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Autore: PapySanzo89    22/09/2014    8 recensioni
John cammina non prestando attenzione, finché il suo orecchio cattura qualche nota.
Genere: Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Note: John in questa storia non credo arrivi ai 30 anni (non nel senso che muore prima, nel senso che non ha nemmeno 30 anni XD), e di conseguenza Sherlock ne dovrebbe avere all’incirca 26 o 27.
Ringrazio Hotaru_Tomoe per il betaggio, come sempre <3  
 
 
 


 
PROLOGO
 
 
Fa freddo tra le strade di Londra, in un pomeriggio come un altro di ottobre, ma il sole è alto nel cielo e stranamente pare non verrà a piovere per il resto della giornata. Il vento fa stringere nel cappotto i passanti che si affollano per le vie e corrono e corrono come se fossero sempre di fretta e non riuscissero a prendere la vita con calma, come se quella vita stesse fuggendo loro di mano e dovessero fare in modo di riuscire a raggiungerla, di poter avere ancora un po’ più di tempo. John Watson è lì in mezzo a loro. Lui però cammina stanco, appoggiandosi al bastone, diretto al colloquio di lavoro in uno studio medico in centro città a quasi mezz’ora di metro da dove abita lui. Ma almeno così spera di potersi pagare un alloggio migliore di quello in cui per ora gli tocca stare.

John è più disilluso che altro, ormai non capisce nemmeno tutta questa fretta che gli altri hanno. Eppure una volta anche lui era così, e di questo è sicuro. Gli sfuggirebbe perfino un sorriso se solo ne avesse voglia. Ma è semplicemente troppo apatico per fare anche quello.

Si guarda intorno e continua a camminare, il vento fa sì che debba stringere un po’ gli occhi per poter andare avanti, ma porta con sé odore di caffè caldo e un po’ lo fa star meglio, tuttavia una parte di lui non si ritrova in quelle strade e in quelle vie. È stato lontano per così poco, eppure eccolo qui, uno straniero nella sua terra, costretto a riabituarsi ai collegamenti della metro, agli Starbucks spuntati come funghi, ai nuovi negozi e alla città in generale.

Ma va bene così. Qualcosa gli dice che va bene così, che troverà un suo posto perché prima di andarsene un posto per lui c’era. Allora continua a camminare in mezzo alla folla che ogni tanto lo spintona e si scusa mentre la restante non lo degna di mezzo sguardo. Cammina con la schiena dritta e il mento alto. È sempre stato un uomo fiero e sempre lo sarà, questo nessuno è riuscito a portarglielo via.
 
Cercare di scendere nella galleria della metro e non essere spintonato all’ora di punta è più o meno come sperare che Dio scenda dal Cielo e benedica tutti quanti, così John non presta caso alle persone e decide di lasciar perdere le scale mobili e di scendere le due rampe che lo separano dalla metro, poggiandosi malamente al bastone. Spera che l’incontro di lavoro valga tutta la strada e che non sia un altro buco nell’acqua, non ha la forza di sentire l’ennesimo no e ancora di meno la sua strizzacervelli dirgli che tutto prima o poi andrà per il meglio.
Lui la guarda inarcando un semplice sopracciglio e vorrebbe tanto chiederle come potrebbe andare peggio secondo lei, ma evita di farlo, così come evita di scrivere un blog su quello che gli succede. Del resto, non gli succede nulla di eclatante da quando è tornato.

Un suono proveniente dal fondo delle scale cattura il suo orecchio, ma al momento è troppo impegnato a pensare per far caso a cosa possa essere, questo almeno finché non arriva alla piattaforma e nota con la coda dell’occhio un uomo in completo nero vicino al muro che suona il violino con viso assorto.

John viene spintonato da qualcuno e solo allora si accorge di essere rimasto fermo, in mezzo ai piedi di tutte quelle persone così di fretta e così indaffarate, e allora si sposta, ma invece di dirigersi verso la propria banchina si dirige verso il musicista, che continua a suonare ad occhi chiusi e mettendoci un entusiasmo tale che John non ha mai visto in nessun altro.

John ascolta le note, la musica che creano, e ne rimane incantato. È forte, è potente, è piena di energia, e decisamente appassionata; gli comunica cose che non avrebbe mai pensato uno strumento come il violino potesse comunicargli. Il suono è un crescendo e assieme alla musica anche l’uomo che ha davanti pare prendere vita propria, muovendosi come trasportato da ciò che sta suonando, e John lo trova uno spettacolo meraviglioso, qualcosa a cui non ha mai assistito prima, nemmeno a teatro, nelle rare volte in cui una sua ragazza lo aveva costretto ad assistere a un concerto sinfonico. Nessuno lo ha mai colpito così tanto.

Davanti a quel muro bianco piastrellato e decisamente sporco, quel ragazzo è evidente come il sole nel cielo. il completo nero viene messo in risalto da una camicia bianca, i ricci scuri si muovono sinuosi come il suo proprietario, le mani fanno movimenti secchi e rapidi, efficacissimi per trasportare quel suono meraviglioso al di fuori dello strumento.

E John si dimentica di tutto, si dimentica dell’appuntamento per il lavoro, si dimentica di essere nella metro, si dimentica perfino di essere a Londra, per un attimo è trasportato da qualche altra parte, assieme a quell’uomo che nessuno, a parte lui, sembra degnare di un’occhiata. Ma come si può essere così ciechi, così sordi da allontanarsi senza fermarsi a guardarlo e ad ascoltarlo? Come si può non godere di un attimo del genere? Come si può tirare dritto senza essere rapiti da delle noti simili?

La musica per un attimo va in calando e John segue i movimenti della mano sull’archetto come se si trattasse della sua, si chiede se andrà avanti (lo spera) o se la musica finirà lì e lui si ritroverà trasportato nuovamente alla realtà. Ma la musica riparte e questa volta è un crescendo che mette i brividi e lo fa rimanere lì, a fissare a bocca semi aperta lo spettacolo che un solo uomo può fare col proprio violino.

Poi, d’improvviso la musica finisce, l’archetto viene levato dalle corde con un secco movimento della mano e il ragazzo apre gli occhi, posandoli su di lui.
E John rimane incantato.

Lo sguardo del ragazzo è di sufficienza, gli occhi azzurri come il cielo terso lo fanno quasi sentire giudicato senza apparente motivo, sembrano analizzarlo e trafiggerlo ma a lui non importa assolutamente nulla di tutto questo.

Applaude, John, applaude forte ed entusiasticamente, poi mette una mano in tasca e tira fuori il portafogli, si avvicina al ragazzo e gli lascia cinque sterline –che è anche più di quello che potrebbe permettersi di lasciargli- nel porta violino e gli sorride.

“Grazie per avermi regalato cinque minuti di splendore.” gli dice e l’espressione del ragazzo cambia. Le sopracciglia si distendono, gli occhi si fanno meno freddi e decisamente più curiosi, le labbra si separano e formano una piccola o che sembra quasi di incredulità, ma poi quelle stesse labbra si distendono e prendono una piega dolce e il ragazzo gli regala uno dei sorrisi più belli che John abbia mai visto in vita sua, poi il violinista si inchina, con fare canzonatorio, davanti a lui e finge di levarsi un cappello che non indossa.

John sorride di tutto il teatrino e lo applaude ancora una volta, ma non si accorge che il ragazzo ha aperto bocca e che probabilmente sta per dirgli qualcosa, invece nota l’orologio e che si è fatto dannatamente tardi ed impreca tra sé e sé, ringraziando nuovamente il ragazzo per lo spettacolo e allontanandosi in fretta e furia per andare a prendere la metro.

Il ragazzo, dietro di lui, gli guarda la schiena e sorride mentre imbraccia di nuovo per bene il violino e incomincia un’altra sonata.
 
***
 
Il colloquio è stato molto più facile –ma decisamente molto più lungo- di quello che pensava, la donna che gestisce l’ambulatorio è stata estremamente soddisfatta delle sue credenziali e gli ha chiesto di lavorare per loro praticamente da subito. John è contento almeno di quella notizia, ma si sente comunque stanco nell’animo e non vede l’ora di tornare in quella topaia di appartamento e rilassarsi un po’. Da domani cercherà un nuovo posto in cui alloggiare.

Prende la metro anche per tornare a casa e una donna, vedendolo col bastone, gli chiede se gradirebbe avere il suo posto, ma John le fa cenno con la mano di no e le risponde che sta benissimo così. Scende a Baker Street per il cambio con la linea grigia e, inconsciamente, si allontana dalla sua postazione per avvicinarsi al muro di mattonelle bianco sporco davanti a cui poche ore prima ha visto il violinista.

Purtroppo ora nessuno allieta l’atmosfera superficiale e caotica di Londra con dell’ottima musica e quel posto gli sembra solo incredibilmente vuoto, nonostante la moltitudine di persone che continuano ad andare e venire.

Quel ragazzo gli ha regalato davvero uno sprazzo di felicità, e gli avrebbe dato molto di più se solo ne avesse avuto modo.
Beh, semmai lo rincontrerà, avrà l’occasione di farsi perdonare e di ringraziarlo come si deve. 
 
 
 
 
NOTE:
Non so che tipo di musica vi aspettiate che suoni Sherlock, ma mi spiace dirvi che non è sicuramente qualcosa di Beethoven o Tchaikovsky, (io che sono molto più “rozzaccia”) bensì la canzone è questa: Crystallize consiglio di ascoltarla perché io la amo. XD

Capitolo cortissimo, lo so, comunque credo che questa sia la prima fic che scrivo senza avere una trama ben definita in testa. È qualcosa a cui ho pensato l’anno scorso o giù di lì, in Irlanda, ma tutto s’incentra in realtà a John che vede Sherlock in un contesto non suo mentre suona il violino, quindi questo avevo in mente e dietro questo scriverò ad estro e vediamo cosa ne viene fuori (sperando ne venga fuori qualcosa…)
   
 
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