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Autore: Gio_Snower    27/09/2014    2 recensioni
{Vincitrice del Premio "Frase Ad Effetto" Contest Godaime Kazekage sul forum di EFP}
Allora per quale ragione esisto e sopravvivo? Non trovare la risposta a questa domanda equivarrebbe ad essere morto.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sabaku no Gaara
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti, Contesto generale/vago
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Autore: Gio_Snower (EFP), giorgiette97 (Forum)
Titolo: Demons
Introduzione:
Questa fic s'intitola Demons per due motivi: il primo è che i “demoni” che annunciano sono quelli dell'odio e della solitudine, oltre a Shukaku, ovviamente, ed alla decisione di Gaara di diventare lui stesso un demone; l'altro motivo è che riporta una piccola frase dalla canzone “Demons” degli Imagine Dragons. L'ho inserita perché mi sembrava appropiata.
Altre citazioni presenti (due), sono di Gaara (La prima frase e la penultima). 
Rating: Giallo
Generi: Introspettivo, Angst, Malinconico
Avvertimenti: /
Note:



Demons

 
 
Allora per quale ragione esisto e sopravvivo? Non trovare la risposta a questa domanda equivarrebbe ad essere morto. 


Era ancora un neonato quando scelsero di dargli Shukaku; per lui il demone era stato una maledizione, un marchio d'infamia che l'aveva allontanato da tutti, e allo stesso tempo un compagno di solitudine, d'odio, di svariati sentimenti verso quel mondo, tanto bello quanto crudele. 
Per quanto non volesse ammetterlo, durante la sua crescita, erano simili. 
Per tanto tempo erano stati soli, ed il mondo ai loro occhi era svanito, come scomparso; tranne nei momenti in cui riaffiorava e con lui le persone che chiedevano, esigevano e ferivano. 

Quando era piccolo aveva l'aspetto di un qualsiasi bel bambino; il viso paffuto dai lineamenti dolci, occhi di un ipnotizzante color giada, contornati di nero, capelli rossi come la sabbia del deserto ed una pelle bianca come il marmo. Un'espressione malinconica ed insicura era stampata sulla sua faccia, una tristezza che solo chi viene da sempre discriminato può capire.
Il suo volto si rabbuiava ancora di più, diventando cupo come il cielo nelle notti senza stelle, quando vedeva la paura degli altri nei suoi confronti, sempre così distanti e impauriti: lo disprezzavano e lo temevano, ma non per colpa sua, bensì per il mostro al suo interno che non distinguevano da lui. 
Shukaku rideva amaramente dentro di lui ogni volta che lo sentiva pensare ad una possibile amicizia, al dimostrare che lui non era pericoloso come credevano, che non voleva far male a nessuno. E quella risata aspra, gli risuonava in testa sprezzante, umiliandolo. 
Shukaku parlava, lo derideva, insultava gli uomini, li disprezzava, ma Gaara cercava di non ascoltarlo, chiudeva il cuore, la mente, tutto quel che poteva, cercando un rifugio dove il demone non ci fosse.
L'unica persona di cui si fidava era Yashamaru, suo zio, così simile a sua madre ai suoi occhi di bambino solo. Adorava il modo in cui si prendeva cura di lui, il modo in cui lo accarezzava, gli sorrideva, gli parlava con calma. Era la sua famiglia, la sua vera famiglia, a differenza di quel padre scostante e di quei fratelli che lo guardavano con disprezzo o timore. Si fidava di lui.
Però, qualche volta, lo sguardo di Yashamaru diventava duro, affilato, ed intriso di quello che vedeva negli sguardi degli altri, ma poi svaniva e Gaara pensava: “Sarà stata solo una mia impressione”. Voleva illudersi. 

I want to hide the truth
I want to shelter you
But with the beast inside
There’s nowhere we can hide...


Gaara conosceva il dolore della solitudine, conosceva quella fitta che tormentava il cuore, quel dolore che ti consumava lentamente, divorandoti. Era come sabbia, la solitudine, e dopo esserne stato sommerso essa ti corrodeva, ammazzandoti lentamente e cancellandoti dal mondo. 

Perché? Perché? Perché?
Perché?

Quella parola ripetuta più volte nella sua testa, quell'unica domanda la cui risposta fu la risata sprezzante di Shukaku. 
Gaara guardò Yashamaru, guardò il suo corpo, e scappò.

Il dolore del tradimento, della fiducia mal riposta, dell'odio, della tristezza lo portò a decidere.
Lui o gli altri. 
Era questa la sua unica scelta. Ed allora scelse sé stesso, mentre Shukaku dentro di lui rideva, ebbro della sua solitudine e del suo odio verso il mondo. 

Si incise sulla fronte “Amore”, come monito. Aveva il suo scopo di vita, aveva sé stesso, gli sarebbe bastato. 
Il rosso su una fronte bianca.
Il nero, l'odio, sul verde, la sua anima.


Pericoloso e terrificante, potente e imbattibile. Temuto da tutti. Gaara ora, ogni volta che vedeva quegli sguardi sprezzanti e intimoriti, rideva sprezzante. 
La sua sola ed aspra risata, sempre più simile a quella del demone, risuonava per le vaste distese di sabbia, e tutti, sentendola, s'affrettavano a cambiare strada. 


Si sentiva solo Gaara, da sempre. 
Si ritrovava a passare le sue giornata scrutando con occhi gelidi ed affilati, simili a diamanti, distese di sabbia bollente, colorate dai raggi del sole o della luna. Non s'illudeva più, lui.
Non voleva più credere a nulla se non in sé stesso, non avrebbe di nuovo mal riposto la sua fiducia, non sarebbe stato tradito, non sarebbe stato ferito.
Ma cosa c'era da ferire poi? Sotto il suo involucro di sabbia non c'era nulla. Lui era la sabbia che l'avvolgeva, lui era Shukaku.
Davvero?, chiese la voce beffarda del demone.
Gaara sorrise, un sorriso inquietante. 
Sì.
Allora uccidi. AMMAZZALI. TUTTI! La risata sprezzante mentre il mostro si leccava le labbra, pronto al sapore del sangue, rugginoso. 
No, rispose Gaara. Li ucciderò quando vorrò, perché io sono più forte di te. E lo mise a tacere per un poco con la sua volontà, ignorando le proteste del demone. 


Davanti a lui c'era un ragazzo che non capiva. Era sfinito, stanco, distrutto. Era come lui, conosceva il dolore.
La solitudine.
Eppure... non era solo uno strato di sabbia, non era corrotto, non odiava.
Aveva un demone, ma non era diventato un demone lui stesso.
Lo guardava con quei feroci e puri occhi azzurri, un azzurro simile al cielo che molto tempo prima aveva smesso di osservare, tanto era il dolore che gli provocava, e sentì una fitta al cuore.
Perché?
Lo minacciava, gli diceva di non fare male agli altri, o l'avrebbe pagata. Glie l'avrebbe fatta pagare lui, diceva.
Era così testardo, irragionevole... puro.
Amore.
Quella parola risuonò nella sua testa. NO. Non poteva essere. Non esisteva, non esistevano belle cose al mondo, non esistevano belle persone.
Eppure, mentre lo guardava, pensava solo “Ti prego”, con una gran voglia di piangere che gli stringeva il petto in una morsa crudele e soffocante, mentre la rabbia svaniva, sostituita dalla consapevolezza e dal rammarico. 
Dalla speranza, verde come i suoi occhi di giada. 


La vita di Gaara era sempre stata dominata dalla solitudine, imposta dagli altri o dallo stesso, rendendola una vita magra di emozioni felici, di consolazioni, di una felicità che va oltre alla follia dell'omicidio; rendendola fertile all'odio, alla pazzia, a quella tristezza più profonda, a quel dolore che rodeva il suo cuore.
Finché non incontrò Naruto. Allora capì. 
Kankuro, Temari, gli altri, lui.
L'amore sarebbe diventata la sua forza e mai più si sarebbe lasciato dominare dalla tristezza.
Aveva avuto paura, era stato ferito, era diventato terribile... Tutto a causa di quella sofferenza indotta dalla solitudine. 

 
Comprendere e fidarsi gli uni degli altri, se perdiamo tutto questo non rimarrà altro che la paura.


Nel palazzo del Kazekage nel Villaggio della Sabbia, riparato dai violenti raggi del sole dal bianco capello del Kazekage, Gaara sapeva che non sarebbe mai più stato solo. 
   
 
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