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Autore: Nembayo    28/09/2014    2 recensioni
||«Sono Beth» disse semplicemente la bambina, e quel nome annebbiò la mente di Quinn. Sconvolta, incredula, stava guardando la sua bambina. Sua figlia, con i suoi stessi capelli biondi tagliati corti, i suoi stessi occhi verdi e grandi, il suo stesso naso piccolo e carino. Era perfetta. [...] Fu come aver ricevuto una pugnalata. L'ultima volta che l'aveva vista, Beth aveva un anno nemmeno. Era un batuffolo che non sapeva parlare, in tutine intere e che odorava di latte. Adesso aveva sei anni. Era bellissima.||
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Beth Corcoran, Quinn Fabray, Rachel Berry
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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BETH



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Beth, I hear you callin'
But I can't come home right now

(...)

Beth, I know you're lonely
And I hope you'll be alright

 

 

Quinn si sentiva molto fiera di se stessa.

Con una laurea da lode ad Yale, un lavoro part-time come assistente in uno studio psicologico, il progetto di aprirne uno proprio ed, adesso, il suo nuovo lavoro autunnale come insegnante di scuola elementare. Aveva anche una ragazza meravigliosa, stella di Broadway, famosissima attrice di una serie televisiva sulla propria vita e cantante di prim'ordine. Il suo migliore amico era anche il suo ex ragazzo, e Quinn era fiera di lui, di come da bullo del liceo era diventato capitano della squadra aerea americana. La sua migliore amica era un'attrice di Hollywood, tutta impegnata nel suo lavoro dato che “Pure Finn avrebbe voluto fare l'attore” ripeteva sempre a Quinn, Rachel e alla sua meravigliosa ragazza ballerina. Andava tutto per il meglio.

«Amore, che ci fai già sveglia?» bofonchiò Rachel, i capelli in disordine, la faccia spiaccicata contro il cuscino. Quinn ridacchiò, chinandosi per lasciarle un bacio sulla nuca. Rachel sospirò e poi ridacchiò, aprendo faticosamente gli occhi stanchi. Quinn era già vestita di tutto punto: una larga maglia verde bosco, jeans comodi, i (nuovamente lunghi) capelli biondi lisci sulla schiena, un velo di trucco. Rachel le lanciò uno sguardo misto tra l'assonnato ed il confuso.

«Inizio ad insegnare, oggi» le ricordò Quinn con rassegnazione: la sua ragazza era tanto impegnata con i suoi progetti da dimenticare spesso le cose che interessavano gli altri. Questo raramente includeva anche Quinn, ma quella volta la sua memoria doveva aver fatto cilecca. Rachel si tirò a sedere, e Quinn carezzò con l'indice il tatuaggio che la ragazza aveva sul fianco: Finn.

«Voleva insegnare pure lui, sai?» chiese Rachel, in un mormorio.

«Non voleva fare l'attore?» replicò nello stesso tono Quinn.

Rachel ridacchiò «Non dirlo a Santana, ma non ha mai voluto veramente entrare all'Actor Studio».

Quinn rise a sua volta, e poi controllò l'orologio.

«Sette e mezza, devo scappare» balzò in piedi, infilandosi le scarpe da ginnastica (più adatte dei tacchi per il primo giorno tra bambini di sei anni).

«Mh, mi manchi già» Rachel mise su un adorabile broncio, facendo roteare gli occhi alla Fabray.

«Torno alle due amore, tranquilla» si allungò per baciarle le labbra e poi, afferrate la borsa e la giacca, uscì dalla loro villa chiudendosi la porta alle spalle.

Appena messo piede fuori casa, come un orologio svizzero, Kurt la chiamò dalla villetta accanto. Era seduto sul dondolo, un braccio attorno ad un addormentato Blaine, l'altra attorno ad un' altrettanto addormentata Elizabeth, la loro bambina di, appunto, sei anni.

«Vai già?» chiese Kurt. Quinn scrollò le spalle, sorridendo.

«Devo arrivare prima dei miei alunni in classe. Sveglia Liz, non voglio che la mia nipotina arrivi in ritardo il primo giorno» lo rimbeccò Quinn. Kurt le fece la linguaccia, dopodiché si stiracchiò.

«Avete dormito fuori?» chiese ancora Quinn, avvicinandosi al cancelletto. Kurt annuì «Volevamo vedere l'alba, ma il sonno ci ha colti verso le undici».

«Solo le undici? Mi deludi Lady Hummel!»
Quinn avvertì soltanto lo spostamento d'aria causato dalla scarpa lanciatale contro da Kurt, intenta a correre via chiudendosi il cancello alle spalle e ridendo com'era.

Montò in macchina e, puntualmente, il suo cellulare squillò.

«Che si dice dall'altra parte d'America?» chiese Santana a voce alta, perforando un timpano di Quinn.

«Potresti non url-?»

«Quinn la maestrina. Ho sempre saputo che saresti finita per comandare a bacchetta qualcuno. O a controllare le loro menti, nel caso della psicologia» scherzò Santana, interrompendo la supplica di Quinn. La Fabray roteò gli occhi, sorridendo.

«Tu stai bene?» chiese.

«Alla grande! Tra poco devo andare in studio, ma prima devo svegliare Brittany...» lasciò la frase in sospeso, maliziosamente.

«Non voglio sapere come la sveglierai, non ho intenzione di sapere tutte le vostre avventure sessuali!» gridò Quinn, arrossendo.

«Come sei diventata pudica, stare con l'Hobbit ti fa male»

«Ci si sente, San» Quinn attaccò, a metà tra il furioso e il divertito, non prima di aver udito la risata sguaiata della Lopez all'altro capo. Attaccò il telefono all'auricolare e mise in moto, contando i minuti.

Santana avrebbe sicuramente chiamato Puck, e dopo due minuti Noah avrebb-

«Bella bionda» la sua voce ormai sicura di sé e gioviale inondò l'orecchio destro di Quinn. Lei rise, ricambiando con enfasi il suo saluto.

«Sì, comunque, sto andando a scuola, so che Santana ti ha avvertito» lo precedette.

«Andare a scuola a quest'età, l'ho sempre detto che sei matta» scherzò lui «Ricordi quando abbiamo fatto i babysitter ai tre nipoti-pesti di Schuester?»

«Non me lo ricordare» Quinn rise, forte «Comunque, per parlare del Glee, tra i miei alunni ci saranno pure Elizabeth, Emily ed Harry» lo informò lei.

«No, woh, aspetta. Sono un po' fuori dal mondo, sai. Chi sono questi?»

Se la memoria di Rachel era un po' scadente, Quinn poteva affermare quanto quella di Puck fosse decisamente pessima. Ridacchiò.

«Liz è la figlia dei Klaine. Emily è la secondogenita di Schuester ed Harry Chang è asiatico, se Brittany vuole saperlo*»

Puck rise, poi Quinn lo sentì parlare con qualcuno.

«Scusa bambola, devo scappare. Divertiti con i marmocchi»

Pochi minuti dopo il suv di Quinn parcheggiò sul retro della scuola elementare di Manhattan. Scese di macchina, raggiungendo la sala insegnanti. Vi trovò una vecchia donna con i capelli bianchi e gli occhi spenti ed un uomo in scarpe di cuoio e cravatta a pois. Imbarazzata, sorrise loro.

«Buongiorno, sono Quinn Fabray, la nuova insegnante di inglese perla prima di quest'anno, e-»

«Piacere cara» la interruppe la vecchia, lasciandola basita. L'uomo la ignorò ed uscì dalla stanza, seguito poco dopo dalla donna con i capelli bianchi. I suoi colleghi erano decisamente noiosi, pensò Quinn. Raggiunse il suo armadietto e mise la password. Non vi lasciò niente dentro, perciò quando raggiunse la classe ancora vuota aveva la giacca e la borsa. Lasciò la borsa sulla scrivania in fondo alla stanza e la giacca sulla sua nuova sedia. La classe sembrava accogliente: sui muri erano disegnati prati verdi, alberi, fiumi ed un grande sole sorridente. I banchi erano grandi, rossi, azzurri o gialli.

«Signorina Fabray?» una donna alta, con i capelli rossi e le lentiggini camminò all'interno della stanza, sorridendo con calore «Sono la preside McMillen. Spero che quest'esperienza la lasci soddisfatta, e spero di poterle essere sempre utile-» iniziò, come ripetendo un discorso imparato a memoria. Quinn smise di ascoltarla quando udì la campanella suonare. La preside uscì dalla stanza e, pochi minuti dopo, piano piano, l'aula iniziò a riempirsi di bambini tra i cinque ed i sei anni.

Quinn, a bocca aperta, osservò i loro visetti spaventati, o emozionati. Le loro cartelle enormi, i loro grembiulini rosa o blu. Una fitta al petto le mandò un messaggio: mamma. Cacciò quel pensiero, consapevole che quel ricordo l'avrebbe soltanto fatta sentire male, e si posizionò sorridente davanti alla cattedra. Se, al primo anno di liceo, le avessero detto che avrebbe avuto la pazienza di fare l'insegnante a venti marmocchi schiamazzanti, avrebbe tirato all'interlocutore una bella granita ghiacciata. Ma, adesso che si trovava lì, sapeva che quello era il suo posto.

«Ciao a tutti» disse, quando i banchi si furono riempiti.

«Ciao!» esclamarono i bambini, in un coro un po' irregolare. Quinn sorrise delle loro voci soavi, emozionata quanto – o più di – loro.

«Io mi chiamo Quinn, e sono la vostra maestra»

«Quinn?» chiese spalancando gli occhi una bambina con i boccoli neri «Sei una regina?»
Quinn rise, scuotendo la testa.

«No, tesoro. Si scrive in modo diverso, ecco vedi?»

Si girò verso la lavagna e vi scrisse due parole, grandi: Quinn e Queen. Mostrò la differenza ai bambini, e soprattutto alla bambina con i capelli neri.

«Visto?»

Quella annuì con vigore.

Quinn passò lo sguardo sui loro volti freschi.

«Quindi, adesso voi sapete come mi chiamo» disse, e poi si finse imbronciata e triste, posandosi le mani sui fianchi «Ma io non so come vi chiamate voi»

«A me lo sai!» strillò una bambina con una nuvola di capelli castani. Quinn si girò verso di lei. Elizabeth, con un adorabile vestitino propostole sicuramente da suo padre Kurt, era seduta accanto ad Harry. Emily, la piccola Schuester con i capelli rossi, se ne stava tutta timida nel banco in ultima fila.

«Davvero?» chiese un bambino, sorpreso.

Quinn rise.

«Sì, io conosco i genitori di questa bambina, ma non per questo farò delle preferenze» assicurò subito. Il bambino tirò un sospiro di sollievo. Erano tutti così adorabili.

«Che ne dite se mi dite il vostro nome? Dopo vi chiederò anche cosa avete fatto quest'estate, il nome dei vostri genitori, ed anche se avete animali domestici, va bene?» propose. I bambini si cimentarono in un “Sì” in coro.

«Iniziamo da lei, visto che è in prima fila, poi faccio tutti» disse, indicando Elizabeth. Lei sorrise orgogliosa si sé stessa, drizzando la schiena.

«Io mi chiamo Elizabeth Hummel-Anderson» esclamò, con la sua vocetta chiara e squillante.

«Non puoi avere due cognomi!» si lamentò un bambino con i ricci scuri e gli occhi chiari in ultima fila. Quinn si morse il labbro “Eccoci”, pensò.

«Sì che posso!» urlò Liz, girandosi a casaccio, non sapendo chi fosse il bambino che aveva parlato.

«Ne discuteremo dopo, di questo, okay?» li fermò Quinn, sorridendo dolcemente. Liz annuì subito, e il bambino «Okay» disse a sua volta.

«Io m-mi chiamo Harry Chang!» balbettò il bambino cinese di fianco ad Elizabeth. Il suo balbettare, al contrario di quello falso di sua madre in tempo di liceo, era reale. Quinn gli sorrise con calore, e lui ricambiò un po' più sicuro di sé.

Continuò a memorizzare diverse Lucy, Matthew, Margaret, Holly, Karim, finché non raggiunse la giovane Schuester.

«Io sono Emily Schuester» disse, un po' meno timida del solito, dato che ormai quasi tutti avevano detto il loro nome.

«È tedesco il cognome?» chiese sapientemente un bambino con gli occhiali. Quinn ridacchiò, voltandosi verso di lui.

«No, Julian, non è tedesco» gli disse. Lui annuì.

Quinn posò lo sguardo sulla bambina di fianco ad Emily. Fu un attimo, prima ancora ch'ella parlasse lei già sapeva chi fosse. Se lo sentiva nelle ossa, nel cuore. Se lo sentiva ovunque. Lo sapeva.

«Sono Beth» disse semplicemente la bambina, e quel nome annebbiò la mente di Quinn. Sconvolta, incredula, stava guardando la sua bambina. Sua figlia, con i suoi stessi capelli biondi tagliati corti, i suoi stessi occhi verdi e grandi, il suo stesso naso piccolo e carino. Era perfetta. Quinn, involontariamente, si appuntò in mente come lei avrebbe tenuto i meravigliosi capelli di Beth lunghi fino alla schiena, come non le avrebbe mai messo il lucidalabbra alla fragola con i brillantini, come avrebbe preferito un vestito a quei jeans rosa. Fu come aver ricevuto una pugnalata. L'ultima volta che l'aveva vista, Beth aveva un anno nemmeno. Era un batuffolo che non sapeva parlare, in tutine intere e che odorava di latte. Adesso aveva sei anni. Era bellissima.

«Maestra! Lei non ha un cognome?» gridò il bambino con i ricci neri, che già aveva protestato sul doppio cognome di Elizabeth. Quinn riuscì a tornare alla realtà con un'immensa forza di volontà. Il cuore le esplodeva. Le faceva male.

«Non hai un cognome, Beth?» chiese, dolcemente. Beth. Era lei, era sua figlia.

La bambina si sistemò imbarazzata una molletta che le teneva la frangia su.

«Non ho un papà» spiegò.

“Tu ce l'hai un papà, si chiama Noah Puckerman. E tua mamma non è Shelby, sono io”, avrebbe voluto gridare Quinn. Le sorrise, forse in modo tirato. Forse tristemente. Forse non sapeva come comportarsi con lei. Era sua figlia, e da quel momento in avanti avrebbe dovuto averla in classe ogni giorno. L'avrebbe vista crescere senza che fosse sua. Senza che Beth sapesse di essere sua.

Durante il resto della lezione Quinn si stupì dell'intelligenza di quella bambina. Era calma e controllata, proprio come la Quinn degli ultimi anni di liceo. Ma era anche scherzosa, come Puck. Era bellissimo e doloroso guardarla, richiamare il suo nome per farla stare attenta, parlarle.

«Bene, adesso so il vostro nome, quello che avete fatto quest'estate, conosco i vostri genitori. Avete un animale domestico? Elizabeth?» Quinn propose l'ennesima domanda, ripartendo come al solito dalla piccola Hummel-Anderson. Ovviamente Quinn già sapeva quali fossero i due animali dei Klaine.

«Ho un golden retriever che si chiama Finn, ed un usignolo che si chiama Pavarotti II» spiegò tutta contenta la bambina. Harry aveva un gatto, preso dalla cucciolata di Lord e Lady Tubbington, i gatti di Brittany. Emily, ovviamente causa la malattia di sua madre, non aveva animali.

«Beth?» chiese Quinn. Probabilmente aveva ripetuto più volte il nome di sua figlia che quello di ogni altro componente della classe, ma non le interessava. Amava come suonava sulle sue labbra.

«Io ho un cavalier king che si chiama Puck» disse. Lo stomaco di Quinn si contorse, e si ritrovò a ridacchiare. Non sapeva nemmeno lei il perché. Probabilmente avrebbe voluto solo piangere, piangere e non smettere più.

«Ci vediamo domani noi, eh? Non portate ancora il libro: la prima settimana non vi farò studiare» Quinn sorrise, mentre salutava la classe. Quando la cartella verde acqua di Beth sparì fuori dalla porta, il suo cuore mancò un battito, o forse due.

O forse non avrebbe più battuto allo stesso modo, adesso che sapeva quanto fosse incompleto.

O forse non avrebbe più battuto allo stesso modo, dato che adesso che conosceva Beth si sentiva così viva.

 









*Brittany in un episodio dice a Santana che è curiosa di sapere se i figli di Tina e Mike saranno asiatici come loro










||ANGOLO DI ONE||
Hey, so che dovrei aggiornare Distance, ma ho visto su Twitter la foto-copertina, quella di Beth e Quinn, ed ho ricevuto un colpo al cuore, nonché pianto immediato. Mi è venuta l'ispirazione, e quindi eccovi uno slice of life/triste scritto in nemmeno un'ora su Quinn-mamma ed il suo incontro con la piccola Beth (inizialmente avevo pensato di scrivere una long, ma non ho il tempo e la voglia di iniziarne un'altra, perciò eccovi 'sto schifo)
Grazie, One

 

 
  
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