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Autore: Tomi Dark angel    20/09/2014    7 recensioni
Tratto dalla storia: "La Signora O’Leary si ritrae scodinzolando e avanza al piccolo trotto verso un fitto agglomerato di ombre dal quale emerge una figura alta e slanciata, con indosso una lunga veste nera. No… non può essere lui. Non deve essere lui. Percy fissa lo sconosciuto, quasi incapace di riconoscerlo. Sei anni. C’è voluto così poco tempo per mutare fino a quel punto l’aspetto del piccolo Nico Di Angelo?"
Pernico, ovviamente!
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Nico di Angelo, Percy Jackson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Alcuni pensano che la vita sia un percorso a senso unico. Si può semplicemente camminare, scegliere la propria strada e andare avanti finché non si raggiunge un ignoto traguardo finale, che si tratti del successo del secolo, di un grosso cambiamento o della pura e normalissima morte. Si continua, si cambia, tutto muta. Eppure, stranamente, non è così: la vita segue un percorso circolare, che tende a ripetersi, seppur in maniera diversa. Si calca strade già seguite, si ripete in modo differente ciò che già in passato può essere accaduto. È un loop, un continuo infinito di esperienze trascorse.
La vita è viziata, lo sanno tutti. Ama giocare brutti scherzi, dimostrarsi capricciosa, tornare sui suoi stessi passi. E Percy Jackson non può essere più d’accordo di così con questa ben chiara definizione.
-Percy, attento!-
Una coda massiccia, squamata, veloce come testa di serpe in attacco, lo colpisce allo stomaco, scagliandolo in aria. Percy tossisce, si rannicchia dal dolore, ma stringe forte la mano intorno all’impugnatura di Vortice, la sua fedele lama di bronzo celeste. Non può perdere la spada adesso, non ora. Il drago lo ucciderebbe.
Da quanti anni un mostro del genere non attacca il Campo Mezzosangue? Tanti, troppi. In effetti, per circa due anni, Percy ha creduto che i mostri si fossero dimenticati di dar la caccia ai mezzosangue. Niente in contrario in tutto ciò, ma quando si è abituati a combattere i mostri giorno e notte da tutta una vita, la pace improvvisa appare sinistramente pericolosa. Significa che si sta preparando qualcosa di grosso, qualcosa di massiccio. E quel bestione non può che esserne la barbara conferma.
Percy non ha mai visto un drago così grosso, nemmeno durante una delle sue imprese più pericolose: coperto di squame grigio fumo, alto quasi otto metri, col lungo collo irto di punte cervicali e la testa da rettile. Gli occhi rossi, folli di furia omicida, scandagliano i ragazzi armati che lo fronteggiano coraggiosamente, alla ricerca di un anello debole da abbattere per rompere le righe dei mezzosangue. Un errore, una distrazione di troppo… e il drago potrà vincere.
Percy vorrebbe richiamare a sé il potere del padre e del mare suo compagno per annientare una volta per tutte il bestione che ha davanti, ma non è facile combattere all’asciutto quando il tuo unico punto di forza è proprio l’acqua. Questo, il drago sembra saperlo.
-Mirate alla testa!-
Annabeth Chase, l’ex ragazza di Percy, scocca una freccia, mancando tuttavia il bersaglio di diversi metri. Barcolla, ansima copiosamente mentre una brutta ferita al fianco le sottrae insieme al sangue, le ultime forze rimaste.
Leo Valdez indietreggia disarmato, gli occhi che insistenti tornano al martello abbandonato nell’erba a diversi metri da lui. Non può evocare intorno a sé una barriera di fuoco perché, come già accaduto in precedenza, il drago lo assorbirebbe.
-Percy, che facciamo?- sbotta Jason, esausto. Al suo fianco, Piper giace svenuta, accasciata sull’erba come marionetta abbandonata e ormai priva di fili che la muovano.
Come si distrugge un drago immune al fuoco, appena meno resistente alle scosse elettriche e corazzato di squame più impenetrabili del diamante? Bella domanda.
Percy stringe forte la sua spada, pronto a un ultimo assalto, disposto all’ultimo disperato sacrificio che forse gli costerà la vita. Deve provarci, deve riuscirci. Per i suoi amici, per la sicurezza del Campo. Il suo ultimo piano, forse meno geniale del solito, sarà di lanciarsi a testa bassa verso il petto del drago, laddove le squame sembrano più rade. Se riuscisse ad affondare la lama, forse nascerebbe un barlume di vittoria.
Lentamente, con calma quasi serafica, Percy Jackson inspira profondamente. Se ne andrà così, senza voltarsi indietro, ritto innanzi alla stoica resistenza di un drago meno imbattibile dei Titani, meno meschino di alcuni dei, ma abbastanza forte da poterlo trascinare nell’abisso.
Percy Jackson, l’eroe del Campo Mezzosangue. Sopravvissuto a tanto, ma morto per così poco. La vita funziona così, e il ragazzo deve costringersi ad accettarlo.
-Percy?- Annabeth lo chiama, pare intuire la sua ultima decisione. Tende una mano insanguinata verso di lui, verso la debole speranza che ci ripensi, con l’unico risultato di sortire l’effetto opposto: mai più sangue sui suoi amici. Mai più dolore per loro, ma più perdite. Non è giusto, non lo meritano.
Senza una parola, Percy scatta.
-PERCY, NO!!!-
I piedi s’abbattono sull’erba, gli urli dei mezzosangue feriti o ustionati a sangue si confondono col ruggire del vento nelle orecchie. Percy accelera, quasi vola sul terreno che pare accoglierlo, spingerlo, incitarlo.
Il drago lo vede e s’impenna, allontanando da terra i suoi unici punti deboli. A Percy basterebbe un salto ben mirato e potrebbe raggiungere il petto della bestia… forse.
Ma le cose vanno storte. All’improvviso, ancor prima che Percy riesca a capire di essersi forse sacrificato inutilmente.
La coda del drago si leva, oscura il cielo notturno di mefitica ombra di morte. Percy non riuscirà a schivarla, non stavolta. Un secondo colpo di coda abbattuto da quell’altezza gli sarà fatale e lui morirà a causa della sua stessa, inutile stupidità. Ironia della sorte che proprio lui, il grande eroe, si spenga in maniera così insignificante.
Qualcuno lo chiama, Annabeth grida lacerata, ma Percy non ascolta più. Semplicemente, chiude gli occhi e quasi sorride quando un mormorio lontano gli pervade la mente, consolandolo, accarezzandolo, cullandolo. Suo padre è con lui, e lo sarà fino alla fine.
CRASH!!!
Rumore di vetri rotti, rumore di… scaglie in pezzi. Il drago ruggisce di dolore, si dimena, abbatte le zampe al suolo in uno scalpiccio sofferente, impazzito.
Qualcosa arresta il crollo della coda e un’altra ombra sovrasta Percy senza toccarlo, senza oscurarlo di giudizio mortifero. Un corpo massiccio si frappone tra lui e il drago, proteggendolo come gigantesco scudo guardiano. Percy leva lo sguardo sulle zampe della Signora O’Leary, sbarra gli occhi quando dalla terra smossa cominciano a emergere mani scheletriche, scarnificate, contorte come orribili rami d’albero. S’aggrappano alle zampe del drago, a centinaia, giocando sul potere della forza combinata per accerchiarlo e immobilizzarlo quel tanto che basta per permettere alla Signora O’Leary di stringere la presa, ancora e ancora, finché qualcosa non si spezza nella coda del drago e una sottile polvere d’oro non comincia a emanare dalla ferita.
La bestia ruggisce, cerca di eruttare una vampa di fuoco dalle fauci poderose, ma un altro gigantesco mastino emerge dalle ombre. Nero, a pelo lungo, con ferini occhi rossi e fisico massiccio da lottatore. Balza, e di slancio s’aggrappa alla gola del drago, penetrando le scaglie con malsana facilità. Scrolla il capo violentemente, schiocca le zanne contro le ossa morbide del collo e con feroce insistenza infierisce con gli artigli laddove il petto appare più scoperto, più debole.
Tre perfetti titani del regno animale si scontrano in un’epica lotta sanguinaria, che prevede la sola sopravvivenza di un’unica fazione vincitrice. Zanne che si snudano, artigli che affondano, code che si dimenano. Ogni più piccolo arto si trasforma in un’arma disperata, aggressiva, volta a massacrare e mutilare senza pietà, senza esitazione. I muscoli si gonfiano, i ringhi s’innalzano oltre il silenzio della notte e il rumore della battaglia. Il drago si dimena, sbatte le ali rattrappite, fa oscillare le corna lucenti di bronzo… finché tutto finisce.
Il corpo mastodontico è percorso da uno spasmo, qualcosa si spezza schioccando lungo la spina dorsale. Infine, la bestia si accascia, trascinandosi dietro i due mastini, che crollano a loro volta prima di rialzarsi, ombre tra le ombre, abbracciati dalla notte loro signora, ma indubbiamente vincitori di quell’epocale lotta all’ultimo sangue.
Le mani scheletriche emerse dal terreno, mollano la presa sulle zampe ormai quasi del tutto consumate del drago per tornare docili nelle rispettive tombe, silenziose come presenze arcane. A Percy basta osservare bene quegli arti incartapecoriti che, insieme alla presenza di quei cani infernali, spiegano l’entità del soggetto che gli ha appena salvato la vita.
Ma non è possibile. Quel ragazzino, sparito dopo l’ultima grande guerra contro i Titani, non si fa vedere da circa sei anni. Sei anni di silenzio, sei anni di assenza. Per diverso tempo, Percy ha pensato che fosse morto, forse durante uno scontro frontale con un mostro particolarmente violento. L’ha cercato ovunque, ha sperato ogni giorno in un suo messaggio-Iride. Invece, ad accoglierlo ha sempre e solo trovato il silenzio.
-Percy!-
Jason, Leo, Annabeth e Grover il fauno lo raggiungono zoppicando, aiutandosi a vicenda per avanzare un passo dopo l’altro, ancora storditi e sanguinanti. Annabeth lo fissa con occhi lucidi, sbarrati, come di ritorno dal peggiore incubo mai visto e vissuto. Percy è certo che, se non stesse così male, probabilmente gli salterebbe addosso per strangolarlo a mani nude.
-Ma che… è successo?-
In effetti, Percy non lo sa. Cosa è successo, esattamente? Guarda la Signora O’Leary e il mastino alle sue spalle, adesso intenti a fissarli con fare festoso. Agitano le grosse code in un dannoso scodinzolio che fende l’aria in tagli continui, veloci e regolari.
-Signora O’Leary… ciao, bella.- saluta Percy, e allora il grosso mastino infernale lo raggiunge con un unico balzo per atterrarlo sotto la mole imponente che quasi gli sottrae ogni respiro. Percy prega che non lo lecchi da capo a piedi, perché in tal caso, l’elenco di brutte esperienze vissute in un’unica giornata sarebbe completo.
-Signora O’Leary! Qui.- esclama una voce profonda, che Percy quasi non riconosce.
La Signora O’Leary si ritrae scodinzolando e avanza al piccolo trotto verso un fitto agglomerato di ombre dal quale emerge una figura alta e slanciata, con indosso una lunga veste nera.
No… non può essere lui. Non deve essere lui.
Percy fissa lo sconosciuto, quasi incapace di riconoscerlo. Sei anni. C’è voluto così poco tempo per mutare fino a quel punto l’aspetto del piccolo Nico Di Angelo? Così poco per rendere la sua pelle lattea di un candore madreperlaceo, elegante, non più malato ma anzi, quasi impreziosito? Così poco per rimodellare un corpo un tempo magro al limite dell’anoressia in una figura non muscolosa certo, ma alta e slanciata?
Non può essere lui, Percy se lo ripete. Eppure, quando incrocia quello sguardo grave, antico, fatto d’occhi scuri che imperiosi s’armonizzano con la massa scompigliata di capelli corvini, lucidi come piume baciate dal candore lunare, qualcosa scatta in lui.
-Nico…- mormora quasi con ammirazione mentre il ragazzo si avvicina. Al suo fianco, appesa alla cintura di cuoio che gli stringe la veste in vita, vi è la sua spada nerissima, di ferro dello Stige.
La Signora O’Leary e l’altro mastino lo seguono come gigantesche ombre scodinzolanti, affiancandolo con fare giocoso e zampe che ripetutamente calpestano il terreno. Nico non pare infastidito dai due cani ma anzi, appoggia una mano pallida, dalle dita affusolate, sulla grossa testa della Signora O’Leary, sorridendole con gratitudine un istante prima di raggiungere Percy e inginocchiarsi dinanzi a lui. Lo fissa in silenzio, e per un attimo, Percy sente tremare le ginocchia: quegli occhi scuri, un tempo puerili ma adesso antichi come quelli di Ade, gli scavano velocemente l’anima alla disperata ricerca di qualcosa. Cosa? Percy non sa dirlo, ma al momento non gli interessa. In realtà, non gli interessa nulla che non sia il viso cresciuto di Nico, la sua voce calda e più profonda, le sue movenze leggere come d’anima galleggiante.
-Avevi intenzione di farti ammazzare, Jackson?- domanda serio, e allora Percy getta all’aria ogni stupore, ogni barriera, ogni più piccola esitazione. Lo abbraccia con forza, facendogli perdere l’equilibrio, mentre alle loro spalle i ragazzi esplodono in grida di ringraziamento e di saluto per il compagno dopo lungo tempo ritrovato.
Nico non è mai stato popolare al Campo Mezzosangue. In effetti, i ragazzi hanno sempre mantenuto una certa distanza da lui a causa della sua discendenza e dell’aura sinistra che si è sempre portato appresso come un mantello d’oscurità perpetua. Non ha molti amici al Campo, ma in quel momento, dopo avergli visto abbattere il drago e salvare tutti loro in un unico colpo, gli altri mezzosangue sembrano intenzionati a ignorare ogni suo più piccolo aspetto negativo.
Percy lo stringe calorosamente, affonda una mano nei capelli meravigliosamente morbidi di quello che ora, davanti ai suoi occhi, pare essersi trasformato in uno splendido ragazzo.
-Sei un cretino.- sbotta arrabbiato, ma poi un sorriso spontaneo gli nasce sulle labbra. –Bentornato.-
 
La casa di Ade non è mai stato un posto molto rassicurante. Quelle mura imponenti, percorse da torce luminescenti, violacee, quasi spettrali, hanno sempre spinto in soggezione chiunque le guardasse. In effetti, per molti, quell’abitazione appare quasi maledetta. Non che Ade sia un tipo molto raccomandabile, ma Percy ha sempre ritenuto questa corrente di pensiero al limite dell’assurda superstizione.
Tuttavia, adesso che deve accostarsi a quella porta chiusa per bussare gentilmente e parlare col suo proprietario… ha quasi paura. Di cosa? Non lo sa nemmeno lui. Forse di rincontrare quegli occhi scuri di quieto giudizio, o forse di scorgere nella perpetua penombra della casa quella figura longilinea, talmente pallida da spiccare anche nell’oscurità.
Nico l’ha salvato, e Percy gli deve un ringraziamento. Tutto qui. Un semplice ringraziamento e potrà andarsene.
Lentamente, quasi con cautela, Percy raggiunge la porta della casa di Ade e bussa. Una, due, tre volte. forse Nico non è in casa e lui dovrebbe andarsene. Dovrebbe, certo… ma non lo fa. Non è da lui lasciar perdere così.
Spinge la porta con dolcezza, facendola cigolare lungo i cardini. Si avvale dell’oscurità della stanza, del suo silenzio, del pallido candore dei fasci di luce lunare che entra dalle finestre. Avanza senza fare rumore, guardandosi intorno, ma l’oscurità è troppa e lui…
Sbam.
La porta si chiude all’improvviso, di scatto, facendolo sobbalzare. Percy estrae Anaklusmos, toglie il cappuccio alla penna e la guarda trasformarsi in scintillante spada di bronzo che all’istante viene intercettata da un bagliore di pura oscurità. Una lama stride contro la sua mentre una forza inaspettata spinge quasi con gentilezza per contrapporre il colpo senza sbilanciarlo.
-Che ci fai qui?-
Nico Di Angelo emerge dalle ombre sue seguaci, sbucando dal nulla come spirito evanescente e bellissimo, troppo cresciuto in quegli anni di sparizione e silenzio in cui Percy l’ha creduto semplicemente morto. Lo fissa attraverso la cortina di nerissimi capelli scompigliati, studiandolo acutamente come un falco con la preda.
-Nico? Sto bussando da un po’, perché non hai aperto?- controbatte Percy, piccato, e Nico quasi sorride del suo nervosismo. Ritrae la spada, rinfoderandola con un gesto sinuoso che solo in quel momento fa notare a Percy una cosa alquanto imbarazzante: addosso, Nico ha solo i jeans. Niente scarpe, niente maglietta o giacchetta da aviatore. Niente.
Se all’inizio sotto quel mare di vestiti Percy indovinava un fisico debole, magro e slanciato, adesso può tranquillamente ricredersi. Nico ha un corpo armonioso, affusolato, ma moderatamente muscoloso. Le braccia sono nervose, gli addominali appena accennati, i fianchi stretti che affondano nei jeans. Solo le cicatrici rovinano di prepotenza l’eleganza di quel corpo altrimenti privo di difetti, pallido e forte da combattente.
-Che ci fai qui?- chiede ancora Nico, ignorando lo sguardo stupito dell’altro. Lo studia in silenzio, scandagliandolo con lo sguardo finché Percy non comincia a sentirsi imbarazzato e abbassa finalmente gli occhi.
Che accidenti mi succede?
-Volevo ringraziarti per oggi, tutto qui.-
Per tutta risposta, Nico guarda qualcosa alle sue spalle, verso il fondo della stanza avvolta nell’oscurità.
-Vuoi sederti?-
Percy sorride, illuminando a giorno il suo viso e gli occhi verde mare che hanno sempre affascinato Nico, dal primo momento che si sono conosciuti. Guardarli, è come osservare le profondità più recondite di ogni oceano esistente sul pianeta. Ed è bello, perché Nico teme l’oceano ma gli piace guardarlo. L’ha fatto tante volte, e ogni volta ha trovato in ogni diversa sfumatura d’acqua profonda una nuova tonalità già vista e vissuta negli occhi di Perseus Jackson.
-Vorrei, ma non vedo niente qui dentro. Rischierei di rompermi l’osso del collo cadendo.-
Quando la mano di Nico scivola nella sua, Percy sente il cuore gonfiarsi a dismisura. Qualcosa s’agita nel suo petto, striscia gentile lungo lo stomaco, oltre i muscoli, fin dentro le ossa. La stretta di Nico gli infonde una piacevole scossa elettrica che Percy non riesce a ignorare.
-Ti guido io.-
E Nico mantiene la parola. Lo fa avanzare gentilmente sul pavimento silenzioso, invisibile agli occhi di Percy, ma anche tremendamente solido. Quando Nico lo tira in basso per spingerlo a sedersi, Percy s’accorge di aver raggiunto il letto. Tocca gentilmente le coltri sottostanti, si bea della morbidezza che quel soffice ripiano ha da offrirgli. Quella casa profuma di crisantemi, un odore che Percy ha sempre associato a Nico. Ed è un profumo bello, delicato, quasi morbido mentre gli accarezza con dolcezza le narici.
Nico gli lascia la mano, e per un istante Percy prova su pelle il gelo dell’assenza. Il palmo pare congelarsi all’improvviso, perciò il figlio di Poseidone sceglie di affondare le dita tra le coltri del letto per riscaldarle.
-Non sapevo che potessi vedere al buio.- constata dopo un po’ e nell’oscurità, Nico pare muoversi nervosamente.
-Gli Inferi non sono quel che si dice un concentrato di luce, Percy. I miei occhi si adattano meglio all’oscurità, ormai.-
-Nico… non dirmi che sei rimasto lì sotto per tutti questi anni. Ti prego, non…-
-Quella è casa mia, Percy.-
-Anche questa lo è!!!-
Percy lancia un grido ancor prima di potersi fermare. Scatta in piedi, quasi cade quando s’accorge del dislivello (probabilmente un gradino) che vi è accanto al letto.
Lo odia. Odia Nico per essersene andato dopo la battaglia, odia Nico per aver abbandonato tutti i suoi amici lì, al Campo, sparendo nel nulla come ombra mai esistita. Odia Nico per aver abbandonato lui.
-Tutti questi anni, Nico. Tutti questi anni senza sapere se eri vivo, se stavi bene…- La voce di Percy si strozza all’improvviso, costringendo il ragazzo a passarsi una mano sul volto per calmarsi. –Ti ho creduto morto.-
Percy stringe i denti, serra forte le palpebre. Ricorda quei momenti di lacrime e solitudine quando, chiuso nella sua casa, piangeva per la perdita di Nico. Ricorda di aver supplicato Iride di recapitargli un messaggio, ricorda di averlo cercato a lungo nei luoghi più impensati. Ma più il tempo passava, minori erano le possibilità che Nico fosse vivo. A un certo punto, Percy si convinse semplicemente di averlo perso per sempre. E capirlo, fu per lui il dolore più grande di tutti.
-Non potevo restare, Percy. Non è il mio posto qui.-
La voce di Nico è pacata, e questo fa infuriare Percy più del dovuto. Senza pensarci e prima ancora di potersi trattenere, segue il suono della sua voce e gli sferra un pugno. Sente il corpo di Nico sbilanciarsi, cadere tra le coltri e scorge il baluginio sinistro del ferro dello Stige che segue i suoi movimenti. Percy sa che se Nico reagisse, non avrebbe scampo: quell’oscurità è la sua casa, la sua arma. Lo ammazzerebbe al primo colpo e senza il minimo problema.
-Io ti ho aspettato.- ringhia invece, preda della rabbia. –Io ti ho chiamato! A lungo, per notti intere, fino a perdere la voce. Ma tu non mi sentivi! Tu non ascolti mai, e per questo ti odio!-
Senza pensare, Percy balza sul letto, laddove avverte il respiro affannoso di Nico. Gli sale a cavalcioni, sfruttando il tatto per orientarsi e carica l’ennesimo pugno, più forte del primo, più violento di qualsiasi colpo mai inferto in precedenza di sua mano.
-Dov’eri mentre io gridavo il tuo nome, figlio di Ade?- ringhia, mentre qualcosa di caldo e umido sgorga lentamente dai suoi occhi. Percy sente la scia di lucente pianto liberatorio scivolargli lungo le guance, giù fino al mento, come amara carezza di madre consolatoria.
Lacrime. Lui sta… piangendo? Per Nico?
-Dov’eri, Nico?- singhiozza improvvisamente, dando libero sfogo alla paura, alla rabbia, alla frustrazione. Abbassa il pugno, rilassa i muscoli e china il capo sconfitto, schiacciato da un peso che per l’ennesima volta, si rivela più grande di lui. Lascia che le lacrime bagnino il petto nudo di Nico, laddove batte un cuore che Percy ha creduto per anni si fosse fermato. –Dov’eri?-
Come reazione, Percy si aspetta di tutto. Attende che Nico lo spinga via, attende che lo trapassi col suo ferro dello Stige. Semplicemente, attende il dolore fisico, perché certamente, quello farebbe meno male della sofferenza che gli squarcia le membra e il petto con artigli d’acciaio.
Ma il dolore non arriva e la risposta che giunge da Nico è la più inaspettata che Percy abbia immaginato.
Due braccia forti, coperte di ruvide cicatrici, gli stringono i fianchi, tirandolo verso il basso. Percy si lascia trascinare, preme il corpo contro quello tiepido di Nico mentre le sue mani scivolano leggere come piume d’albatro lungo la sua spina dorsale, su fino alla nuca, dove le dita affondano gentili nei capelli corvini. Quando il profumo di crisantemi gli riempie le narici e la mente, Percy si rilassa totalmente e piange più forte, stringendo Nico a sua volta. Credeva di non poter mai più inalare quel profumo, credeva di non poter mai più sfiorare quel corpo adesso caldo di vita e sangue che scorre pulsante, attivo, reale.
Nico è vivo, Nico è con lui. Va tutto bene.
-Sono qui.- mormora il figlio di Ade, e solo allora Percy chiude gli occhi, cullato dal suono di quella voce profonda, che più nulla ha di puerile ma che nello scorrere dei secondi, dei minuti, forse delle ore, egli si accorge di amare profondamente. Si addormenta così: cullato dalle braccia di Nico, avvolto dal suo calore, col barlume d’un sorriso sulle labbra e negli occhi che adesso non piangono più.
§§§
Quando il primo raggio di sole gli sfiora il volto, Percy si morde le labbra per non lasciarsi sfuggire violente imprecazioni a indirizzo di Apollo. A volte ha l’impressione che il dio lo faccia apposta a infastidirlo mentre dorme della grossa.
Stringe le dita sulla coperta che l’abbraccia stretto, trattenendo il piacevole calore del suo corpo e respingendo il gelo che si propaga nella stanza rigorosamente nera che scorge a malapena da sotto le palpebre leggermente schiuse.
Nera? La casa di Poseidone non ha le pareti nere.
Percy inspira bruscamente, spalancando gli occhi quando un familiare odore di crisantemi gli sfiora le narici. Scatta a sedere, per poco non cade dal letto quando si accorge di essere nella… casa di Ade. La casa di Nico Di Angelo.
-Oddio…-
Percy si guarda intorno, terrorizzato all’idea che Nico sia sparito di nuovo, forse per altri sei anni. Scandaglia la stanza con lo sguardo, fruga nevrotico l’ambiente finché non trova il piccolo corpo ormai cresciuto dell’altro, seduto sulla punta del letto, con la schiena appoggiata alla parete. Nico giace a gambe incrociate, le mani in grembo, il capo appena reclinato in avanti. Seppur in quella posizione più che scomoda, incredibilmente dorme.
Percy non l’ha mai visto dormire e questo gli fa capire di trovarsi davanti a una rarità unica, senza tempo, che non vorrà mai dimenticare. Osserva i tratti ancora morbidi dell’altro, il taglio affilato degli occhi, i capelli nerissimi e scompigliati da una distratta eleganza della quale Nico pare totalmente inconsapevole.
Guardandolo, Percy si sente scaldare il cuore. Sorride inconsapevolmente e si porta una mano al petto, laddove sente irradiare un senso di consapevolezza che lo riempie di timore, confusione… ed ebbrezza.
Lui ama Nico Di Angelo. Forse l’ha sempre amato, questo non lo sa, ma se potesse scegliere qualcuno con cui trascorrere il resto delle ere, intrise di guerre e pace, di rabbia e armonia, Percy sceglierebbe lui. Nico e i suoi pallidi silenzi. Nico e la sua innata saggezza. Nico e i suoi occhi prematuramente cresciuti, forgiati dal dolore e dalla solitudine che poco a poco, l’hanno rimodellato col fuoco e con l’oscurità.
Semplicemente Nico.
-Smettila di fissarmi, Jackson.-
Il sussurro è così improvviso, così inaspettato, che Percy si sbilancia all’indietro e cade dal letto con un tonfo.
-Ahia! Nico, da quanto sei sveglio?!-
Nico apre un occhio per fissarlo di traverso, impassibile come al solito. –Non dormo da giorni, Percy.-
Adesso che ci fa caso, Percy nota due grosse occhiaie sul viso del più piccolo. Senza più il manto d’oscurità a coprire i suoi difetti, il figlio di Poseidone può notare nell’altro l’espressione distrutta, i nervi tesi, i segni dello stress e della stanchezza. Nico Di Angelo ha tutta l’aria di uno che non dorme da settimane.
Percy si leva a sedere, senza staccargli gli occhi di dosso.
-Credevo che avessi… sì, insomma… credevo che avessi dormito stanotte. È colpa mia?-
Nico inarca un sopracciglio e quasi sorride all’imbarazzo dell’altro: un tempo, era lui quello che arrossiva al cospetto di Perseus Jackson, lui quello che si ritraeva ad ogni suo più piccolo gesto affettivo nei suoi confronti. Affettuoso come un fratello. Un fratello.
-Perché non riesci a dormire, Nico?-
Nico esita. -La mia testa fa troppo rumore. I pensieri urlano e non mi fanno dormire.-
Rabbrividisce, e in un battito di palpebre, il vecchio, piccolo Nico è di nuovo innanzi agli occhi di Percy. L’aura di potenza che lo abbraccia scompare, sostituita da un senso di fragilità puerile, antico, che Percy riconosce: l’ombra della morte di Bianca non l’ha mai abbandonato. Nico è cresciuto in fretta perché come unici mentori di sopravvivenza ha trovato gli schiaffi della vita e la morte della sua famiglia.
È cresciuto da solo, e in solitudine gli è toccato maturare. Percy non augurerebbe questo dolore nemmeno al suo peggior nemico.
-Nico… mi dispiace. Davvero. Io… dovevo salvare Bianca, ma non l’ho fatto. L’ho guardata morire, sono stato impotente e…-
Un dito preme inaspettato sulle sue labbra e una mano pallida di cicatrici si appoggia dietro la sua testa, inclinandola per far combaciare la sua fronte con quella di Nico, improvvisamente vicinissimo.
Il cuore di Percy fa un balzo, lo stomaco si contorce, gli occhi si spalancano per affogare nei suoi in un purissimo incontro di terra e oceano che insieme, costruiscono la perfezione di un mondo utopico, lontano e bellissimo. Il mare all’interno degli occhi di Percy è burrascoso di lacrime trattenute e di sensi di colpa, ma la terra scura nello sguardo di Nico lo abbraccia benevola, con pazienza e dedizione, spazzando poco a poco l’incedere delle lacrime.
-Io ti ho già perdonato, Perseus Jackson.-
Perdono. Percy non avrebbe mai creduto di poterne assaporare il significato reale, tangibile, che come acqua fresca gli scorre sulla pelle. Tanti anni a pregare che qualcosa cambiasse, tanti anni a implorare il cielo e gli déi affinché dessero a Nico la forza di ricominciare a vivere.
A volte, laddove il fato si stanca d’attorcigliarsi in malefiche vie intrise di dolore ed errori, qualcosa cambia, le cose scorrono nel verso giusto… e i miracoli finalmente avvengono.
Percy chiude gli occhi, rilassa ogni muscolo del corpo quando dolcemente, le labbra di Nico s’appoggiano dapprima sulla sua fronte per poi scivolare in basso, lungo la tempia, sul bordo dell’occhio, sulla guancia, fino all’angolo delle labbra tese d’aspettativa. Qui Nico si ferma e dolcemente s’allontana, lasciando Percy immobile, con occhi adesso spalancati intrisi di rimprovero.
-Voglio dirti una cosa, Percy: quando ero molto piccolo, avevo paura del mare. Bianca cercava di spingermi a vincere questa paura, a superare ogni più recondito timore, ma io mi opponevo ogni volta, strenuamente, finché mia sorella non rinunciò. Per anni ammirai il mare da lontano, timoroso della sua grandezza e delle insidie che esso poteva contenere. Più occhieggiavo la grande distesa azzurra, più la temevo, poiché troppo piccolo per confrontarmi con qualcosa di così sconfinato. Avevo paura, e niente avrebbe abbattuto le mie puerili convinzioni di bambino. Odiavo l’oceano perché era troppo grande, troppo lontano dalla mia portata.-
Nico si inginocchia sul pavimento, senza mai allontanare lo sguardo dal viso adesso incuriosito di Percy.
-Poi, qualcosa è cambiato bruscamente, deviando il mio destino verso un traguardo inaspettato. Il mare mi ha travolto, stringendomi in un abbraccio che tuttavia stringeva senza soffocare. Ho visto i mille oceani del mondo tutti in una volta, e li ho visti nel luogo più inaspettato che avrei mai potuto immaginare.-
Inaspettatamente, le labbra di Nico si distendono in un sorriso sereno, vivo, che Percy rivede per la prima volta dopo anni. Il suo viso s’illumina, ringiovanisce, e all’improvviso, Nico appare più bello e umano che mai. Accosta una mano al viso del figlio di Poseidone per toccargli lo zigomo con l’indice in un gesto quasi giocoso, puerile, che sorprende Percy quasi quanto il sorriso che ha davanti.
-I tuoi occhi, Jackson. Sono stati i tuoi occhi a illustrarmi che forse mi sbagliavo. Ho cambiato idea grazie a loro, alle sfumature degli oceani che hanno saputo mostrarmi e affascinarmi. D’improvviso, il mare non sembrava più tanto brutto. Anni e anni di fobie ed auto convincimenti e poi arrivi tu, col tuo sorriso contagioso e le tue manie da piantagrane a cambiare tutto. Arrivi a cambiare me. Sentiti in colpa, Jackson.-
Nico non lo guarda più: ha chinato il capo per nascondere il viso sotto la cortina scura di capelli che disordinati, come uno scudo che non si concede di abbassare.
Percy lo guarda, sbarra gli occhi ad ogni singola parola. Quegli occhi che hanno incantato Nico, gli stessi occhi che l’hanno fatto innamorare di colui che ha saputo salvarlo, senza tuttavia salvare sua sorella. Percy Jackson. La sua dannazione, la sua condanna.
-Puoi tornare a casa, se vuoi. È giorno ormai, e le arpie sono sparite… non rischi lo sbranamento se abbandoni la capanna.- dice Nico, alzandosi in piedi. Stiracchia la schiena, facendo risaltare la lunga cicatrice trasversale, più brutta delle altre, che pare tagliarlo in due a partire dalla scapola sinistra, fino al fianco destro.
Senza accorgersene, Percy si alza a sua volta e lentamente, appoggia le dita sulla ferita cicatrizzata, terribile, che gli gonfia il cuore di rabbia e pena. Nico si immobilizza, improvvisamente nervoso.
-Come te la sei fatta?- chiede allora Percy, e Nico attende qualche istante prima di rispondere.
-Un combattimento. Ho tante cicatrici addosso, e spesso dimentico come me le procuro, ma questa… quando si creò, rischiai di morire per davvero. È vecchia di tre anni circa, e la subii quando mi scontrai con un grifone particolarmente grosso. Non…-
Ma Percy afferra Nico per il polso e lo strattona verso il bagno, trascinandoselo dietro con quella forza che l’ha sempre contraddistinto. Nico scorge i muscoli delle braccia flettersi, i tendini emergere nervosi dal collo, come se Percy fosse arrabbiato per qualcosa. Quando raggiungono il bagno, apre i rubinetti della grossa vasca concava incassata nel pavimento. Nico vede l’acqua sgorgare troppo velocemente, forzata dalla rabbia di Percy, da quel senso di urgenza che il figlio di Ade non riesce a comprendere.
-Sei un imbecille. Un cretino. Una maledettissima testa di c…-
-Percy, non essere scurrile. Che ho fatto?-
Percy si gira, fulminandolo con occhi scuriti di rabbia. Tempesta. In quello sguardo si muove la tempesta più violenta che Nico abbia mai visto. Per un istante, sente il bisogno di scappare, di sottrarsi a quella furia inarrestabile che rischia di travolgerlo come il più possente degli tsunami.
Percy lo afferra per le spalle, stringendo con tanta foga che i polpastrelli affondano rabbiosi nella pelle di Nico. Guardandolo negli occhi, il più piccolo capisce improvvisamente perché Percy Jackson è temuto anche dai mostri più incalliti: il suo semplice sguardo volge a sottomettere la violenza delle maree più indomite, concedendo un’aria di inarrestabile potenza al figlio di Poseidone.
-Tu.- ringhia. –Tu, Nico. Il problema sei tu! Tu e il tuo scarso senso di autoconservazione! Prima o poi ti farai ammazzare, e allora non tornerai più da me, dai tuoi amici, dalla tua… famiglia. La tua casa è questa, Nico, e tu volti le spalle a tutti noi facendoti quasi ammazzare per delle stupidaggini. Mi basta sbattere le palpebre e tu non ci sarai più! Per quanti anni hai intenzione di sparire, stavolta? O meglio: per quanto tempo hai intenzione di sopravvivere al tuo senso di piccolo suicida? -
Percy lo accosta a sé per fissarlo negli occhi. –Io non posso vivere con l’incubo di perderti così, Nico! Sfogati, picchiami, fai qualcosa, ma ti prego: vivi! Non sopravvivere alla vita, accidenti! Ti ho fatto amare l’acqua proprio quando la temevi… ora voglio che ami la vita e, costi quel che costi, riuscirò ad aiutarti.-
Nico sbarra gli occhi, lo fissa stupito quando Percy lo lascia per sfilarsi scarpe e maglietta. Resta in jeans davanti al figlio di Ade, ormai prossimo a un infarto prematuro. Nico fissa quasi incantato il fisico scolpito di Percy, il torace ampio, le spalle larghe da nuotatore provetto, i fianchi stretti che dolcemente contribuiscono a costruire un corpo modellato dagli déi stessi. I muscoli non sono esagerati e la pelle liscia s’abbronza appena di una doratura tenue, gentile, che copre come d’oro colato ogni centimetro di pelle.
-Muoviti. E se provi anche solo a protestare, ti affogo con le mie mani.- sbotta Percy, afferrandolo nuovamente per un polso. Lo trascina in acqua senza tante cerimonie, ignorando l’esclamazione stupita di un Nico che in questo momento vorrebbe essere ovunque, tranne che lì.
-Percy, che stai…-
-Chiudi il becco, Di Angelo. E guai a te se muovi un solo muscolo.-
Gentilmente, Percy afferra gli avambracci di Nico e chiude gli occhi. China il capo, pregando suo padre di aiutarlo anche stavolta, così come ha sempre fatto in passato.
Ti prego, papà.
Percy implora, stringe forte gli occhi, spera di poter compiere l’ennesimo miracolo anche stavolta. Per Nico. Per se stesso.
Ti prego.
Ricorda ogni lacrima versata per quel ragazzo cresciuto troppo in fretta, forgiato dall’odio e dalla solitudine. S’abbraccia del suo profumo così dolce e delicato da apparire quasi paradisiaco.
Ti prego.
Nico merita di più. Nico merita la vita, Nico merita ogni briciolo di serenità mai vissuto in questo mondo. Nico merita e basta.
Poseidone! Che il tuo giudizio intervenga!
Lentamente, come in risposta al suo grido mentale, le forse cominciano ad abbandonarlo. Percy sente l’acqua inerpicarsi lungo il suo corpo, scivolando poi sulle braccia di Nico, lungo le cicatrici che poco a poco spariscono, annegate nell’abbraccio protettivo di quel gentile tocco bagnato.
Quando le ferite sono ormai sane, Percy non ha neanche più la forza per riaprire gli occhi. Si accascia nell’acqua, e sarebbe affondato se due braccia forti ma delicate non l’avessero sorretto. Percy sente il profumo di Nico inebriargli la mente quando il più piccolo lo stringe a sé in un abbraccio mai vissuto, mai donato prima d’allora. Nico lo tocca con riverenza, come se avesse paura di spezzarlo, e solo allora Percy carpisce il tremore delle spalle e il susseguirsi di bassi singhiozzi che l’altro tenta invano di nascondere.
-N… ico?-
-Ti odio!-
Nico urla contro la sua spalla, dando libero sfogo alle lacrime. Lo stringe con più forza, e solo allora Percy trova la forza per ricambiare debolmente la stretta: sotto le dita, non avverte più la ruvidezza delle cicatrici.
-Sei uno stupido! Stupido! Stupido…- Nico singhiozza forte, affogando le parole nella violenza del pianto liberatorio che non si è mai concesso prima. Libera ogni emozione, sfoga la solitudine di troppi anni trascorsi nel silenzio e nell’ombra. Poi, improvvisamente, il suo mondo si capovolge per l’ennesima volta; il tutto, di nuovo a causa di Percy.
-Io non ti lascio andare via di nuovo.- mormora il figlio di Poseidone. Si raddrizza, con dolcezza gli afferra il mento per convincerlo a levare lo sguardo. Nico si trova a fronteggiare occhi intrisi di affetto smisurato, adesso schiariti di pallida bisaccia. –E adesso vediamo se riesco a zittire il casino che hai in testa.-
Senza dire altro, Percy Jackson… semplicemente lo bacia.
Se si potesse materialmente toccare il cielo con un dito, probabilmente Nico penserebbe alle labbra di Percy come alle porte più belle della beatitudine. Quelle labbra sono soffici come pallidi strati di sogno e sanno di oceano, lo stesso oceano tanto a lungo temuto da Nico stesso.
Percy gli appoggia una mano sulla nuca, lo trascina verso di sé per far combaciare i loro corpi come identici pezzi di puzzle destinati ad incastrarsi in eterno tra loro. Sente le gambe di Nico intrecciarsi con le sue in un tacito invito che spinge Percy ad affondare una mano in quei capelli bagnati fradici mentre la lingua scorre nella bocca del più piccolo, gentile come ali di farfalla.
Quel luogo, quei tocchi… rispecchiano i più reconditi angoli di una pace serena e senza tempo che Nico non avrebbe mai creduto di poter toccare. Lascia che Percy risvegli il suo corpo, lascia che lo richiami alla vita così come promesso pochi minuti addietro.
E improvvisamente, l’oceano tanto a lungo temuto da Nico spazza via gli incubi più neri, portando con sé un pacifico silenzio nella sua mente ormai limpida di ritrovata serenità.
 
Angolo dell’autrice:
Bene, ecco… cosa ho scritto? Non lo so nemmeno io, lo ammetto, ma… insomma, non potevo mica lasciar perdere la coppia più dolce del mondo, no? Adoro Annabeth, ma Nico è Nico! Il nostro piccolo panda tenebroso! Ok, sto divulgando. Dunque, spero vivamente che questa mostruosità vi sia piaciuta, così come spero di trovare qualche piccola recensione per conoscere i vostri pareri. Grazie a chi ha prestato un minimo d’attenzione a questo piccolo scritto, e a presto!
Tomi Dark Angel
 
 
  
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