Storie originali > Storico
Ricorda la storia  |      
Autore: Eli Ardux    24/09/2014    1 recensioni
Quel giorno varcammo lo stretto, sbarcammo sulle terre infinite del Gran Re. Il sole, che tutto vede, rendeva lucenti le chiome del grande Alessandro. Io lo guardavo ammirato e nel cuore cresceva l’ orgoglio: ero uno dei compagni, cavalcavo vicino al mio re.
Ambientata durante le conquiste di Alessandro Magno.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Quel giorno varcammo lo stretto, sbarcammo sulle terre infinite del Gran Re. Il sole, che tutto vede, rendeva lucenti le chiome del grande Alessandro. Io lo guardavo ammirato e nel cuore cresceva l’ orgoglio: ero uno dei compagni, cavalcavo vicino al mio re. Due falchi, maestosi e liberi, ci sorvolarono e si diressero verso l’ orizzonte. Lo prendemmo come un buon segno.  Cominciammo a marciare lungo le rive del Granico.

Nel mio cuore serbavo pensieri, parole non dette. Quella terra era ricca di sorprese, per me e i miei compagni. Alessandro guardava pensoso l’ orizzonte mentre, con grazia, guidava il suo cavallo verso quella terra misteriosa. Quel ragazzino … gli volevo bene ed ero orgoglioso di lui. Mia sorella ne sarebbe stata fiera. Mi ricorderò per sempre l’ orgoglio nei suoi occhi il giorno in cui fu scelta come sua nutrice. Lanice, così solare, così dolce con il piccolo Alessandro. Ora lui era diventato un uomo, e mia sorella era morta.

Marciammo fino a che il sole non scomparve all’ orizzonte. Trovai Alessandro nella sua tenda, con il volto chino. Alzò leggermente il capo alla mia vista, per poi tornare, pensoso, ad osservare un punto imprecisato del terreno. Sapevo cosa stesse pensando. In lui vi era una battaglia interiore. Il giorno seguente avremmo combattuto sul campo. Avremmo vinto? Uscii dalla sua tenda e mi diressi verso altri miei compagni, tra cui Parmenione. Non ci potevamo definire propriamente amici, non avevamo mai avuto intenzione di diventarlo. Parmenione, generale talentuoso, comandava il fianco sinistro dell’ esercito macedone. Il suo volto era pallido ma risoluto. Lo ammiravo molto. Riusciva a mantenere i nervi saldi, sempre. Parlammo poco. In certi momenti le parole non servono. Ognuno di noi si accontentava della presenza degli altri compagni per ricordarci che non eravamo mai soli.
È strano, dato che in realtà in questo momento io sono solo.

Il giorno seguente combattemmo valorosamente. Ma questo non cambiò la sorte di alcuni miei commilitoni. A fine battaglia un lago di sangue si estendeva sotto i nostri piedi. I nemici furono sconfitti, ma il prezzo da pagare fu molto alto. Molti miei commilitoni morirono quel giorno, e in quelli che seguirono. Durante quella battaglia salvai la vita ad Alessandro. Due uomini, tra cui Spitridate, satrapo della Lidia, cercarono di ucciderlo. Lo salvai. Come ricordo di quel giorno mi è rimasta solo una cicatrice al braccio, barattata con due vite. Non mi dimenticherò mai la furia assassina negli occhi di Spitridate, e il suo ultimo respiro.

Procedemmo conquistando le città della Persia finché, un anno dopo, combattemmo nella piana di Isso. Quel giorno mi ritrovai al cospetto del re Dario III in persona. Giunsi quasi a catturarlo. Ma prima che ci riuscissi un suo compagno si sacrificò al suo posto. Rimasi ammirato da quel gesto. Un uomo tanto coraggioso non avrebbe meritato di morire. No, non meritava un destino così crudele. Nessuno commemorò mai la sua impresa, nessun funerale fu celebrato per lui. La sua carcassa rimase sul terreno, consumata da vermi e avvoltoi.

Il giorno seguente Alessandro mi mandò a chiamare. Voleva condividere con me il suo progetto. Ne fui onorato, anche se mi chiesi se il gioco valesse la candela. Quella domanda mi turba tutt’ oggi, mi chiedo se davvero fosse necessario tutto ciò. Tutte quelle morti. Alessandro mi spiegò il suo piano: occupare l’ Egitto. Seguimmo quella strategia e conquistammo Tiro, per poi spingerci fino ad Alessandria. Fu lì che conobbi Sarah. Fu lì che mi innamorai. Le promisi che sarei tornato, le promisi una vita felice. Ripensandoci, tutte quelle promesse mi sembrano solo dei gusci vuoti, portati lontano dal Nilo che, impetuoso, scorre come il tempo, inafferrabile.

Dopo la conquista dell’ Egitto ci spingemmo a Gaugamela. al termine della battaglia sentii le prime lamentele su Alessandro. Le parole dei miei compagni, intrise di rabbia, maledivano il re. Non ero d’ accordo su ciò che dicevano ma, ragionandoci su, arrivai anche io alla conclusione che trattare i vinti come nostri pari fosse un’ ingiustizia. Niente però avrebbe riportato i nostri compagni, né i famigliari morti da noi. Nemmeno vendicarci sui nemici.
E poi avvenne.

Il mio re mi chiamò a sé. Mi parlò di alcuni traditori, e della necessità di ucciderli. Mi era stato dato un ordine, non potevo disubbidire.  Dovevo uccidere Parmenione. Lo feci. Quel giorno piansi, piansi lacrime di dolore, lacrime d’ impotenza per tutto ciò che stava succedendo, la mia impotenza di fronte al mondo. I miei compagni, Parmenione, i miei sogni. Tutto era sparito, morto. Ero un uomo vuoto, la mia anima dannata. Così cominciai a covare il mio risentimento verso Alessandro. Non volli tramare contro di lui, mai. Credo che mia sorella sia fiera di me per questo. Ho ascoltato un briciolo della mia coscienza, in fondo, fino alla fine. In quello stesso anno il mio re conquistò Susa e Sardi, le capitali della Persia, e si proclamò successore del re dei re. Qualcosa cambiò. Forse la superbia lo accecò, forse è vero che il potere cambia le persone. Alessandro cominciò a far uccidere i suoi collaboratori che, si sospettava, stessero tramando contro di lui. Passarono due anni. Il mio risentimento verso di lui aumentava di giorno in giorno. Avevo iniziato a sperare, sperare in un futuro migliore, magari vicino a Sarah. Sarei tornato in Egitto, l’ avrei sposata, e poi sarei tornato con lei a vivere, avrei dimenticato quegli anni di guerra. Ne parlai con Alessandro. Non me lo permise.

Qualche tempo dopo mi invitò a cena con gli altri miei compagni, a Samarcanda. Un poeta greco mi ridicolizzò. Cercai di mantenere la calma e ci riuscii finché insultò Parmenione. La rabbia si fece cocente in me. Loro non dovevano permettersi, loro non avevano visto la paura nei suoi occhi, il dolore. Io sì. Mi infuriai e cominciai a litigare con lo stesso Alessandro. Mi trafisse con una spada.

In questo momento non sento nulla, solo una voce lontana che mi chiama disperata. È Alessandro. Alla fine non voleva davvero colpirmi, era solo ubriaco. Al termine della mia vita una domanda ancora mi assilla. Lo odio? No, non lo odio. È buffo come una persona possa ferirti, romperti il cuore, e tu continuerai ad amarla per il resto della tua vita. Un pensiero mi affiora nella mente. Sarah. Tutte le mie promesse, tutto il mio amore. Non erano niente, niente. Il mio ricordo va ai miei compagni uccisi, i miei famigliari. Sento qualcosa bagnarmi il viso. Sto piangendo. Mi piace pensare che queste lacrime non siano altro che gocce di memoria. Chissà se incontrerò Parmenione, chissà se riuscirò a farmi perdonare. Chissà se mia sorella è fiera di me. Un sorriso innocente mi incornicia il viso e chiudo gli occhi mentre sento Alessandro sussurrare il mio nome. « Clito».
 
È l’ ultima cosa che sento.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Eli Ardux