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Autore: Johanna_Reprise    27/09/2014    1 recensioni
Mason vuole tutto ciò che crede di meritare: vuole essere rispettato, apprezzato, elogiato, ma, soprattutto, vuole divertirsi. È così che fa: con gli oggetti, con le persone, con i bambini. Con sua sorella.
È questo ciò che ha programmato di fare sin dall’inizio, da quando il dottor Lecter e quel donatore di sperma dall’aria dimessa e dallo sguardo tormentato hanno fatto irruzione nella sua vita privata, sovvertendo i suoi piani, mettendo in discussione le sue scelte, corrompendo il suo spettacolo.
Genere: Introspettivo, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hannibal Lecter, Mason Verger, Will Graham
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Premessa
Salve lettori occasionali!
Non voglio dilungarmi più di tanto: sono molto insicura su questa oneshot, perché mi sono lasciata trascinare molto dal mio amore personale per il personaggio di Mason Verger, perché temo di essere stata ingiusta nei confronti degli altri e ho il presentimento di essere andata molto OOC per quanto riguarda Hannibal. Anzi, forse l’ho un po’ “liquidato”, ma questo perché volevo creare, per quanto possibile, un’analisi personale del carattere e delle intenzioni di Mason.
L’idea mi è balenata un paio di notti fa mentre mi rigiravo nel letto, mi auguro solo di non aver partorito una minchiata.
Ah, vi sono chiari riferimenti ad alcuni dialoghi tra Mason e Margot e ad una scena dell'episodio Tome-wan, nel caso qualcuno non voglia spoiler. 
Detto ciò, buona lettura!
Giovanna

 
Atto finale
 
“È un peccato. Un vero peccato!”
L’uomo percorre qualche metro, a grandi passi, con gesti eloquenti, quasi teatrali . Le sue parole rimbalzano nell’aria stantia con l’intonazione cantilenante di un ritornello. Avanza, si ferma, gira su se stesso, si ferma ancora.
"Sa’, avremmo potuto passare momenti divertenti insieme."
Ride, una risata gutturale, in crescendo, suoni strozzati che si accavallano senza armonia. I suoi occhi si inchiodano in quelli dell’uomo che gli ciondola di fronte con un guizzo, quasi si aspettasse che anche lui non possa trattenersi dal ridere.
Ma il dottor Lecter rimane composto, la linea sottile della bocca leggermente incurvata verso il basso, ma la fronte distesa, mentre i piedi nudi gli oscillano lievemente a poche spanne da terra. Uno stato di quiete e di controllo in netto contrasto con l’esuberante frenesia dell’altro, colui che è il motivo del suo trovarsi lì, ora, le braccia e il busto costretti nel tessuto resistente di quella che sembra a tutti gli effetti una camicia di forza.
“Dottor Lecter – Mason Verger tiene il palmo della mano teso verso il pavimento e se lo agita vicino alla coscia - Sa cosa diceva sempre il mio papà quand’ero piccolo così?”
La sua espressione ora sembra acquisire una serietà nuova: corruga la fronte, mentre le dita armeggiano col nodo della cravatta e lo sguardo cerca un punto lontano, al di là delle spalle dello psichiatra, del recinto del suo prezioso allevamento, della pesante muratura del suo impero di successo.
“I maiali non sono come le altre bestie. C’è un barlume di intelligenza, un terribile senso pratico in loro.”
 Scoppia in una nuova fragorosa risata, che fa ondeggiare il bizzarro ciuffo ritto sulla sua testa.
“Il suo senso pratico, dottore, cosa le suggerisce in questo momento?”
Oltre l’estro, oltre l’autocompiacimento, oltre la smania dei suoi gesti, c’è qualcosa di definitivo e consapevole che arde in Mason, come un trionfo silenzioso. Ancora una volta, vuole darsi ragione – e Mason adora darsi ragione – ancora una volta è stato bravo, lo sa, ha reso orgoglioso suo padre, ha reso orgoglioso se stesso.
“Qualora se lo stia chiedendo, dottore, non la ucciderò così, senza neppure divertirmi un po’ - gli sventola la mano davanti, esagerando, drammatizzando, d’altra parte è suo diritto esibirsi, quando le cose gli riescono bene - Sa’, sono sicuro che si divertirà anche lei!”
Ride senza grazia, senza contegno, piegandosi con le mani sulle ginocchia. Ride e si bea, si complimenta con se stesso per aver pensato a tutto, proprio a tutto, pur di ottenere una soddisfazione così unica e dolce che già gli riempie lo stomaco, anche ora che può solo pregustarla.
“Carlo! Carlo, vieni avanti, forza”, un cenno del capo e il pastore avanza a passi pesanti: con una mano impugna un coltello a serramanico, con l’altra trascina una spessa corda al di sopra della spalla. Ad essa, sono saldamente ancorate le caviglie di un uomo, la schiena trascinata rozzamente sul pavimento freddo e la stessa camicia di forza a serrargli il busto. Non si agita, non strattona, ma il petto si alza e si abbassa visibilmente sotto la spinta di profondi respiri, quasi ribolisse di un’ostinazione silenziosa.
“Dottore, le abbiamo portato compagnia!”
Hannibal Lecter muove impercettibilmente il capo verso l’altro, bloccato nella sua stessa condizione, a pochi metri da lui. Il suo volto impassibile non sembra tradire alcuna sorpresa, ma l’uomo legato a terra lo vede: è un velo scuro quello che cala impercettibile sugli occhi dello psichiatra, il suo psichiatra. Non si aspettava forse di trovarlo lì? Will Graham, colui che aveva manipolato per i suoi scopi fino a portargli via tutto ciò che gli era appartenuto? D’altra parte lui stesso aveva vagheggiato, sognato, assaporato con l’immaginazione la morte di Hannibal Lecter fin nei minimi dettagli più e più volte, eppure l’aveva pensata sempre come una cosa intima, tra se stesso e il dottore: Hannibal sarebbe morto per mano sua, lui gli avrebbe tagliato la gola con mano ferma, lui l’avrebbe osservato dissanguarsi con fredda determinazione, lui e soltanto lui avrebbe goduto con perverso compiacimento anche dell’ultima stilla di vita che avrebbe abbandonato i suoi occhi. Ora, però, sono lì, uno di fronte all’altro, nelle mani di un eccentrico Verger e delle sue preziose bestie.
“Eccoci qua!”
Mason ondeggia leggermente, con la fronte aggrottata e un’espressione di infantile soddisfazione stampata in volto. Andrà tutto bene, deve solo sistemare i burattini e godersi lo spettacolo. Fa cenno col capo all’italiano, che solleva di peso il corpo dell’uomo ai suoi piedi e lo ancora ad un supporto metallico dal quale pende un robusto gancio: assicura le giunture avvolgendole con la corda spessa, e, estraendo un telecomando dalla tasca, aziona il meccanismo che solleva il corpo di Will Graham, fino a posizionarlo alla stessa altezza di quello dello psichiatra, anche lui penzoloni a poche spanne dal pavimento. Verger allarga le braccia in atto di compiacimento, gli occhi che brillano vispi: “Non siete emozionati anche voi?”, si ferma e si acciglia appena, “Da bambino papà mi portava con sé alle fiere e, devo ammetterlo, di maiali appesi per il collo come voi ne ho visti parecchi.”, si blocca, come in preda ad un ricordo, poi ride e tossisce, aggiustandosi gli occhiali sul naso.

Mason è emozionato. Non ha dormito, la scorsa notte: la testa gli pesa più del solito, eppure non si è mai sentito così leggero e pieno di energie, tutto il corpo percorso da un formicolio che in altre circostanze gli avrebbe dato fastidio, ma ora lo esalta. Mason vuole tutto ciò che crede di meritare: vuole essere rispettato, apprezzato, elogiato, ma, soprattutto, vuole divertirsi. È così che fa: con gli oggetti, con le persone, con i bambini. Con sua sorella. È questo ciò che ha programmato di fare sin dall’inizio, da quando il dottor Lecter e quel donatore di sperma dall’aria dimessa e dallo sguardo tormentato hanno fatto irruzione nella sua vita privata, sovvertendo i suoi piani, mettendo in discussione le sue scelte, corrompendo il suo spettacolo. Quella è la vita che lui ha pianificato e che, ogni sera, contempla ad occhi chiusi, sorseggiando dal suo calice e ripensando alle parole di suo padre: “Siamo tutti maiali, Mason. Solo che io e te siamo più furbi. Possiamo fare grandi cose. Possiamo spassarcela. Rendimi fiero.

“Sa’, sua sorella mi ha detto cose, sul suo conto”, sibila il dottor Lecter, impassibile in volto, “lei non vale la metà di tutto ciò che possiede, Mason.”
Dottore”, Verger pronuncia quella parola cercando di concentrarvi tutto il disprezzo del mondo, “farà bene a tacere e a godersi lo spettacolo in silenzio.”
Un altro cenno del capo a Carlo, e il gancio che sorregge Will Graham adesso si muove verso il recinto dei porci. Ride in quel modo scomposto e strafottente, mentre l’italiano si avvicina al corpo del profiler col coltello a serramanico ben stretto tra le dita.

Quello che succede dopo sembra la prima teatrale di un macabro spettacolo provato tante e tante volte: il pastore che col coltello incide le piante dei piedi nudi di Will Graham, il profiler con il volto contratto dal dolore che si contorce tra i gemiti, i grugniti sonori dei maiali eccitati dal sangue che cade giù goccia a goccia, Mason che batte le mani in preda ad un’euforica soddisfazione, le sue indicazioni concitate ed un ultimo cenno del capo. Poi, l’atto finale: Carlo che con un gesto netto, preciso, affonda la lama nella gola di Will, l’urlo strozzato, il sangue arterioso rosso vivo a zampillare come da una tubatura rotta, il gancio metallico che si abbassa lento, le grida aggressive delle bestie impazienti, la risata di Mason. Tutto così estremamente rapido e definitivo da sembrare finto, se non fosse per il fatto che non si spengono le luci, non cala alcun sipario, non vi è alcuno scroscio di applausi. Mentre il corpo di Will Graham viene calato giù, un attimo prima della fine, i suoi occhi incrociano quelli dello psichiatra: l’espressione è rigida, fredda, ma qualcosa è cambiato, e nel momento esatto in cui Will se ne accorge, capisce che hanno perso entrambi.
Non perché sta per morire.
Non perché verrà divorato pezzo dopo pezzo.
Ma perché, nonostante la manciata di metri di distanza, sul volto del dottor Lecter, in apparenza gelido, Will la vede: una lacrima, turgida, trasparente, con un fulmineo luccichio gli scivola dall’angolo dell’occhio sullo zigomo alto. È l’ultima cosa che riesce a vedere.
Prima che il dottor Lecter se ne renda conto, sente il respiro di Mason Verger a pochi centimetri da lui, la fragranza di pino che non riesce a coprire il vago sentore di stantio, la sua mano a serrargli il collo e sollevargli il mento, il fazzoletto morbido posarglisi sulla pelle, la sua risata, sopra le urla, come un gracchiare di corvi attratti dalla preda in decomposizione.
Prontamente, Carlo gli porta un bicchiere colmo per metà, in cui Mason fa scivolare la salvietta, mescolando appena con un delicato movimento del polso.

Questo è il momento che Mason preferisce, quello in cui ogni pezzo va al proprio posto e lui è lì a godersi il successo. Il momento in cui può chiudere gli occhi, lasciare che tutto si sistemi: lasciare che Carlo prema di nuovo il pulsante, che il gancio si muova di nuovo, che un altro uomo scompaia tra le sue bestie, che lo spettacolo vada avanti.
Sente l’odore pungente del sangue mentre rigira il calice tra le mani. Ascolta le urla dei porci come musica mentre bagna le labbra di un sapore nuovo, eppure familiare. Le orecchie gli si riempiono di nuovi gemiti strozzati mentre, ad occhi chiusi, sente il liquido scorrergli in gola e incendiargli la bocca dello stomaco.
Mentre un uomo muore, Mason si sente vivo.
Quando le urla finiscono, sorride in silenzio e pensa a suo padre.
Solleva il calice con un cenno del capo. Gli occhi chiusi, la voce un sussurro.
Per la famiglia.”

 
  
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