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Autore: sushiprecotto_chan    22/09/2014    2 recensioni
Ad Amberground si stanno presentando nuove “generazioni” di Gaichu, provenienti con tutta probabilità dalla grotta di Blues Notes Blues, e i Letter Bee migliori hanno il compito di occuparsene. Zazie, Lag e Connor non sanno cosa aspettarsi, quando Zazie e Wasiolka vengono aggrediti da un Gaichu che – come in seguito Zazie scoprirà – preferisce mangiare i cuori delle sue vittime lentamente. Per farlo le anestetizza con un particolare veleno, e queste, dormienti, finiscono con la mente in un mondo “ideale” che rispecchia tutti i loro desideri.
[Zazie Winters/Lag Seeing, of course.]
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Connor Culh, Dottor Thunderland jr., Lag Seeing, Zazie
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: Il mondo dei sogni
Personaggi: Zazie Winters, Lag Seeing, Harrel Winters, Heater Winters, Connor Culh; Zazie/Lag, accenni Connor/Sunny.
Disclaimer: Nulla di tutto ciò è mio; i personaggi et l’ambientazione et-cetera appartengono tutti a Hiroyuki Asada.
Conteggio parole (solo capitolo): 3969 (fdp)
Introduzione: Ad Amberground si stanno presentando nuove “generazioni” di Gaichu, provenienti con tutta probabilità dalla grotta di Blues Notes Blues, e i Letter Bee migliori hanno il compito di occuparsene. Zazie, Lag e Connor non sanno cosa aspettarsi, quando Zazie e Wasiolka vengono aggrediti da un Gaichu che – come in seguito Zazie scoprirà – preferisce mangiare i cuori delle sue vittime lentamente. Per farlo le anestetizza con un particolare veleno, e queste, dormienti, finiscono con la mente in un mondo “ideale” che rispecchia tutti i loro desideri.
Note: sì, tutto ciò è ispirato a una (e più) puntate di Supernatural, ovvero alla figura mitica del djinn – jinn nella tradizione musulmana – ‘geni’ maligni che si nutrono della linfa vitale delle loro vittime (esseri umani) lentamente, anestetizzandole con un tocco e provocando in loro allucinazioni, tali che con la mente vengono mandate nel loro mondo dei sogni, dove si palesano in forma realistica i loro desideri più profondi – o al contrario, vengono mandate in un mondo in cui vengono loro mostrate le loro paure più intime –, creando un’illusione da cui non desiderano più svegliarsi.
Questa storia è la mia bambina e io le voglio bene. *cries* Non l
ho ancora finita, ma dovrei aggiornare puntualmente ogni mese, e non dovrebbe essere composta da più di tre parti.
N/A: 1. Partecipa alla Chapter Challenge di fiumidiparole.
2. La citazione e le seguenti che troverete nella storia sono prese da “Where I belong” dei Switchfoot.
3. La storia è ambientata qualche anno dopo gli eventi attuali del manga… diciamo che Zazie dovrebbe avere diciannove anni e Lag diciassette.
4. La cittadina in cui è ambientata la storia è Victorus Hagu, che nel mio headcanon dovrebbe essere il villaggio in cui abitavano i genitori di Zazie (vi ricordate? Nei flashback di Zazie quando i genitori vengono uccisi dal gaichu, c’è qualcuno che urla in città che due “stranieri” sono stati attaccati ai margini del paese). Undercurrent, invece, non è un nome di mia invenzione: la cita Zazie nel numero diciassette del manga (edizione italiana). Si trova nella zona sud di Yuusari. È la città in cui Zazie è cresciuto.
 
 
 
 
 
Parte I
 
Feeling like a refugee

Like it doesn't belong to me

The colors flash across the sky


This air feels strange to me

Feeling like a tragedy

Take a deep breath and close my eyes

One last time
 
 
 
Il paesaggio scorreva lentamente, attraverso i vetri della carrozza che avevano noleggiato, ma Lag non sembrava guardarlo, non davvero. Teneva lo sguardo fisso su un unico punto. Zazie tentò in tutti i modi di non chiedersi se il suo collega stesse pensando a Goos, e se avesse rimpianti a riguardo. Nonostante fossero passati diversi anni dalla fine della ‘guerra’ e dalla decisione di Noir di continuare a seguire le vittime degli esperimenti scientifici del comandante Balor, Lag ancora non riusciva a darsi una completa pace, all’idea di aver perso quell’amico che era stato una figura così importante nella sua vita. Certo, in realtà lo vedeva almeno una volta alla settimana, quando veniva a cena da lui e Sylvette – ormai cresciuta a dir poco – ma sebbene l’affetto e la stima che Noir provava per lui fossero rimasti invariati, dover passare da Goos a Noir non era stato semplice, così come non lo era stato accettare che il suo amato amico avesse perso quasi del tutto i ricordi legati al suo passato da ‘Goos’.
Zazie conosceva bene il dolore che implicavano i rimpianti, e non desiderava altro che vedere Lag focalizzarsi nuovamente sul presente e sulle cose belle che questo poteva offrirgli; sulle risate con Sylvette e Noir; sulla luce sempre più vivida negli occhi delle persone che incontravano durante le loro consegne; sull’essere di nuovo tutti e tre insieme in viaggio, com’era giusto che fosse.
«Ehi» lo richiamò, dandogli una leggera gomitata. «Posso darti un machete per la giungla dei tuoi pensieri?1»
Il suo collega si girò appena, guardandolo stranito. Aprì e chiuse ripetutamente le palpebre, come un bambino distolto da un sogno ad occhi aperti.
«Come?»
«Stai bene, Lag?»
«Sì» annuì lui, concedendogli un breve sorriso.
Poi Connor sembrò destarsi all’improvviso, e cominciò a lamentarsi sul fatto che Gas gli avesse sbavato su tutto il volto, cosa che provocò una sonora risata da parte di Zazie e, dopo un breve commento in cui mostrava empatia per il suo amico, il ritorno di Lag a osservare la strada.
 
 
***
 
Fu un sollievo uscire dalla carrozza, anche se Zazie doveva ammettere che con lei a raggiungere la meta prestabilita ci avevano impiegato metà del tempo – tempo in cui, tra l’altro, lui aveva potuto farsi anche una sana dormita.
Non gli sarebbe dispiaciuto percorrere la distanza dal Beehive a lì a piedi – l’avrebbe preferito, in realtà, perché muovere le gambe lo aiutava a non pensare, e forse il movimento avrebbe tolto un po’ di malinconia dagli occhi di Lag –, ma i suoi due compagni – specialmente Connor – avevano voluto sfruttare un po’ i ‘privilegi’ d’aver risolto il conflitto e d’essere i migliori nel loro campo, e così avevano noleggiato quella piccola trappola di legno, proprietario e cavallo inclusi.
Connor pagò il guidatore, mentre Daysi, la cavalla, tentava di rubargli una carota da dentro la tasca.
Quando finalmente si lasciarono alle spalle quei sedili scomodi che li avevano ospitati per tutto il viaggio, i tre si diressero verso l’unica casa che era in vista. Chi ci abitava era il signor Leo Goldenbolt, un infermiere – capace, a richiesta, di usare una pistola sparacuore – che Aaron Thunderland Junior aveva mandato a registrare e a studiare i movimenti dei Gaichu di quella zona.
Tempo prima, infatti, nelle vicinanze di quell’abitazione si erano trovati Gaichu dai comportamenti anomali, mai visti prima. Data la vicinanza con Blues Notes Blues, c’era da considerare la possibilità che questi fossero parte di quel gruppo di antichi insetti custoditi nel ghiaccio di quella grotta, ma potevano anche essere una ‘nuova generazione’ di Gaichu di cui Yuusari Central non sapeva nulla. Fatto sta che il dottor Thunderland in persona era sceso sul campo per osservarli, tempo prima, e, se Goldenbolt li aveva tenuti d’occhio fino a quel momento, ora toccava ai Letter Bee catturarli o eliminarli, studiandone i metodi con cui attaccavano e loro i punti deboli.
«Facciamo in modo di finire questo lavoro velocemente, neh, Wasiolka?» disse Zazie alla sua adorata pantera, con l’espressione di qualcuno che desidera liberarsi del mondo o vomitare. Gaichu speciali, davvero? Non ce n’era già abbastanza di quelli normali che andavano in giro indisturbati a mangiare i cuori della gente?
«Qual è l’ultimo Gaichu che ha avvistato, signor Goldenbolt?» gli chiese Lag, gentilmente.
«Si tratta di un Gaichu dalla grandezza media. Se ne sta a circa un chilometro da qui, verso la montagna. L’ho chiamato Acorn, per via della forma simile a una ghianda che ha su entrambe le chiusure delle ali. Non ce ne dovrebbero essere altri, in zona, per quanto ne so»
Con loro avevano portato anche delle scorte per lui provenienti dal Beehive, nonché qualche materiale e una lettera piena di raccomandazioni mandatagli da Thunderland. In cambio l’infermiere gli aveva offerto del tè caldo, che avevano accettato ben volentieri. Se il Gaichu non si fosse fatto vedere entro sera, avrebbero dovuto accamparsi alla bell’e meglio su una qualche grotta o altura, e dormire al freddo.
«Grazie. Ce ne occuperemo subito» disse Connor.
Si diressero di gran lena nella direzione prestabilita, lieti di potersi sgranchire le gambe. Si appostarono circa una mezzora dopo, quando credettero di aver trovato il luogo esatto indicatogli da Goldenbolt.
Mentre Zazie preparava il fucile, Connor rifletteva ad alta voce. «‘Gaichu Acorn’, eh? Speriamo che i suoi punti deboli siano come quelli di un normale Absinthe, almeno»
«Hai abbastanza bombe, con te?» Meglio essere previdenti.
Connor gli sorrise, mostrandogli un pollice un su. «Certo»
«Ragazzi, penso che stia arrivando qualcosa!» urlò loro Lag, indicando lontano. Una nuvola di polvere sembrava venire verso di loro sempre più velocemente, al che Connor corse verso la pianura per posizionare le bombe prima che il Gaichu arrivasse loro contro.
«Quando ci raggiungerà, teniamolo occupato finché Connor non avrà finito!» ordinò Zazie. Il suo compagno annuì, mostrando un’espressione concentrata e dando ordini a sua volta a Niche, che si mise sull’attenti, e a Steak, che proruppe con un «Gnu-gni, gnu-gni».
Il Gaichu arrivò, e velocemente.
La sua corsa sollevò le dune di terra sottile che si trovavano intorno alla zona in cui si erano appostati.
Tenere un braccio davanti al proprio volto li aiutò poco per evitare che quella roba finisse loro negli occhi. Nella confusione, Zazie intravide Connor fare salti mortali per evitare che le sue bombe volassero via.
Lag urlò e Niche lo aiutò a tenersi attaccato a una roccia, mentre la borsa delle lettere che una volta era appartenuta a Gauche Suede minacciava di essere strappata via dal suo proprietario per colpa del vento.
Wasiolka gli si offrì come scudo, mentre tutto intorno il mondo sembrava impazzire. Dannazione, non era cominciata bene, quella caccia al Gaichu.
«Lag! Stai bene?» chiamò Connor, spuntando da una coltre di sabbia.
«S-Sì»
«Ragazzi, muoviamoci, dobbiamo farlo fuori prima che ritorni sottoterra!» li esortò.
Ma Lag si era già ripreso, e correva verso l’insetto, sparandogli dei colpi a vuoto al ventre.
«Bene, ora vattene da lì! Connor!»
«Le bombe sono pronte!»
Lag intanto si era già allontanato; Niche lo aveva portato su un’altura in cui era possibile puntare il gaichu ma abbastanza lontana da non accusare i danni dell’esplosione. Stava andando tutto come previsto.
«Ora!»
La fame di Connor esplose con fragore, e l’insetto si trovò scaraventato in aria. Nel mentre, anche Niche aveva lanciato in su Lag, che puntava ad ogni zona del Gaichu che poteva corrispondere ad un punto debole.
L’Akabari risuonò più e più volte, ma non sembrava esserci nulla da fare.
Dannazione, pensò Zazie. È passato troppo tempo da quando abbiamo cominciato ad attaccarlo; se continua così perderemo tutto il Cuore prima di potergli infierire un colpo decisivo.
Ricaricò il suo fucile, correndo nella zona al di sotto dell’insetto, che intanto stava precipitando al suolo.
Lo so che sto rischiando a stare qui sotto, ma se riuscissi a trovare il punto…
Colpì l’insetto con la sua tecnica della pioggia di proiettili, per poi indirizzare il seguente tiro alla zona delle zampe anteriori. Bisognava solo trovare un punto vulnerabile che facesse entrare il Cuore nel corpo di quel mostro, oltre la sua corazza.
Sparò. E l’insetto prima puntò contro di lui dei fili acquamarina – come, acquamarina? Dov’è finito l’oro? Che razza di mangiatore di cuori è, questo? –, poi gli finì addosso.
Doveva aver urlato, a un certo punto, ma tutto, del mondo che lo circondava, gli sembrava ovattato e fastidioso, e lui si limitava a cadere, cadere, e cadere…
Zazie non poteva sapere che il Gaichu, avendo ceduto alla forza di gravità, aveva creato una conca nel terreno.
D’improvviso due artigli azzurri gli cinsero il corpo, tenendo ferme le sue braccia e facendogli perdere la presa sul fucile. Il dolore lo risvegliò d’un colpo, e gli diede appena il tempo per sentire le urla dei suoi compagni che chiamavano il suo nome. Poi qualcosa lo punse, e le tenebre lo circondarono.
 
 
Un’immagine confusa, appartenente al suo passato. Poi il giorno in cui si era presentato al Beehive per fare domanda per diventare un Letter Bee; il suo comportamento selvatico; i commenti su quell’enorme e altrettanto stramba pantera che se ne stava al suo fianco come se fosse un gatto…
 
Rivide il momento in cui, sporco di cenere, Connor gli aveva detto: «Sunny è viva!»
 
Infine eccola: la fenomenale serata in cui aveva voluto far provare del vino a Sylvette e Lag gli si era addormentato su una spalla, con Niche che a sua volta aveva deciso di usare la pancia di Seeing come un cuscino, provocandogli un russare piuttosto sincopato e comico…
 
 
Zazie si svegliò di soprassalto, accostando senza pensarci una mano alla testa.
Ma cosa diavolo era successo?! Un sogno…?
Accanto a sé avverti un minimo movimento, e vide che la sua pantera lo stava osservando. Ritrovarla sdraiata accanto a lui sul suo letto ebbe l’effetto di una doccia calda, e lo rassicurò immediatamente.
«Scusa, Wasiolka. Un brutto sogno» le disse, accarezzandole il capo.
Mentre faceva questo, si diede il tempo di far vagare lo sguardo sulla sua camera, pensando intanto al fatto che doveva andare in lavanderia per liberare la sua divisa da quel puzzo di fritto e di sudore causato dall’ultima missione con Connor e dalla sua brillante idea di andare a mangiare cibo alla piastra. Che rottura. Diresse lo sguardo nel punto della stanza dove di solito appoggiava sciarpa e camicia, ma non vi trovò nulla.
Poi si costrinse ad aprire gli occhi del tutto, e scoprì che nulla, effettivamente, corrispondeva a quello che si ricordava della sua camera.
C’era un non so che di vissuto, intorno a lui. Di solito anche dove dormiva era riuscito a creare un’atmosfera ‘vissuta’, ma più per il disordine e i calzini lanciati di qua e di là – a Wasiolka piaceva usarli come valvole di sfogo e ci giocava spesso – che per i mobili o la personalizzazione della stanza, che aveva un arredamento a dir poco frugale. Se Zazie fosse nato nel nostro mondo e avesse conosciuto Van Gogh, avrebbe ritrovato nei quadri che descrivevano la stanza da letto del pittore la fotocopia della sua. Una sedia; un letto; qualche altro mobile non ben definito e una finestra. Se non fosse stato per la grave mancanza della cuccia che aveva costruito per la sua pantera – e che lei non aveva mai usato –, i due si sarebbero potuti dire fratelli.
Ma quel posto non era ciò che era abituato a salutare al suo risveglio; c’erano quadretti e delle foto. Sebbene le sue coperte fossero un disastro e ci fossero parecchi peli di Wasiolka sul tappeto, era relativamente in ordine e pulito. Non c’era un numero straordinario di mobili, ma se ne trovavano abbastanza da vedere riempito lo spazio.
Doveva trovarsi in una qualche casa appartenente a una rara anima pia che aveva deciso di aiutare lui e i suoi due amici, evidentemente. Oh, Dio, doveva esser svenuto…
Per poco il suo corpo non ebbe uno scatto brusco quando udì un rumore deciso provenire da un punto in direzione della porta.
«Accidenti, Zazie, ti ho già detto che non ti fa molto bene dormire con quella pantera! Un giorno potrebbe decidere di usarti come cuscino e ti ritroverei schiacciato come una sardina, e allora cosa farei?»
Quando lui si voltò, si ritrovò davanti l’evento più terrorizzante, magnifico e assurdo che si potesse essere mai immaginato. Solo che quegli aggettivi non gli erano ancora chiari nella mente, e in lui vorticavano senza tregua un senso di agitazione, incredulità e sofferenza generale, mentre guardava in viso la persona che gli era entrata in camera senza curarsi della sua privacy.
Avrebbe potuto non riconoscere quel volto, una manciata di anni prima. Avrebbe potuto essere in dubbio su a chi appartenesse quella voce e quel modo di muovere gli occhi e le labbra, ma purtroppo o per fortuna, quel giorno di un po’ di tempo fa, Lag aveva colpito con la sua Akabari la lettera che Zazie aveva serbato con cura e che aveva tenuto per sé per tanti anni. E da allora lui non se l’era più sentita di considerarsi un senza cognome, e aveva preso con sé il nome Winters. Quel giorno, finalmente, aveva dato a quei volti senza nome – a quel ricordo sfocato – dei suoi genitori dei tratti netti; quelle facce avevano riacquistato un volto.
E fu per questo che, in quel momento, Zazie non poté fingere di non saper riconoscere sua madre.
«La colazione è pronta» Disse lei, e se ne andò com’era arrivata: di colpo.
 
 
***
 
Zazie si alzò dal letto repentinamente, disturbando alquanto Wasiolka, che fino a quel momento aveva continuato a sonnecchiare al suo fianco.
Dov’era? Doveva capire dove fossero finiti Lag e Connor, doveva… Cercò la sua pistola sparacuore nella stanza, ma non trovò né quella né la sua uniforme. Gli girava la testa.
Con passi felpati, si avventurò in corridoio. Dal piano di sotto provenivano rumori di pentole e di tegami.
Non conosceva quella casa, e non trovava nell’ambiente circostante nulla che si potesse definire pericoloso. C’erano pochi mobili, e il legno e il mattone con cui era stato costruito l’edificio sembravano aver visto parecchie decadi. In mancanza d’altro, Zazie si rifugiò in bagno, in cui si lavò il volto e si procurò un’arma rubando un rasoio da un cassetto.
Nascose l’oggetto in una delle maniche, pronto per essere usato all’istante se ce ne fosse stato bisogno.
«Ah, eccoti, Zacchan»
Ci volle un attimo al portalettere per scuotersi di dosso quell’appellativo, che mai in vita sua aveva sentito uscire dalla bocca di qualcuno.
La voce di sua madre era bassa, musicale.
«Zazie, allora, non auguri buongiorno al tuo vecchio e a tua madre?»
Lui allora si voltò, incontrando per la prima volta da undici anni lo sguardo tangibile di suo padre. L’altro gli rifilò un gran sorriso malandrino, un gesto che sapeva di vissuto.
Al vedere che suo figlio (“suo” “figlio”… Zazie non riusciva a pensarci) non rispondeva al gesto, gli rivolse un’espressione interrogativa.
«Come ti senti?»
Evidentemente come letter bee non valeva nulla, pensò, perché sua madre riuscì ad avvicinarglisi e a prendere il suo capo tra le mani senza che lui si accorgesse di nulla.
«Ti fa ancora male?»
Di che cosa diamine stava parlando?
«Il bernoccolo si è ingrandito parecchio, eh… lo dicevo, io, avremmo dovuto metterci del ghiaccio immediatamente.»
Che?
«Che?»
«Hai sbattuto la testa, ieri, non te lo ricordi?»
Zazie cercò di ricollegare il tutto. Ieri un Gaichu gigantesco gli era caduto addosso. Probabilmente in quel mondo il corrispettivo di ciò era prendere una craniata contro qualcosa.
Trovava difficile pensare quando i suoi genitori erano lì, in carne e ossa.
Si sedette a tavola, cercando di trovare la forza di comportarsi in modo normale. Dannazione, lui non era fatto per quelle cose, per trovarsi in una realtà soprannaturale in cui sembrava la normalità avere intorno persone morte e sepolte ormai da dieci anni.
«In effetti, mi fa piuttosto male» Provò a tastare il terreno, per vedere dove l’avrebbero condotto le sue parole. «Magari oggi potrei andare a farmi controllare dal dottor Thunderland»
Sua madre si voltò nuovamente verso di lui, interessata.
«Chi?»
«Il dottor Thunderland, di Yuusari» Al vedere degli sguardi straniti in risposta, rincarò la dose. «di Yuusari Central»
«Tesoro, non credo che sia così grave da percorrere così tanta strada. Già abbastanza viaggiatori e portalettere perdono la vita là fuori»
Porca-
Gli si seccò la gola. «In che città siamo?»
Quasi quasi gli venne l’istinto di chiedere in che epoca e in che mondo. Dopo aver posto quella domanda tacque, sentendo tutta la cucina incombere su di lui. Un senso di claustrofobia lo prese, e il suo corpo s’irrigidì.
Dici sul serio? e Stai bene? erano domande che si potevano leggere a chiare lettere sul volto di sua madre.
«Forse è meglio se ti portiamo a farti vedere da qualcuno, Zazie» fece suo padre, abbandonando la sedia.
 
Alla fine fecero visita al medico del paese; “solo per un accertamento”, disse suo padre. Intanto il loro figliolo studiava ogni loro mossa, tentando di capire di più quella situazione che non riusciva a vedere se non come assurda e impossibile. Ma dov’era finito?
Zazie non era fatto per i raggiri e gli interrogatori. Lui poneva sempre domande dirette o trovava le risposte che voleva agendo. Non aveva la pazienza del burocrate o la scrupolosità dell’impostore.
E così non sono un letter bee. Aveva controllato ogni angolo dell’armadio situato nella sua stanza: nessuna uniforme. Gli faceva strano l’idea di non lavorare come portalettere. Dopo tanti anni passati a portare quella giacca blu, aveva finito per non riuscire più a concepirsi senza.
Quando uscirono dall’ambulatorio del medico, Zazie si dileguò con la scusa di voler fare una passeggiata per prendere un po’ d’aria. Non riconobbe nessuna delle vie in cui passò. Aveva provato a tentare di ricollegare quelle case di sasso a qualcuna che aveva potuto vedere durante una delle sue consegne, ma nessuna immagine simile riusciva a tornargli alla mente.
Che era quel posto? Certo, i villaggi di Yuusari si assomigliavano un po’ tutti, ma non gli sembrava di essere mai passato di lì. Così impegnava il suo tempo in scalciare sassi per la strada, sperando d’incontrare per magia qualcuno di conosciuto. Doveva assolutamente trovare Connor e Lag.
Ecco due altre “cose” a cui lui si era abituato tanto da non riuscire a vedersi scisso da esse; senza di loro Zazie non era che Zazie il Randagio. Anche se, evidentemente, in quel mondo in cui i suoi genitori erano ancora vivi, Zazie il Randagio non era mai esistito.
A questi pensieri, immediatamente le case che si trovavano intorno a lui gli sembrarono opprimenti, e l’aria si fece irrespirabile.
«Scusi, conosce per caso Lag Seeing?» chiese a un signore che passeggiava lì vicino. L’uomo si appoggiava pesantemente a un bastone e teneva il capo ben infossato in un enorme cappello.
«Mi stai prendendo in giro, delinquente? Che è, avete forse litigato?» Dal tono si capiva che il vecchio stava insinuando qualcosa, ma Zazie non riuscì a capire.
«Forse. Sa dov’è?»
Ma l’altro lo liquidò con una smorfia e Zazie si ritrovò con un pugno di mosche, maledicendo a denti serrati quel tipo.
Fermò un paio d’altre persone per porgere loro la stessa domanda, ma questi non seppero rispondergli. Sembrava che tutti pensassero che la persona più adatta a sapere dove si trovassero Lag e Connor fosse lui.
Zazie si consolò, pensando che almeno ora sapeva che Zazie e Connor esistevano, e continuò a camminare. I suoi passi lo portarono nella piazza principale, dove si sedette su una fontana.
Tanto per fare qualcosa, si controllò le tasche e si guardò le mani. Erano ancora da lavoratore e piene di calli, ma sembrava che fossero state trattate meglio dei suoi arti “originali”. Nelle tasche non trovò altro che quello che si era già rigirato tra le mani una ventina di volte: un coltello multiuso, una mentina e qualche soldo.
Rimise tutto al suo posto e guardò il selciato che gli stava intorno con malcelato odio. Non sapeva che farsene di quella situazione, e neppure di quei pochi “mezzi” che avrebbe potuto usare per capire dove fosse finito.
Certo, il fatto che i suoi fossero vivi era fantastico, ma-… non doveva pensarci.
S’alzò di colpo, diretto verso un panettiere nerboruto che aveva visto spettegolare con un manico di vecchiette sue clienti.
Saltò sui cesti di pane fresco, puntandogli il coltellino direttamente alla gola. Probabilmente ne avrebbero parlato, in paese, i suoi si sarebbero preoccupati, e di sicuro quella sarebbe stata una cosa che Lag non avrebbe approvato, ma Zazie se ne fregò. Quella mattina Wasiolka non aveva preteso di seguirlo fuori. Quello non era il suo mondo.
«Dove posso trovare Lag Seeing e Connor Culh?» urlò.
L’uomo tremava. «Av-av…»
«Zazie! Cosa diavolo stai facendo?!»
In mezzo al vociare impaurito, sentì chiaramente quella voce concitata: impossibile da non riconoscere. Per un attimo assaporò il tono vagamente stridulo a lui familiare. Balzò giù dal cesto, sollevato.
«Lag.» Era salvo! Lui e Connor avrebbero saputo cosa fare.
«Cos’hai combinato?»
«Lascia perdere. Vieni, andiamocene da qui.»
Corsero lontano, raggiungendo un punto in cui le lamentele dei curiosi, del panettiere e dei suoi clienti non si sentivano.
«Ti cercavo. Mi dispiace, nessuno mi voleva dire dove fossi. Ma fa lo stesso. È successa una cosa assurda: vedi, il Gaichu-»
«Zazie, hai minacciato un uomo innocente! Te l’avevo detto dov’ero; oggi sarebbe passato di qui per una consegna Goos. Ma poi zia Sabrina mi ha detto che hai sbattuto talmente forte la testa da dover andare dal medico. Ero così preoccupato!»
Il suo amico lo fissava con uno sguardo abbastanza accusatorio, ma dai suoi occhi scaturivano di già anche delle lacrime.
Qual era stata l’ultima volta che Lag aveva pianto per lui? D’un tratto, si vergognò.
«Mi dispiace»
Lag ricominciò a respirare.
«Come stai?»
Le menzogne con Lag pagavano sempre, quindi Zazie provò con le mezze verità. «Non lo so» E poi: «A dire il vero, credo di essere vittima di un po’ di amnesia. Per esempio, non ricordavo nulla del tuo impegno di stamattina.»
«Amnesia?» gli occhi – gli occhi! Due, e niente ambra spirituale! – del suo compagno si fecero più grandi.
Zazie annuì. «Posso farti alcune domande, giusto per essere sicuro che nella mia testa sia tutto a posto?»
 
Quel Lag non era un letter bee. Scoprirlo aveva inquietato Zazie più che non vedere quell’ambra rossa nell’occhio sinistro dell’amico.
Sua madre era morta di parto e dalla sua più tenera infanzia aveva vissuto con sua zia Sabrina, vecchia amica di sua madre. Prima avevano abitato sul mare, a Yodaka; poi Sabrina aveva ottenuto un permesso di passare a Yuusari per lei e il suo figlioccio e si erano trovati lì, a Victorus Hagu. Nel tragitto avevano incontrato una bambina, Niche, che Lag aveva voluto adottare…
Sembrava una versione delirante della vita che aveva vissuto Lag nell’altro mondo. Una versione delirante, sì, e forse più decente.
Goos era un vecchio amico di Lag. Si erano conosciuti quando lui e sua zia abitavano ancora a Yuusari e dal quel momento Seeing l’aveva ammirato con tutto se stesso. Una volta aveva visitato Yuusari Central e aveva conosciuto Silvet. Quando poteva, Goos lo veniva a trovare. Nessun Noir, nessuna organizzazione di mutanti, nessuna madre-divina imperatrice costretta a sacrificarsi per la gente del suo paese in un modo orribile.
Una vita normale.
Connor era un letter bee. Zazie lo aveva conosciuto perché a undici anni aveva cominciato a lavorare per aiutare i suoi, e se l’era ritrovato tra i piedi mentre cercava di spingere il suo carretto per le vie di Victorus Hagu. La sua famiglia abitava lì vicino e, a detta di Lag, erano già inseparabili quando Connor lo aveva presentato a Lag.
«Fa tappa fissa a Yuusari, ovviamente, ma spesso viene a fare consegne qui» gli spiegò Lag. «Tutto questo… te lo ricordi, vero?»
«Per la maggior parte, sì. Mi sa che sono solo un po’ confuso. Ma quello che mi stai raccontando mi è di molto aiuto» mentì.
«Cos’altro vuoi sapere?»
«Per ora va bene così» Zazie gli sorrise. Non sapeva quanto della verità fosse meglio dire a Lag, e il suo amico sembrava davvero stanco dalla confusione e dall’accennato pianto di poco prima. Doveva ammetterlo: pareva bello, quel mondo.
La bocca di Lag andò da sud a nord. Era contento di vederlo così rilassato, dopo il pericolo corso di quella botta in testa?
Poi il suo amico si alzò lievemente sulle punte, gli prese la nuca tra le mani e lo baciò brevemente.
«Andiamo a pranzo?» Gli chiese, staccandosi.
E Zazie vide per la prima volta quanto poco spazio personale li divideva. E andò nel panico.
 
 
 

 
 
1= “Posso darti un machete per la giungla dei tuoi pensieri?” è una frase de I Pirati dei Caraibi (film del 2003).
   
 
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