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Autore: MAMMAESME    22/09/2014    0 recensioni
Damon, Elena ... e la pioggia.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert | Coppie: Damon/Elena
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IT WAS A DARK AND RAINY NIGHT

La pioggia scendeva a scrosci in quella sera d’autunno inoltrato. Le gocce rimbalzavano sull’asfalto del marciapiede, nelle pozzanghere, sui miei vestiti fradici.

Camminavo verso casa, dopo una giornata inutile, una delle tante giornate inutili infilate nel refe della  mia vita inutile.
Un passo dopo l’altro vagavo tentando di ritardare il momento del rientro a casa, la nuova casa in quella nuova città in cui tutti, o quasi, mi erano estranei, in quelle stanze che in cui mi avevano obbligato a vivere dopo che avevamo dovuto lasciare Mystic Falls. Là avrei ritrovato un fratello ugualmente affranto e un’amica troppo impegnata a rimettere insieme i pezzi di una normalità che non esisteva più, se mai fosse veramente esistita, e non ne avevo assolutamente voglia.
L’unica cosa che desideravo davvero, con tutta me stessa, era che il mondo si dimenticasse di me,che mi lasciasse andare in pace alla deriva.

Erano passati mesi … avevo smesso di contarli … e ancora il vuoto non si colmava, la ferita non smetteva di sanguinare, il dolore non accennava a diminuire.

Camminavo con la pioggia che colava dai miei capelli, li inzuppava, li incollava al mio volto che fissava ostinatamente la punta di miei piedi. Non avevo un trucco da sbavare: almeno la mia faccia sarebbe apparsa pulita, pensai tra me e me, se mai … se lui …

Pensieri idioti: a volta ci si aggrappa alle sciocchezze per riempire lo spazio tra un pensiero affilato come una lama e un ricordo pesante come un macigno.

Ci sarebbe stato solo il mai, mai più lui.

Mi appoggiai alla vetrina spenta di un negozio vuoto e tentai di accusare il colpo che arrivava come un pugno sferrato da un pugile sul ring dritto nello stomaco ogni volta che pensavo a Damon.
Attaccai la fronte al vetro bagnato.

Se era vero che il tempo mi avrebbe guarita, beh … avevo un’eternità di convalescenza a disposizione ...  ma se questa era una delle tante pietose bugie che si raccontano, allora quella che mi si prospettava era un’agonia eterna.

Ormai anche la sua maglia aveva scambiato il suo odore col mio e non riuscivo più a trovare la sua essenza nella foto accanto al letto.

Solo nel sonno, a volte, la sua immagine veniva a darmi sollievo, con uno dei suoi sorrisi da schiaffi, o con una carezza fugace o un bacio appassionato.
Poi, però, il risveglio era ancora più duro, la realtà più inaccettabile, la sua assenza più lacerante.

C’erano mattine in cui gli occhi si rifiutavano di aprirsi e notti in cui non riuscivano a chiudersi. Andavo a cercarlo in una memoria che si stava offuscando, mentre la mia pelle ricordava benissimo l’ardore delle sue mani, il calore delle sue labbra.

Mi attorcigliavo nelle lenzuola troppo nuove, asettiche e senza traccia del suo passaggio; mi aggrappavo al cuscino che non aveva conosciuto il tocco del suo volto, nel letto che non aveva mai accolto il suo corpo, nella camera che non aveva avuto l’onore della sua presenza, e lo chiamavo in un suono che era un lamento straziante, l’invocazione di un’anima che bruciava tra le fiamme.

C’erano notti in cui il dolore girava in furia, la frustrazione in improperi; notti in cui lo odiavo quanto lo avevo amato, ore in cui gli insulti si mischiavano al desiderio incontrollabile di distruggere tutto, di eliminare quel mondo in cui nulla aveva più ragione di esistere.

C’era stata anche una volta in cui, con il sangue colmo di alcool e la mente annebbiata dei fumi delle erbe magiche, lo avevo maledetto e sfidato:

“Torna bugiardo … torna adesso o mi consolerò con il primo che capita … vieni da me ora o mi rifugerò nelle braccia del primo uomo che mi guarderà questa sera … e giocherò con lui come facevamo noi … lo bacerò nel modo in cui ti piaceva tanto … lo accarezzerò là, dove ti faceva impazzire … e gli dirò quelle parole che solo tu ha sentito uscire dalle mie labbra … lo accoglierò dentro di me e gli cederò quel rifugio che era solo tuo, quel luogo dentro di me che apparteneva solo a te …”

Damon non arrivò.

Ricordo ancora quelle mani sconosciute che mi spogliavano, quelle labbra rudi che mi baciavano, quell’odore ripugnante che non era il suo, quella pelle che mi rivoltava lo stomaco … e il suo sangue nella mia gola.
Non avevo potuto tradirlo.

Aveva vinto Damon.
Damon aveva vinto sempre … avrebbe sempre vinto.

Staccai il volto dalla vetrina fredda, vi passai le mani per togliere le gocce e guardarmi in quello specchio nero.
Un’ombra nell’ombra.
Il mio profilo era un riflesso vago dentro quella superficie scura e i contorni erano indefiniti, resi confusi dalla pioggia che sfuocava la mia immagine.
Ero l’ombra di me stessa, l’ombra di quell’amore che mi aveva illuminata, la cenere del dolore bruciante della sua assenza.

E non volevo smettere di soffrire … non volevo smettere di sentire quelle spine conficcate nel cuore che mi urlavano che lui c’era stato, c’era e sempre sarebbe stato lì.

Alzai il volto per sentire la pioggia sul mio volto, lasciarla scivolare sulle mie guance a sostituire quelle lacrime che non riuscivo più a piangere.
Avevo smesso di cercarlo, di cercare segni improbabili in ogni folata di vento che smuoveva le tende della mia camera, la notte.
Avevo smesso di cercarlo perché lui era dentro di me e nessuna immagine fittizia, nessuna fotografia o preghiera me lo avrebbe riportato.
E avevo smesso di porgli domande senza risposta …

Dove sei, vita mia? Dimmi cosa posso fare per venirti a riprendere! Chiamami … stai litigando con Bonnie? Vi state tenendo compagnia o sei solo? Hai freddo, amore mio? Lo senti ancora, il freddo? Io sì. La mia anima è sferzata da venti di tramontana e la tua? Riposa in pace tra i raggi di un sole che non ti è più nemico o vaga alla ricerca di un modo per ritornare da me? Damon … come sarebbe stata la nostra vita insieme? Come sarebbe stato morire insieme? Io ho freddo, Damon … ho freddo …”

Un brivido: ero fradicia fin dentro le ossa e avevo freddo davvero, ma non riuscivo a staccare gli occhi da quel vetro anonimo, non riuscivo a staccare i pensieri dagli echi del tormento, i piedi dall’asfalto, le mani dalle maniche del giubbotto che, inutilmente mi stringevo addosso.

La strada non era molto frequentata e il buio era appena attutito dall’alone dei lampioni della strada principale che scorreva perpendicolare alla via laterale che avevo imboccato per tornare a casa o, forse, per perdermi nella sera che si stava facendo sempre più cupa.

Improvviso un lampo illuminò l’aria, immediatamente seguito da un frastuono assordante … un temporale d’autunno … impossibile, improbabile.

Nel flash di quella luce improvvisa, i miei occhi misero a fuoco un volto nella vetrina … quel volto … quegli occhi.

Non avevo più usato quelle erbe: non mi bastava più solo vederlo.
Non mi eri più ubriacata: non era sufficiente per stordirmi, per attutire il dolore.
Non avevo più azzannato vittime innocenti: il sangue sapeva d’amaro.

Allora, perché lo vedevo lì, alle mie spalle? Perché sentivo il calore del suo respiro sul mio collo? Perche respiravo il suo odore di cuoio e di pioggia, di bourbon … di lui?

Chiusi gli occhi.

L’illusione è dolce ma il risveglio è atroce: ogni volta è nuova abrasione che toglie le croste dalle ferite, riapre i tagli, rende sensibile la carne e fa male … male da morire.

Non volevo rivederlo perché l’immagine sarebbe scomparsa, non volevo … e lo desideravo con tutta me stessa, perché ogni istante di quell’illusione valeva le mille ferite della mia anima lacera.

Inspirai a fondo quelle note di pelle sudata, di capelli bagnati, di maschio … di Damon.

Mi lascai cullare dalla sensazione di calore che percepivo alle mie spalle, di fuoco liquido che stava percorrendo le mie vene, sciogliendo il nodo nel mio stomaco e riempiendo di languore i miei sensi.

Dio … cosa non avrei dato in cambio per una sua carezza, per poter risentire il tocco delle sue mani, il sapore delle sue labbra, il suono delle sue parole soffocate in mezzo ai miei seni.

Deglutii.

Avrei dovuto solo ricominciare a camminare e tutto sarebbe passato come il fulmine di poco prima, ma era così dolce affondare in quelle sensazioni, così crudelmente bello.

Mi passai le mani sul volto fradicio, sulle labbra gonfie e mi sforzai di riaprire gli occhi.

La sua immagine era ancora lì, sfuocata nel vetro, immobile … tranne per la bocca: tremava.

Passai di nuovo la mano sul vetro come si passa un cancellino sulla lavagna piena di inutili scarabocchi, ma il suo volto non svaniva.

Feci un passo indietro, cercai di mettere una certa distanza tra me e quel fantasma, ma andai a sbattere contro qualcosa di forte come una roccia, di caldo … di dolorosamente familiare.

Il giubbotto di pelle sapeva ancora di fumo, di gas …

Non dissi una parola.
Non emise un suono.

Rimanemmo così, l’uno contro l’altra, increduli, per istanti lunghi come secoli, fuggevoli come un battito di ciglia.
Eppure non potevo essere più sicura … o più folle.
Lui era dietro di me, era incollato alla mia schiena.

Damon.

Tutte le emozioni si spensero, tutto rimase immobile, tranne la pioggia che continuava a scendere implacabile.

Poi tutto esplose.
La rabbia, la frustrazione, il dolore eruttarono.

Mi voltai e cominciai a colpirlo come una furia, ad urlare come un animale rabbioso.

Lui, immobile, subiva il mio attacco senza fare un gesto, cercando solo di fissarmi negli occhi, cercando solo il mio sguardo.

Pugni, schiaffi, calci, graffi …

“Ti odio … ti amo … ti odio … perché mi hai lasciata sola? … perché sei tornato? … perche ora? Vattene … rimani … non toccarmi … abbracciami … ti odio … ti amo …”

Vaneggiavo … deliravo
.

Lasciatami sfogare,  Damon mi strinse tra le braccia e, tenendomi il volto tra le mani come solo lui sapeva fare, incominciò a ripetermi :
“Shh … sono qui … sono qui …”

Finalmente agganciai quegli occhi che mi sapevano farmi naufragare, annusai il suo respiro, assaporai il suono della sua voce.
Era lì … era lì con me.

Non avevo bisogno di altre parole. Non avevo bisogno più di nulla, se non di saziarmi di lui.

Con un calcio ruppi la vetrina e, con tutta la forza che avevo in corpo, lo trascinai all’interno.

Il vecchio negozio abbandonato era sporco e spoglio, ma non m’importava: ero affamata, digiuna da troppo tempo, svuotata.

Mi avventai alla sua gola, mentre lui mi cercava la pelle sotto la maglia zuppa di pioggia e di voglia.

Lo addentai mentre lo spogliavo di quegli stessi vestiti che indossava la notte dell’esplosione, la notte che l’avevo perduto.

Non m’importava com’era tornato, dov’era stato: lo volevo dentro di me in ogni modo possibile.

Cominciai a sentire il suo sangue scorrere nella mia gola,  le sue dita frugarmi ovunque, il suo desiderio crescere.

Lo volevo nel sangue e nel corpo, nella mente e nell’anima, dentro, prigioniero nel mio corpo perche non potesse fuggire mai più, perché mai più gli avrei permesso di lasciarmi.

Improvvisavamo: i movimenti delle mani, i denti affondati nelle vene, i nostri corpi scossi da brividi di doloroso piacere; ci prendevamo famelici … incapaci di fermarci, aggrappati ai capelli, aggrappati alla vita che tornava, con l’ombra della morte rendere tutto più oscuro, più forte, più intenso.

Sarebbe rimasto?
Sarebbe scomparso di nuovo?
Non mi importava! Nulla importava, solo noi … e il suo corpo che mi schiacciava contro il muro, contro il pavimento, contro le schegge di vetro e i brandelli del mio cuore che si stavano ricomponendo, per esplodere di nuovo, ogni volta, ad ogni suo bacio, ad ogni orgasmo … ad ogni respiro.

Non ci dicemmo nulla, perché nulla c’era da dire. Le parole s’infrangevano come onde sugli scogli della nostra passione e solo il linguaggio dei nostri corpi raccontava il dolore della separazione, l’estasi del ritrovarsi.

Nulla importava … nulla sarebbe mai più importato.

Lui era tornato, da me, con me, in me
.

Saremmo rimasti in questo mondo insieme o insieme lo avremmo lasciato.

La pioggia continuava a scrosciare, fuori, altrove, nel buio di una notte illuminata da un lampo.
Non ci avrebbe bagnati.
Non ci avrebbe divisi.
Nulla avrebbe potuto separaci.

Mai più.


 





  
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