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Autore: Harriet    21/09/2014    0 recensioni
Costa nordafricana, inizio '900 in un mondo alternativo. Due gruppi di amici attraversano la città, a caccia di divertimento e alcol. Ogni luogo, ogni locale, ogni sosta è una scusa per raccontare una storia, un aneddoto divertente o educativo... E così, a forza di storie, si passa la notte.
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Almiressa'
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Fino all'alba
 
1.
Le 21,47
Da Ovest a Est
La storia della storia
 
- Io non vi capisco, voi soldati in licenza! Perché tenete la divisa anche quando andate a bere? Beh, a parte per rimorchiare, che sarebbe un intento legittimo, solo che tu non ci pensi neanche, a sfruttare la divisa per accaparrarti qualche uomo. O donna. Non ho mai capito cosa ti piace, Airi.
Airi guarda la propria impeccabile divisa blu della Marina Mediterranea, poi lancia uno sguardo contrariato a Talia, che la sovrasta con la sua altezza, il suo tono di voce e la quantità delle sue chiacchiere. Ha rinunciato a spiegare i concetti basilari di qualsiasi cosa a quella donna molto tempo prima. Si limita a dare una rassettata alla casacca, come per riaffermare il suo diritto di portare la divisa come e dove preferisce. Accanto a lei, Mihran sfodera un mezzo sorriso. Lui è un ex-militare e si vede, si vede nel portamento, nella sua facilità alla disciplina e in un'infinità di piccole cose. Lui probabilmente capisce, anche se ha abbandonato l'esercito per diventare una guardia del corpo mercenaria, come Talia.
- Almeno per stasera potresti lasciarti un po' andare!- Insiste Talia.
- Il concetto di divertimento è differente per tutti.- Risponde lei. -  Non sono tipo da stramazzare a terra dopo il trentesimo bicchiere, o da cercare di sedurre omoni muscolosi, come fai tu.
Talia le fa il verso, assumendo un'aria finto-seriosa e muovendo le labbra a ripetizione. Airi la ignora, anche perché l'alternativa sarebbe sfoderare la spada. Talia farebbe altrettanto e perderebbero mezz'ora a far finta di volersi ammazzare. Il tutto mentre quell'anima ligia di Mihran cercherebbe di fermarle con un sermone sulla morigeratezza e la coscienziosità.
Probabilmente lo faranno più tardi. Quei finti duelli sono un rito della loro strana amicizia. Per ora lascia perdere e continua a camminare, sentendosi un po' sparire in mezzo ai suoi due grossi compagni di nottata. Si chiede cosa penserà chi li vede: un arabo e un'etiope immensi, e poi lei, una vietnamita piccolina e ordinata insieme a due improbabili compagni di nottata. Poi ricorda dov'è. In uno dei pochi posti del mondo in cui probabilmente loro tre sono una delle cose più banali che puoi trovare per le strade.
Proseguono lungo la Via delle Rose, il viale che taglia la città in longitudine, nascendo nella desolazione delle fabbriche a Nord, fiorendo nella bellezza patinata dei quartieri del centro e morendo nel trionfo di gioia spudorata del porto. Non è ancora tardi, ci sono carri, biciclette, bambini che svolazzano sui pattini a vapore e ambulanti che spingono i loro carrelli colmi di brocche di tè alla menta o succo di melograno.
Talia li sta conducendo verso una zona che Airi non conosce, e comunque non è che Airi si ritenga una grande esperta di Almiressa. Nonostante le missioni della Marina Mediterranea la conducano spesso sulle coste nordafricane, quella città  rumorosa rimane sempre un mistero, per lei.
- Dove si va?- Chiede Mihran. - Da Rebecca?
- È dall'altra parte della città!- Risponde Talia.
- Al Glicine Sotterraneo?
- Che razza di nome è?- Borbotta Airi.
- Hanno cambiato gestione e ora servono alcol scadente e fanno suonare gente che ti rifila nenie esoteriche. Dicono che qualche giorno fa uno di questi gruppi di musicisti misterici abbia messo in musica un vero incantesimo di magia nera nepalese e abbia pietrificato tre clienti. No, ragazzi, vi sto portando alla Luna Andalusa.
Talia indica una casa rossa. Ma non ci sono luci alle finestre, e sulla porta spicca un cartello:
CHIUSO PER OMICIDIO
- Vuol dire che hanno ammazzato i locandieri o che i locandieri hanno ammazzato qualcuno?- Domanda Mihran.
- Più probabilmente, un paio di avventori si sono ammazzati tra sé.- Risponde Airi.
- Peccato. Servono delle misture di alcolici a caso davvero notevoli, qui.- Sospira Talia. - E ci sono sempre delle signore risse, sì.
- Talia, sono in licenza per tre settimane e tu vuoi portarmi in un posto dove la gente si picchia?
- Beh, lì succedono spesso cose a cui vale la pena assistere. Come la storia del venditore di tè.
- Non ti metterai a raccontare storielle, adesso?- La sfida con lo sguardo, proprio perché sa che è ciò che serve perché Talia cominci a parlare. Le storie di Talia sono una delle parti migliori di quelle nottate in compagnia dei suoi amici e della città. E Talia cade nella trappola. Non aspettava altro. Le brillano gli occhi, mentre posa una mano sulla spalla di Airi e prende fiato, prima di lanciarsi nel racconto.
- Un venditore di tè di nome Faisal veniva spesso alla Luna Andalusa. Beveva, stava in compagnia e raccontava storie. Una sera strava intrattenendo gli avventori con una storia propio buona, una di quelle che riescono ad acchiappare anche chi di solito non è interessato. Aveva tutta la locanda che pendeva dalle sue labbra, mentre parlava.
Era arrivato appena a metà, quando la locanda fu presa d'assalto dalla spietata truppa dei mercenari di Antonio Ibarra. La cosa non piacque a Faisal: temeva guai, visto che era un uomo sveglio, e quinde decise di interrompere il racconto e defilarsi discretamente. Ma nel caos non gli riuscì di essere molto discreto. Finì per inciampare sui piedi della Niňera, la più temuta assassina della truppa.
- Posso immaginare il tragico finale di questa storia.- Disse Airi.
- Puoi provare a immaginarlo, ma non penso che tu possa indovinarlo. Insomma, in un attimo Faisal si ritrovò in circondato da gente molto armata e molto ubriaca. La Niňera gli puntava un coltellaccio alla gola, e tutto il resto della truppa aveva sfoderato lame e pistole.
- E lui che fece?
- Guardò la Niňera dritta negli occhi e disse: “Se muoio adesso, non saprete mai come finisce la storia.”
- Non mi sembra una gran mossa... Voglio dire: non penso che a un branco di assassini interessasse granché di una storia.
- A loro no. Ma al resto dei clienti sì. Nel giro di tre secondi tutti gli altri avventori si erano armati di quel che avevano trovato: bottiglie rotte, stoviglie di ogni tipo, coltelli da cucina, perfino qualche pezzo staccato dalla stufa e l'enorme radio che troneggiava in un angolo. Erano stretti tutt'intorno ai mercenari, intimando loro lasciare andare il loro cantastorie. La strage sembrava davvero molto vicina. Ma...
A quel punto il locandiere saltò sul bancone e proclamò che avrebbe offerto cibo e bevande a chiunque avesse messo via le armi. E al richiamo del gratuito non si resiste. Uno dopo l'altro, mercenari e avventori abbandonarono le ostilità. E così alla Luna Andalusa fecero l'alba ad ascoltare Faisal, che continuò a raccontare, incastrando storie tra di sé, memore delle fiabe che gli raccontavano da piccolo, quando ancora viveva in Persia. Finché non vide la Niňera crollare addormentata. Solo allora ritenne prudente allontanarsi. Di corsa.
- È andata davvero così o stai romanzando la faccenda?
- Se avessi voluto romanzarla, ti avrei detto che la Niňera si innamorò perdutamente di Faisal. Anche se, dicono, qualche tempo fa la Niňera ha partorito una bambina e le ha dato un nome persiano, quindi forse...
 
2.
Le 22,19
Da Est a Ovest
La storia dei tre re
 
Razionalmente e a livello puramente sociologico, Mirick sa benissimo che cosa significhi la condivisione dell'alcol, il suo status di cerimonia collettiva. Comprende che le comunità, fin dall'inizio del mondo, si sono strette attorno a certe ritualità ed è solo naturale il perpetuarsi di un simile atto culturale. È che si tratta di un tipo di attività umana che non rientra nelle sue corde.
Non si permetterebbe mai di rimproverare ai suoi amici la loro propensione per certi svaghi. Però rimprovera a se stesso la poca forza di volontà, quando, almeno una volta al mese, si lascia trascinare fuori dal suo laboratorio, in qualche taverna, in mezzo al caos e a una serie di odori non proprio confortevoli, a condividere il tempo e lo spazio con un branco di sconosciuti cialtroni – il tutto condito da gioco d'azzardo, trivialità e turpiloquio a fiumi.
- Perché non andiamo da Rebecca, come sempre?- Chiede, vedendo che Dara, alla guida del gruppo, si sta dirigendo verso lidi sconosciuti. - È qui vicina, e ormai ci sono abituato.
- È giovedì.- Risponde lui. - Giorno di chiusura. Andiamo da un'altra parte.
- Come fate a conoscere così bene tutti i luoghi di Almiressa in cui si può recuperare dell'alcol?
- Il punto non è bere e basta, Mirick. È stare con le persone e vedere le cose interessanti che possono succedere quando le persone incontrano altre persone.
- Una volta Dara è stato sfidato a chi sa più nomi di veicoli a ruote senza motore, in una taverna.
L'informazione viene fornita da Aurel, con il suo abituale tono distaccato. Il ragazzino cammina un po' distante da loro, in apparenza assorto nei suoi pensieri.
- Davvero, Aurel?- Chiede Mirick. - Te lo ha raccontato lui?
- C'ero. Ha vinto quando ha citato lo svimero. Ci hanno pagato da bere.
- Quindi alla fine il punto è sempre il bere.- Ribatte Mirick, e Dara ride, rallentando il passo. Posa un braccio sulle spalle di Mirick e allunga l'altro per acchiappare Aurel per la camicia.
- Ti sto portando in un posto tranquillo, Mirick. Non ti voglio trascinare in cose che ti mettano a disagio. Sono contento quando decidi di uscire con noi.
Dal buio alle loro spalle emerge Adi, che è rimasta un po' indietro per tutto il tragitto. Sta armeggiando con il cerchietto per capelli che porta sempre, quello che le permette di comunicare con il resto del mondo. Mirick glielo prende gentilmente dalle mani e cerca di capire cos'è che non funziona nel piccolo congegno tecnomagico (un brivido di fierezza lo coglie sempre, quando vede quell'oggetto: è di sicuro una delle sue invenzioni migliori.)
- Ah. Si è staccato questo... Avrei bisogno di un cacciavite per... Ma dove lo trovo, qui?
- Aspetta un secondo.- Dice Dara, e si infila in una casetta bassa poco distante, con lanterne azzurre sulle finestre e la porta semi-sommersa da una pianta rampicante. Ne riemerge un minuto dopo con quattro cacciaviti diversi in mano. Li porge a Mirick con un sorriso fiero.
- Me li ha dati il gestore del Rifugio dei Morigerati. È un locale dove non servono alcolici, ma ti offrono dei giacigli dove puoi depositare i tuoi amici ubriachi. Così mentre aspetti che si riprendano puoi goderti una bevanda innocua e riposarti. Fino a mezzanotte però è quasi vuoto.
- Ci sei stato a bere bevande innocue o disteso su un giaciglio?
- Lascia perdere. Lo vedi? Il punto non è solo il bere. Il punto sono le persone. Gli amici che ti prestano cacciaviti al momento giusto.
Mirick ripara il cerchietto di Adi in un secondo e lo restituisce alla donna. Lei lo indossa tra i capelli nerissimi e sorride. Un attimo dopo la voce di Adi si sparge nella mente di coloro che le stanno attorno, tramite la telepatia indotta dal congegno.
Bene, dice la donna. È da prima che ci tengo a precisare che il punto non è solo il bere o le persone. Il punto è anche lasciare in mutande i tuoi avversari nei tornei di carte.
- Qualche volta mi chiedo come sia possibile che voi siate i miei amici più stretti.- Sospira Mirick.
Sei molto sfortunato, ride lei. Allora, si può sapere dove si va? Ci stiamo lasciando alle spalle i quartieri malfamati, e lo sai che mi sento sempre un po' fuori posto tra le case rispettabili.
- Volete fidarvi di me o no?- Protesta Dara, mentre li guida fuori dal quartiere di Alessandria, verso le strade pulite del Grano. - Ah, eccoci.
Davanti a loro si erge un edificio dal gusto molto europeo, in mezzo a una folla di casette dall'architettura arabica. È alto, dipinto di rosa chiaro, con finestre decorate di stucchi candidi e un'enorme terrazza piena di fiori. L'insegna sulla porta dice:

I TRE REGNI
Cibo e Bevande per Tutti i Viandanti di Garbo

Sei sicuro che possiamo permettercelo?, dice Adi.
- Hanno una politica molto popolare, per quanto riguarda gli amici.
- Conosci il gestore anche qui?- Domanda Mirick.
- I gestori. I tre re, come li chiamano tutti. La loro storia è meravigliosa.
- Raccontacela.- Ordina Aurel, affiorando di nuovo alla realtà dai suoi pensieri. La prospettiva di una storia lo attrae sempre. E Dara non si fa pregare, e comincia il racconto.
- Dunque, una ventina d'anni fa questo posto si chiamava La Finestra Bianca ed era di proprietà di una coppia di Almiressa un po' fissata con la moda europea. Vollero che il loro ristorante diventasse il posto più raffinato ed esclusivo della città. Servivano una selezione di ricette da tutto il mondo e avevano dei cuochi ammirevoli, e per un pranzo qui spendevi lo stipendio mensile di un carrettiere o quello annuale di un raccoglitore di spugne.
- Lo stipendio di un raccoglitore di spugne dipende da quante spugne raccoglie.- Precisa Aurel.
- Era per dare un po' di colore al racconto. Insomma, la storia vera e propria comincia con uno dei camerieri, un ragazzo di nome Yahya. Era di Almiressa, di famiglia araba, ed era solo al mondo, quindi aveva considerato un colpo di fortuna essere assunto in un posto del genere. Ma dopo qualche settimana di lavoro, si accorse che c'era qualcosa che lo turbava profondamente. Non riusciva a tollerare lo spreco di cibo. Sera dopo sera, continuava a riportare in cucina pietanze appena toccate, piatti abbandonati a metà da clienti sazi, cibi preparati con ingredienti costosissimi che finivano nella spazzatura dopo che ne era stata presa appena una forchettata.
- È la norma, in posti come questo, temo.- Commenta Mirick.
- Sì, ma per uno che aveva patito la fame era uno scandalo. Una sera, andando a lavorare, incrociò due mendicanti, nelle vicinanze del ristorante. Erano due uomini piuttosto giovani: uno si chiamava Idan ed era in mezzo alla strada perché la sua attività lavorativa era fallita, e l'altro, Ibrahim, aveva perso tutto a causa di una lunga malattia che lo aveva impossibilitato a lavorare. Si erano conosciuti una notte, litigandosi un pezzo di pane abbandonato, e alla fine se l'erano diviso ed erano diventati amici. Quando Yahya li vide, ebbe un'idea.
“Venite nel cortile sul retro del ristorante, più tardi”, disse. E loro ci andarono. E sapete cosa trovarono ad aspettarli? Una fila infinita di piatti di ottimo cibo, salvato alla spazzatura.
Da quel giorno, Yahya tutte le sere lasciava fuori cibo per Idan e Ibrahim. Inizialmente i due ne tenevano solo per sé, poi cominciarono a distribuirlo a tutti i poveri della zona. Yahya si sentiva finalmente felice e in pace con se stesso. Certo, doveva fare tutto di nascosto: i padroni erano quel genere di persona che si ritiene superiore ai propri simili con meno soldi e meno fortuna, e di sicuro si sarebbero infuriati, se avessero saputo che il giovane cameriere riempiva il loro cortile di poveracci. Ma Yahya non era mai stato così convinto delle sue azioni in tutta la vita.
I tre diventarono presto inseparabili. Idan era serio e misurato, Ibrahim rumoroso e generoso, Yahya era timido e intelligente, e a tutti e tre piaceva passare il tempo a chiacchierare di cose basse e cose alte, degli abissi degli uomini e delle altezze di Dio. Il venerdì pregavano con Yahya, il sabato si facevano benedire da Idan e la domenica festeggiavano con Ibrahim. Si scambiavano aneddoti, risate e canzoni, e sapevano essere felici, nonostante due di loro vivessero in mezzo alla strada e non riuscissero a trovare un lavoro, e uno dovesse sottostare a dei padroni intollerabili. E tutti e tre amavano parlare di cibo. Quando Yahya portava loro gli avanzi del ristorante, spendeva tempo a descrivere la rarità degli ingredienti e la finezza della preparazione. Così, dopo un po', gli altri due impararono molte cose sull'argomento.
- Sta per prendere una piega tristissima, vero?- Chiede Mirick. Aurel gli lancia uno sguardo assassino: mai interrompere una storia! Ma Dara ricomincia subito a narrare.
- Tutto finì la sera in cui il padrone del ristorante si affacciò sul cortile dalla cucina, e scoprì cosa stesse combinando Yahya. Infuriato, afferrò la prima cosa che trovò, un pentolino pieno d'acqua bollente, e lo lanciò in faccia al ragazzo. Idan e Ibrahim avrebbero voluto soccorrerlo, ma il padrone sfoderò una pistola e cominciò a sparare, e i due fecero appena in tempo a fuggire. Nei giorni successivi tornarono al ristorante, e vi trovarono dei mercenari assoldati dal padrone, pronti perfino a ucciderli se si fossero avvicinati. Furono costretti ad andarsene per sempre.
Qualche tempo dopo il ristorante fallì. Vi chiederete come mai, visto che era sempre frequentato e che i prezzi erano così alti. I padroni erano due tronfi idioti, pessimi gestori dei propri soldi, e così l'attività deragliò completamente. Yahya, che aveva continuato a lavorare lì, declassato a sguattero, finì a mendicare per le strade di Almiressa.
Alcuni mesi dopo il fallimento, Yahya era seduto sui gradini della chiesa di Santa Caterina, quando due uomini vestiti dignitosamente si fermarono davanti a lui. Ci mise qualche momento a riconoscerli, ma poi non ebbe dubbi: erano Idan e Ibrahim!
“Abbiamo una proposta di lavoro da farti”, gli disse Idan.
“È passato più di un anno, dall'ultima volta in cui ci siamo visti”, spiegò Ibrahim. “Quando fummo cacciati dal ristorante, ci mettemmo a cercare un lavoro. Idan fu assunto come dispensiere in una locanda, mentre io trovai un posto presso un fornaio. E siamo riusciti a guadagnare abbastanza da acquistare il tuo vecchio ristorante, che è in rovina ed è stato svenduto per due soldi.”
“Vorremmo riaprirlo”, disse Idan. “Ma non lo faremmo mai senza di te. È merito tuo se le nostre vite sono cambiate, e non solo perché ci hai dato da mangiare quando avevamo fame. Senza di te, che ci spiegavi i dettagli dei cibi, non avremmo mai imparato a conoscere così bene carni, erbe, spezie e tutti gli altri ingredienti. E non avremmo mai trovato i lavori che ci hanno permesso di arricchirci. Tu sei l'unica causa della nostra fortuna. E adesso vogliamo ricambiare.”
Così raccolsero il ragazzo, lo fecero socio della loro attività, e riaprirono il ristorante, con il nuovo nome di I Tre Regni. Da allora le cose vanno benissimo, i prezzi sono più abbordabili e il cibo non viene mai sprecato. E i tre re sono ancora amici come il primo giorno.
Dara tace e Mirick studia il viso dell'altro, per capire quanto ci sia di vero in quell'idilliaca vicenda.
- Non è finito tutto un po' troppo bene? La gente non è quasi mai così buona.
In quel momento un uomo sui trentacinque anni si affaccia da una finestra proprio davanti a loro. Ha un'ampia ustione sulla parte destra del viso.
- Ehi, Dara! Me lo faresti un favore? Nel cortile sul retro c'è un carro pieno di cibo avanzato. Non è che lo porteresti alla Mensa dei Poveri? Pare che abbiano un sacco di ospiti, in questi giorni. Quando torni, ti faccio trovare un tavolo apparecchiato per te e per i tuoi amici!
- Certo.- Risponde Dara. - Con piacere.
- Grazie. Sapevo di poterci contare.
L'uomo sparisce dietro la finestra e Dara guarda Mirick.
- La gente non è quasi mai così buona. Qualche volta però...
 

3.
Le 23,34
Da Ovest a Est
La canzone del Trio del Vento
 
È una nottata piacevole e per Mihran non è un problema continuare a camminare, però comincia ad avere un certo desiderio di sedersi. Ma Talia e Airi non trovano un accordo. Lui sospetta che in una certa misura lo facciano apposta.
- Perché non andiamo lì?- Airi indica la Casa di Anite, e Talia scuote la testa con orrore. I suoi orecchini lunghi e carichi tintinnano con violenza.
- Scherzi? Tutte le sere ci fanno qualche gara allucinante, tipo quella a chi conosce più capitali del mondo o più proverbi, e la gente si appassiona così tanto da picchiarsi per una stronzata!
- Credevo ti piacessero le risse, Talia.
- Mi piacciono, ma non quando scoppiano perché uno ha sbagliato una congiunzione citando un proverbio tibetano e quindi la manche non è regolare! Più volentieri vi porto all'Oleandro.
- Cosa sarebbe?
- Il locale dei combattenti clandestini. È da lì che devi passare, se vuoi entrare al Macello, dove si combatte. Quando facevo la lottatrice, io e miei compagni ci fermavamo sempre a bere, prima di andare nell'arena. Brindavi con quelli che avresti cercato di ammazzare nel giro di mezz'ora. Ma dentro l'Oleandro il tempo era sospeso. D'accordo, Airi: l'ho capito dalla tua faccia. Non ti ci porto.- Talia tace per qualche momento, poi riprende, e la sua voce si è fatta più quieta. - In realtà non ci passo mai, da quelle parti. Ma se voi ne avete voglia, possiamo andarci. È pur sempre uno dei divertimenti notturni offerti dalla città, no?
- Non ho alcun desiderio di andarci.- Risponde Airi.
- Che ne dite dell'Armonia?- Propone Mihran.
- Cos'è l'Armonia?- Domanda Airi.
- Un posto tranquillo. Si trova nel giardino di una moschea qui vicino.- Spiega Mihran. - Preprano tè e infusi e tutti parlano a bassa voce.
- Piace solo alle persone seriose come te.- Ribatte Talia. - Perché non andiamo alle Ondine?
- Quello in cui non ci sono tavolini ma vasche piene d'acqua?- Airi storce il naso. - Ma un posto banale dove sedersi, bere e rilassarsi non esiste più?
- Lo so io, dove andiamo.- Mihran cerca di rassicurare Airi con uno sguardo complice. - Fidatevi.
E Mihran conduce a passo misurato le due donne verso una casupola senza porte, se non una specie di buco nel muro riparato da un canniccio mezzo sfaldato – ma non è quello, l'ingresso. Le fa girare attorno all'edificio derelitto, le porta oltre una siepe, oltre una tenda viola e oltre una cascata di fili di perline colorate. Lì trovano una porticina aperta e un'insegna di legno su cui sono incise le parole
CAFÉ RÉVOLUTION
Entrano in una stanza poco illuminata, nella quale i tavoli sono disseminati senza una logica, e non c'è una sedia che sia uguale all'altra. Le mura sono piene di scritte e disegni, alcuni bizzarri, altri spaventosi, altri ancora stupendi. L'aria è ricolma di musica: da un piccolo palco in angolo un violinista, una percussionista e una cantante accendono il luogo di ritmo e parole in una lingua che Mihran non è sicuro di riconoscere: ebraico, forse.
- La musica di Almiressa ha sempre una certa personalità.- Commenta Airi, sedendosi.
- La musica è Almiressa.- Risponde lui, ipnotizzato dai gesti del violinista. C'è stata un'epoca della sua vita in cui aveva sperato di poter vivere così, suonando. Gli eventi e la necessità lo hanno costretto a sopravvivere con una spada in mano. Ma ha ancora il violino. Nascosto in un cassetto, dal quale lo tira fuori ogni tanto, quando il mondo pesa troppo sulle sue spalle. Allora va a cercarsi un angolo riparato di Almiressa, si accomoda su un muretto o un gradino, e suona per i passanti. Suona per ore, finché non casca dal sonno e le dita non fanno male. Poi prende i soldi che gli ascoltatori gli hanno regalato e va a lasciarli alla Mensa dei Poveri. Torna a casa e ripone il violino, e pensa: un giorno, un giorno...
- Si dice che questo posto sia nato in maniera un po' controversa.- Dice Talia. - Con una faida tra la comunità rumena e quella armena. E un baule. Una volta dovremmo chiedere a qualcuno di raccontarcela.
Comincia una nuova canzone. Talia e Airi parlano sottovoce, fitto fitto, ma Mihran è stato rapito dalla musica. È più forte di lui.
 
Avevo una canzone che suonavo sul violino
Parlava di una danza dal tramonto al mattino
E quando la suonavo e la musica volava
Tutta la città intera ai miei piedi se ne stava
Avevo anche un amico, la più dolce compagnia
Suonava insieme a me, finché tradì e andò via
 
Un giorno si esibiva per la strada, e lo trovai
La mia vecchia canzone lui suonava, e m'infuriai
Avrei voluto dirgli di tacere e non cantare
Ma poi guardai la gente, la guardai tutta ballare
E lì pensai: la musica non è soltanto mia
È tua, nemico, amico o chiunque mai tu sia
 
4.
Le 24,11
Da Est a Ovest
La predica di padre Methodios
 
- Ora che abbiamo mangiato e bevuto non potremmo tornare a casa?- Sospira Mirick.
- È presto, dai.- Risponde Dara. - Un'altra mezz'ora e ti ricaccio nel tuo laboratorio. Promesso.
Adi non presta attenzione al ciarlare dei suoi compagni. È quel momento della nottata denso di soddisfazione e rilassamento in cui lascia vagare la mente e si gode il semplice atto di muoversi, protetta dalla notte, protetta dalla città, benedetta dalla libertà. Non pensa alla quotidianità, difficile ed entusiasmante, che però ha il suo spazio e il suo tempo, e non sono adesso. Non si concentra sui vestiti da cucire, le strade affollate, i segreti che conserva, le persone di cui si prende cura. Non perché voglia sottrarre la mente alla vita – tutte le cose della sua vita lei le percepisce come intrecciate, indissolubili, un'unica tela grande e colorata e imprevedibile. Ma questo è un momento diverso. È tutto semplice, tutto immediato, tutto delizioso, adesso. Si lascia guidare dagli altri. Non ha responsabilità, ha solo voglia di camminare e rimanere in questo stato di piacevole distrazione per un altro po'. Almeno finché non comincerà la prossima storia.
Dalla veranda di una casa con le finestre ornate di lumi e di tende semitrasparenti che ondeggiano nella brezza, una donna alta, in rosso, fa un cenno di saluto con la testa.
- Buona serata, Ellissa.- Le risponde Dara, con un sorriso.
- Oh.- Sospira Mirick, distogliendo lo sguardo con un lieve imbarazzo.- È la Casa delle Perle, vero?
- È il bordello più onesto di Almiressa.- Dice Aurel. Il ragazzo, nella sua infallibile innocenza, ripete qualcosa che ha sentito dire, e che gli è sembrata molto appropriata. Ha catalogato quell'informazione come rilevante e l'ha ritirata fuori quando gli è parso opportuno. Questo è il modo di vedere le cose di Aurel, del resto. Una volta che sai quali sono i percorsi della mente di Aurel, un commento del genere sembra perfettamente normale.
- Certo.- Mirick sembra un po' a disagio, almeno finché la casa non scompare alle loro spalle. - Bordelli onesti. Dara, dovresti smettere di insegnare cose del genere ad Aurel.
- Ha quindici anni, non tre. E comunque, non gliel'ho insegnato io. Ha solo deciso che valeva la pena ricordare una mia osservazione. Tutto qui. Sai, anche quel posto ha delle storie molto educative.
- Ti prego, risparmiamele.
Io voglio sentirne una, dice Adi, per il gusto dispettoso di contraddire Mirick.
- Vi racconterò la storia di padre Methodios. Risale a qualche anno fa e comincia nella parrocchia cristiana ortodossa di Santa Tecla. Ogni domenica un diverso monaco si occupava di predicare ai fedeli che partecipavano alla Messa. Quando era il turno di padre Methodios, il monaco era solito minacciare i parrocchiani con tremende visioni dell'inferno. Diceva loro che se avessero ceduto alle tentazioni del mondo, ad attenderli nell'aldilà ci sarebbe stato un luogo nero e rosso, ricolmo di fiamme e di profondissima oscurità, dove, oltre tende misteriose, si preparavano indicibili tormenti. I parrocchiani ascoltavano quelle descrizioni così vivide, chi con scetticismo, chi con timore.
Ora, tra i parrocchiani c'era un uomo che, dopo svariate omelie, cominciò a farsi delle domande. Quelle minuziose descrizioni di stanze rosse e nere, quei corridoi infiniti evocati dalle parole vivide del monaco gli ricordavano qualcosa di reale, qualcosa che conosceva piuttosto bene. E finalmente una domenica ebbe l'intuizione. La mattina era stato alla Messa, la notte invece si era concesso qualche divertimento alla Casa delle Perle. E lì si rese conto che le descrizioni del monaco corrispondevano esattamente all'ambiente del bordello.
La soluzione del misterò arrivò presto. Una notte il parrocchiano uscì dalla stanza del bordello in cui aveva appena trascorso un'ora felice, e nello stesso momento dalla porta di fronte venne fuori un altro cliente. Sapete chi era? Padre Methodios, senza la sua tonaca e con un ridicolo cappello. Ma il parrocchiano lo riconobbe immediatamente.
Il monaco fu preso dal panico.
“Se proverai a tradirmi e a rivelare agli altri parrocchiani che mi hai visto qui...”
“Io non ho intenzione di dire proprio nulla, né di giudicarti, padre. Sarà Dio che giudicherà entrambi.” Rispose l'uomo. Il monaco allora se ne andò senza aggiungere altro.
Da quel giorno però le omelie iniziarono a cambiare. L'inferno sparì dalle parole di Methodios, per lasciare spazio a splendide descrizioni dell'amore di Dio e della sua misericordia. Non mancava mai di ripetere che la salvezza divina attendeva chiunque dimostrasse pietà e comprensione per i fratelli. Molti parrocchiani espressero la loro gioia per quella nuova ispirazione del monaco, che li rallegrava con parole di speranza e conforto. Lo stesso padre Methodios sembrava più allegro e sereno, e la sua faccia accigliata era insolitamente distesa.
Un giorno, all'uscita della Messa, il monaco incrociò il parrocchiano che mesi prima aveva scoperto il suo segreto. Gli tese la mano, e quando l'altro ricambiò offrendo la sua, il monaco la strinse quasi con venerazione.
“Ti devo ringraziare. Quando ti incontrai, quella notte, tornai a casa profondamente turbato. Iniziai a riflettere sulla mia incoerenza e decisi di smettere con la mia doppia vita. Ritornai a Dio e ritrovai la felicità e il significato della mia esistenza. Non sarebbe mai accaduto, se non mi avessi scoperto.”
“È stato solo un caso.”
“È stata la Provvidenza! E siccome tu non mi hai giudicato, io farò la stessa cosa con te, anche se spero che tu voglia ravvederti, prima o poi.”
Da allora la parrocchia di Santa Tecla risuona di canti di gioia e padre Methodios è un punto di riferimento ammirevole per tutta la comunità. E il parrcchiano non pensa di aver fatto niente di speciale, e io credo che in effetti il merito sia del monaco, che ha avuto il coraggio di affrontare le sue contraddizioni. E questo è quanto.
La storia è finita e la Casa delle Perle è ormai distante. Adi lancia un'occhiata traversa al loro narratore non del tutto sincero.
Il parrocchiano però non si è ravveduto, eh?, gli chiede.
- Il parrocchiano pensa che a Dio importi fino a un certo punto di quel che uno fa nel suo tempo libero, finché non fa del male agli altri o a se stesso. Padre Methodios, frequentando il bordello, era in contrasto con la vita che aveva scelto, e inoltre era infelice perché era dilaniato dal senso di colpa. Tornare a essere una persona retta lo ha salvato. Per il parrocchiano la cosa è diversa.
- Il parrocchiano è una persona profondamente incoerente e cerca di giustificare il suo comportamento discutibile.- Dice Mirick.
- Ognuno ha la sua visione su certe cose della vita.- Ribatte Dara, un po' sulla difensiva.
Aurel si avvicina a Dara e gli tira leggermente una ciocca lunga di capelli neri, per richiamare la sua attenzione.
- Santa Tecla è la chiesa dove vai sempre tu, vero?
 
5.
Le 01,11
Verso Sud-Est
Le conclusioni di Aurel
 
È Aurel ad accorgersi per primo che quelle tre persone che camminano nella direzione opposta a loro, dall'altra parte della strada, sono i loro amici. Si concentra sulla strada e sulla gente, e li riconosce subito: i colori sgargianti di Talia, la barbetta intrecciata di perline di Mihran, la divisa blu  di Airi, piccolina ed esile in mezzo agli altri due.
- Aurel! Che ci fai qui?- Lui corre verso di loro, e Airi gli sorride.
- Siamo andati fuori a bere.
- Tu guarda un po' chi si incontra per le vie di Almiressa!- Esclama Talia, con la sua voce sempre molto forte. Aurel nota che si è tinta i capelli corti di un arancione ancora più arancione. All'inizio è un colore un po' strano, ma poi ti ci affezioni.
- È perfettamente normale incontrarci qui, visto che noi quattro ci viviamo.- Risponde Dara. - Voi, piuttosto, che siete sempre in giro a picchiare malintenzionati.- Poi sposta lo sguardo su Airi. - O a insegnare agli spadaccini novellini, nel tuo caso. Non sapevo che foste tornati dai vostri giri per il Mediterraneo.
- Io sono in licenza dai miei compiti all'Accademia Militare per qualche settimana.- Risponde Airi. - Sono venuta qui per incontrare qualche amico.
- E il nostro capo è in città, e stasera non aveva bisogno dei suoi difensori.- Spiega Talia. - Così abbiamo portato Airi a bere, ma è una donna complicata e non le va mai bene nulla!
- Ehi!- Protesta Airi. - Ho solo detto che non ho voglia di andare in un altro posto caotico.
- Ecco, brava.- Sospira Mirick. - Sono d'accordo con te.
La voce di Adi si palesa nelle loro teste.
Io avrei un'idea...
 
Venti minuti dopo stanno salendo a bordo della Noor, la nave dove Aurel abita da circa otto anni insieme a Dara, Adi e Mirick, la sua famiglia adottiva. Non è la prima volta che le serate finiscono così. Anzi, succede piuttosto spesso. Non si sa dove andare, e allora si va sulla Noor.
Sono tutti seduti sul ponte della nave, rischiarata da un sistema magico per cui se tracci delle cose per terra con un gessetto, si illuminano alcuni disegni incisi sulle parti della nave. È una lucina lieve, azzurrina o argentata. Tutti sono seduti in cerchio, e in mezzo ci sono bottiglie, bicchieri e cose da mangiare. Dopo le chiacchiere cominciano a giocare: carte, indovinelli e altre cose. Aurel non gioca, ma sta in un angolo a guardare gli altri, e la maggior parte delle volte è sicuro che avrebbe vinto prima di tutti, se avesse partecipato.
A un certo punto ha molto sonno e si accoccola per terra. Vorrebbe dormire e vorrebbe continuare ad ascoltare. C'è Talia che è felice perché ha appena indovinato chi è il personaggio scritto sul bigliettino che aveva sulla fronte – e ormai era rimasta l'unica a non averlo ancora capito. Versa da bere a tutti e chiede una storia, una che riguarda la Noor.
Aurel ne sa centinaia, di storie sulla nave, ma non è così bravo a raccontare, e quando ci prova, le persone cercano di fargli dire la storia come vogliono loro. Per questo Aurel preferisce ascoltare e collezionare storie e raccontarsele di nuovo a modo suo, nella sua testa.
Per esempio, una delle sue storie preferite è quella dell'incendio. No, non è stata la Noor a bruciare, ma il Marinaio Arguto, un'osteria che si affaccia su un molo a Est di Almiressa. Il cuoco è amico di Adi. Hanno un'insegna con un omino che dovrebbe avere una faccia furbetta, ma in realtà fa paura.
Insomma, un giorno il Marinaio Arguto prese fuoco, e quella sera ci doveva essere una festa. Allora la Noor fu ormeggiata proprio davanti all'osteria e la festa si trasferì lì sopra. Tutte le luci erano accese, e sul ponte erano state portate alcune delle macchine inventate da Mirick, che sono piene di lucine strane, e quindi ci stavano bene. C'era
È il bello delle navi, quello. Vanno dove vogliono. Dove c'è bisogno. E possono sempre raccogliere gli amici, in tutti i posti del mondo.
Non importa dove vai. Importa esserci. Importano le persone che sono lì con te. È così che funziona, no? Non è più sicuro di cosa gli passa per la testa: si sta addormentando, i pensieri sono tutti aggrovigliati e si confondono con i rumori degli altri, che parlano, ridono e aspettano l'alba – c'è una canzone che Dara canta spesso, che dice proprio questo (forse, o forse è così che se la ricorda lui)
 
fino all'alba rimani con me
la mia casa è aperta e sicura
cosa porterà l'alba non so
ma se resti avrò meno paura
 
e Aurel non sa perché, ma sa che è una cosa importante, la più importante di tutte le cose...
 
Apre gli occhi ed è mattina. Talia, Airi e Mihran se ne sono andati. Anche Mirick non c'è: probabilmente dorme nel suo letto. Adi e Dara rimettono a posto le cose lasciate per terra. Sono vestiti come ieri notte. Non sono andati a dormire. Adi non ha il suo scialle, che è posato addosso ad Aurel. Lui si stringe dentro all'intreccio di filo di cotone colorato e pensa che domani potrebbe anche succedere una cosa strana, complicata e pericolosa. Ma lui non avrebbe paura. Non adesso, non dopo una notte come questa.
Poi chiude gli occhi e si riaddormenta.



***
Grazie di essere qui!

Questa storia è dedicata a
Vale e Lorenzo, i primi lettori
l'equipaggio della Cavalcavento
chiunque abbia fatto l'alba a chiacchierare con me
Fede, Piccio, Rillo & Nico, perché è stato durante una nottata a base di birra terrificante che è nato "Chiuso per omicidio"
le persone a cui ho rubato alcuni nomi
chi non spreca il cibo
chi si sente chiamato in causa dal finale, in qualche modo

Colonna sonora semi-obbligatoria: Closing time


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