultimamente i pirati ne hanno catturati a bizzeffe di questi effeminati e queste... puttane -
Afferrò malamente una donna, costringendola ad avanzare e ammiccò verso la calca rumorosa che premeva eccitata contro lo steccato. Quella cercava di coprirsi il seno, reggendo la stoffa stracciata e impiastricciata che a stento la copriva, ma l'uomo con forza le allontanò le braccia, scoprendole il seno.
- Che cosa abbiamo qui? Se fossi in voi, non me la lascerei sfuggire -
Maximus guardò impassibile la straniera dimenarsi, nel tentativo di sottrarsi ai suoi palpeggiamenti. Aveva intuito che il mercante nutriva un interesse personale per lei e che l'avrebbe tenuta per sé, se nessuno l'avesse comprata.

E' un dolore che non mi riguarda, donna, è la tua vita. E' il destino che gli dei hanno scelto per te, prenditela con loro. A tutti, prima o poi, tocca soffrire.
Sostenne il suo sguardo supplicante senza problemi: la sua, di vita, gli aveva riservato già fin troppe spiacevoli sorprese, per provare pietà ed essere caritatevole. Probabilmente aveva la sua stessa età, probabilmente era una madre. Dov'era finito il suo bambino? Morto. Portava una collanina di conchiglie al collo, ma la fascia nera al polso urlava la tremenda verità.
Nessun dito si sollevò per la sfortunata. Venne trascinata via da un paio di guardie del mercante, dopo aver imprecato in greco rivolta al cielo, strappandosi i capelli.
Naturalmente Maximus aveva individuato la sua preda, stava soltanto aspettando che avanzasse. Non erano molti e importanti i motivi per cui le aveva rivolto l'attenzione. Il caldo soffocante che aveva rallentato spostamenti e vendite in quei giorni, aveva spinto tutti a scoprirsi, compresi gli schiavi.
- Non mi toccare! -
Il centurione sollevò la testa, attirato dal tono deciso della nuova voce femminile. Un sorriso compiaciuto si dipinse lentamente sulle sue labbra, constatando che l'oggetto dei suoi recenti desideri era proprio lì, di fronte a lui. Se avesse allungato un braccio, avrebbe potuto toccare il ventre ansante della ragazza più in alto.
- Modera il linguaggio, sgualdrina! -
Si soffermò ad analizzare i tratti della giovane, malgrado si dimenasse a tal punto da mettere in difficoltà il venditore rabbioso che la bloccava da dietro.

C'era qualcosa di strano in quella ragazzina, che lo inquietava.
Ci impiegò qualche attimo per scorgere un particolare che non aveva mai visto. I suoi occhi erano di due colori diversi, uno di un profondo blu e l'altro di un verde smeraldo. Insieme conferivano al suo sguardo un'intensità straordinaria. 
La straniera lo stava affrontando sfacciatamente, studiandolo con le sue occhiate penetranti. Teneva le labbra sigillate, tuttavia il disprezzo che provava traspariva ugualmente, diretto proprio contro Maximus.

Come osa!? Come osa puntarmi contro i suoi occhi da demone!?
Il centurione avrebbe voluto piegarle a forza il capo, artigliandolo per la folta chioma corvina, per ricordarle la sua esatta posizione in quella dura gerarchia.

C'era qualcosa di speciale in quella ragazzina, che lo tentava.
Attraverso le iridi marine e campestri, si era infilata sin dentro la sua anima gelida e dilaniata.
All'ennesima minaccia della schiava per i continui e indelicati palpeggiamenti, il mercante, oramai oggetto di scherno del pubblico per l'incapacità di tenerla a bada, s'infervorò e chiuse una mano attorno al suo collo lungo. La greca si difendeva a suo modo picchiando con i pugni sulle braccia pelose dell'uomo, facendo ridacchiare gli spettatori di quell'umiliazione, quando all'improvviso sollevò bruscamente il ginocchio per colpirlo tra le gambe. Al grido addolorato del mercante, i cittadini trattennero il respiro.

Che ragazzina impertinente... ti insegnerò io cosa sei e come devi comportarti.
Prima che la sgozzasse con il coltellaccio che aveva tirato fuori dalla veste orientale, Maximus si fece sentire con la sua voce grave.
- La compro io! -
Alla fine il venditore, ferito nell'orgoglio, ferito nell'intimo, era stato più che felice di liberarsi della straniera ribelle. Gliel'aveva venduta ad un costo ridottissimo, che il centurione aveva ovviamente accolto con piacere. La ragazza, che si era rifiutata di rivelarle il suo nome, non aveva fatto altro che lamentarsi, sulla strada del ritorno, della condizione in cui era finita: apparteneva ad una famiglia altolocata, era l'informazione che l'uomo aveva carpito nei suoi lunghi discorsi. Lui non partecipò a neanche uno delle sue lagne fastidiose, scortandola invece nel giardino interno della sua villa. Trovò disposti in fila tutti gli schiavi che si era procurato negli anni che lo accolsero con un profondo inchino, non azzardandosi a proferire parola. A loro non era concesso aprire bocca in presenza del dominus. Si sfilò la cinghia che teneva sotto la toga per tenere stretta in vita la tunica e ordinò alla giovane di voltarsi.
- C-che vuoi fare? -
Stringendole forte un polso, piegandolo dietro la sua schiena, la costrinse a girarsi.
- Che ti serva da lezione, ragazzina, non sei più in Grecia, non sei più la primogenita ereditiera. Tutto di te mi appartiene, sei la mia ancilla! -
Gli strilli acuti della straniera rimbombarono nella quiete della campagna. Neanche una lacrima, però, uscì dalle sue ciglia nere, nemmeno una preghiera di risparmiarle la dolorosa punizione dalla bocca.

 

... without a soul my spirit sleeping somewhere cold
until you find it there and lead it back home...

 

 Presto realizzò di aver messo gli occhi sulla greca ribelle non soltanto per le sue forme invitanti. L'aveva trattata in modo bestiale, apparentemente senza una vera ragione, da quando aveva messo piede sui mosaici della sua dimora. L'aveva insultata, malmenata, umiliata e presa contro la sua volontà. Non aveva mai riservato a nessuno schiavo quel trattamento.
- Taci! -
Non conosceva ancora il suo stupido nome greco, in compenso aveva spento in lei quel mordente che l'aveva spinta a calciare nelle palle il mercante allupato. Non si opponeva più al suo tocco rude e irrispettoso, lasciava che la spingesse malamente sul muro o sui triclini - non l'aveva mai condotta nella sua stanza - e s'insinuasse tra le sue gambe tornite.
- Non guardarmi! -
Odiava essere fissato dai suoi occhi dannati, soprattutto durante i rapporti sessuali. Maximus non aveva abbassato la fronte nemmeno davanti al più efferato dei Barbari, eppure lo sguardo pieno di biasimo con cui lo guardava la donna lo metteva a disagio. E lei doveva averlo intuito, perché non smetteva di scrutarlo finché non le veniva schiacciata la testa a lato.
- Sei un porco -
Per la quarta volta, quella notte, si era recato nella stanza delle schiave e silenziosamente l'aveva trascinata fuori, desideroso di possederla ancora.

C'era qualcosa di magnetico in quella ragazzina, che lo attirava. 
Aveva lentamente ravvisato in lei una somiglianza famigliare. Erano trascorsi appena sei mesi, ma conosceva a memoria ogni singolo centimetro del suo corpo. Nascosta dalle ciocche corvine, poco più in avanti delle sue orecchie, spiccava una macchiolina rossastra.
E' identica, identica alla tua, mea uxor*.
-
Non hai cuore -
Maximus rincarò la presa sui fianchi minuti, che sicuramente le avrebbe lasciato dei lividi, e spinse con violenza il bacino contro il suo, facendole intendere che le sue parole in quel momento non erano affatto gradite. La ragazza allora tentò di spingerlo via, premendo i palmi sul petto ampio, ma la sua forza non bastava. Gli addentò una spalla, nella speranza di fermarlo. Il centurione emise un gemito, mollandole in risposta un manrovescio sulla guancia accaldata.
- Non hai anima! -
Inaspettatamente la schiava ottenne ciò che si era augurata. Maximus si bloccò, restando nella sua intimità.
- Potrei ucciderti, con le mie mani, proprio adesso, se non chiudi la tua bocca -
- Fallo! Non sei un uomo, sei soltanto un animale! -
Maximus portò una mano sul suo mento e questa volta la obbligò a guardarlo.
- Il mio animus*, ragazzina, si è perso nei boschi ghiacciati nella Germania, dove non è possibile muovere un passo in sicurezza, sempre minacciati dalla
presenza muta dei Goti. Non hai la più pallida idea di cosa significhi rimanere in quei posti e combattere contro di loro, contro i lupi, contro le paure. La mia anima* mi è stata strappata via, brutalmente, due inverni fa, da cinque briganti che l'hanno violentata e abbandonata in strada -
Si avvicinò al suo volto, tanto da poter osservare i bizzarri colori delle sue iridi diverse.
- Sì, sono un animale e tu, una sciocca e inutile serva, non riuscirai a ritrovare il mio spirito, non riuscirai a cambiarmi -

 

 Wake me up inside
call my name and save me from the dark

 

 Aveva scelto lei.
Tra le numerose schiave a sua disposizione, alcune estremamente diligenti ed esperte, aveva deciso di portarsi lei alla cena di Longinus. E, in realtà, non sapeva neanche spiegarlo razionalmente. Cosa andava a suo favore? L'indisponenza, che gli avrebbe procurato figuracce davanti ai suoi compagni? La lingua lunga, che avrebbe innervosito gli altri romani? O il suo corpo eccitante, che avrebbe scatenato invidie? Si rimproverò, per la poca lucidità, mentre ormai avevano già fatto il loro ingresso nella domus del centurione veterano come lui.
- Ave, Invictus*! -
La greca risaltava in mezzo a tutte le donne presenti. Nella grande sala con i triclini a più posti e l'andirivieni dei servitori del padrone di casa, che trasportavano vassoi carichi di prelibatezze, nonostante fosse anche lei una schiava, teneva la testa alta e le spalle aperte, apparendo un'aristocratica. Le aveva fatto indossare la classica tunica destinata ai servi, ma per l'occasione gliel'aveva fatta decorare con delle sottili rifiniture in porpora, spendendo una salata cifra per quel colore raro. Inoltre, si era aggiustata i capelli in una tipica acconciatura greca:
aveva lasciato i capelli sciolti, dando loro una forma ondulata e sbarazzina e con un nastro fine li aveva fermati in forma di corona. Avrebbe dovuto richiamarla, fustigarla per la sua inadeguata iniziativa, tuttavia quando era andato a prelevarla nella Pars Rustica, era rimasto folgorato. Circondata dalle altre ancillae esaltate nell'agghindarla, l'aveva vista per la prima volta come una donna e non come una proprietà su cui riversare voglie e violenze. Per questo aveva rinunciato a punirla.
- Quid agis*, Maximus? -
Non si era steso per mangiare, non era sua abitudine, specialmente dopo aver rischiato di soffocarsi con un boccone. Prendeva il cibo che la sua serva gli porgeva e ogni tanto le rifilava curioso qualche occhiata. Doveva essere affamata, da come spiava desiderosa le portate.
- Non so tu, Longinus, ma io sono più che felice di non avventurarmi più al di là del Reno! -
- Oh, anche io, anche io -
L'altro centurione non lo guardava, troppo preso dalla figura femminile al suo fianco. La stava divorando con gli occhi. Maximus era a conoscenza dell'usanza di scambiare i "pezzi" più belli della servitù, però non era affatto intenzionato a praticarla.
- Ma, dimmi, lei chi è? -
La bruna, chiamata in questione, si girò verso Longinus.
- Ha preso il posto di Agnes -
- Vuoi dirmi che questa bellezza lavora nelle cucine? Mi stupisce -
Disse sornione, schiacciando tra le dita callose un chicco d'uva.
- Infatti non è neanche lontanamente brava quanto Agnes -
La ragazza gli lanciò un'occhiataccia.
- Non lavoro nelle cucine -
Longinus inarcò le sopracciglia, meravigliato dal fatto che avesse preso parola.
- E' il mio padrone a lavorare su di me, più che altro -
Maximus le strinse un polso, intimandole in silenzio di tacere, mentre Longinus scoppiò a ridere.
- E deve piuttosto piacergli, se ti ha permesso di conciarti da finta signora romana -

La pagherai cara, greca insolente.
Stava per riprendere le redini di quell'imbarazzante discorso, ma la straniera intervenne nuovamente.
- Voi romani non vi degnate nemmeno di leggere ciò che scrivono i vostri conterranei. Siete soltanto delle capre sanguinarie! -
Gliel'avrebbe spezzato, lo scafoide del polso, se non avesse smesso di essere così sfacciata.
- Cosa mai dovremmo leggere, noi capre sanguinarie, schiava? -
- Seneca ha parlato chiaro a proposito del rapporto tra dominus et servus nelle sue lettere, a quanto pare conviene ignorarlo! Non mi sono conciata da "finta
signora romana", centurione, ma da essere umano, non da vostra superflua res! Potete aver conquistato il mondo intero, ma la maggior parte di voi è non sa cos'è il rispetto e manca di humanitas! -
Qualche altro invitato nelle loro vicinanze smise di chiacchierare con l'interlocutore per ascoltare i giudizi irriverenti della schiava sconosciuta. Maximus, accortosi di avere l'attenzione di molti, strappò di mano il vassoio alla greca e le sibilò all'orecchio di sparire immediatamente dalla sua vita e da quella degli ospiti. Longinus, tuttavia, scosse piano il capo, sorridendo apparentemente divertito.
- Non arrabbiarti, amico mio -
Poi si rivolse direttamente alla ragazza.
- E tu, resta pure -
- Mi scuso per il comportamento della mia schiava, verrà severamente punita -
Ancora, il padrone di casa fece no con il capo.
- Non preoccuparti, Maximus. E' normale che con la perdita di tua moglie tu sia un po'... confuso. Stai cercando una donna che possa sostituirla... -

Nessuno può sostituirla!
-
... tuttavia, rivederla in una schiava, mi sembra un offesa al ricordo di Clodia -
A quell'affermazione, persino la greca sobbalzò.
Tutti i commensali smisero di parlottare ed abbuffarsi per prestare ascolto alla discussione pizzicante. Maximus, dalla sua parte, stentava a credere di aver udito una simile dichiarazione: Longinus conosceva da tempo sia lui che Clodia, aveva assistito al loro matrimonio e gli era stato accanto, a sostenerlo, nel corso del funerale della consorte. Come poteva insinuare che una semplice schiava la stesse rimpiazzando? Digrignò i denti, una vena cominciò a pulsare sulla sua tempia e la collera a fremere nei suoi pugni.
- Sei tu che stai offendendo me, Longinus, per un pensiero del genere! -
Tuonò, guardandolo dritto negli occhi.
- Ti sei lasciato conquistare da un paio di cosce e un ventre caldo! Dov'è finito l'Invictus? Le hai permesso di insultare il nostro popolo senza battere ciglio! Dov'è finito il tuo orgoglio? Lasci che viva come una romana perché finga di godere quando te la scopi? -
In un attimo, Maximus si avventò contro l'altro, furente di rabbia. Finirono a terra, sul pavimento, iniziando a lottare duramente come se fossero in vero scontro corpo a corpo. Si sferrarono diversi pugni sulle parti scoperte, sul volto, fino a tagliarsi e sanguinare, offrendo agli ospiti uno spettacolo inatteso, che difficilmente avrebbero dimenticato.
- Maximus! -
Sentì il calore di una mano minuta sulla sua e solo allora si rese conto di aver impugnato uno stiletto. Stava per uccidere un uomo, un compagno, davanti ad un
pubblico impaurito di concittadini.

Dov'è finito l'Invictus? Dove sono finito io? Non c'è più luce. Soltanto tenebre.
- Non farlo! -
Scapparono dalla vasta abitazione urbana di Longinus, sottraendosi alle occhiate sbalordite e di disappunto dei convitati, per poter far ritorno alla villa. Incapace di ragionare, con la testa piena delle parole oltraggiose del centurione, si lasciò guidare dalla schiava, che lo prese per mano e lo trascinò. Avvertiva dentro di sé una spaventosa voglia di ammazzare, la stessa che gli aveva consentito di non arrendersi di fronte alle schiere urlanti dei nordici e di continuare a combattere.

Ma non sono più in guerra... ho paura, paura di questo vuoto, paura di me stesso.
La greca lo portò fino al patio della villa, anche lei ansante e turbata per il raptus del suo padrone.
- Maximus... -
Era la prima volta che sentiva la voce di una schiava pronunciare il suo nome. Finalmente parve accorgersi di lei, si voltò a guardarla e poi la afferrò per le
spalle.

E' tutta colpa tua, greca, se ho quasi accoltellato Longinus!
Illuminato da una nuova consapevolezza, si sentì meno colpevole, scaricò sulla straniera il peso dell'aggressione che proprio grazie a lei, invece, aveva evitato. Con un urlo di rabbia le si scagliò addosso, strappando la veste che le aveva fatto cucire.
- Cosa v-vuoi fare!? -
Lesse panico nei suoi occhi maledetti, terrore di fare la fine che poco prima aveva risparmiato a Longinus. Prese la pesante cintura ornamentale dei centurioni, composta da placche quadrate e sollevò in alto un braccio.
- Ti prego... -
Una frustata impattò sulla pelle leggermente abbronzata, subito la lacerò, lasciando un profondo spacco.

C'era qualcosa di toccante in quella ragazzina, che lo rabboniva.
Pianse, esplose in un fiume di lacrime. Pianse e lo fece violentemente, per tutte le angherie che aveva subito, a cui aveva sempre resistito senza lamentarsi. Maximus non ebbe il coraggio di infierire ancora, lasciò cadere a terra la cintura e corse nella sua stanza, abbandonando la greca ferita sull'erba umida del giardino.

 
... all this time I can't believe, I couldn't see 
kept in the dark but you were there in front of me... 

 
Di quella serata pericolosa era rimasto un ricordo da cancellare e un solco lungo qualche centimetro, che nessuno avrebbe potuto dimenticare. La straniera aveva completamente smesso di protestare e contraddirlo. Aveva smesso di parlare, in verità. Si era trasformata in una delle tante serve sempre indaffarate e con lo sguardo basso, tutte inchini e riverenza. Maximus ne aveva tratto soddisfazione nella settimana seguente all'accaduto, però poi aveva iniziato a ricredersi. Una strana nostalgia in lui era cresciuta senza controllo e i sensi di colpa per la sua ingiustificata tortura lo stavano piano piano divorando. Era diventato ancora più irascibile del solito, inasprito da una situazione che pensava potesse essere gradita e che, invece, si era rivelata frustrante.
- Dov'è la greca? -
- Nelle nostre stanze, dominus -
S'incamminò in direzione dell'ala destinata alla servitù, precisamente nella parte femminile. Passò sotto l'arco e con lo sguardo cominciò a cercare la ragazza nelle numerose cubicula, nelle quali dormivano più persone di uguale sesso. Riconobbe quella della giovane schiava dall'odore che permeava l'aria. Un profumo di rose e mirra. Dovette attendere dei minuti che a lui sembrarono un'eternità, prima che la greca facesse la sua comparsa. Si era appena lavata, non indossava nient'altro che un panno imbrattato. Si arrestò sulla soglia dell'entrata, non appena avvistò l'uomo, poi fece un profondo inchino e calò la testa.
- Vèstiti, ancilla -
La serva lasciò cadere la pezza, per nulla a disagio a causa della presenza di Maximus. Lui osservò il suo corpo florido, riflettendo sul fatto che non aveva più osato toccarla da quella sera. Ora, sulla curva della sua schiena invitante, c'era una traccia indelebile della sua brutalità. Con un paio di falcate, la raggiunse.

E' una donna e io non ho fatto altro che usarle violenza.
Un suo polpastrello ruvido ripercorse la breve linea di pelle più chiara, tocco improvviso che fece voltare la schiava.
E' così bella e io non ho fatto altro che disprezzarla.
Gli unici occhi che aveva per lui, ormai, erano occhi spaventati e offesi. Avrebbe voluto riportare audacia, sfrontatezza e orgoglio nel suo sguardo, tuttavia era consapevole di non esserne in grado.
- Perdonami... -
La ragazza sbarrò gli occhi stupefatta, udendo delle scuse uscire proprio dalla bocca del suo dominus. Non l'aveva mai baciata, eppure in quell'istante non desiderò altro che posare le labbra sulle sue.
- Non avrei dovuto -
Sfiorò lievemente una guancia liscia e poi la baciò. La serva esitò a quel nuovo contatto, temendo che fosse soltanto un pretesto per potersi approfittare di lei, ma, quando Maximus le circondò la vita e se la spinse dolcemente contro, si lasciò andare in un sospiro di sollievo e sofferenza, ricambiando.

Sei stata sempre qui, di fronte a me, ma non ho saputo vederti.
Passò una mano nella folta chioma scura, sorridendo. Ebbe un piccolo sussulto, osservando anche la sua bocca schiudersi e stendersi in un sorriso sincero.
- Non lavorerai più nelle cucine. Ho trovato qualcosa di più adatto alle tue capacità -
Immaginò che fosse combattuta tra l'essere contenta o temere una mansione peggiore.
- Sei intelligente e istruita, non lascerò che tu vada sprecata -
La greca lo osservava incredula.
- Ho una figlia, Victoria... mi farebbe piacere se tu diventassi sua precettrice -
- Kyriake -
Provò un'immensa gioia nel sentire nuovamente la sua voce, pur non avendo compreso quello che aveva detto.
- E' il mio nome -

 
... don't let me die here
there must be something more

bring me to life
.

 

 - Non partire, Maximus! -
Si premette una mano sull'addome, quasi urlò per il dolore lancinante che l'attraversò. Il pezzo di stoffa grondava di sangue e la sua fronte di sudore, nonostante tremasse per il freddo.
- Non lasciarmi sola... -
Non era più in grado di distinguere l'immaginazione dalla realtà. Percepiva le manine di Victoria accarezzargli il viso barbuto, la bocca carnosa di Kyriake lambirgli il collo. Ma, all'improvviso, la terribile consapevolezza di trovarsi in un accampamento tra le foreste della Britannia lo coglieva, facendogli sperare che la morte giungesse al più presto.
- Nerone ti aveva congedato, non puoi... non andare via... -
Si accorse appena di non essere solo nella tenda, qualche compagno era venuto a fargli visita, mentre il dottore discuteva preoccupato con gli altri veterani richiamati al dovere dall'Imperatore. Anche se le sue orecchie non avevano la forza di captare ciò che si dicevano, Maximus sapeva che probabilmente l'argomento dei loro discorsi era la sua imminente fine.

 Aveva corso per chilometri e chilometri nella fitta boscaglia, scansando rami bassi di alberi e radici che rischiavano di farlo inciampare, per sfuggire al gruppo di Barbari che lo inseguiva. I suoi soldati avevano resistito fino all'ultimo in quella battaglia impossibile, in un ambiente ostile pieno di trappole, facilmente vittime di agguati, ma non erano riusciti a bloccare del tutto la controffensiva delle popolazioni indigene. L'unica salvezza per i pochi superstiti era l'accampamento, per questo, senza indugiare troppo, insieme agli altri, Maximus si era lanciato in una maratona a perdifiato subito dopo l'esito disastroso dello scontro. Si erano resi conto troppo tardi di aver già perso in partenza contro quella gente: combattevano mossi da motivazioni reali, non dall'insaziabile brama di conquista di Roma. Nei loro occhi traspariva l'indignazione per essere stati sottomessi nelle proprie terre, la pretesa di recuperare i territori occupati e il desiderio di vendetta per le innumerevoli morti atroci di uomini, donne e bambini. La pietà non faceva parte dei loro sentimenti, tuttavia, a differenza dei romani, l'avevano persa per disperazione.
- Alle tue spalle, Maximus! -
Non aveva mai provato la sensazione di essere trafitto da una lama. Non sentì niente, soltanto quando il suo sguardo si poggiò sul manico dell'arma che spuntava a destra della sua pancia, avvertì una lunga fitta. La lasciò nel suo corpo e continuò imperterrito a difendersi dai nemici. Combatté, sgozzò e infilzò finché le forze non gli mancarono e svenne.

Si era risvegliato nella sua tenda, all'oscuro di chi l'avesse tratto in salvo e portato al sicuro tra i suoi compagni. Il medico gli aveva curato lo squarcio, disinfettandolo e cucendolo, ma non aveva trovato alcun rimedio alla febbre che da giorni lo tormentava. Nel corso della sua carriera, ne aveva visti talmente tanti di uomini morire per febbre, che non si illudeva nemmeno di sopravvivere.

 - Padre! -
Maximus prese in braccio la bambina che gli era saltata sopra, accarezzandole la testolina riccioluta.
- Mi ha letto un sacco di libri, padre! Anche se odia i romani e ogni tanto si lamenta di te, non mandarla via, per favore! -
Il centurione ridacchiò leggermente, scuotendo il capo.
- No, Victoria, non sono qui per questo -
Guardandosi attorno, vide la greca tentare di afferrare un rotolo in una nicchia troppo in alto rispetto alla sua altezza. Con un sospiro, posò la figlia per terra e si avvicinò alla donna. Alle sue spalle, tendendo un braccio, riuscì a prendere la pergamena.
- Maximus! Mi hai spaventata -
Gli sorrideva felice, un po' sorpresa dal suo arrivo. Raramente si recava nella biblioteca della villa.
- Ti devo parlare -
Andarono all'esterno della residenza, passeggiando per i sentieri ombreggiati che portavano alle colline vicine estremamente colorate per la fioritura di primavera. L'uomo non voleva che la piccola sentisse la spiacevole notizia che aveva ricevuto da un messo dell'Imperatore proprio la notte prima. Avrebbe affidato il compito alla sua schiava preferita di raccontarle una bugia a fin di bene. Victoria sarebbe cresciuta senza una madre... e senza un padre.
- Domani parto per la Britannia -
Kyriake lasciò cadere il papavero rosso che teneva fra le dita, fermandosi sbigottita.
- Cosa!? -
- La mia centuria non ha un ufficiale -
La ragazza scrollò bruscamente la testa.

- Nerone ti aveva congedato, non puoi... non andare via... -
Il centurione le afferrò il viso sconvolto.
- Ha ritirato il mio congedo. Non posso fare niente, Kyriake -
Ma l'altra lo allontanò con un gesto secco.
- Rifiutati! Hai combattuto per vent'anni, hai già dato tanto a Roma! -
L'espressione dell'uomo s'indurì.
- Non posso rifiutarmi -
- Hai una figlia! Preferisci la guerra a lei!? -
Soffrì, vedendo i suoi occhi bagnarsi di lacrime.
- Ti prenderai cura di Victoria, promettimelo -
- E chi si prenderà cura di me? -
Maximus tentennò.
- Ti libererò dalla tua condizione, non dovrai più essere schiava... non avrai bisogno del mio aiuto -
Kyriake si lasciò sfuggire un singhiozzo addolorato, toccandosi la pancia.
- Sono incinta -

Si fece forza e, aiutandosi con le braccia, cercò di rimettersi in piedi. Si morse le labbra per la fatica e il dolore della ferita che si spandeva in tutto il corpo, però riuscì ugualmente a muovere passi lenti e strascicati. Uscì fuori dalla tenda, il gelo invernale lo investì, facendolo rabbrividire. L'alba sarebbe giunta di lì a poco, segnando l'epilogo della sua ultima battaglia: aveva dato il comando di smantellare tutto e di battere ritirata, ma lui non avrebbe accompagnato i suoi uomini, sapeva di essere un pericoloso macigno. Avrebbe rallentano gli spostamenti e favorito l'avvicinamento degli eserciti nemici, perciò aveva deciso di trascorrere le poche ore che gli rimanevano in solitudine, in quella parte nascosta della foresta. Arrancò fino all'entrata dell'accampamento militare e ordinò alle sentinelle di aprire le alte porte in legno. Dopo aver percorso una decina di metri, cadde in ginocchio sulla neve soffice. Era stremato, le energie lo stavano inesorabilmente abbandonando.
- Quattordici mesi... -
Era trascorso più di un anno dalla sua partenza.

Il bambino!
Kyriake doveva aver partorito. Coprì il volto con le mani, sentendosi schiacciare dal pensiero grave. Le aveva nuovamente fatto del male, abbandonandola per una promessa d'onore a Roma. Aveva fatto del male a sé stesso, lasciando l'unica persona in grado di scacciare le tenebre che lo attanagliavano. Urlò a squarciagola il suo nome e picchiò sul terreno. Bruciò per il rimorso di aver rinunciato alla felicità per spegnersi solo e dimenticato.
Poi alzò lo sguardo, lo puntò sull'orizzonte bianco.
Credette di essere sopraffatto da una nuova allucinazione, scorgendo una carrozza trainata da due cavalli neri. I magnifici animali galoppavano proprio nella sua direzione, bloccandosi a poca distanza dal suo corpo quasi esanime. Qualcuno stava correndo verso di lui, distese un braccio, volendo afferrare quella figura incappucciata che la sua mente stava proiettando.
- Maximus! -
Inciampò, finendo ai piedi dell'arrivata. Si aggrappò alla lunga veste di stoffa spessa che indossava e la tirò giù. Con le mani macchiate di rosso, le tolse il cappuccio.
- Non lasciarmi morire qui... -
La donna lo fece posizionare tra le sue braccia, scostandogli i capelli bagnati che gli offuscavano la vista. Mise una delle sue mani affusolate sul petto dell'uomo, che chiuse le palpebre.
- Riportami in vita -
Il battito del suo cuore tornò a prendere ritmo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 


*moglie mia
*anima: intesa, alla senecana, come persona cara.
  animus: principio pensante, coscienza, sentimento.
*Invincibile, è il soprannome dato a Maximus dai suoi soldati.
*
Come va, Maximus?

 

  
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