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Autore: flatwhat    30/09/2014    3 recensioni
Ambientata dopo la fine del film.
Non è la prima volta che Raoul de Chagny trova una rosa, sulla tomba di sua moglie. Da chi provenga, è ovvio.
Dopo tanti anni, Raoul de Chagny e il Fantasma dell'Opera si trovano faccia a faccia.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Erik/The Phantom, Raoul De Chagny
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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La neve è soffice e cede sotto il suo passo stanco, aggiungendo anche questa fatica al peso dell’età e del dolore al cuore, che sembra non voler cessare, ma anzi, va ad intervalli. In alcuni momenti, si può tollerare, colora semplicemente il mondo di grigio, come i suoi capelli, un tempo biondi. 
Ma ormai, pensa Raoul de Chagny, la vista gli è comunque peggiorata con la vecchiaia, cosa conta non distinguere i colori quando non distingui i contorni? Alle volte, invece, il dolore è lancinante, una fitta al petto come una lama, gelida e bruciante allo stesso tempo. E fa male come se fosse morta ieri, Christine, come se morisse ogni volta che il dolore si acutizza, come se Raoul si dovesse aspettare di trovarla morta accanto a sé, ogni mattina.
Al momento, fortunatamente, il dolore è sopportabile. Si limita a un intirizzimento dei sensi. Così il lutto e la neve intorpidiscono le gambe di Raoul de Chagny, che faticano anche a percorrere i pochi passi che lo separano dalla sua sedia a rotelle dalla lapide di Christine. Ma questo tratto lo ha sempre percorso con le sue forze e non cambierà idea stavolta.
Ma anche se il mondo ha i colori spenti e vuoti, sulla tomba di sua moglie scorge un rosso quasi accecante, quello di una singola rosa, lasciata a giacere proprio lì, da chissà chi. Raoul si fa due domande.
Non è la prima volta, che vede un dono simile alla tomba di sua moglie. La prima volta, era stato quando si era recato al cimitero subito dopo l’estrazione all’opera. E poi c’è stata una seconda volta, e una terza.
Ovvio che è ‘lui’.
Certo, la rosa è il simbolo dell’amore, e chi altri potrebbe essere stato, a lasciarne anonimamente una, proprio accanto a quella lapide? Una tale teatralità, da chi altri potrebbe venire? Dai suoi figli no, e da vecchie amicizie di Christine è improbabile.
Si avvicina abbastanza per constatare che la rosa non è coperta di neve. E ha nevicato proprio qualche ora fa.
Potrebbe mai essere, che ‘lui’ sia ancora nelle vicinanze?
Raoul, forse, inconsciamente, aveva aspettato questo momento (per questo è voluto andare da solo alla tomba, lasciando indietro la governante), ma lo stesso si guarda fugacemente intorno, cerca di indovinare quali possano essere le sue impronte, tra le innumerevoli che si trovano lì davanti, improvvisamente animato dallo spettro di un sentimento che non riesce a riconoscere, ma è abbastanza per metterlo in allerta, dopo quelli che sembrano essere stati secoli di apatia.
C’è poco da meravigliarsi quando non vede nessuno. Dopotutto, colui che sta cercando è capace di questo e altro.
Raoul non sa bene cosa lo spinge a parlare, anzi, ad esclamare ad alta voce.
“Mostratevi, Erik, non era mia intenzione cacciarvi”.
Fatto sta che ormai lo ha fatto.
Passano alcuni secondi e Raoul decide di lasciar perdere e allontanarsi. Magari si è sbagliato, si dice.
Ma quando si volta, eccolo lì.
Non c’è dubbio che sia lui, non è più visibile la maschera bianca che gli copriva metà del volto sotto il cappuccio che sta indossando e che mette in ombra il suo volto, ma Raoul sa chi ha davanti.
Dopo tutti questi anni, Raoul ha di nuovo davanti il Fantasma dell’Opera.

Passano instanti lunghissimi, nei quali i due si studiano a vicenda.
Dopodiché, Raoul vede il suo vecchio nemico riprendere a camminare e fermarsi proprio davanti alla tomba di Christine.
“Per un attimo ho pensato che steste chiamando vostro figlio, Monsieur le Comte”.
Si volta verso Raoul.
“Poi ho realizzato che non dareste del ‘voi’ a vostro figlio”. 
È implicito, nella sua voce, che non abbia idea del perché Raoul lo abbia dato a lui, o del perché lui stia ricambiando la cortesia.
Ad essere onesti, neanche Raoul comprende.
In ogni caso, se prima poteva ancora rimanere traccia di dubbio che quell’uomo fosse veramente Erik, ora Raoul ne è sicuro. Nessun altro ha una voce simile.
Erik si volta nuovamente verso la tomba, ma è sempre con Raoul che parla.
“Sono un po’ sorpreso nel constatare che sapete il mio nome”.
Raoul fa due passi indietro per risedersi sulla sedia a rotelle, prima di rispondere. Le gambe stanno cominciando a fargli male sul serio. L’idea di apparire debole davanti a quell’uomo lo sfiora e per un attimo, Raoul si chiede se non dovrebbe provarne disagio. Ma, in fin dei conti, anche Erik è vecchio, ora. La sua schiena si curva sul bastone che lo sorregge.
“Me lo ha detto Christine”.
“Ve lo ha detto prima o dopo che avete deciso di dare lo stesso nome a vostro figlio?”.
“Prima”.
“Ah. Curioso”, dice Erik, senza mai voltarsi. La sua voce è neutra e non tradisce nessuna emozione, tuttavia, Raoul comprende la sottintesa domanda: “Come mai?”.
Forse, dire la verità non è la scelta più sicura, davanti a un individuo simile, ma Raoul inspira, vulnerabile, sulla sua sedia, e decide di fidarsi di Christine, come ha sempre fatto.
“A dir la verità, volevo associare questo nome a qualcosa di buono. Per questo Erik… Mio figlio si chiama così”.
Erik si volta finalmente verso di lui, ma non pronuncia una parola.
“Ma Christine”, continua Raoul, sorpreso dalla rapidità con cui intende tranquillizzarlo, “Sicuramente lo ha fatto per ricordarvi. Anche se non siete morto”.
“E voi…”, dice Erik con una certa riluttanza, “Voi sapevate che io ero ancora vivo?”.
Raoul non ammette subito che, sì, lo sapeva, perché è stata Christine a riferirglielo, dopo essere tornata dalla sua ultima visita alla dimora sul lago, vestita a lutto. Madame Giry aveva riferito loro che il Fantasma era morto, eppure, quando Christine gli aveva detto “Raoul, è vivo”, Raoul aveva avuto solo un rapido momento per preoccuparsi che una persona così pericolosa fosse ancora in vita, prima che Christine lo prendesse per mano e gli dicesse quelle parole. Parole che gli erano rimaste per tutta la vita.
“Ho fede in lui, Raoul. Non sarà più un pericolo”.
Quando spiega queste cose, il Fantasma dell’Opera dice nuovamente “Curioso, davvero”, poi ripiomba nel silenzio.
Raoul lo osserva da alcuni minuti, sempre voltato verso la lapide, e si chiede a cosa stia pensando.
Alla fine, Erik parla.
“Credevo che, se non avessi fatto dire che ero morto, lei non sarebbe venuta”.
Raoul si massaggia le gambe intorpidite e sospira.
“Mi ha detto anche questo”, e dopo queste parole, sente una risatina provenire da Erik.
“Vi ha detto proprio tutto”. 
“Penso sia normale, la fiducia tra marito e moglie”, dice Raoul d’un fiato, accorgendosi dopo di come la frase possa suonare fastidiosa ma, francamente, non gliene importa.
Erik si limita ad annuire.
“Già. O almeno, dovrebbe esserlo. Ma comunque, non spiega una cosa”.
Si gira poi nuovamente verso Raoul e, nonostante la curva della sua schiena, si erge in tutta la sua statura. Si toglie il cappuccio, rivelando il suo volto, per metà spaventoso e per metà quello di un vecchio pieno di rughe e con gli occhi di fuori.
Vuole mettermi alla prova, pensa Raoul, ma su questo può stare tranquillo. Ricordava bene il suo viso e non è certamente di quello che Raoul ha paura.
“In che modo voi credete in me, Monsieur le Comte? Non fraintendetemi, è già abbastanza strano che Christine sia voluta tornare da me un’ultima volta (e le ho detto io stesso così quando l’ho rivista, quella sera), ma, se devo essere onesto, questa strana chiacchierata mi confonde”.
Raoul socchiude gli occhi.
“C’è una qualche preoccupazione che vi affligge, Monsieur Erik?”.
Erik ha un attimo di esitazione a quel ‘Monsieur’, poi emette un lungo sospiro.
“Ho promesso che non avrei più dato problemi, quella sera, davanti a lei. Ho giurato. Perciò, voglio solo sapere una cosa. Non voglio false gentilezze. Se volete che io smetta di venire qui, lo farò, anche se a malincuore, e non lotterò perché non ne ho il diritto. Mi riprenderò anche la rosa, se devo”.
Raoul ha ascoltato queste parole con uno strano sentimento. Empatia? Può darsi.
Erik ha parlato con tristezza crescente, e il suo atteggiamento è tornato quello di un anziano signore. Inoltre, Raoul capisce cosa anima Erik in questo momento, perché lo prova anche lui.
Lutto.
Non c’è niente di peggio che vedere la propria persona amata andarsene prima di noi, e se Raoul lo ha provato sulla pelle, certamente anche Erik lo ha fatto.
“Non vi vieterò di venire qui. Avete il diritto di farlo, eccome se lo avete”, dice, e non se ne pente.
Erik ridiventa stoico. Gli fa un cenno del capo.
“Suppongo che dovrei ringraziarvi”.
“Beh, consideratelo voi, un ringraziamento. Per avermi risparmiato quel giorno”. 
“È davvero una cosa che merita un ringraziamento?”.
“No”, dice Raoul, volendo essere onesto fino in fondo. Lo stesso, si rincuora quando sente una risatina provenire dal Fantasma.
Si alza dalla sedia a rotelle e, con una certa fatica, la gira.
“Devo andare”, dice, risedendosi. È stato uno strano incontro, ma non ha voglia di trattenersi ancora. Ha avuto le conferme che desiderava e dopo avrà il tempo di darsi dello stupido per averne avuto bisogno.
Capisce che la risatina di Erik non era amichevole quando ne sente un’altra, ben più minacciosa.
“Vi fidate, a darmi le spalle così? E se ne approfittassi e vi uccidessi?”.
Per un attimo, il cuore di Raoul si ferma. Erik potrebbe effettivamente aver tenuto, per tutto questo tempo, un laccio Punjab sotto il mantello e aver aspettato il momento propizio.
Gli torna alla mente l’orribile senso di soffocamento che provò quella volta, ricorda la paura che aveva per sé stesso e per Christine e, stavolta, non gli verrebbe il coraggio della consapevolezza di stare lottando per Christine. Perché Christine è morta e lui non è più in grado di proteggere nessuno.
Si sente piccolo e inutile, su quella sedia. Ma è di nuovo una sensazione inebriante, provare qualcosa di diverso dal lutto.
Una frazione di secondo dopo, quando può di nuovo sentire il suo cuore battere e il respiro tornare, anche i pensieri ridiventano chiari, ed ora sa cosa deve fare. Quello che ha sempre fatto.
“Non ho mai detto che mi fido di voi. Christine si fidava di voi. E io mi fido di lei, tutto qui. Buona serata”.
Sta per cominciare ad andarsene. Da un momento all’altro, potrebbe sentire il laccio attorno al collo, ma scuote la testa e fa avanzare lentamente la sedia.
Quando non ode nessuno avvicinarsi, si volta di sfuggita e sorride. 
Non c’è più nessuno. 
Aveva ragione.

Ma quando riprende ad avanzare, dei rapidi passi lo raggiungono e, improvvisamente, Erik è dietro di lui.
“Sono un gran maleducato”, dice lui con un leggero inchino che non ha l’aria di essere del tutto serio, “Era solo una battuta. È sempre un po’ strano quando vedo gente che si rifiuta di odiarmi, anche quando ne ha le ragioni. Piuttosto, volete che vi dia una mano?”.
Raoul non trattiene una risata, sia per il sollievo, sia per la stramberia della situazione.
“Vi ringrazio, ma ce la faccio da solo”.
“Non ne dubito, ma insisto. Permettetemi di fare un altro po’ di chiacchiere”.
“Ah, beh, se è così…”, Raoul risponde, alzando un sopracciglio. “Curioso”, come ha detto Erik.
Accetta che Erik lo spinga nella neve.
“Dove sta la vostra governante?”.
“Da quella parte”.
“Ah. Perdonatemi”, si ferma un attimo e si rimette il cappuccio.
“Credo di dovermi spiegare”, dice poi, “Anche se sembra che io vi abbia spiato, so della vostra governante e del vostro figlio Erik solo perché mi è capitato di intravederli, nelle mie precedenti visite. Ma di Christine, l’ho saputo da Madame Giry”.
Fa una pausa.
“Posso chiedervi com’è morta?”.
E, in un momento, tutto quello che ha provato nell’arco di quella giornata, lascia di nuovo lo spazio a un dolore lancinante, e Raoul rivede la scena davanti agli occhi. 
“È morta nel sonno. La sera prima ci eravamo dati la buonanotte e il giorno dopo…”, non riesce a continuare.
Silenzio.
Poi Erik parla, con la stessa fatica.
“Spero che sia stato indolore”.
“Mi piace pensare che lo sia stato”, risponde Raoul.
Si stringe leggermente il petto con una mano, come a cercare di far diminuire le fitte che sembra provare proprio lì, per quanto sia inutile. Si chiede se Erik prova le stesse fitte e si domanda se, dovesse ora piangere, incurante di trovarsi di fronte a lui, Erik farebbe lo stesso. Magari si potrebbero consolare a vicenda, ma questo pensiero sembra un’utopia. Due vecchi che si consolano non è strano, ma lo sarebbe per quei due in particolare. È già abbastanza che ora stiano parlando così e che Raoul abbia potuto constatare di persona che la fiducia di Christine era ben fondata. E che ora possa lui stesso fidarsi di Erik.
Si chiede se lo rivedrà mai, dopo che lui lo avrà riaccompagnato dalla sua governante.
“È giusto che ora lei possa stare con il suo vero Angelo”, dice Erik, sospirando di nuovo.
Raoul annuisce. Ma, tutto sommato, pensa, ne ha un secondo ancora sulla Terra. 
Non lo dirà ad alta voce, neanche se questa dovesse essere l’ultima volta che parla con Erik, ma ora può dirsi contento di saperlo.
In quanto a lui, cercherà di attendere ancora un po’, prima di ricongiungersi a sua moglie. Ora potrà vivere col cuore più leggero.
Forse lui ed Erik non parleranno mai più, ma, senza dubbio, Erik continuerà a lasciare rose rosse in onore di Christine. Rose rosse che, magari, potranno dare un tocco di colore al mondo grigio di Raoul, nei suoi giorni più vuoti.


 
La storia è gen, ma siete liberissimi di slasharli, non vi vieterò certo di farlo. :v
Anyway, prima volta che scrivo in movie!verse e forse, per questo motivo, c'è un piccolo influsso di caratterizzazioni del libro in questa storia. O forse, sono semplicemente andata OOC *lol*. Nel finale ho un po' calcato la mano, lo ammetto XD
OOC o meno, avevo voglia da un po' di scrivere qualcosa del genere, dove questi due hanno un'ultima conversazione dopo tanti anni e possono parlare senza motivi di odio. Inizialmente, sarebbe dovuta essere book!verse ma poi 
ho ripensato alla fine del film e ho deciso di ambientarla in questo universo. L'univa vera mia invenzione è Erik de Chagny.
Vi ringrazio di un'eventuale lettura!
  
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