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Autore: passiflora    23/09/2014    4 recensioni
[Partecipa al concorso "Momenti&Emozioni" di DonnieTZ]
Tre passi, tre gradini, tre chilometri fino a casa. Tre minuti per alzarmi e rivestirmi, altri tre per andarmene via. Tre. O trenta. Trecento, tremila. Mai più.
Come faccio ad andarmene sapendo che non ci sarà una prossima volta?
Genere: Erotico, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tre passi, tre gradini, tre chilometri fino a casa. Tre minuti per alzarmi e rivestirmi, altri tre per andarmene via. Tre. O trenta. Trecento, tremila. Mai più.

Come faccio ad andarmene sapendo che non ci sarà una prossima volta? Sento il mio corpo pesante, la mia anima aggrappata ad ogni singolo granello di polvere che aleggia nell'aria. Se me ne andassi, lei rimarrebbe qui. E io non posso vivere senza un'anima. Ma chi può?

In molti, probabilmente, ora che ci penso. Ma non io. L'anima mi serve, ne ho bisogno per continuare a provare questo senso di colpa. Ormai è l'unica cosa che mi permette di definirmi viva. Il senso di colpa e il desiderio che provo per lui. Ma che desiderio, a chi voglio darla a bere? A me stessa? Non è un desiderio, è una cieca ossessione. Lui perseguita i miei pensieri il giorno, popola i miei sogni di notte, sempre, senza darmi requie. È un pensiero fatto di fuoco e sangue e carne. Lo voglio, continuamente. Ed è ridicolo: non c'è altro modo di definire una cosa simile.

Quando l'ho conosciuto? Chi se lo ricorda. Mesi e mesi fa, durante una giornata qualunque, probabilmente. Non lo dico perché me lo ricordo, ma perché ogni mia giornata è qualunque, sempre uguali a loro stesse. Ho smesso di vivere da anni e la mia esistenza è diventata molto simile ad una fotografia in bianco e nero. Ogni colore era svanito, così come la profondità, la vivacità.

Ero stata vivace, una volta, da ragazza. Forse, se mi avesse conosciuta quella volta gli sarei piaciuta. Probabilmente sì. Perché no, in fondo? Ero una bella ragazza, intelligente, simpatica.

Questo pensiero un po' mi tranquillizza. L'ho fatto tante volte prima d'ora proprio perché placa il mio animo tormentato. Mi dico che se da ragazza ero bella e divertente, forse un po' lo sono ancora. Forse non tutto è andato perduto. Forse non sono solo i miei soldi e i miei regali che mi hanno permesso di averlo per me fino ad ora.

Questo nuovo pensiero mi toglie il fiato. L'amore e la passione sono diversi, giusto? L'amore brucia lentamente, come una lunga, infinita candela. Invece la passione divora in un attimo, come la fiamma che consuma un corto fiammifero. La passione ti scotta e pensandoci mi sono detta che è proprio per questo che la gente fa un sacco di stupidaggini, quando viene ghermita dal desiderio. Dopotutto, quando la tua anima è fredda a cosa può giovare la fiamma di una candela? Mi viene in mente il cero pasquale: alto e sacro, distante, freddo. No, la gente non desidera la sacralità, non desidera la freddezza. La gente vuole scottarsi, vuole godersi tutto il dolore e il piacere che il fuoco provoca, e vuole farlo con qualunque mezzo. Così ho fatto io. Forse non avrei dovuto, ma l'ho fatto e ora ne pago le conseguenze.

Non credevo sarebbe andata così lontano. Lui è troppo bello e troppo giovane. Non ricordo chi ha avvicinato l'altro per primo. Forse io, perché lui è il figlio di qualcuno che conosco. O era lui? Non ha importanza. Da quella volta sono passati mesi e una quantità spropositata di denaro che non ho. Ma me lo sono procurato e continuerei a farlo, se potessi, se non avessi contratto troppi debiti.

I debiti, che cosa meschina. Che vincolo infame. Non avrei dovuto. Me lo diceva, mio padre: -Mai essere in debito, mai!-. Grazie papà, è un ottimo consiglio. Ho provato a seguirlo. Ci ero pure riuscita. Pochi averi, adeguati al magro stipendio. Pochi svaghi, pochi interessi. E lui certo non mi ha aiutata in questo. Mio marito. Marito. Mi sembra una parola così priva di significato. Mi domando se è stato giovane anche lui, una volta. Ma sì, lo è stato. Tutti lo siamo stati, quindi anche lui deve aver avuto vent'anni e tanta energia in corpo. Sì, ora me lo ricordo. Era un ragazzo carino, intelligente, testardo. Avevo pensato che sarebbe migliorato, col tempo. Avevo pensato di migliorare io stessa. Invece, qualcosa dev'essersi perso per strada. Uno sbandamento silenzioso, invisibile; una malattia mortale, ma asintomatica, che ci ha divorati.

E io che credevo di essere felice e tranquilla. Addirittura credevo che fare l'amore con lui non mi dispiacesse poi così tanto. Che ci si aspetta dopo vent'anni di matrimonio? Non andava poi così male, meglio che ad altri di certo.

E poi eccolo. La nuova fiammella che si accende scoppiettando, che consuma il fiammifero e ti scotta le dita. Mi sono scottata. Dopo averlo incontrato ho continuato a pensare a lui per giorni interi. Mi nascondevo, mi accertavo che non ci fosse nessuno a guardarmi, perché avevo paura che qualcuno potesse leggere i miei pensieri proibiti sul mio viso, nella piega del mio sorriso o direttamente dentro i miei occhi, come fossero sfere di cristallo.

Se lo incontravo, non potevo fare a meno di guardarlo. Se lo pensavo, non potevo fare a meno di arrossire. Avevo già indagato tutto il suo corpo con la mente prima ancora di finirci a letto. Quando è successo – e non riesco a ricordare la motivazione che mi spinse ad incontrarlo, o che spinse lui ad incontrare me – la scena mi sfilò davanti agli occhi come un sogno. Era stato tutto uguale a come l'avevo immaginato. Persino la sensazione del tocco delle sue mani sui mie fianchi, il suo respiro, lo sguardo nei suoi occhi quando ha capito di avermi in pugno.

Quel giorno, lo pagai. Non so perché lo feci. No, è falso, lo so benissimo: perché ho vent'anni più di lui e non è naturale che un ragazzo bello e giovane sia spontaneamente portato a desiderare una donna come me. Quindi, i soldi mi sembravano una giustificazione adeguata, un palliativo e anche un modo per scaricare la mia coscienza. Da quanto gli uomini vanno a prostitute? Da sempre. Perché non potevo farlo anche io, con lui? Sesso a pagamento. Non era forse una delle cose meno nobili e facili da dimenticare? Solo un passatempo.

Sono mesi che passo il tempo così. Ho prosciugato il mio conto personale, ho rubato a mio marito, ho venduto gioielli, ho contratto debiti a destra e a manca. Lui non ha mai rifiutato i miei regali. Non lo biasimo. È solo uno studente e i soldi facili gli fanno comodo. Ma io ora non posso dargliene più e questo significa che non posso averlo più.

Devo tagliare questa specie di legame. Devo troncare questa catena folle che lega il desiderio della mia carne e la fredda realtà del denaro e della coscienza troppo debole.

Sento il suono della doccia, nell'altra stanza. Lui è lì sotto. Immagino l'acqua che gli scivola addosso e penso che vorrei essere quell'acqua. Mi scuoto. Sono patetica, ridicola.

Avida. Ecco come potrei definirmi. Avida di quel doloroso brivido di vita che lui mi regala. Avida del calore del suo corpo, della freschezza della sua risata, dei suoi baci vigorosi non ancora abituati alle mie labbra. Ma l'avidità non è forse un peccato mortale? L'accumulo selvaggio e senza scopo di oggetti? Visto che li pago, baci, carezze, orgasmi... non sono forse oggetti? Che pensiero orribile.

Ma mi fa sentire meglio. Sto cercando di pensare con freddezza. Me ne devo andare, per l'ultima volta, e devo farlo ora. Se lui tornasse, questo guizzo di lucidità svanirebbe.

Mi alzo e afferrò i miei indumenti intimi, sparsi a terra. Li infilo velocemente. Sono freddi e umidi e mi danno fastidio. Mi sento meglio nuda, tra quelle lenzuola. Mi viene da sorridere. È strano, pensavo di avere un corpo ormai malandato e di sentirmi a disagio, nuda davanti a un estraneo, ma non è così. Mi sento peggio di fronte a mio marito, il cui sguardo è sempre vuoto. Mi guarda nello stesso modo in cui si guarda la scrivania del proprio ufficio, sempre la stessa da vent'anni. È come se non mi vedesse nemmeno.

Infilo gli abiti, freddi anche quelli. È inverno, dentro la stanza non c'è il riscaldamento. Estraggo dalla borsa l'ultima busta contenente il denaro e la appoggio sul letto, insieme ad una lettera. Nel bagno, lui è ancora sotto la doccia. Sospiro.

Tre passi, tre gradini, tre chilometri da percorrere. Infilo il cappotto e poso la mano sulla maniglia. Credo di non aver mai fatto una cosa così difficile. Nemmeno sposarmi o avere un figlio è stato così difficile. Un figlio. Mi si stringe lo stomaco. Mia figlia è più grande di lui. Sì, ha due anni in più di lui. Potrebbe conoscerla, potrebbero uscire insieme, potrebbe essersi innamorato di lei o farlo un giorno.

Per un momento abbasso lo sguardo, avvinta. Perché è così ingiusto, così difficile? Perché gli uomini da sempre hanno diritto ad avere spose più giovani, molto più giovani, ed invece una donna non è autorizzata a godere dell'amore di un ragazzo?

Spingo la maniglia, apro la porta e l'aria fresca proveniente dall'esterno mi riporta alla realtà. Che vado a pensare? Anche gli uomini con spose bambine sono ridicoli e abbietti. Il dolce incubo è terminato. Non ho più modo di alimentarlo ancora. Lui non accetterebbe mai una relazione con me, una relazione vera, senza il denaro a fare da tramite, e non riuscirei a giustificarla nemmeno io. Sono debole, più di quanto pensassi. E sono sul punto di perdere tutto.

La saggezza del bravo giocatore sta nel sapere quando fermarsi. Io devo interrompere questo gioco ora.

Oltrepasso la soglia e mi chiudo la porta alle spalle.

Tre passi, tre gradini, tre chilometri.

Nota dell'autrice: Mi è stato fatto notare che questa mia storia somiglia ad una pubblicata dall'autrice Chara, la quale proprio con quella storia aveva partecipato ad un mio contest. Sia chiaro che non è mai stato nelle mie intenzioni plagiare qualcuno e che ho creato questa OS per partecipare ad un contest a pacchetti. Secondo l'admin, si è trattato di un caso di ispirazione involontaria. Sia quel che sia, io inserisco il link dell'altra storia come stabilito. Ecco qua: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2514066&i=1
   
 
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