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Autore: Momoko21    21/09/2014    7 recensioni
"L’acqua scivolava addosso mescolata al sapone, lavava via l’oppressione di cui era vittima nella sua vecchia città; finalmente l’occlusione ed il senso di nausea dovuto all’enorme quantità di ricordi che si erano accavallati in tutti questi anni nella sua memoria stavano scomparendo definitivamente. Per la prima volta si sentiva realmente felice. Poteva essere un’altra persona, non più la secchiona di Mandurah che tutti deridevano." [...]
"...sentì un suono familiare provenire dalla stanza accanto.
-Noo!- si precipitò in quella che ormai era diventata la sua camera da letto e vide Jake alle prese con uno stereo, all’interno del quale aveva certamente inserito uno dei cd che si trovavano del suo portadischi in cuoio verde.
-Che c’è?- Jake era sorpreso. La parte testuale della canzone non era ancora cominciata, ma Ellen aveva riconosciuto il suono della traccia musicale.
-Ti prego, non ascoltarlo- la ragazza era quasi supplichevole, e quando le prime note vocali vennero amplificate dalle casse audio, riuscì a stento a trattenere le lacrime.
-Wow!- Jake, ormai allibito, stentava a credere alle proprie orecchie. -Sei tu a cantare questa meraviglia?-.
Ellen annuì debolmente.
-E’....FANTASTICA!-."
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Kenwick 
 
Ellen stava giocherellando nervosamente con il ciondolo a forma di quadrifoglio legato al collo da una catenina d’argento mentre sedeva sul sedile posteriore della monovolume del sig. Benjamin Thompson.
Si era spesso domandata il motivo che avesse spinto suo padre all’acquisto di un’automobile così spaziosa, dal momento che gli unici ad usarla erano proprio loro due, con sporadiche visite della compagna di Ben, la signorina Ruckett.
Ellen, da ormai diversi giorni si interrogava sui reali sentimenti nutriti nei confronti di suo padre, ripensando a quanto accaduto solo poche settimane prima.
Il signor Thompson aveva dato a sua figlia l’annuncio del suo imminente trasferimento in Italia, spiegando di come lì non vi fossero  scuole che potessero offrire un corso in lingua inglese, di come non volesse assolutamente che la sua altissima media scolastica venisse in alcun modo intaccata dalla necessità di imparare una nuova lingua e di come fortunatamente alcuni lontani parenti si fossero offerti di ospitare Ellen nella loro casa di Kenwick fino al conseguimento del diploma al termine dell’anno accademico.

-Papà, ma Kenwick si trova a centinaia di chilometri di distanza!- aveva replicato la ragazza, ricevendo come unica risposta la frase -proprio così- che decretava la fine della discussione tra i due.
Ellen avvertiva un senso d’occlusione alla bocca dello stomaco. Come al solito suo padre non accettava alcuna forma di dialogo e lei era convinta che i membri della famiglia Hughes, i cugini di suo padre, fossero stati obbligati ad “offrirsi volontari” da parte di Ben. Avrebbe di certo creato sconquasso in quella famiglia.
Si domandava inoltre come mai, la sua unica figura genitoriale, non avesse deciso di renderla tempestivamente partecipe della vicenda.
“Insomma, una notizia del genere non può certo essere giunta con un così misero preavviso!” pensò Ellen e ricordò la faccia da pesce lesso che Robert aveva fatto appena lei gli aveva chiesto se avesse intenzione di portare Cara, la signorina Ruckett, con sé in Italia. Si rese conto di aver centrato il bersaglio, notando quell’espressione imbambolata sul volto di suo padre.
“Quel provolone... preferisce alla mia la compagnia di quella...quella...Quella! insomma, se non voleva ragazzine doveva lasciarla a casa, visto che ha solo una decina d’anni in più rispetto a me. Poteva essere benissimo mia sorella maggiore!”.

Seppur riluttante, Ellen aveva capito già da diverso tempo il motivo dell’odio incondizionato che provava verso quella donna. Credeva che volesse sostituire sua madre.
-Mia madre? Ma se si potrebbe dire che io non l’abbia nemmeno mai conosciuta, considerando che è morta pochi mesi dopo la mia nascita!- ogni volta ripeteva a sé stessa quella frase per cercare di scacciare il tarlo che si era insinuato nella sua mente.
A distogliere l’attenzione di Ellen dai propri pensieri fu l’arrivo a destinazione: la ragazza ricordava ancora l’abitazione di Kayman Place, nonostante vi fosse stata in visita solo alcune volte quando  aveva ancora dieci anni.

L’auto rallentò  fino a fermarsi completamente dinnanzi al vialetto d’accesso del civico 26.
-Ellen, io scarico i tuoi bagagli dal cofano dell’auto, tu va’ a suonare il campanello. Dovrebbe esserci qualcuno in casa, visto che li avevo avvertiti del tuo arrivo-.
La ragazza annuì e cominciò a mordicchiare il labbro inferiore, come era solita fare quando si sentiva a disagio. La mano le tremava leggermente e sentiva le guance imporporarsi mentre cercava di pigiare il bottone d’ottone che serviva ad annunciare il suo arrivo.
Un vigoroso trillo si liberò subito dal congegno e si udirono dei passi pesanti ed affrettati dirigersi verso l’ingresso. La signora Hughes,  una donna bassina dai capelli ricci e folti, aprì la porta e sembrò entusiasta di quel che vide.
-Ellen, bambina mia, da quanto tempo non ti vedo! Fatti stringere!- e soffocò la ragazzina in un abbraccio estremamente caloroso di cui Ellen assaporò ogni istante.
-Salve, signora Hughes- disse timidamente, assumendo nuovamente il colorito rossiccio di poco prima.
-Insomma, cosa sono tutte queste cerimonie?!- esclamò nuovamente, senza perdere entusiasmo  -trascorreremo il prossimo anno insieme, quindi bando ai formalismi: chiamami Eleanor!-.
-D’accordo- sussurrò lentamente Ellen.
-Ben, Ben!- la signora Hughes si sbracciò per farsi vedere da Benjamin il quale, Ellen ne era (purtroppo) sicura, fingeva di provare a sua volta grande eccitazione per quest’incontro-.
-Eleanor, tesoro, è un secolo che non ci incontriamo!- disse baciando la donna su entrambe le guance -E tuo marito? Dov’è?-.
-E’ in ufficio, purtroppo è stato convocato per una riunione proprio all’ultimo minuto e così è dovuto necessariamente andarci! Accomodati, dovrebbe tornare tra poco!-.
-Mi spiace, ma domani devo prendere l’aereo ed è già tardi. Devo tornare a casa per... finire di preparare i bagagli, devo passare a prendere Cara e..... bè, altre cose! E’ un vero peccato, non vedo mio cugino da tanto...- .
Ellen, che nel frattempo aveva ripreso a giocherellare con la catenina, osservava questa scena in silenzio. Le sembrava impossibile come quell’uomo stesse approfittando della gentilezza della signora Hughes, sforzandosi solo minimamente di essere cordiale.
-D’accordo, allora gli porgerò i tuoi saluti- I sospetti di Ellen erano confermati: Eleanor era effettivamente dispiaciuta del comportamento di suo padre, così la ragazza provò un moto di rabbia nei confronti di quell’uomo così scontroso e distaccato che proprio in quell’istante si avvicinò a lei.
-Allora, Ellen, fa’ la brava. D’accordo? Mangia, studia e comportati bene-.
“Mi raccomando, non accettare caramelle dagli estranei e non picchiare gli altri bambini” ripetè nella sua mente. Sembravano le raccomandazioni fatte ad una bambina il primo giorno d’asilo.
La ragazza si mordicchiò il labbro inferiore e rispose con un debole -si- , così suo padre le accarezzò leggermente la guancia.
-Mi raccomando, Eleanor, trattala bene!- scherzò l’uomo.
-Ovviamente, Ben, cosa credi?- Eleanor ammiccò ed il signor Thompson entrò nell’abitacolo dell’auto. Dopo averla  messo in moto levò il braccio dal finestrino in segno di saluto e sgommò lungo la strada di Kayman Place.

-Allora,  entriamo in casa? Così ti mostrerò la tua nuova stanza- la domanda era certamente retorica, così Ellen prese entrambi i borsoni in mano, varcando l’uscio.
“Accidenti, pesano una tonnellata ciascuno! Ma dovevo proprio portar via tutte queste cose? Insomma, a cosa potranno mai servirmi le camicette, i jeans, le gonne e tutti quei capi di biancheria intima che ho preso con me?” scherzò nella sua mente e per un istante le tornarono in mente quel giorno in cui aveva sorpreso Cara che girava per casa indossando dei  mutandoni grandi quanto Giove.
-Tesoro, sembrano molto pesanti, vuoi una mano?- domandò preoccupata la donna ed Ellen apprezzò la sua disponibilità, per un istante fu sul punto di accettare, ma rifiutò l’offerta di Eleanor per gentilezza.
-Ma no, non si preoccupi- scrollò le spalle.
-Insomma, smettila di darmi del lei! Mi fai sentire un’anziana!- Ellen, al sentire questa frase, non potè trattenere una risata, compiacendo Eleanor.

 -Allora- continuò la donna –La tua stanza è al piano di sopra, seguimi!- e si diresse verso una scala in mogano coperta dalla moquette rossa. Una volta arrivata in cima girò a destra, aprendo la porta della seconda stanza.
-Ta-daan!- disse cercando di enfatizzare l’imprevedibilità della cosa.
-Ma...- cominciò Ellen mordicchiando il labbro inferiore subito dopo.
-Cosa, tesoro? Dimmi tutto!- era leggermente apprensiva.
-Questa non è la camera di Julie e Kate?- domandò la ragazza, riferendosi a due dei tre figli dei coniugi Hughes.
-Julie, da anni non vive più qui è a Welshpool da quando ha finito il liceo. Ci torna di tanto in tanto per Kate, che adora, ma con il bambino, lo studio ed il lavoro non ha molto tempo.. Tu dividerai la camera con Kate. Ormai sta crescendo anche lei, è diventata una ragazzina. Ha già quattordici anni, riesci a crederci?-.
Bambino? Ellen ne aveva sentito parlare da suo padre, ma senza mai interessarsi più di tanto all’argomento. Sapeva che pochi anni fa, la maggiore dei fratelli, Julie, aveva avuto un figlio dal suo fidanzato storico, con il quale era insieme da quando entrambi avevano sedici anni, ma le sembrava indelicato domandare di loro, così cambiò argomento.
-E invece qual è la camera di Jake?- si riferiva al fratello di mezzo, quello con cui Ellen aveva stretto amicizia in passato il cui rapporto di confidenza non si era mai interrotto grazie ai numerosi messaggini, telefonate e video chat scambiate durante questi anni. Probabilmente il fatto di avere la medesima età agevolava l’affiatamento dei due.
-Ecco, questa!- disse la signora, dirigendosi dall’altro lato della rampa di scale –Vorrei tanto poter aprire la porta per mostrartela, ma rischieremmo di trovarci dentro qualche cadavere o restare incollate dalle sue cose appiccicose. Sembra che qualcuno abbia messo una bomba a mano in quella stanza, per tutto il disordine che c’è in giro. Quel ragazzo è incredibile!- Ellen accennò un sorriso.

 La porta di casa sbattè.
-Ecco, Carl sarà tornato dal lavoro!- disse Eleanor, venendo smentita non appena udì la voce maschile che si propagava per le scale.
-Sono a casa, Ma’!- urlò Jake con un tono di voce che Ellen non ricordava.
-Vieni qui, caro, guarda chi c’è qui!- rispose la madre.
-Non ci credo!- disse correndo per le scale –Ellen! Finalmente ti sei decisa ad arrivare!- l’entusiasmo tramortì la ragazza che arrossì nuovamente.
-Ciao, Jake! Mi sei mancato un sacco!- lo abbracciò vigorosamente per alcuni secondi, prima di interrompersi improvvisamente. Quella reazione non era volontaria, certamente il ragazzo sarebbe stato seccato da quel gesto, pur non dandolo a vedere.
-Anche tu, mi sei mancata!- rispose Jake abbracciandola a sua volta, nuovamente. Ellen si sentì incredibilmente sollevata, anche se riprese a mordicchiarsi il labbro.

La porta sbattè nuovamente.
-Tesoro, sono a casa!- la voce che aveva appena sentito Ellen era più matura e bassa, rispetto alla precedente di Jake. Certamente apparteneva  al signor Hughes.
-Ciao caro! Scendiamo subito!- rispose Eleanor che improvvisamente accelerò il giro turistico, mostrando i bagni e la camera da letto matrimoniale ad Ellen per poi condurla al piano inferiore dove suo marito stava togliendo le scarpe. La figura esile di Ellen attirò l’attenzione dell’uomo che subito si avvicinò alla ragazza.
-Ciao, Ellen!- sorrise. Nonostante i suoi cinquant’anni, Carl era certamente un bell’uomo. Almeno così pensava la ragazza.
-Salve, signor Hughes!- sorrise timidamente a sua volta.
-Quanta formalità! Chiamami Carl, d’accordo?- la ragazza annuì a quella richiesta.
-Caro, Ben ti manda i suoi più cari saluti!- si intromise Eleanor.
-Oh, non si è fermato?- non riuscì a nascondere la sua delusione –Sono sette anni che non vedo mio cugino!- il suo tono era serio, ma non appena notò lo sguardo di Ellen posato su di sé decise di tramutare il suo tono in scherzoso e cominciò a ridere in maniera esagerata, almeno secondo Ellen.
“Ha perfettamente ragione. Insomma, non si vedono da secoli, da quando avevo dieci anni e lui decide di scaricare il pacco (me) senza nemmeno salutare Carl? Che cafone!” la ragazza si riferiva ovviamente a suo padre.

-Allora- la signora Hughes spezzò il ghiaccio iniziale –cosa vi va di mangiare per cena?- .
-Sai cosa vorrei, mammina cara?- Jake assunse il suo tono da finto adulatore.
-Cosa?- domandò dubbiosa la donna.
-Cotolette! Con patatine fritte!- .
-Mmm... si potrebbe fare, per festeggiare l’arrivo di Ellen. Cara, a te piacciono?-.
-Si, mi piacciono moltissimo, grazie- Ellen era stata costretta a rispondere.
-Hai per caso qualche allergia? O c’è qualcosa che proprio non ti piace?- Ellen si chiese se le mamme si comportassero così, normalmente. Cara non si era mai prodigata tanto.
-Per fortuna no, mangio tutto- la sua voce era poco più alta di un sussurro.
-D’accordo, io vado in cucina allora e...Ellen?- disse Eleanor.
-Si?-.
-Fa’ come se fossi a casa tua, davvero!-.
-Grazie mille!- Ellen era davvero convinta di quel che diceva –Ora vado a sistemare i bagagli- probabilmente era solo una scusa per restare sola.
-D’accordo, tesoro.  E, Jake? Dalle una mano!- la voce ammonitoria era di Carl e Jake acconsentì.

Eleanor ci informò che la cena sarebbe stata pronta entro un’ora e consigliò ad Ellen di darsi una rinfrescata. –Sarai certamente provata per colpa del caldo-.
I due ragazzi salirono le scale in silenzio. Ellen avrebbe voluto prendere la parola ma non ne aveva coraggio, motivo per cui ringraziò tra sé e sé Jake che decise di parlare.
-Allora, ti è dispiaciuto molto lasciare la tua città?- era realmente incuriosito.
-No, decisamente no- rispose Ellen secca.
-Non avevi molti amici lì? O che ne so, un ragazzo?-.
-Grazie al cielo no!- Jake fu sorpreso della veemenza che Ellen utilizzò nel pronunciare quella frase e si domandò se per caso avesse toccato un tasto dolente. Ellen rendendosi conto della propria durezza cercò poi di sdrammatizzare.
-Cioè.. i cambiamenti sono generalmente positivi, no?- Jake annuì,  evidentemente poco convinto.
-Ti do una mano a sistemare i bagagli, che ne dici?-.

Ellen fu sollevata che il ragazzo non fosse in collera con lei ed accettò il favore offertole.
-Puoi cominciare dicendomi dove posso sistemare i miei vestiti- suggerì lei
-Allora- Jake aprì alcuni cassetti e l’anta destra dell’armadio –Kate utilizza il letto vicino alla porta, quindi ti tocca quello accanto alla finestra..-
“Fortunatamente” pensò Ellen che preferiva nettamente la vicinanza ad un infisso o un balcone.
-Perfetto! Allora cominciamo con questi- aprì una valigia rossa, chiusa precedentemente con grande sforzo sedendosi sopra di essa. Ebbe quasi paura di dover contenere un’esplosione.
-Wow! Certo che hai veramente tanta roba! Non sono sicuro che questo minuscolo armadio riuscirà a contenere tutto!- rispose Jake.
Ellen scrollò le spalle.
-Bè, al massimo lascerò ciò che non entra in valigia, no?- aprì l’anta destra dell’armadio e tirò fuori una gruccia alla quale appese la camicetta di seta bianca. Era la prima cosa a cui aveva pensato perché detestava le grinze che vi si formavano sopra che, purtroppo, la rendevano immettibile. Con un’occhiata constatò che era riuscita a salvarla appena in tempo.
-Dimmi cosa posso fare!- Jake mise una mano sulla fronte, fingendo il saluto militare.
-Lì c’è un’altro borsone, ti dispiace portarlo qui ed aprirlo?- il ragazzo fece come richiesto e, seppur con estrema difficoltà, cominciò a piegare una tshirt. Ellen scoppiò a ridere notando la polpetta di stoffa che il ragazzo aveva creato.
-Ora capisco cosa voleva dire tua madre, sostenendo che la tua stanza è un casino! Se pieghi così i vestiti....- lasciò la frase in sospeso ma lo congedò dall’incarico, convincendolo a farle semplicemente compagnia.
Alla ragazza sembrò di essere tornata all’età di dieci anni, alla naturalezza tra loro e alla complicità che spesso aveva cercato nei conoscenti della sua città. Per un istante credette che il tempo trascorso a mettere a posto i bagagli fosse volato. Affermò d'essere incredibilmente soddisfatta di essere riuscita a mettere nei cassetti tutti i suoi abiti ma, chiedendo scusa per la sua maleducazione, sostenne di aver estrema necessità di fare una doccia prima di cena.
-Scusa? Per cosa? Andiamo, Ellen, sii tranquilla e naturale! Se vuoi fare una doccia dimmi semplicemente “Vado a fare una doccia” ed io non farò domande!- Ellen rise ed annuì, dirigendosi in bagno.

L’acqua scivolava addosso mescolata al sapone, lavava via l’oppressione di cui era vittima nella sua vecchia città; finalmente l’occlusione ed il senso di nausea dovuto all’enorme quantità di ricordi che si erano accavallati in tutti questi anni nella sua memoria stavano scomparendo definitivamente. Per la prima volta si sentiva realmente felice. Poteva essere un’altra persona, non più la secchiona di Mandurah che tutti deridevano.
Indossò l’accappatoio e sollevò il cappuccio sulla testa, strofinò i capelli e li districò, applicandovi uno speciale olio che “garantisce massima flessibilità ed elasticità, ricci perfetti e zero crespo”; benché raramente credesse a queste pubblicità, fu incredibilmente soddisfatta dal risultato ottenuto e benedì quel prodotto miracoloso che aveva impedito la formazione del solito cespuglio riccioluto.

Appena spento il phon, sentì un suono familiare provenire dall’esterno.
-Noo!- si precipitò in quella che ormai era diventata la sua camera da letto e vide Jake alle prese con uno stereo, all’interno del quale aveva certamente inserito uno dei cd che si trovavano del suo portadischi in cuoio verde.
-Che c’è?- Jake era sorpreso. La parte testuale della canzone non era ancora cominciata, ma Ellen aveva riconosciuto il suono della traccia musicale.
-Ti prego, non ascoltarlo- la ragazza era quasi supplichevole, e quando le prime note vocali vennero amplificate dalle casse audio, riuscì a stento a trattenere le lacrime.
-Wow!- Jake, ormai allibito, stentava a credere alle proprie orecchie. -Sei tu a cantare questa meraviglia?-.
Ellen annuì debolmente.
-E’....FANTASTICA!- il ragazzo scandì l’ultima parola lettera per lettera, ed Ellen provò una sensazione di sollievo, nel sentire questa parola.
-Ed anche il testo è tuo?- insistette il ragazzo. Ellen annuì nuovamente.
-E’ poesia. Sai, Ellen, io suono in un gruppo, ti piacerebbe... -.
-NO- la ragazza rifiutò duramente e Jake capì di non dover insistere ulteriormente, così annuì.
-Scusa, sono stato sciocco. Mi dispiace di aver ascoltato il brano, ma ero incuriosito dal portadischi. Scusami ancora- sembrava mortificato
-No, non preoccuparti. Sono io quella strana, grazie per i complimenti che mi hai fatto..- Ellen riprese a mordicchiare il labbro inferiore, smettendo solo avvertendo un sapore metallico in bocca, causato dal sangue.

-La cena è prooooooooooontaaaa!- la voce di Eleanor si propagò lungo tutta la scalinata ed Ellen prese un appunto mentale che consisteva nel ringraziarla per aver interrotto quel fastidioso silenzio tra i due ragazzi.
La tavola era riccamente imbandita, la ragazza non aveva mai visto così tante cibarie in un sol momento, se non in occasione di una festa, e fu incredibilmente sorpresa.
-Allora, vogliamo cominciare?- Carl era impaziente, sembrava avere l’acquolina in bocca.
Mancava un quarto d’ora alle 21 ed Ellen si domandò il motivo dell’assenza di Kate, la figlia minore. Il cibo era quasi interamente esaurito quando delle chiavi aprirono la porta di casa.

-Mammaa, dove siete?- .
-Siamo in sala da pranzo, Kate! Va’ a lavare le mani e raggiungici-.
Ellen percepì uno scroscio d’acqua di breve durata e subito dopo la ragazzina fece capolino in sala.
-Ma...avete già cominciato?- era stupita.
-Certo, tesoro... sai, Ellen era stanca e...- non fece in tempo a finire la frase che Kate parlò nuovamente.
-Insomma, mamma! Aspettare ancora pochi minuti, non vi cambia niente! Insomma, quando c’eravamo solo io e Jake qui mi avete SEMPRE aspettata!-.
Ellen percepì una pugnalata al petto.
-Insomma, Kate, non fare la capricciosa. Abbiamo solo cominciato un po’ prima, non è la fine del mondo!-.
-Si, invece! Quando Ellen non era ancora arrivata...-  la donna sollevò gli occhi al cielo.
-Kate, và a sederti!- la voce ammonitoria era di suo padre, che le intimò (seppur mentalmente) di smettere quella filippica.
-Non ho fame. Grazie-.
Tutti rimasero sconvolti da quella reazione e la signora Hughes si sentì in dovere di consolarmi.
-Lasciala stare, tesoro, non darle ascolto-.
Ellen annuì ma dovette ammettere con sé stessa di aver perso l’appetito, nonostante il cibo fosse straordinariamente delizioso.


*Spazio dell'autrice*
Ciaooo! Ciao a tutti, amichetti che state leggendo questa storia! alcuni mi conoscono, per gli altri mi presento, sono Momoko21  e questa, dopo "Il gioco del destino", ancora in corso,  è la seconda storia che sto scrivendo. Mi farebbe davvero davvero tanto piacere se lasciaste un piccolo commento qui sotto, una recensioncina per farmi sapere che ci siete. Spero che lo facciate, dandomi così la grinta giusta per scrivere ancora! A presto, 
MoMo!
  
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