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Autore: ISI    21/09/2014    3 recensioni
"Aveva fatto il diavolo a quattro e ce l’aveva messa proprio tutta il pilota per infastidire il buon sergente -più di quanto non facesse normalmente, s’intende- volendo indurlo a pensare, come previsto dal suo diabolico e lucidissimo piano, che l’unico modo per scampare a, testuali parole, tanta 'idiozia concentrata' fosse quello di sloggiare assieme al colonnello.
P.E. aveva tenuto duro e fatto buon viso a cattivo gioco e Murdock doveva già star considerando se e come giocarsi l’ultima disperata carta -quella dell’ “Hey P.E., la sai una cosa? Mi sembri un po’ ingrassato…”- quando Hannibal, che probabilmente aveva già mangiato la foglia da un pezzo, ma si divertiva troppo ad assistere a quel genere di demenziali diatribe tra i suoi uomini, non era intervenuto salvando il matto dallo strangolamento."

Sberla/Murdock
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Spending your free days kissing the cook

 
Quando la sensibilità delle membra tornò in seno alla coscienza e questa parve farsi più consapevole di se stessa Sberla poté godersi la sensazione delle lenzuola fresche e pulite sulla pelle.

Con la medesima accidia di un gatto si rigirò nel letto stiracchiandosi un poco, i muscoli sciolti e riposati come gli pareva di non averli più sentiti da una vita, rilassati in un benessere tale che per un attimo non si chiese se non stesse ancora sognando o se, magari, non fosse morto.

Scartò l’una e l’altra ipotesi pizzicandosi un pochettino una coscia nuda e benché non ci avesse messo troppa forza la cosa accelerò il processo del risveglio.

Pian piano tutto tornò a sé come tornano le rondini ai vecchi nidi quando il sole ricomincia a dar nuova vita alle erbe sepolte dalla neve tessendone con mani invisibili l’ordito di radici nella terra nera.

Innanzi tutto gli tornò gli tornò in mente dov’erano -un appartamentino senza troppe pretese che aveva scovato lui stesso in un paesino buco di culo di cui non ricordava il nome nella periferia di Sparks, in Nevada- quindi gli sovvenne dell’ultimo lavoretto portato a termine, una cosa rapida ed indolore che aveva cacciato fuori da grossi guai un piccolo imprenditore e che aveva procurato loro qualche spicciolo in più del previsto, e ancora Hannibal e P.E. che erano partiti subito prima di cena con l’obiettivo di essere a Las Vegas per le dieci della sera stessa, il primo per cercare fortuna ai tavoli da blackjack, il secondo per prendersi una vacanza da Murdock.

E proprio Murdock era il protagonista dei ricordi più vividi e recenti che il tenente Templeton Peck si ritrovò a passare in rassegna.

Aveva fatto il diavolo a quattro e ce l’aveva messa proprio tutta il pilota per infastidire il buon sergente -più di quanto non facesse normalmente, s’intende- volendo indurlo a pensare, come previsto dal suo diabolico e lucidissimo piano, che l’unico modo per scampare a, testuali parole, tanta idiozia concentrata fosse quello di sloggiare assieme al colonnello.

P.E. aveva tenuto duro e fatto buon viso a cattivo gioco e Murdock doveva già star considerando se e come giocarsi l’ultima disperata carta -quella dell’ “Hey P.E., la sai una cosa? Mi sembri un po’ ingrassato…”- quando Hannibal, che probabilmente aveva già mangiato la foglia da un pezzo, ma si divertiva troppo ad assistere a quel genere di demenziali diatribe tra i suoi uomini, non era intervenuto salvando il matto dallo strangolamento.

“Sai P.E., credo che ti farebbe davvero, davvero bene staccare un po’ la spina e cambiare aria per un paio di giorni.  -aveva esordito cogliendo in un’occhiata la muta gioia che si era accesa sul volto del suo capitano- una singola con tutti i confort al Ceasar Palace, un paio di puntatine alla roulette, niente Murdock fra i piedi…”

L’ultima argomentazione dovette aver fatto un gran presa sulla gioielleria ambulante per la quale si poteva scambiare il sergente perché, alzatosi grugnendo dal divano del piccolo appartamento, ci era voluta poi meno di mezz’ora prima di ritrovarlo completamente pulito, lindo e pinto, in abito da sera, dietro al volante del suo van, pronto per partire alla volta della scintillante Las Vegas.

“Capitano so per certo che a te il gioco d’azzardo non interessa, ma credo che a Sberla la cosa non rimanga del tutto indifferente, non è vero ragazzo mio?” Hannibal aveva assottigliato lo sguardo e la linea sghemba del suo sorriso, spezzata dal perenne sigaro, si era allungata fino a diventare un ghigno metà divertito, metà consapevole: prima di dargliela vinta sul serio voleva farli sudare un pochettino, tenerli sulle spine e divertirsi un po’ anche lui “Pensa, ragazzo mio, soldi facili! Un movimento aggraziato ed impercettibile di quelle tue suadenti manine d’oro, un petit tricherie, come dicono i francesi e potremmo prenderci una settimana di meritato riposo senza dover stare a correre e a sparare a destra e a manca per cercare di sbarcare il lunario. E poi immaginati quante signore e signorine nei loro abitini succinti, gli stacchi di coscia delle ballerine su quei loro malefici tacchi a spillo, i brillantini e le paillettes di quei loro bikini con i pendagli etti sui capezzoli -rimase un attimo in silenzio il colonnello forse rapito, allettato dal suo medesimo soliloquio, lo sguardo altrove, quindi si riebbe e s’avvicinò a Sberla trattenendosi a stento dal ridere- E’ sicuro, tenente di non volere unirsi a noi, a me e ad il sergente?”

“Beh, ecco, io… io non credo che… insomma…” a quel punto Sberla aveva lanciato uno sguardo nervoso verso Murdock alla disperata ricerca di aiuto. Se il pilota avesse avuto davvero dei super poteri, come millantava spesso di possedere e fosse stato capace di sparare raggi laser e fiamme dagli occhi, probabilmente, in quello stesso istante dell’intero stato del Nevada non sarebbe rimasto che un mucchietto di cenere e terra bruciata.

I soldi avrebbero potuto anche fargli gola, ma come avrebbe potuto spiegare, come avrebbe potuto confessare a John Hannibal Smith, al suo colonnello, alla persona più vicina ad un padre che avesse mai avuto in tutta la sua vita, che per lui le donne, per quanto belle ed affascinanti fossero, non erano altro che lavoro? Una simile prospettiva gli sarebbe sembrata tanto più lontana dal personaggio di Sberla di quanto non distasse la terra dal sole, perché Sberla era sinonimo di donnaiolo, di sciupa femmine e di Don Giovanni e quando, per troppo tempo e troppo a lungo si porta una maschera può capitare che gli altri, il pubblico, si aspettino le stesse movenze, lo stesso comportamento dall’attore che l’aveva indossata, interpretata fino ad un attimo prima.

Il tenente aveva aperto la bocca come per dire qualcosa che avesse un po’ più di senso di quello che aveva farfugliato un secondo prima, ma senza successo, quindi l’aveva richiusa e di nuovo aperta, questa volta più determinato che mai ad inventarsi una scusa quantomeno credibile, tuttavia il più vecchio dei tre non gliene aveva dato la possibilità.

“Ok ragazzo, non c’è bisogno che tu mi dia delle giustificazioni. In fondo lo sai, e lo sai benissimo anche tu, capitano, che qualsiasi scelta tu, anzi, qualsiasi scelta voi facciate, io… beh, io sarò sempre dalla vostra...” il tono perentorio, ma al contempo velatamene paterno di Hannibal, che nel suo spartano stoicismo non era mai stato troppo incline a manifestare apertamente i propri sentimenti, nonché il doppio significato della frase appena pronunciata fu sufficiente a spegnere le fiamme negli occhi di Murdock e a lasciare di nuovo entrambi a bocca aperta e senza parole per replicare “E ora vogliate scusarmi signori, ma ho dei pendagli etti per capezzoli da andare ad ispezionare molto attentamente in quel di Las Vegas…”

***

Ci erano voluti un’altra ventina di minuti prima che P.E. ed il colonnello fossero pronti per partire, una ventina di minuti in cui Sberla aveva fatto palesemente finta di leggere il giornale e di essere, oltretutto, interessato alle notizie che vi erano riportate, senza riuscire in realtà, a concentrarsi su una che fosse una parola, mentre Murdock, seduto come gli indiani, a gambe incrociate dall’altra parte del divano, aveva cominciato a rigirarsi tra le mani nervose l’inseparabile cappello da baseball blu.

E a vederli così sarebbero davvero potuti sembrare due perfetti estranei, due vite sconosciute, due realtà tanto lontane quanto inconciliabili -uno così elegante, raffinato ed impeccabile, l’altro… beh, l’altro così pazzo, così torta di frutta, così tanto Murdock, per capirci-, ma forse ad una seconda occhiata neanche al disinteressato P.E. avrebbero potuto sfuggire gli sguardi con cui, di sottecchi, da sopra il giornale, Sberla studiava con angoscia le lunghe e forti mani dell’altro, né il modo in cui quest’ultimo, quando, a torto o a ragione, pensando di non essere visto, seguiva la linea delle cosce tornite e comodamente accavallate del tenente.

Erano rimasi seduti distanti a quel modo, impegnati in quel difficile esercizio di disinteresse reciproco, fintantoché non avevano sentito il van allontanarsi e non lo avevano osservato scomparire oltre l’ultima curva che fosse visibile dall’angusta finestra del piccolo salottino.

Poi Sberla aveva gettato via il giornale con un certo sdegno, Murdock aveva lanciato il cappello da qualche parte e le loro labbra bianche, dissanguate dall’attesa e dall’eccitazione, si erano potute finalmente incontrare in una battaglia di morsi leggeri e pesanti, reciproci affondi di lingue.

Sberla si rigirò ancora nel letto, sospirando compiaciuto mentre una mano scivolava sul basso ventre e l’altra esplorava il lato opposto del letto matrimoniale che avevano condiviso quella notte per scoprirvi solo lenzuola vuote e fredde, un giaciglio abbandonato forse da qualche oretta.

Non era una cosa poi tanto insolita, Murdock era sempre stato piuttosto mattiniero -anche perché, gli aveva detto più di una volta, nei vari ospedali psichiatrici che, per deformazione professionale, gli era capitato di frequentare, lo avevano fatto dormire abbastanza da poter stare sveglio una vita intera e adesso gli toccava recuperare il tempo perduto- ed era molto raro che poltrisse a letto come amava fare lui.

Mentre considerava tutto questo la sua erezione mattutina cominciò a farsi più ingombrante sotto il velo leggero degli slip, nutrendosi delle lente e profonde carezze accidiose e del ricordo della notte appena trascorsa, dei vestiti che avevano cominciato a volare via come posseduti, della sua camicia firmata dalla quale dovevano esser saltati via tutti i bottoni, o quantomeno una buona parte di essi, delle mani che erano arrivate ovunque come maledetti tentacoli dalle ventose urticanti.

Murdock lo aveva sopraffatto con relativa facilità, aveva chiuso i suoi polsi, più sottili, in una morsa ferrea, allungandoglieli sopra la testa e lo aveva spogliato con la furia ed il bisogno di un uomo in preda ad una lucidissima follia e lo aveva preso così, senza troppe cerimonie, su quel divano, senza profilattici o stronzate del genere, con la lubrificazione improvvisata e quanto mai rude di uno sputo e lo aveva fatto gridare e scricciare e venire come fosse la prima volta, come fosse una verginella dall’imene inviolata con un dolore intriso di piacere da non capirci più un bel cazzo di niente.

Quante volte, in Vietnam, si erano presi così?

Quante volte quella loro specie di codificata violenza affettiva era servita a l’uno, all’altro o ad entrambi per avere la certezza di essere ancora vivi da qualche parte, dentro, come quando ci si molla un bel pizzico per voler essere sicuri d’esser svegli e di non star sognando?

Sberla aveva perso il conto delle volte in cui si erano tappati la bocca a vicenda per non svegliare tutto il campo, Hannibal e P.E. compresi, o di quelle in cui, in qualche alberghetto da quattro soldi a Da Nang, in una qualche stanzetta pulciosa chiusa a chiave dall’interno, avevano scopato fino a non potersi più reggere in piedi, ubriachi per cercare di dimenticare i volti, le grida dei civili, dei bambini arsi, bruciati vivi dal napalm, fatti dell’eroina che il reggimento passava ai soldati di sotto banco per dargli la forza di sopravvivere ad una simile carneficina.

Qualcosa nello stomaco del tenente si rivoltò di colpo, stringendolo in una morsa atroce, mentre nuove lacrime salivano a grattare il ciglio come polvere di vetro.

Scosse il capo.

Non voleva essere triste, non oggi almeno, e non voleva indossare maschere, perché gli accadeva così di rado di poter rimanere da soli che non voleva sprecare tempo prezioso fingendo o ripensando a quell’inferno in terra che era stato il Vietnam.

Per quanto fosse stato atroce ora l’unica cosa che Sberla desiderasse fare era dimenticare il passato e godersi il presente, perché anche se certe ferite della coscienza sanguinavano ancora, aperte e purulente, anche se certi cretti della psiche non si sarebbero mai rinsaldati, nonostante tutto lui sapeva che la vita era andata avanti, che era qui ed ora e che non voleva più perdersene neanche una briciola

Voleva ridere ed essere felice e, sopra ogni cosa, voleva far ridere e rendere felice Murdock, sentirsi sciogliere da quel suo sorriso candido, da ragazzino, annegare senza dolore nella luce calda dei suoi occhi.

Mentre tutti questi pensieri avevano preso a corrergli per il capo il tenente aveva afferrato il cuscino dall’altra parte del letto e ci si era aggrappato come un bambino, cingendolo con le braccia e con le gambe, ficcandoci dentro la faccia: l’odore del suo capitano era così intenso che tutto il resto, la guerra, il Vietnam, le carni dei civili divorate dal napalm e dal fosforo bianco parvero scomparire, ma in realtà furono solo ricacciati nella zona più profonda della dell’inconscio: prima o poi le immagini, i suoni, gli odori e perfino i sapori sarebbero tornati a galla a grattare via dalla sua anima un altro po’ di vita, ma allora non ci pensò o forse non volle pensarci, mentre la sua erezione riprendeva vigore e sotto pelle, come un fuoco sottile, si riaccendevano le sensazioni di quella notte.

Il tempo di riprendersi dall’assalto del capitano che, con un colpo di reni ben assestato, le posizioni si erano ribaltate ed il più alto in grado si era ritrovato schienato, senza alcun diritto di replica, sulla superficie piana del tavolo della cucina, le gambe allacciate strette attorno alla vita esile di Sberla, che gli si era cacciato dentro con la foga e la forza di chi, nella vita, non avesse avuto mai che quello e poco altro, il che non era poi così lontano dalla verità, anzi.

Suo padre l’aveva abbandonato già prima che nascesse, sua madre lo aveva piantato in asso a cinque anni portandosi via pure quell’aborto di lattina su ruote che gli aveva insegnato a chiamare casa, una specie di roulotte scalcinata e mezza zoppa in cui d’inverno si crepava assiderati e, per colpa della quale, in tenera età non era quasi morto di polmonite.

Il contatto pelle a pelle tra i loro corpi nudi, le carni di Murdock incandescenti attorno alla sua virilità erano state sufficienti a spazzare via in un colpo il gelo della sua infanzia, a strappargli dal petto il terrore di non essere degno di venire amato da chicchessia: le gambe del capitano attorno alla sua vita, le sue braccia che lo stritolavano per averlo ancora più vicino, ancora più in profondità, i suoi gemiti spezzati ed il modo in cui ogni volta chiamava il suo nome e lo implorava e lo baciava, tutto questo aveva dato un senso alla sua vita e un nuovo significato alla dimensione del vivere e del perché voler continuare a vivere.

Murdock era stato qualcosa d’insaziabile; una volta abbandonato il tavolo la cosa era continuata in bagno ed il tenente, senza capire bene neanche come, aveva finito per ritrovarsi a gemere schiacciato tra le piastrelle fredde della doccia ed il corpo teso e guizzante dell'altro, con le gambe che tremavano e minacciavano di piegarsi da un momento all’altro sotto il suo stesso peso per il piacere e la stanchezza.

Sberla strinse più forte il cuscino, godendosi ancora l’odore del compagno, mentre nel silenzio arrivavano dalla direzione della cucina rumori che la porta chiusa del corridoio rendeva ovattati: il capitano stava canticchiando un motivetto allegro a bassa voce, qualcosa sfrigolava in padella e l’odore del caffè caldo, ormai pronto, gli giunse appena un attimo prima del suo borbottare sul fuoco acceso.

Lo stomaco prese a brontolargli per la fame e pur avendo deciso che era ora di alzarsi e buttarsi giù dal letto fu con estrema riluttanza che abbandonò il guanciale quale aveva cominciato a strusciare lentamente la propria erezione.  Si tirò su a sedere con un grosso sbadiglio e appoggiando i piedi nudi sul pavimento freddo un brivido gli sì dai tendini d’Achille fino alla nuca, risvegliandolo definitivamente.

Si guardò tra le cosce sospirando e passandosi una mano tra i capelli, anche quella mattina per pisciare sarebbe stato un gran caino, come tutti i giorni, del resto.

***

Quando aprì la porta del corridoio che divideva il reparto giorno dal reparto notte del piccolo appartamento la luce che entrava dalle finestre aperte della cucina e del salottino adiacente lo inondò accecandolo e Sberla rimase immobile per qualche secondo a stropicciarsi gli occhi come un bambino appena sveglio.

“Buongiorno Sberla, ben alzato!” la voce di Murdock, allegra e gentile, gli strappò un sorriso, mentre cercava di mettere a fuoco la stanza e tutto il resto “Allora? Noti niente di diverso dal solito?”

Ci volle qualche attimo prima che il tenente riuscisse ad inquadrare bene la situazione: la tavola era apparecchiata per due ed imbandita con ogni ben di Dio e una torre di morbidi pancakes fatti in casa vi torreggiava in mezzo colando sciroppo d’acero da ogni parte, i fornelli erano più ingombri di quanto non fosse stato necessario per due sole persone, Murdock era completamente nudo, eccezion fatta per il suo solito grembiule da cucina e nell’acquaio c’era…

Eh? Completamente che?

 “Allora?” lo incalzò ancora il pilota con un sorriso che andava da un orecchio all’altro  “Non noti niente di diverso dagli altri giorni?”

Sberla lo squadrò da capo a piedi più volte, scorrendo dal petto villoso  rimanendo bloccato infine sulla scritta del grembiule che, ad altezza pacco, recitava con orgoglio: “KISS THE COOK!

“Oh, beh, qualcosa di diverso dici, eh? Oddio, non saprei, sembra tutto come al solito…” buttò là, faticando nel fingere la sua solita nonchalance. Con un teatrale sospiro concentrato da tenente Colombo ed una mano sul mento, prese a giragli intorno lentamente, osservandolo con aria interrogativa, come se gli cercasse addosso un piccolissimo indizio e mentre recitava questa sua scenetta, alla vista nuda di quel dannatissimo culo, così tondo e sodo, che sembrava esser stato fatto apposta da un qualche diavolo tentatore per venire strizzato forte tra le sue mani, inconsciamente si leccò lebbra.

Aveva l’acquolina in bocca e non per il cibo in bella mostra sul tavolo; un dolore sordo si levò dal suo basso ventre e non perché ci fosse qualcosa che non andava, anzi.

“Basta, mi arrendo.” Dichiarò infine il biondo alzando le mani come in un gesto stizzito che in realtà tale non era e scuotendo il capo con studiata rassegnazione “E’ troppo complicato, non lo so, non ci arrivo!”

Ogni tanto, quando Murdock tirava fuori qualche nuova stranezza o rivisitava qualche d’uno dei suoi cavalli di battaglia, come ad esempio l’imitazione di Bugs Bunny, Sberla si metteva a dargli corda con esiti più o meno disastrosi che potevano andare da un P.E. vagamente irritato e con un lieve mal di testa che intimava loro di stare zitti alzando un poco la voce, ad un P.E. moderatamente irritato con un principio di cefalea a grappolo che li afferrava per il colletto della camicia e, a denti stretti, giurava loro che, se avessero continuato, li avrebbe fatti pentire d’essere nati, ad un P.E. enormemente incazzato con un’emicrania da morfina che li inseguiva brandendo qualche tipo di oggetto contundente minacciando di torturarli prima di ucciderli, il tutto mentre Hannibal, appoggiato da qualche parte, fumacchiava il suo sigaro con una strana espressione compiaciuta in faccia.

Quello avrebbe potuto essere benissimo uno di quei momenti a patto che il pilota fosse vestito e che lui non avesse avuto tra le gambe quella specie di Kraken famelico. Si chiese se il cuore di P.E. avrebbe potuto reggere la scena al naturale ed ebbe l’impressione di conoscere già la risposta.

“Come sarebbe a dire che ti arrendi?” la voce del moro assunse un tono incredulo, la sua espressione sconvolta fu come un dejà-vù, perfettamente sovrapponibile a quella di un’attricetta che faceva la parte di una bionda svampitissima in un telefilm carino -qualcosa come Three’s Companion o forse Three’s Company, non ricordava di preciso il nome- che si divertivano a guardare insieme ogni tanto, lavoro e Decker permettendo “Non puoi arrenderti così, accidenti!” sbraitò girando su se stesso e aprendo le braccia come ad indicare un po’ tutta la stanza “Insomma, è pieno di indizi qui dentro!” ma Sberla scosse di nuovo il capo, facendo finta di voler dire qualcosa, forse per scusarsi, ma senza riuscirci.

“E’ incredibile!” sbottò Murdock gesticolando nel nulla, puntandosi poi le mani sui fianchi “Uno prepara un brunch da re al posto di una banalissima colazione e lui che fa? Neanche se ne accorge! Ma dico, la tovaglia a quadretti, i pancakes con lo sciroppo d’acero, la torta di mele ancora calda, le uova fritte ed il bacon, i gamberetti in salsa rosa, la macedonia , il latte ed il succo d’arancia… non ti hanno dato nessun indizio, non ti è sembrato che la cosa fosse un po’ troppo opulenta per essere semplicemente un’ordinaria, fredda, tristissima prima colazione?” gli domandò di nuovo, minacciandolo con la spatola che doveva aver usato per strapazzate le uova.

“Beh, ecco, in effetti…” Sberla si passò una mano sul volto, quasi senza parole “In effetti mi era sorto il sospetto, ma sai…” disse avvicinandosi sempre di più al pilota fintantoché non furono faccia a faccia e oltre, fermandosi solo quando l’ebbe messo spalle al muro, con un ginocchio tra le gambe “Sono biondo, carino, discretamente muscoloso, ben dotato, quelle cannottierine che vanno di moda adesso mi stanno da urlo e so usare dannatamente bene un’M16… non potevi pretendere che il tuo ragazzo fosse anche intelligente, dolcezza!” e detto questo leccò con voluttuosità la spatola, mentre con una mano gli afferrava una natica, come stava sognando ad occhi aperti di fare da almeno dieci minuti.

“O-oh… q-questa si…” balbettò il moro socchiudendo gli occhi e abbandonando lentamente il capo indietro, contro la parete, mentre Sberla scivolava in ginocchio davanti a lui e scompariva sotto il grembiule “Questa si che è una gran fortuna! E dimmi, non ti è dispiaciuto neanche un po’ dover rinunciare a Las Vegas e… -dovette mordersi il labbro inferiore per evitare di gemere come una ragazzina ai primi approcci con un petting un po’ più spinto, quindi continuò- …e ai soldi e alle donnine e a tutto il resto?”

Il tenente, da sotto il grembiule, rise di gusto mentre con quelle sue labbra di seta e di organza accarezzava l’altro per tutta la sua, non trascurabile, lunghezza.

“Oh, no, affatto, sai, avevo un impegno…” gli confidò un attimo prima di baciarlo in punta, facendolo tremare come una foglia in autunno.

“E di che… -il pilota deglutì a vuoto- di che genere d’impegno si tratta?”

“Beh, sei tu quello intelligente dei due, quindi perché non lo scopri con le tue forze? Ti dirò solamente che sul tuo grembiule c’è un buon indizio e che sono piuttosto bravo in quello che sto per fare…”

Murdock dentro di sé gridò l’Alleluja. La prossima volta altro che bruch, avrebbe preparato un pranzo di nozze!

 
-Fin!-

 
Io e le mie fanfiction bipolari che oscillano dal passato remoto al trapassato remoto e dalla gioia al dolore come se fosse niente...
Se vi è piaciuta, in quache modo, fatemelo sapere.
ISI.
  
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