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Autore: Larryx    28/09/2014    3 recensioni
[Prima classificata al terzo turno del contest a turni "Il nuovo esame" indetto da "_Aras_" sul forum di EFP]
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[Prima classificata al terzo turno del contest a turni "Tutti i generi più uno" indetto da "Aturiel" sul forum di EFP]
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[Prima classificata a "Il contest delle brevi storie" indetto da "Red_Angel:3" sul forum di EFP]
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Dal testo:
Yu sorrise e abbassò lo sguardo. Sciolse la piccola cordicella che teneva chiuso il pacchetto e fece scivolare via la seta che celava il piccolo regalo: un ciondolo a forma di drago con una pietra incastonata al suo interno.
«È giada,» esordì Daiyu «ho pensato che ti sarebbe stata divinamente. Hai un collo così esile e grazioso che dev'essere ornato da qualcosa di altrettanto bello!»
«Daiyu, la giada è costosa, come hai...» non fece in tempo a finire la frase che l'amica la zittì posandole un dito sulle labbra, poi le sorrise.
«Segreto!»
Yu si allacciò la collana saldamente al collo e, da quel momento, non se la tolse più.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Cina Imperiale
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Giada nera

 

 

 

I fili della seta le scivolavano tra le mani senza spezzarsi, sottili e delicati come solo loro sanno essere; li tesseva con abilità, intrecciandoli tra di loro e creando trame diverse. Era qualcosa che avrebbe potuto fare a occhi chiusi, se solo gliel'avessero chiesto; non ci pensava nemmeno più; si sedeva al telaio e iniziava il suo lavoro.

Lei aveva il compito di creare gli abiti per i nobili del Paese, doveva tessere centinaia di metri di stoffa, per poi passare alla realizzazione dei suddetti capi.

Talvolta staccava per qualche secondo da quella sua routine e cercava con le dita il ciondolo che le pendeva costantemente sul petto, un gioiello dal quale non si era più separata dal giorno in cui Daiyu, la sua vecchia amica, gliel'aveva regalato.

Si ricordava bene dei pomeriggi passati con lei da bambina, quando i loro padri s'incontravano per parlare di lavoro, politica o altre “cose da grandi” e le lasciavano giocare in giardino.

 

***


Daiyu era intenta a spazzolarsi la lunga chioma nera che, con il passare degli anni, era cresciuta, morbida e setosa, fino a sfiorarle le anche. A contrario del padre di Yu, il padre di Daiyu non adorava le tradizioni troppo restrittive; a lui piacevano i capelli lunghi e si rifiutava di obbligare la figlia a tagliarseli.¹

Adorava passare i pomeriggi interi a creare nuove capigliature, era il suo passatempo preferito.

Yu non era dello stesso avviso dell'amica: anche lei adorava i capelli di Daiyu, erano così belli, ma non avrebbe mai passato le ore a giocherellarci; preferiva di gran lunga scorrazzare e accudire il bestiame; sapeva che, prima o poi, non avrebbe più potuto farlo, nemmeno di nascosto, come di sua abitudine.

«Daiyu, vieni a fare un giro a cavallo con me?» disse mentre si sedeva al fianco dell'amica, esausta per via dei piedi che le dolevano. Iniziò a massaggiarseli da sopra la fasciatura che li opprimeva e, mentalmente, maledisse il padre e tutte le sue fissazioni. Erano anni che la madre le praticava la fasciatura, e i suoi piedi non avevano mai smesso di lamentarsi.²
Daiyu allontanò il pettine di giada dai suoi capelli e se lo portò in grembo; alzò lo sguardo fino a incontrare gli occhi della ragazza che le stava davanti e sorrise.

«Perché, invece di correre a cavallo, non ce ne stiamo qui, in mezzo ai fiori, per gustarci il profumo di questa primavera così calda e seducente? Tuo padre non approverebbe se scappassimo di nuovo», Yu sbuffò leggermente.

«Daiyu, amica mia, non siamo più delle bambine, oramai. Ben presto, i nostri padri ci fisseranno un incontro con la Mezzana per permetterci di trovare marito.³ Ci conviene giocare e spassarcela finché ne abbiamo l'occasione. Di quello che farà mio padre non m'importa. Ci sono abituata» continuò a fissare imperterrita l'amica che, però, abbassò lo sguardo e sospirò.

«Questa volta te la do vinta, ma solo perché è il tuo compleanno!» Yu sorrise e, in silenzio, assieme all'amica, si diresse verso le stalle per preparare il proprio cavallo.

Le due passarono il pomeriggio a scorrazzare nel prato che si trovava a pochi passi dal villaggio, finché il cielo iniziò a tingersi di rosa.

Mentre tornavano alle stalle, Daiyu continuava a fissare Yu che, sentendosi gli occhi dell'altra incollati addosso, aveva iniziato a sentirsi a disagio; perciò, prima di parlare, deglutì.

«Qualcosa non va?» l'amica scosse il capo, sorridente.

Dayu rise. «Ho una sorpresa per te!»
Yu rimase piacevolmente colpita da quell'affermazione, nessuna delle due proveniva da una famiglia nobile, anche se il padre di Yu si comportava come se lo fosse; pertanto non avevano tanti soldi da spendere, soprattutto per farsi dei regali a vicenda. Curiosa com'era di sapere di cosa si trattasse, si sbrigò a tornare alle stalle.

Una volta sistemati i cavalli, Yu iniziò a spazzolare la criniera del suo.

«Allora, Daiyu, hai intenzione di dirmi di cosa si tratta o vuoi farmi morire prima di dirmelo?»
La ragazza rise, un riso limpido e angelico che riecheggiò nella stalla, accompagnato dal nitrire di qualche cavallo. Prese a frugare nella manica destra del suo vestito e ne trasse fuori un piccolo pacchetto fatto con la seta.

«Magari l'involucro ha un che di povero, ma ciò che conta è quel che c'è dentro» fece scivolare l'oggetto nelle mani dell'amica, in attesa della sua reazione.

Yu sorrise e abbassò lo sguardo. Sciolse la piccola cordicella che teneva chiuso il pacchetto e fece scivolare via la seta che celava il piccolo regalo: un ciondolo a forma di drago con una pietra incastonata al suo interno.

«È giada,» esordì Daiyu «ho pensato che ti sarebbe stata divinamente. Hai un collo così esile e grazioso che dev'essere ornato da qualcosa di altrettanto bello!»
«Daiyu, la giada è costosa, come hai...» non fece in tempo a finire la frase che l'amica la zittì posandole un dito sulle labbra, poi le sorrise.

«Segreto!»

Yu si allacciò la collana saldamente al collo e, da quel momento, non se la tolse più.

 

Tornata a casa, la sua felicità dovette fare i conti con la realtà.

Il padre la stava aspettando, seduto comodamente al tavolo da pranzo, mentre sorseggiava una tazza di tè verde. Posò lentamente la tazzina di argilla sul ripiano di legno e invitò la figlia a sedersi.

Yu conosceva le intenzioni del padre.

Iniziò a sgridarla, non accettava che la figlia passasse molto tempo fuori di casa. Secondo ciò che credeva lui, Yu avrebbe dovuto lavorare in casa, avrebbe dovuto imparare a cucinare, a pulire, a servire i suoi superiori, ovvero gli uomini.

Yu non accettava quei discorsi, perciò, mentre il padre continuava a parlare, si alzò di scatto e urlò «No!» con tutta l'aria che si ritrovava nei polmoni.

Il padre, con tutta la calma possibile e immaginabile, si schiarì la voce, si alzò lentamente, si avvicinò alla figlia e le assestò un sonoro schiaffo sulla guancia destra. Quello schiaffo fu talmente forte da far cadere la ragazza in terra. Le vennero le lacrime agli occhi, ma, mordendosi il labbro inferiore, cercò di non piangere per non mostrare le proprie debolezze.

Strisciò silenziosamente in camera sua e non si fece più rivedere fino al mattino successivo.¹

 

 

***

 

Erano passati anni, ormai, da quel giorno, e la collana, un po' annerita dal passare del tempo, le ornava ancora il collo.

I suoi genitori avevano tentato di avere un altro bambino poco dopo e, per la felicità di suo padre, era nato maschio. Il fratello l'aveva sempre trattata nel modo in cui la trattava anche il padre e qualsiasi uomo avesse mai incontrato: come un oggetto.½

L'imperatore Zhongzong era stato assassinato da poco, i sospetti ricadevano tutti sulla sua consorte, Wei, ma a Yu questo non importava. La politica non faceva certo per lei che si limitava semplicemente a tessere per guadagnarsi da vivere.

Passò le dita sulla superficie liscia della pietra di giada nera che era incastonata nella collana e sospirò.

«Daiyu,» sussurrò «giada di colore nero». Gli occhi le pizzicavano, come se avesse voluto piangere così tanto da riuscire a far credere a tutti che il fiume Giallo avesse momentaneamente deciso di cambiare il suo corso per scorrere tra quelle colline e inondarle con la sua freschezza per donare loro una nuova fertilità, ma riuscì a evitarlo.

Sospirò nuovamente e tornò a lavorare al telaio.

Si ritrovò la mente invasa da vecchi ricordi.

Una volta, aveva cucito un abito particolare per Daiyu, fatto completamente di seta, nero con le rifiniture dorate. Daiyu l'aveva apprezzato tanto, Yu l'aveva tessuto con amore, all'inizio della sua carriera da tessitrice.

Qualche mese dopo, Daiyu fu promessa sposa a un potente generale.

Yu era rimasta tanto sconvolta da quella notizia, che non volle nemmeno sapere chi fosse il presunto sposo proveniente da nobile stirpe che la gente tanto ammirava.

Avrebbe solo voluto stare con Daiyu, passare il resto della vita con colei che rispettava; ma se n'era accorta troppo tardi: l'amava.

In ogni caso, non poteva farci nulla; il loro era un amore impossibile su mille frontiere, non era neanche sicura che fosse ricambiato.

Entrambe erano andate in moglie a qualcuno di potere per soddisfare le necessità della famiglia, non avrebbero di certo potuto passare del tempo insieme come amiche, figurarsi come una coppia.

Ad aggravare la situazione era la mentalità dell'epoca: due donne che stanno insieme come un uomo e una donna, legate dal sacro vincolo dell'amore... Non sarebbero mai state accettate,probabilmente avrebbero potuto ucciderle solo per quello.

Yu portò a termine il suo lavoro come un automa, finì di tessere la stoffa e prese a tagliarla e a cucirla per formare degli abiti che avrebbero accontentato i capricci delle nobildonne.

Dopo di che, uscì fuori dal luogo in cui lavorava e iniziò a girare per le vie del villaggio.

I bambini giocavano allegri tra di loro, rincorrendosi e facendo a gara su qualsiasi minima cosa: volevano vedere chi fosse il più forte con la spada, chiedevano alle bambine chi fosse il più carino, scappavano dagli adulti dopo aver fatto qualche marachella.

In particolare, però, Yu si soffermò su due bambine che stavano sedute al centro della piazza, una pettinava i capelli di una bambolina di pezza, l'altra era intenta a intrecciare i capelli dell'amica. La ragazza non poté fare a meno di sorridere.

Erano passata dieci anni, ormai, ma lei si ricordava ancora com'era bello stare tutto il tempo con Daiyu, andare in giro a cavallo, anche se in segreto, pettinarle i capelli, parlare del più e del meno.

Rivolse un ultimo sguardo fugace alle due bambine, poi riprese a camminare.

Passo dopo passo, senza rendersene conto, si ritrovò davanti al luogo che entrambe, da ragazzine, avevano temuto: la casa della Mezzana.

Ricordava benissimo com'era stato il suo “esame”.

L'immagine di quel luogo era ancora vivida nella sua mente e dubitava seriamente che qualcosa fosse cambiata col passare degli anni.

 

***
 

«Sei pronta, mia cara?» le aveva chiesto sua madre affacciandosi nella sua cameretta «È il grande giorno!». Yu sbuffò: era proprio necessario?

Si scostò i capelli dal volto. Era passato un lustro dai suoi quindici anni, quindi il padre le aveva permesso di farseli crescere.
Di malavoglia, si alzò dal giaciglio che aveva accolto il suo corpo fino a qualche secondo prima e si stiracchiò per poi fare uno sbadiglio; sua madre rise.

«Spero tu non voglia sbadigliare in faccia alla Mezzana, Yu. Non per nulla, il tuo nome significa “pura”, cerca di simboleggiare la purezza, cerca di esserlo solo per un giorno, mia cara» le sfiorò la guancia destra con il dorso della mano per poi afferrare i suoi piedi. Controllò la fasciatura che li stringeva e la sciolse per rifarla. Yu non oppose resistenza, era abituata a quella pratica, non sentiva più dolore. Dopo di che, la donna afferrò la figlia per un braccio e la spinse delicatamente fuori dalla porta: la preparazione per la Mezzana l'attendeva.

La madre l'aiuto a liberarsi delle vesti che coprivano il suo corpo, per poi lasciarla immergere in una vasca colma d'acqua e sapone, nel quale si sarebbe lavata a dovere, come a simboleggiare la purezza che avrebbe dovuto dimostrare una volta al cospetto della Mezzana.

Yu, con l'aiuto della madre, si asciugò e si vestì di tutto punto con abiti di pura seta.

«Questo abito, Yu, fa parte della nostra famiglia da molte dinastie» fece la madre, mentre le assicurava una fascia alla vita «Io l'ho portato, tua nonna l'ha portato, sua madre l'ha portato, sua... » Yu la interruppe ridendo, sapeva benissimo che la madre avrebbe potuto continuare per secoli, fino a nominare antenati provenienti da dinastie preistoriche.

Una volta completato l'abbigliamento, Yu e la madre si diressero verso il luogo nel quale la ragazza sarebbe stata truccata secondo le consuetudini dell'epoca.

Il vestito, troppo lungo per i gusti di Yu, la faceva inciampare costantemente; le maniche le coprivano completamente le mani, rendendo impacciato ogni movimento, la madre aveva stretto la fascia che portava in vita in maniera eccessiva, tanto che la ragazza riusciva a stento a respirare.

Quando arrivarono al cospetto delle due donne incaricate di truccarla, una di loro fece una strana smorfia.

«Cos'è quella robaccia che porti al collo?»
“Robaccia?! Osi chiamare il tesoro più grande della mia vita... Robaccia?!”
Yu preferì non proferire parola per non risultare scortese o “impura”, quindi si girò verso la madre e le due si scambiarono uno sguardo d'intesa.

«C'è qualche problema?» chiese gentilmente la madre alla donna che le stava davanti.

«Per noi non ci sarebbe problema, signora; ma la Mezzana accetta solo i gioielli più preziosi» la donna si girò verso il tavolo che le stava alla spalle e tirò su una bellissima collana di perle di giada bianca «come questa collana che sua figlia avrà l'onore l'indossare» la madre di Yu si girò verso la figlia e le ordinò di nascondere il ciondolo alla vista, se proprio non aveva intenzione di toglierlo.

La ragazza lo nascose con cura, cercando di non dare a vedere la sensazione di freddo che il ciondolo le provocò al contatto diretto con la pelle.

Le due donne si misero al lavoro.

Le incipriarono il volto fino a farlo diventare bianco, dopo di che passarono a truccarle pazientemente gli occhi e le passarono un pennello imbevuto di una strana sostanza rossa sulle labbra; quel contatto non piacque a Yu, era così umido e faceva il solletico.

Finito il trucco, le due passarono a torturarle i capelli: li pettinarono con cura finché non furono sicure di aver estirpato anche il più piccolo nodo, dopo di ché raggrupparono tutto in uno chignon ornato di fiori.

La madre di Yu le si avvicinò sorridendo e le assicurò la collana di perle al collo per poi sfoggiare un sorriso ancora più grande: la sua bambina era pronta.

In un batter d'occhio, Yu si ritrovò in strada a camminare verso casa della Mezzana, la donna che si sarebbe permessa di giudicarla senza alcuno scrupolo.

Attese pazientemente il suo turno, con altre ragazze attorno a lei; tra di loro vi era anche Daiyu. Alla sua vista, Yu sorrise leggermente per poi rimanere in attesa del suo nome.

«Yu Ma» sentenziò la donna sull'uscio, mentre la ragazza che l'aveva preceduta fuggiva via, in lacrime. Yu deglutì e poi si alzò, chinò leggermente la testa e rimase in attesa di un cenno da parte di quella donna.

«Seguimi» la ragazza si alzò e seguì la donna, calibrando ogni passo per evitare di cadere.

La Mezzana le fece i complimenti per la sua andatura, data dai piedi fasciati, dopo di che iniziò a farle molte domande.

La ragazza riuscì a rispondere a ogni domanda fattole sulle Antiche Tradizioni, sua madre l'aveva istruita bene, sapeva tutto a riguardo.

Quando, però, la donna le chiese di versarle il tè, Yu era talmente agitata che, per via delle mani tremanti, fece cadere qualche goccia di quel liquido sul tavolo.

Frenò un verso di disappunto appena in tempo.

«Ricorda di non parlare senza permesso. Ora, chiedi scusa per quello che hai fatto.»
Yu si allontanò leggermente dal tavolo e si chinò fino a sfiorare il pavimento con la punta del naso «Chiedo perdono».

La Mezzana la squadrò. Il suo sguardo era arrabbiato, incuteva timore, il fumo prodotto dalle braci usate per riscaldare il tè e quello prodotto dall'incenso si stavano lentamente mischiando nell'aria, creando un miscuglio di aromi da capogiro.

La donna corpulenta si alzò e, senza distogliere lo sguardo da Yu, iniziò a camminare.

«Hai un ottima corporatura per avere dei figli,» Yu non seppe se prenderlo come un insulto o meno «ma come te la caveresti se tuo marito ti chiedesse d'intrattenerlo con qualche passo di danza?».
Yu deglutì leggermente. Quello era il test che più temeva: non era molto brava a ballare, finiva sempre per inciampare; tuttavia si fece coraggio, prese un lungo respiro e si alzò. Fece qualche passo finché non si trovò perfettamente davanti alla Mezzana, tirò fuori il suo ventaglio e iniziò a danzare, facendo muovere a ritmo il ventaglio. Ogni passo le costava sempre più fatica, il vestito le intralciava i movimenti, i suoi piedi fasciati non facevano che rendere l'azione più complicata del normale. A un tratto, fece male i suoi conti e scivolò sulla gonna. Ebbe il tempo di portarsi la mano libera al petto, all'altezza del ciondolo, per stringerlo con forza. Scivolò lentamente a terra e, con una mossa del ventaglio, fece credere alla donna che quella mossa fosse voluta.

La Mezzana rimase in silenzio e Yu fece un respiro di sollievo: se quella donna non si stava lamentando, voleva dire che non era andata tanto male.

Il test proseguì per un bel po': la Mezzana non sembrava mai contenta.

Ogni qual volta che Yu faceva qualcosa, riusciva a trovare sempre un qualche difetto e la correggeva, per poi farla passare a un altro tipo di test.

Quando, finalmente, il tutto finì e Yu poté finalmente riassaporare la luce del sole sulla propria pelle, Daiyu fu chiamata al cospetto della Mezzana. Le due ragazze si scambiarono un sorriso smagliante e si diedero il cambio.

Mentre Daiyu era dentro, Yu ebbe il tempo di togliersi tutto il trucco che aveva iniziato a darle fastidio e tirò fuori il suo amato ciondolo. Lo strinse tra le dita e lo ringraziò in silenzio per non averla fatta cadere; era fermamente convinta che fosse stata la magia di quel ciondolo a farla rimanere in equilibrio quanto bastava per non crollare a terra con la stessa grazia di un albero abbattuto.

Dopo un arco di tempo che sembrò essere infinito, Daiyu uscì da quella casa.

S'inchinò per ringraziare e salutare cortesemente la Mezzana; cosa che Yu non aveva fatto. Ansiosa com'era di uscire da quella dimora, aveva commesso un grave errore proprio alla fine dell'esame, ma poco le importava.

Corse in contro all'amica e, sorridendo, le afferrò le mani.

«Com'è andata?» Daiyu la guardò negli occhi, per poi sfoggiare un grande sorriso e iniziare ad annuire, l'amica ricambiò il sorriso e iniziò a saltellare, attirando l'attenzione della gente che le circondava.

 

Una volta tornata a casa, la felicità di Yu si spense, ancora una volta. Il padre, pur sapendo del buon esito della figlia, non parlò, né per esternare il suo disprezzo, né per esprimere la sua felicità, sempre che quell'uomo fosse capace di provare allegria o spensieratezza.

La ragazza s'inchinò al padre e si allontanò da lui.

La considerava un errore, una disgrazia.
Lei non avrebbe mai potuto rendere onore alla famiglia morendo in combattimento, non avrebbe mai potuto lavorare nei campi, poteva solo accettare il suo destino e continuare ad essere sottomessa a un uomo per tutta la sua vita.

 

***

 

 

Non molto tempo dopo, furono riferiti loro i nomi di coloro a cui erano state destinate: due generali nobili.

Yu non era tanto entusiasta, l'idea del matrimonio combinato l'aveva sempre disgustata: non conosceva il suo futuro marito, nonostante ciò avrebbe dovuto mettere il suo corpo a disposizione di quell'uomo e assecondare ogni suo minimo capriccio; tuttavia si decise a non protestare: suo padre avrebbe potuto ucciderla solo per questo.

Andò in sposa a quell'uomo e, dentro di lei, iniziò a crescere un sentimento: odio puro.

Non era odio verso suo marito, anzi, era odio verso le tradizioni.

I suoi piedi erano ormai insensibili, quasi morti. Quando la famiglia di lui le aveva chiesto di mostrarglieli, ovviamente coperti dalla fasciatura e dalle scarpe, e di danzare per loro, non aveva opposto resistenza. All'epoca, le donne che riuscivano a muoversi tanto aggraziatamente sui piedi fasciati erano considerate irresistibili.²

Suo marito la considerava tale.

Lui l'adorava, la desiderava, la trattava come una principessa, adorava definirla come “un fiore di loto sceso giù dal cielo”, e lei gli era grata per questo. Sapeva bene che molti uomini considerano le donne utili solo per fare figli, si sentiva molto fortunata per aver trovato qualcuno che, invece, l'amava e la rispettava. Purtroppo, le tradizioni non erano d'accordo con lui, e nemmeno le loro famiglie.

Cheng, così si chiamava lui, era costretto a comportarsi come suo padre gli aveva insegnato, quando c'erano estranei in casa, tutto questo per non disonorare la famiglia. Yu odiava quell'aspetto del marito e, ogni volta che andavano a trovare qualcuno o che qualcuno li andava a trovare, non vedeva l'ora che quel supplizio finisse.

In presenza d'altri, Cheng iniziava a chiamarla Fôu”¹ invece di “fiore di loto”.

Molti credevano che le donne non dovessero lavorare, alcuni uomini la criticavano, suo marito, invece, l'appoggiava, condivideva la sua volontà di fare qualcosa di costruttivo ai fini del bene comune, anche se questo voleva dire “bene dei nobili”.

Quella sera, tornò a casa sorridente, stranamente.

Nessuno era in casa: suo marito sarebbe tornato solo la sera, verso l'ora di cena.

Iniziò a preparare da mangiare, mentre la sua mente vagava tra i ricordi più remoti. I più belli erano tutti legati a quella collana, non c'era dubbio.

Non appena finì di apparecchiare in tavola, suo marito fece ingresso nella camera; si avvicinò a lei, le prese le mani e le lasciò un timido bacio sulle labbra.

Passarono la cena a parlare della situazione politica: non entusiasmava nessuno dei due, ma dovevano essere informati, in qualche modo.

Finito di mangiare, Yu ripulì tutto, mentre il marito si dirigeva verso la camera da letto, stremato dalla giornata che si era appena conclusa. Non molto tempo dopo, Yu lo raggiunse, si diedero la buonanotte e sprofondarono entrambi in un sonno profondo.

 

 

Qualche mese dopo, al suo rientro da lavoro, Yu trovò una sorpresa ad attenderla. Non appena varcò l'uscio della sua dimora, suo marito le coprì gli occhi con le mani e le sussurrò in un orecchio «Ho una sorpresa per te!», Yu sorrise.

Si lasciò guidare dal marito per un po', finché egli non le scoprì gli occhi lasciandola senza parole: seduta di fronte a lei v'era Daiyu, la sua vecchia amica perduta.

Era visibilmente incinta, e il suo corpo ne risentiva.

La Mezzana, tempo addietro, le aveva detto che era “troppo magra per avere figli”, e probabilmente aveva ragione: aveva il viso un po' scarno e Yu dubitava che riuscisse ad alzarsi in piedi, soprattutto con i piedi fasciati. Yu sospetto che dovessero farle male: Daiyu non li aveva portati così fin da bambina. Suo marito non l'aveva accompagnata; Yu ne ignorava il motivo, ma decise di non indagare oltre.

Chang le lasciò da sole, a parlare del più e del meno.

Daiyu si rese piacevolmente conto che l'amica indossava ancora quel ciondolo che le aveva regalato da bambina e sorrise.

Yu si sciolse alla vista di quello sguardo. Avrebbe tanto voluto abbracciare l'amica e, se ne avesse avuto la possibilità, baciarla; ma sapeva che non sarebbe stato il caso.

Si sentiva in colpa per quei desideri, ma non poteva farci nulla.

Dopo suo marito Chang, Daiyu era stata l'unica persona della quale si fosse fidata davvero. La differenza tra i due era che Daiyu non aveva restrizioni, poteva comportarsi con naturalezza con lei in ogni occasione.

Parlarono a lungo delle loro nuove vite, delle regole da seguire, dei loro segreti, e arrivò anche il momento di parlare della gravidanza di Daiyu.

«Sono all'ottavo mese» iniziò Daiyu «Se tutto va bene il bambino o la bambina dovrebbe nascere tra tre settimane» Yu sorrise, ma un sussurro di Daiyu le raggelò il cuore.

«Speriamo che non sia femmina» aveva detto.

Yu deglutì silenziosamente per poi chiedere delucidazioni.

«Vedi, mio marito non vuole che nasca una femmina, sarebbe un disonore per lui crescere una bambina. Ha deciso, pertanto» la sua voce iniziò a incrinarsi «che, se dovesse nascere femmina» una lacrima le rigò la guancia destra. Prese fiato e completò la frase. «Se dovesse nascere femmina, ucciderà la bambina non appena nata».½
Yu fece un sussulto.

«È una cosa orribile» Daiyu abbassò lo sguardo e annuì.

Dimenticarono la questione e continuarono a parlare, finché il marito di Daiyu non arrivò per portarla via, lontana da Yu, lontana da quel luogo.

Yu avrebbe voluto abbracciare forte l'amica, ma si limitò a salutarla con un inchino, gesto che le costò parecchio.

La sera, silenziosamente, iniziò a piangere.

Pensò a quanto la vita fosse ingiusta, pregò perché quel bambino nascesse maschio.

 

Passarono tre settimane, e Yu venne travolta da un'orribile notizia: Daiyu era morta.

Le spiegarono per filo e per segno ciò che era accaduto, anche se non riusciva a seguire il tutto perfettamente: era davvero sconvolta e abbattuta. Dopo non molto, una lettera che spiegava i fatti giunse alla sua dimora.

 

Nella missiva v'era scritto che la sua amica era morta nel tentativo di dare la luce al suo bambino che poi si era rivelato essere una femmina.

Le lacrime iniziarono a rigarle il viso.

Non c'era scritto nulla a proposito della bambina, ma Yu era più che sicura che, in quel momento, quel piccolo angelo fosse in paradiso, seduta al fianco della madre. Strinse forte la lettera al petto, mentre le lacrime scendevano lentamente, fino a bagnarle le labbra.

Assaporò quel sapore salato, intriso di ricordi che le riempirono il cuore di amarezza.

Era convinta di non poter andare avanti, non voleva farlo.

La donna che amava era morta, e con lei erano morte tutte le speranze che, nel corso degli anni, Yu aveva coltivato gelosamente.

 

***

 

Yu si svegliò all'improvviso, sudata e scossa dal sogno che aveva appena fatto.

Si portò una mano al petto e strinse tra le dita il ciondolo.

Si guardò attorno.

Posò gli occhi sul marito, sulla camera che li circondava, su ogni particolare; dopo di che abbasso lo sguardo e chiuse gli occhi.

 

Aveva sognato ciò che la tormentava da mesi, ciò che non l'avrebbe mai e poi mai lasciata andare.

Continuava a ripetere lo stesso sogno, o meglio ancora incubo: iniziava con dei fili di seta, continuava a cambiare scenario, attraverso una serie di “flashback”, se così si possono definire nella dimensione onirica, e finiva con la figura di se stessa, con una lettera tra le mani e il volto pieno di lacrime.

 

Avrebbe tanto voluto che rimanesse solo un sogno, ma Yu sapeva che tutto ciò che aveva sognato era realtà.

 

Aprì lentamente gli occhi e fissò intensamente la giada incastonata nel ciondolo.

 

«Amica mia,» sussurrò, con la voce leggermente incrinata dalle lacrime che premevano per uscire. «Mi manchi, Daiyu. Giada nera» e una lacrima scivolò lungo la sua guancia; dopo un po', essa si fece coraggio e saltò nel vuoto, scontrandosi, poi, con quella pietra tanto amata e tanto significativa.

 

Qualche tempo dopo, stanca delle oppressioni della società di allora, priva di una qualche ancora a cui aggrapparsi, Yu si tolse la vita per raggiungere colei che aveva sempre amato. Il suo corpo fu ritrovato la sera stessa, dal marito che rientrava a casa.

 

Yu stringeva ancora tra le mani quel ciondolo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

N.d.a.:

 

Spero si sia capito, nel corso del testo, che tutto ciò che è descritto è parte di un sogno, solo la parte finale fa parte del “risveglio”.

 

Di seguito sono elencate tutte le informazioni che potrebbero servire a chiarire alcune cose del testo.

Le riporto così come le ho trovate, per non creare confusione.

¹- Nell'antica società cinese, la donna dipendeva dall'uomo e trascorreva tutta la vita ad obbedirgli. Era una eterna minorenne, giuridicamente incapace e a cui l'uomo faceva sempre da tutore. Non aveva diritto né all'istruzione né all'educazione, doveva solo stare rinchiusa a casa e darsi ai lavori domestici (ecco perché, la nostra Yu, ogni tanto, scappava di casa per svagarsi). Doveva tagliarsi i capelli fin dall'età di 15 anni e sposarsi all'età di 20 anni; era il padre che si dava da fare per trovarle un marito con l'aiuto di un intermedio.

- La donna sposata si chiamava Fôu, cioè "sottomissione", in riferimento alla totale sottomissione dovuta al suo sposo. Paradossalmente questi pensava a lei solo come alla madre dei suoi figli. Era fuori questione di onorare la sua bellezza o la sua cultura, si badava soltanto alla sua fecondità, alla sua capacità di accontentarsi e alla sua obbedienza. Il marito aveva inoltre l'abitudine di mangiare da solo, senza la moglie e senza i figli, salvo in circostanze speciali.

Nel caso lo sposo morisse, la sua vedova non aveva il diritto di risposarsi, o peggio ancora, era possibile chiederle di farsi cremare in onore del proprio marito defunto.

 

½- I padri imploravano gli dei nelle loro preghiere di avere dei maschietti. Non averli era una fonte di vergogna e di maledizione per le madri perché erano più adatti delle femmine a lavorare nei campi e più bravi nei campi di battaglia. Le ragazze erano considerate un peso per i padri perché le educavano con pazienza per poi mandarle a casa dei loro mariti: si poteva giungere al punto di uccidere le figlie. Quando una famiglia aveva figlie più del necessario e le era difficile prendersi cura di esse, ricorreva ad abbandonarle nei campi perché finissero divorate dalle bestie feroci o dal freddo, senza per questo provare il minimo rimorso.

 

²- La fasciatura rendeva molto più appariscente la differenza tra i due sessi. Si criticavano le donne che avevano piedi naturali che, non essendo piccoli, erano considerati poco femminili. A tali donne ci si rivolgeva con il sarcastico appellativo di Piede d’anatra e Barca di Loto.

Opporsi alla fasciatura era cosa impensabile, significava ribellarsi alle tradizioni cinesi, che miravano a mantenere una netta divisione tra uomini e donne. Allo scopo di garantire la separazione dei sessi, dai sette anni in poi era fatto divieto alle bambine di intrattenersi con i maschietti. Si insegnava alle giovani signore di evitare perfino di discorrere con i cognati, poiché la qual cosa poteva essere interpretata come atto di sospetta intimità.

Bisognava seguire scrupolosamente quattro precetti:


1. Non camminare con le dita rivolte all’insù;


2. Non tenere con ostentazione i calcagni sospesi a mezz’aria;


3. Non muovere le vesti, una volta sedute;


4. Non muovere i piedi, una volta coricate.

Naturalmente era considerato altamente encomiabile che una donna si sottoponesse fin dalla prima infanzia al temuto dolore della fasciatura dei piedi con stoica rassegnazione e che trattenesse le lacrime per compiacere alla madre e conformarsi così ai canoni della bellezza sanzionati nei secoli.

All’inizio della pratica, considerata motivo di esultanza, venivano fatte visite di congratulazioni da parte di amiche intime o parenti stretti. Queste visite formali avevano lo scopo di rassicurare i genitori, lodando la forma del piede della bambina.

Il successo o il fallimento della fasciatura (fatta dalla madre stessa) dipendeva dall’abilità con cui veniva stretta la benda intorno a ciascun piede. La fascia, larga circa cinque centimetri e lunga tre metri, si applicava in questa maniera: se ne fissava un capo alla parte interna del collo del piede, veniva quindi fatta passare con forza sulle dita, a eccezione dell’alluce, in modo da ripiegarle sotto la pianta del piede. L’alluce non veniva fasciato. Si passava poi strettamente la benda intorno al calcagno in modo che tallone e dita fossero ravvicinati il più possibile. Si ripeteva quindi il procedimento fino a totale utilizzazione della fascia. Il piede delle fanciulle era soggetto a una forzata e continua pressione: lo scopo infatti non era solo quello di comprimere il piede, ma anche di curvare le dita, di ripiegarle sotto la pianta e di riavvicinare la pianta stessa al tallone fino al limite del possibile. Adele M. Fielde, una missionaria vissuta, verso la fine dell’ 800, per circa dieci anni a Shantou, raccontava che "Durante il processo la carne andava spesso in putrefazione, parti della pianta si squamavano e a volte cadevano una o più dita. Il dolore persisteva per circa un anno e quindi diminuiva d’intensità, finché, verso la fine del secondo anno, i piedi perdevano ogni sensibilità e risultavano praticamente morti".

Alla donna cinese dell’età imperiale si insegnava l’amore per la castità e il "loto d’oro" - cioè il piede piccolo - fu considerato un possesso esclusivo del marito. Perfino i parenti stretti evitavano di guardare i piedi rimpiccioliti; la loro manipolazione da parte dell’uomo era considerata un atto di grande intimità. La donna di buona educazione provava grande imbarazzo e vergogna - che poteva condurla sino al suicidio - quando ad accarezzarle il piede o a toglierle la scarpa era una persona diversa dal marito.


 

³- La Mezzana è una donna che ha il compito di esaminare le giovani fanciulle in età da marito per verificare la loro docilità, fedeltà e conoscenza delle antiche tradizioni. Sarebbe l'intermedio che i padri usano per trovare un marito di nobile stirpe alle figlie.

  
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