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Autore: _Heartland_    20/09/2014    1 recensioni
{ Azione, Avventura, Generale }
Di solito, la scuola per tutti noi è molto noiosa. Sempre a fare le stesse cose, sempre ad ascoltare le stesse interrogazioni, sempre a ripetere le stesse, identiche cose.
Ma, a volte, può succedere qualcosa di diverso. Qualcosa di particolare. Qualcosa in cui è meglio che sai cosa fai e chi sei, se vuoi sopravvivere.
Ed è in quei momenti che vorresti di nuovo la monotonia di tutti i giorni.
| Dalla storia |
"[ ... ] Sorrideva soddisfatta. Aveva risolto un altro problema.
Ma sapeva che nessuno si sarebbe mai presentato da lei citandole quel problema per filo e per segno, chiedendole il risultato esatto a costo di vita o morte.
[ ... ]
Sapeva che i problemi al mondo erano altri.
Sapeva che voleva risolvere i problemi veri.
E presto ne avrebbe risolto uno bello grosso."
Genere: Avventura, Azione, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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“We have a problem. A really, big problem.”

 
« Professorè-. »
L’insegnante si girò verso l’alunno che l’aveva chiamata, squadrandolo di sottecchi da sotto gli occhiali dalle lenti sottili.
« Come, prego? »
Il ragazzo sbuffò, stufo, ripetendo. « Mi scusi, professoressa. »
« Che c’è? » chiese a quel punto lei. Secondo le regole che aveva fatto, dopo che un alunno l’aveva chiamata così come lei voleva, rispondeva tranquillamente. Ma, in quel momento, pareva solo terribilmente scocciata.
« Posso andare in bagno? »
« No. »
« Ma- »
« Ho detto di no » ripetè secca la professoressa, tornando a girarsi verso la lavagna e continuando a scrivere. Spingeva il gesso con tanta forza che ogni volta dei residui minuscoli, piccoli quanto briciole, si staccavano, cadendo a terra. « Può andare in bagno solo chi ha lavorato durante la lezione, o a chi è urgente. Tu, si vede e si è capito, sei un asino, e vuoi farti solo passeggiate. »
Il moro abbassò la testa, borbottando qualcosa a bassa voce che per fortuna la coordinatrice di classe, nonché insegnante di matematica, per fortuna non sentì.
Janim rialzò il capo, dopo aver seguito attentamente il discorso. Le fremeva nel petto la voglia di provare.
« Mi scusi, professoressa. »
La bionda si girò, irritata. « E ora che c’è, Woodley? »
« Io dovrei andare in bagno. Posso? »
« No. »
La ragazza sorrise appena. « Professorè-. » La professoressa si girò, quasi furente e rossa dalla rabbia. L’alunna, però, continuò interdetta. « Per due ore intere non ho fatto altro che dirle tutte le formule per risolvere i problemi e, secondo la sua logica, io in bagno ci dovrei poter andare. »
L’insegnante si morse l’interno della guancia con rabbia, fino a sentire il sapore metallico del sangue sulla lingua. « Va’ pure, allora, Woodley. »
La tredicenne sorrise appena, compiaciuta, stando ben attenta però a non farsi vedere dalla vipera. Si alzò di fretta, percorrendo tutta la stanza ed uscendo infine dall’aula.
« Libertà » sussurrò fra sé e sé, a voce bassa, una volta dopo esser scappata dalle grinfie del serpente.
 
 
 
Janim era seduta sul davanzale della finestra, con la testa appoggiata al vetro freddo. Le ginocchia riportate al petto e circondate dalle braccia, la ragazza ciondolava appena di qua e di là, pensierosa.
Se c’era un punto debole che aveva individuato nella professoressa, era l’orientamento nel tempo. Non si rendeva mai conto del tempo che passava, perciò, lei poteva restare nel bagno quanto voleva, la professoressa non si sarebbe accorta di nulla.
Il problema "compagni" non si poneva neanche. Dato che ogni volta lei li salvava dalle domande crudeli della serpe, alzando la mano e impegnandola per tutte le ore a fare problemi su problemi, loro la gratificavano così, non facendo render conto l’insegnante del tempo che la tredicenne si prendeva per stare un po’ in pace.
Certo, il bagno non era dei migliori, ma quel davanzale largo dove si poteva sedere tranquillamente con la vista sul mare era a dir poco perfetto.
Sarebbe rimasta volentieri lì fino allo scadere della terza, consecutiva, ed ultima lezione di matematica di quell’orario da schifo. A chi sarebbe venuto in mente di mettere, il sabato, due ore di italiano e tre di matematica? Pazzesco.
In fondo, doveva restare lì solo ancora venti minuti. Che le costava?
Abbassò la testa, mordendosi il labbro inferiore. Lei non riusciva a farne a meno. Doveva sempre muoversi, muoversi, muoversi. Il fatto che fosse intelligente era o un miracolo divino, o il fatto che il muoversi c’entrava anche con il cervello.
La ragazza si fece cadere quindi di nuovo sul pavimento bianco in piastrelle del bagno, appoggiandosi al lavandino.
Fu mentre si lavava le mani con cura per perdere ancora del tempo e godersi tutta quella tranquillità, che sentì un rumore strano.
Udì chiaramente il rumore della porta dell’aula che si apriva di botto, nello stesso istante in cui gli allarmi incominciarono a suonare.
I suoi istinti e i suoi riflessi scattarono. Fece smettere subito lo scrosciare dell’acqua, e con un movimento rapido e silenzioso si acquattò dietro la porta del bagno semi-aperta, che lasciava intravedere giusto parte del corridoio, e la ragazza si appiattì contro il muro. Da lì, nessuno avrebbe potuto vederla.
« In piedi! » udì una voce poco lontano, probabilmente nella sua classe. La voce era profonda, grave, terrificante. « In piedi o sparo! »
Fu allora che alla ragazza venne davvero la pelle d’oca. Alle sue orecchie arrivarono i rumori delle sedie che stridevano contro il pavimento, ovviamente come sempre non alzate dai propri compagni per essere messe a posto.
« Bene » udì ancora. La ragazza fece un pericoloso passo avanti, per ascoltare meglio. « Siete in ostaggio, nel caso non ve ne siate accorti. »
La voce era difficile da distinguere, dato che la porta del bagno era quasi chiusa. Pareva ovattata.
 
« Abbiamo uomini lungo tutta la scuola, quindi state ben attenti a quello che fate o dite, o andrete a prendere il thè con la morte. Dovrete fare tutto quello che vi diremo, intesi? »
Allora erano più di uno in ogni classe di tutta la scuola.
“Maledizione” pensò Janim, torturandosi letteralmente il labbro inferiore, mentre sentiva già il sapore metallico del sangue in bocca.
Poi la serratura tanto conosciuta della porta dell’aula la fece risvegliare, in contemporanea con quella del bagno.
Avevano chiuso gli altri nell’aula.
E lei, ancora peggio, nel bagno.
 
 
 
 
 
L’unica cosa di cui Janim era felice era il fatto che la tanto odiata professoressa di matematica ci era finita di mezzo. Okay, non era un pensiero da fare in una situazione del genere, ma doveva, doveva assolutamente.
Poteva restarsene benissimo lì, dove non l’avrebbero trovata, e non rischiare la vita, ma aveva quell’irrefrenabile istinto di doversi mettere in gioco, di dover salvare gli altri.
Per una volta, aveva la possibilità di risolvere un vero problema.
E, inoltre, si trattava di così tanta gente che conosceva. Doveva aiutare.
Ispezionò attentamente tutto il bagno, ma l’unica cosa utile che trovò fu una corda.
« Ma questa non era in palestra… » si chiese ad alta voce, per poi zittirsi mentalmente. Doveva fare il meno rumore possibile, o l’avrebbero scoperta.
Prese in mano la corda, che era comunque parecchio lunga, senza chiedersi il perché fosse lì.
Aprì poi la finestra con tutta la cautela del mondo, non facendo caso alla palestra, o a tutto il resto. Ma solo al cortile e al cornicione di tre spanne che percorreva la scuola.
Era una buona idea. Il cornicione la percorreva tutta, e si fermava bene sotto ogni finestra.
Janim individuò una aperta nel corridoio che univa i due edifici della scuola, decidendola come propria meta. Rischiava parecchio, ma doveva farlo.
Legò con cinque nodi e ben forzata un’estremità della corda al tubo del lavandino attaccato alla finestra, e l’altra estremità se la strinse ben forte sulla vita, come una cinta di sicurezza.
Si acquattò poi sopra il familiare davanzale, osando per una volta mettere il piede fuori.
Inspirò a pieni polmoni, e poi, lentamente, mise fuori anche l’altro. Si alzò in piedi, ma si sentì meccanicamente portare in avanti.

“Ora cado, ora cado” pensò già, immaginandosi spiaccicata al suolo. Le sue mani, però, non ascoltarono i suoi pensieri, e si attaccarono saldamente ai bordi della finestra.
Con un unico movimento, Janim si tirò indietro, appiattendosi contro il muro.
La corda avrebbe potuto comunque salvarla in caso di caduta.
Forse.
Incominciò quindi a camminare di lato. Piano, lentamente, quasi a un metro all’ora, passo dopo passo, inspirando ed espirando meccanicamente contando.
Sentiva l’adrenalina scorrerle nelle vene, ma sapeva che se ci si fosse abbandonata, sarebbe finita male.
La pioggia leggera non accennava a smettere ma, per fortuna, neanche a peggiorare, e lei decise semplicemente di ignorarla.
Procedette quindi piano, mentre l’ansia prendeva il posto dell’energia. I respiri si fecero più corti, l’aria non parve più contenere ossigeno.
Janim si girò verso la sua meta. Mancavano ancora dieci metri.
Chiuse gli occhi, deglutendo fortemente, poi li riaprì, ricominciando a camminare.
Non doveva guardare in basso, non doveva, non doveva, non doveva.
Nove metri.
Otto.
Sette.
Sei.
Cinque.

Il suo sguardo crollò letteralmente, come attratto dalla forza di gravità.
Per un attimo, la tredicenne pensò che gli occhi le erano scivolati fuori dalle orbite.
Dal secondo piano, contando che ognuno era relativamente alto in quella scuola, ci si poteva cominciare a preoccupare. Fosse caduta a terra, sarebbe diventata una frittata umana.
“Non pensarci, non pensarci” si disse, inspirando ancora una volta.
Riprese a camminare, stavolta più velocemente, con più foga, con più impazienza.
Quattro.
Tre.
Due.
Uno.

Fu allora che non sentì più la terra sotto uno dei suoi piedi. Sentì il peso ricacciarsi in avanti, ma la corda si oppose. Era arrivata al limite.
Aiutandosi con quella, ripresasi dallo shock, la ragazza tornò in equilibrio. Liberò la vita da due giri di corda, ottenendo il necessario per fare ancora un metro.
Zero.
Era davanti alla finestra. Legò la corda ad un’estremità di questa, la aprì completamente e ci si lanciò dentro.
Atterrò con forza, ricadendo quasi in avanti. Janim si portò un attimo una mano alla fronte, poi decise che non c’era tempo per calmarsi.
Si guardò in giro. Il corridoio era occupato solo dalla scrivania vuota della bidella e dai numerosi quadri fatti dagli studenti appesi ai muri. Tutto era vuoto, neanche un’anima viva.
“E ora che faccio?” pensò fra sé e sé, confusa. 
Una vibrata al piede la fece spaventare, facendole fare letteralmente un salto per aria.
Fu allora che se ne ricordò. La vipera non permetteva loro di portare i cellulari a scuola, ma a lei serviva una volta uscita, dato che abitava più lontano degli altri e doveva chiamare i propri genitori.
Così, furbamente, nascondeva l’aggeggio negli stivali, a contatto col polpaccio. Di solito era spento, ma essendo difettoso, capitava che si accendeva col silenzioso.
La ragazza si tolse la scarpa, prendendo il cellulare per poi rivestirsi velocemente.
Chi chiamare, ora?
Genitori? No, avrebbe creato solo panico. Doveva risolvere la situazione con diplomazia.
Si decise per l’opzione più semplice. Digitò le tre cifre,  spingendo poi il verde.
« Pronto, polizia comunale. Chi parla? »
« Sono Janim Woodley, dalla scuola- »
« Signorina, lei sa che non si chiama da scuola, vero? »
« Certo che lo so, ma- »
« Appunto, avanti, non faccia scherzi. »
Un “Bip” le fece capire che le avevano riattaccato. Furiosa, richiamò.
« Signorina, le ho detto che- »
« Senta » incominciò. « C’è un attentato qui a scuola e sono l’unica che attualmente si può muovere. Ho fatto quindici metri su un cornicione al secondo piano per uscire da dove mi avevano rinchiusa e no, non sanno che io sono libera. Non so come sono fatti. Ci serve aiuto. »
Dall’altra parte, giunse solo il silenzio.
« Okay » decretò infine l’uomo. « Ho scritto tutto. Vi invieremo qualcuno appena possiamo. »
« Appena potete?! Ma siete scemi?! Dovete venire! Ora! »
« Signorina, tutte le squadre sono fuori. Altre tre scuole sono state attaccate più o meno alla stessa maniera. »
« Ma- »
« Senta, rimanga in contatto con me. Mi dica quanti sa che sono. »
« Non ho il numero esatto, ma sono disseminati per tutta la scuola. »
Si guardò poi intorno, nel corridoio che era apparentemente deserto.
« Anche se non vedo nessuno… »
Il poliziotto sospirò, come di uno che sapesse già. « Signorina, la trovo molto in gamba. Sarò difficile, ma ci dovrà dare una mano. »
« Va bene! »
«Mi dica… avete una palestra distaccata dalla scuola? »
 « Sì. »
« Riesce a guardarla dalla sua postazione? »
« Sì. »
« La guardi, e mi dica cosa vede. »
Janim non riusciva a capire. Ciò nonostante, si girò, osservando la palestra.
Il suo cuore perse un battito.
Una quarantina di uomini vestiti di nero forniti di passamontagna si accalcavano dietro ad una folla di studenti, spingendoli dentro la palestra. Dopo averli fatti entrare tutti, infine, la chiusero, rimanendo metà fuori e metà dentro. Un altro uomo, in cima alla scala antincendio, si apprestava a chiudere tutte le porte.
Fra chi teneva in ostaggio la sua classe e quelli che tenevano in ostaggio tutto il resto della scuola, i criminali dovevano essere circa cinquantacinque.
« Signorina? » la voce del poliziotto la fece sussultare.
Janim, che aveva meccanicamente allontanato la mano dall’orecchio, riavvicinò il telefono.
« Hanno chiuso tutti in palestra. Sono circa cinquanta uomini. Venticinque sono dentro la palestra, gli altri fuori. La mia classe è in ostaggio con circa due o tre uomini al capo. »
« La domanda più importante. Siete chiusi dentro la scuola, non avete possibilità di scampo? »
« No, signore, siamo bloccati totalmente qui, nella nostra stessa prigione. »


 

{ Angolo Autrice }

Ehilà, ehilà, ehilà!
Spero davvero che vi piaccia!
Insomma, non ho tanto da dire. Spero solo che vi divertirete tanto a leggerla!
Se avete qualche domanda, chiedete pure nelle recensioni, rispondo a tutti!
Heart.
 
 
 
 
 
  
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