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Autore: Serenity Moon    01/10/2014    9 recensioni
I genitori non dovrebbero sopravvivere ai propri figli. E' dilaniante. E' contro natura. E' abominevole.
Nemmeno gli innamorati dovrebbero sopravviversi l'un l'altro. Cambiate quelle promesse! Non più: "Finché morte non ci separi", ma "In tal caso, portami con te".
Involontariamente dedicata ad una coppia straordinaria, che coppia non è più.
Genere: Angst, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Keiichiro Akasaka/Kyle, Ryo Shirogane/Ryan, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Motorbike no more

 

Quando si diventa genitori si stipula un patto, le cui clausole, spesso e volentieri, non sono particolarmente vantaggiose. Ci si guadagna in amore, senza dubbio. E non un amore flebile, effimero come lo sono le cotte dei liceali. Con un figlio arriva il vero amore eterno, l'unico ed insostituibile.

Il patto è che insieme all'amore arriverà pure la paura eterna, quella che si appiccica allo stomaco e non abbandona mai, per nessun motivo al mondo, che sia notte o giorno, festa nazionale o lavorativo.

I genitori non dormono più.

La natura ha concesso nove mesi all'uomo per abituarsi alla nuova condizione. Il tempo serve tanto al feto quanto ai futuri genitori, in una sorta di esercizio che però, alla fine, non prepara quasi mai del tutto.

A Keiichiro Akasaka non erano stati concessi neanche quei nove mesi. Un paio d'ore e si era ritrovato ad essere padre, del suo migliore amico, con tutti i pro e i contro del caso. L'affetto sincero e fraterno che provava già nei confronti del giovane Shirogane, nel giro di neanche centoventi minuti si era tramutato in amore paterno.

E la Paura aveva bussato alla sua porta.

Perché adesso doveva prendersi cura di un undicenne con seri problemi relazionali. Toccava a lui insegnargli che il problema non stava nella sua mente geniale, bensì in quella poco avvezza all'altruismo del resto del genere umano. Toccava a lui crescerlo, educarlo, mostrargli cosa vuol dire essere adulti, onesti, indirizzarlo sulla strada giusta, assicurarsi che non si perdesse tra la marea infinita di vicoli della quale è costellata ogni via.

Ryo, per fortuna, non gli aveva mai dato molti pensieri. Era sempre stato introverso ed abbastanza intelligente da sapersi tenere lontano dai guai e sapersene cavare fuori da solo quando nonostante tutto ci finiva in mezzo. Lo conosceva, sapeva di potersi fidare di lui, ma da quando i coniugi Shirogane erano rimasti vittime dell'incendio che li aveva uccisi, non era mai passato un giorno senza che Keiichiro rivolgesse a Ryo uno sguardo preoccupato.

Quando si è particolarmente attenti, si può in un certo senso capire quello che sta per succedere. Sono sensazioni che si ripercuotono sul corpo.

Quello di Keiichiro non riusciva a riposare da un paio di notti, quasi se lo aspettasse, teso solo all'arrivo di quel momento, di quella telefonata.

«Keiichiro Akasaka? Dovrebbe raggiungerci».

Aveva indossato in fretta le scarpe e un giubbotto sopra la felpa del pigiama prima di catapultarsi fuori sotto la neve di gennaio.

Di quella notte si ricordava solo le luci accecanti, il rumore tanto forte da perforargli i timpani, la nausea alla bocca dello stomaco e, più di tutto, il senso di impotenza che gli aveva intorpidito il corpo, la solitudine quando si era reso conto che, in un momento come quello, non aveva nessuno da chiamare.

Non aveva potuto far altro che tornarsene a casa. Si era accasciato su una sedia del locale buio ed aveva nascosto il viso tra le mani, troppo debole pure per piangere.

Le ex ragazze Mew Mew lo trovarono così, un fantasma dagli occhi spiritati e le guance scavate dal dolore. Terrorizzate, corsero da lui. Purin lo scosse leggermente, ma Keiichiro parve tornare alla realtà solo quando Ichigo si accovacciò davanti a lui e lo supplicò di parlare.

«C'è stato un incidente. Ieri notte».

Parlava come un telegramma, con una lentezza dilaniante che non faceva altro che aumentare la preoccupazione delle ragazze.

Fu la parola che pronunciò dopo e il movimento quasi impercettibile che la seguì per rispondere alla domanda silenziosa e spaventata che loro gli stavano porgendo, il suo mento che disegnava un arco fra una spalla e l'altra, a distruggere tutto.

«Ryo...».

«No!».

L'urlo di Minto squarciò l'aria. Retasu si portò entrambi i pugni chiusi sul viso, all'altezza delle labbra. Le lacrime le bagnavano già il volto. Purin cadde a terra con un tonfo, le gambe spalancate, la braccia abbandonate lungo il corpo. Zakuro abbassò il capo e automaticamente prese tra le mani il crocifisso che portava al collo.

Ichigo invece restò immobile. Si tirò su e non disse o fece niente. Si limitò a guardare l'interno del Caffè Mew Mew, di solito così luminoso, rallegrato dalle chiacchiere dei clienti e quel giorno sprofondato nell'oscurità e nel silenzio del dolore.

«Vieni».

Prese Keiichiro per il braccio e lo aiutò a sollevarsi. Il pasticcere si lasciò trasportare senza lamentele e la seguì strascicando i piedi sul pavimento. Ichigo lo sostenne e lo accompagnò fino in camera sua, dove lo invitò a sdraiarsi e a riposare un attimo. Era pallido e le occhiaie che gli si erano disegnate in viso facevano paura.

«Non posso. Non posso» ripeté. «Devo andare in...» ma la parola gli rimase incastrata in gola. Il pensiero di pronunciarla si era trasformato in un pugno che lo aveva colpito dritto allo stomaco con una forza tale da costringerlo a piegarsi.

«Devi solo riposarti un attimo. Ci penserai dopo».

Keiichiro si arrese. Chiuse gli occhi e ritornò a coprirseli con i palmi. Sentì Ichigo allontanarsi, dirigersi verso la porta e la fermò.

«Ichigo». Fece una pausa come per cercare le parole che ancora si rifiutavano di uscire, per non diventare a loro volta colpevoli di quel misfatto. «Non andarci. Lui non vor... non avrebbe voluto».

L'unica risposta che ricevette fu il rumore della serratura che scattava e lo separava dal resto dell'edificio.

Le ragazze si voltarono verso le scale sentendola arrivare. Ichigo era ancora impassibile. Si aspettavano da lei la reazione più esagerata. Tra le cinque era la più legata a Ryo e invece era rimasta gelida e stranamente razionale di fronte a quella tragedia. Il viso le si era impietrito in una smorfia indecifrabile, sicuramente ben lontana dal dolore.

Ichigo guardò le sue amiche. Anche Minto e Purin si erano lasciate andare alle lacrime, ma mentre Minto si costringeva ad essere forte e con le dita affusolate si asciugava le guance, la bambina era inconsolabile. Piangeva a dirotto e i suoi singhiozzi rompevano ritmicamente il silenzio. Retasu le stava vicino, provando a convincerla di smettere prima di sentirsi male.

«Che facciamo?». Proprio Retasu interpellò tutto il gruppo. Ichigo e Zakuro si scambiarono un'occhiata persa ed infine fu la rossa a rispondere, prendendo nuovamente le redini della situazione.

«Ce ne torniamo a casa» sentenziò risoluta.

«A casa?» Minto e Retasu si unirono in un coro unanimemente sconvolto.

«A casa?» ripeté Purin con una vocina che non le si addiceva per niente.

Ichigo annuì. «Non c'è altro da fare».

«Ma...» provò a ribattere Retasu facendosi portavoce di tutte.

«Volete mettervi a lavorare?» rimase un attimo in silenzio in attesa di una risposta che non arrivò. «A meno che qualcuna di voi non sia in grado di costruire una macchina del tempo, non c'è niente che possiamo fare. Torniamo a casa».

«E Keiichiro?».

«Per ora riposa».

Ichigo non lasciò loro altro tempo per ribattere. Prese la via della porta senza voltarsi a vedere il Caffè rimpicciolirsi mano a mano che lei si allontanava da lì. D'un tratto, l'imponente edificio che negli ultimi anni aveva profondamente amato, aveva perso la sua magia. Era diventato un semplice ammasso di mattoni e cemento ed Ichigo sapeva bene che era una trasformazione irreversibile.

I suoi piedi parevano muoversi da soli. Non doveva neanche fare attenzione a non scivolare sull'asfalto reso fangoso dalla neve sciolta. Stringeva il manico della tracolla con entrambe le mani, lo sguardo fisso davanti a sé. Nessun cenno di emozione sul volto solo leggermente arrossato dal vento freddo che sferzava l'aria.

Una volta a casa, Ichigo si tolse scarpe e cappotto. Sakura, con un mestolo fumante tra le dita, si affacciò dalla cucina per vedere chi fosse. Alla televisione trasmettevano il TG dell'ora di pranzo.

«Sei tornata presto» fu la semplice constatazione della donna.

Ichigo le rispose con un'alzata di spalle ed imboccò le scale.

«Devo fare i compiti».

«E il pranzo?» si premurò di chiedere Sakura.

«Non ho fame».

Sua madre la osservò salire i gradini fino a che scomparve, nascosta dal muro.

«Guarda un po' se deve lasciarmi mangiare da sola... Che testa che ha!» borbottò rigirando lo stufato nella pentola. «Deve aver di nuovo litigato con quel ragazzo». Ma dal piano di sopra non arrivò nessun tonfo a confermarle quella teoria.

Ichigo posò la tracolla ai piedi del letto e si sedette alla scrivania. Estrasse un quaderno dalla pila che aveva accanto e con una matita cominciò a svolgere gli esercizi di matematica. Il professore ne aveva assegnati almeno due dozzine e lei non aveva la più pallida idea di come fare per ottenere il risultato giusto per ognuno di loro. Provò ad aiutarsi col libro ma mezzora dopo, quando Sakura bussò alla porta, era ancora ferma al primo.

«Ichigo? Ti ho portato un po' di dolce». Sakura entrò cautamente. Il budino al cioccolato nel piatto tremava come un edificio scosso da un forte terremoto.

«Grazie, mamma».

La donna poggiò il dessert sull'unico angolo libero sul comodino della figlia e con aria non curante si mise ad osservare la stanza, quasi che lì dentro potesse trovare la soluzione al mistero.

«Hai litigato con la tua amica Minto, per caso?» si informò sedendosi sul letto e stropicciandone il piumone.

«No, no» e nel frattempo Ichigo continuava a fare calcoli su calcoli.

«Hai litigato con quel ragazzo?» ritentò Sakura.

«Che ragazzo?». L'equazione non ne voleva proprio sapere di risultare.

«Quello che ultimamente ti ha accompagnata a casa».

Il rumore del legno che si spezzava fece trasalire madre e figlia. «Accidenti» borbottò Ichigo a denti stretti. «Non ne ho altre».

«Ichigo?».

La ragazza parve ricordarsi di botto di non essere sola. Girò la sedia verso la madre che attendeva una sua risposta e con tutta la calma che aveva in corpo le disse: «Mamma, non ho litigato con nessuno. Ho solo questi stupidi esercizi di matematica da completare ed ho pure finito le matite. Davvero, è tutto okay».

Sakura parve finalmente convincersi e dopo aver rassettato letto e gonna si avviò verso la porta. «Quando rincasa, magari chiedi aiuto a papà» consigliò ad Ichigo e la rossa annuì, ma dubitava che anche lui riuscisse a capirci qualcosa.

Si guardò bene dall'aspettare che sua madre arrivasse in cucina prima di sospirare. L'unico che avrebbe potuto aiutarla era Ryo e Ryo era... Era.

Ichigo si gettò sul letto e si coprì gli occhi con un braccio. Altro che matematica! Voleva solo addormentarsi e svegliarsi almeno tra una ventina d'anni.

Fuori il buio anticipato dell'inverno cominciava a calare, incitato dal vento gelido che infiltrandosi tra i rami nudi degli alberi creava strani sussurri. Cullata da quel suono, Ichigo chiuse gli occhi e permise al sonno di venirla a rapire. Sperava solo che oltre alla sua stanchezza, una volta passato, questo si portasse via anche la brutta giornata che era stata.

 

Sakura Momomiya accolse suo marito con il consueto abbraccio che gli riservava ogni sera al suo ritorno dopo il lavoro. Era un'abitudine che aveva preso quando erano fidanzati e lui andava a trovarla e se l'era portata dietro negli anni. Quella sera però Shintaro sembrava assente, più pensieroso del solito. La donna lo aiutò a sfilarsi il cappotto e gli tolse la valigetta di pelle dalle mani.

«Che succede, caro?».

Lo accompagnò con lo sguardo fino alla poltrona imbottita del salotto e lo vide infilare le dita tra i capelli, approfittandone per nascondere il viso stanco.

«Come sta Ichigo?».

La domanda la sorprese e l'espressione confusa di Sakura informò l'uomo che lei non sapeva niente di quanto era accaduto la notte precedente.

«E' strana. Si è chiusa in camera sua e non ha toccato cibo, ma insiste a dire che deve fare i compiti di matematica. Qual è il problema?».

Shintaro prese un respiro profondo prima di rispondere.

«C'è stato un incidente ieri notte. Il suo amico del caffè».

Sakura lo interruppe prima che potesse finire la frase, a sua volta incapace di concludere la propria.

«Keiichiro è...?».

Il marito scosse la testa, ma il parziale sollievo che quel diniego aveva provocato alla donna sparì immediatamente quando questa si rese conto che il “no” non era riferito all'esito.

«Il biondo».

«Ryo».

Sakura si accasciò sul bracciolo della poltrona sopraffatta dalla notizia. Le ci vollero appena due secondi per realizzare a pieno la cosa.

«Ichigo!» esclamò gettandosi verso le scale, in direzione della camera della figlia. Salì gli scalini a due a due, seguita a ruota dal marito, preoccupato per la sua reazione. Sakura non si attardò neanche a bussare. Si catapultò sulla porta della stanza da letto di Ichigo spalancandola con forza, ma non appena mise piede dentro, si fermò. Trovò la ragazza profondamente addormentata, il respiro regolarizzato dal sonno che le contraeva e rilassava i muscoli della pancia.

La donna si avvicinò per osservarla meglio. Ichigo sembrava tranquilla.

«Cara?». Anche Shintaro coprì il resto della distanza per portarsi accanto alla moglie. Lei poggiò una mano sul cuscino, tastando il tessuto della federa.

«E' asciutto» constatò. L'occhiata che scambiò col marito le confermò che la sua preoccupazione era tutto fuorché immotivata.

«Che facciamo?» chiese.

In un altro momento si sarebbe portata le dita alle labbra ed avrebbe cominciato a rosicchiare le unghie. Stavolta invece, si limitò a cercare il conforto di Shintaro, senza il quale non ce l'avrebbe mai fatta a venire a capo di quella situazione.

«Lasciamola dormire» consigliò infatti lui. «Domani valuteremo il da farsi».

Sakura annuì, seppur riluttante all'idea di lasciare la figlia da sola quella notte, ma consapevole che Shintaro aveva ragione. Per quanto stravagante e, a volte dimentico della sua vera età, suo marito sapeva essere molto saggio all'occorrenza.

La donna baciò i capelli di Ichigo e sorretta dal marito, andò verso la propria camera da letto, sicura che non avrebbe chiuso occhio.

A differenza della madre, Ichigo dormì un sonno profondo, seppur cupo. I sogni che di solito le tenevano compagnia, quella notte, l'avevano abbandonata in balia di una oscurità pesante.

Quando aprì gli occhi, la ragazza si sentì spaesata. Si guardò intorno, cercando di capire dove fosse. Aveva ancora addosso i vestiti del giorno prima e per un attimo una strana aspettativa le agitò lo stomaco. L'occhiata al resto della stanza, però, spense del tutto la piccola scintilla che le si era accesa dentro: i libri aperti sulla scrivania, la matita rotta, la borsa della scuola ai piedi del letto ed il budino ormai sciolto le dissero quello che non voleva sentire.

Si era addormentata con la speranza che fosse stato tutto un brutto sogno e una volta sveglia, la giornata sarebbe ricominciata da capo, senza tragedie, attendendo un sorriso che però, in quella realtà, non sarebbe più arrivato.

Alzarsi dal letto le richiese uno sforzo immane, ma alla fine si mise in piedi. Si concesse una doccia veloce ed indossò la prima cosa che trovò dentro l'armadio. Prima di scendere al piano inferiore, Ichigo prese un respiro profondo. Alla fine delle scale le sembrava di scorgere un precipizio e il solo pensiero di sporgervisi la terrorizzava.

A metà della rampa, i suoni provenienti dalla cucina la investirono. Sua madre era già all'opera tra pentole ed utensili vari, suo padre sfogliava il giornale mentre dalla TV la voce professionale di una giornalista scandiva attentamente le parole del serviziosuccessivo.

«Torniamo ora all'incidente che la notte scorsa ha coinvolto il giovane Ryo Shirogane. Il ragazzo di origine americana sembra stesse percorrendo la statale ad una velocità che rientrava nei limiti consentiti dalla legge, lo confermerebbe la lancetta del tachimetro, fermatasi sui 50 chilometri orari. La polizia stradale indica in una lastra di ghiaccio la causa dell'incidente. Il nome di Ryo Shirogane, in ogni caso, è entrato nella lista delle vittime della 'Statale maledetta'».

Sakura si lasciò sfuggire un sospiro affranto prima di voltarsi verso il marito per poi seguire il suo sguardo fino all'ingresso della cucina.

Ichigo stazionava immobile, a sua volta impegnata a fissare il televisore nell'angolo superiore della stanza, impassibile.

«Tesoro». Sakura partì subito in quarta, con l'intenzione di proteggere la figlia, sebbene consapevole che ormai non c'era più nulla da fare.

«Mamma, vorrei avere il permesso di saltare la scuola oggi» chiese soltanto Ichigo.

Sakura guardò a lungo la figlia. Impossibile da parte sua nascondere la preoccupazione per quello che era accaduto e su ciò che doveva ancora accadere. Sapeva bene che quell'esperienza avrebbe segnato Ichigo per sempre.

«Vuoi andare al Caffè?».

Ichigo annuì, affrettandosi a spostare lo sguardo fuori dalla finestra.

«Vengo con te».

La sorpresa colpì Ichigo come un martello mentre sua madre si asciugava le mani in uno strofinaccio e, slacciato il grembiule, lo appendeva al gancio accanto al lavandino. Non si sarebbe mai aspettata una reazione del genere da parte della madre, ma ne fu felice e sollevata. Aveva bisogno di qualcuno a cui appoggiarsi e solo una mamma sa come curare il cuore malato di un figlio.

Per strada, prevalse il silenzio, ma non c'era niente di imbarazzante. Sakura aveva capito che Ichigo non era ancora pronta ad esternare ciò che provava. Doveva ancora realizzare quel che era successo. Si era ritrovata travolta dagli eventi ed era sicura non si era per niente arresa all'evidenza dei fatti. Sperava in un brutto scherzo, in uno sbaglio, qualunque cosa, tranne nella realtà.

Ma varcata la soglia del locale, la ragazza dovette ricredersi.

La morte sa di aria viziata, di chiuso e stantio. Ha il colore dell'eterna penombra, una sfumatura indefinita tra il tutto e il nulla più totali.

Il Caffè Mew Mew era immerso nel semi buio creato dalle serrande abbassate. Sembrava di soffocare dentro al locale, sebbene la temperatura non superasse i quattordici gradi. Per un attimo la paura di un Keiichiro assiderato attanagliò lo stomaco di Ichigo, ma durò solo qualche secondo, il tempo di veder comparire l'amico da dietro la porta a doppio battente della cucina. L'espressione di sorpresa del pasticcere si addolcì in un sorriso sollevato, seppur appena accennato, una timida curva che disegnò delle rughette sulle sue guance scavate dal dolore degli ultimi giorni.

Sakura corse ad abbracciarlo, lasciando Ichigo a guardarsi intorno nella desolazione del locale vuoto e scuro, le braccia intrecciate attorno al busto, nella posa tipica di Zakuro, presa involontariamente a prestito per l'occasione.

Keiichiro e Sakura si sedettero un po' in disparte. Il pasticcere stava raccontando la sua versione della storia. Il brutto presentimento, la telefonata nel cuore della notte, l'iter burocratico dopo e non per ultimi il dolore e la disperazione. Aveva perso un figlio, un fratello, un amico. Ryo era stato la sua àncora di salvezza negli ultimi anni. Gli aveva dato uno scopo e lui aveva ricambiato donando al giovane americano l'affetto di una famiglia, benché molto striminzita. Ce l'aveva messa tutta. Lo aveva cresciuto secondo quei valori che gli Shirogane avevano prima instillato in lui stesso, ottenendo un risultato strepitoso. Ryo era diventato una persona stupenda.

E ora se n'era andato.

«Cosa pensi di fare?» chiese Sakura al pasticcere.

«Ho disposto la cremazione della salma. Porterò l'urna negli Stati Uniti e lo seppellirò accanto ai suoi genitori».

«Mi sembra un'ottima scelta».

Ichigo aveva seguito la discussione dei due in disparte, girovagando per la sala del Caffè come un'anima persa. Era voluta andare al locale, ma adesso non sapeva che fare. Si aspettava l'arrivo delle sue amiche da un momento all'altro, forse con loro accanto, avrebbe avuto un'illuminazione.

Le quattro ragazze Mew Mew fecero la loro comparsa al Caffè a scaglioni. Prima Retasu, poi Purin, infine Minto e Zakuro a distanza di pochi minuti l'una dall'altra. Anche loro ascoltarono la decisione di Keiichiro e si dissero d'accordo, anche se l'idea di salutare pure il pasticcere non le rendeva granché felici. Avevano già perso Ryo, lasciar andare pure Keiichiro significava mettere un punto fin troppo definitivo su tutta la storia che li aveva portati ad essere prima un gruppo, poi veri amici.

«Partirò dopo domani, giusto il tempo di lasciare tutto in ordine qui» le informò il pasticcere. Forse per colpa della penombra, forse a causa dello stress degli ultimi giorni, i suoi capelli sembravano più secchi. Aveva le labbra e le mani screpolate e si vedeva che la notte non gli aveva concesso granché riposo.

«Akasaka-san, ti prego, torna da noi» lo supplicò la piccola Purin. Lei più di tutti portava i segni di quella tragedia negli occhi sempre rossi per il pianto e nella voce tremolante.

«Per favore» aggiunse Retasu in un sussurro. Sapeva quanto potesse essere doloroso per l'amico continuare a vivere in un luogo tanto popolato di ricordi, ma era sua convinzione che tornare nella nazione che aveva lasciato anni e anni prima, dove non aveva niente e nessuno ad aspettarlo e confortarlo fosse una pessima decisione.

«Ci penserò» si limitò a dire Keiichiro. Non sapeva neanche lui cosa lo aspettava e non era sua intenzione dare delle false speranze a quelle ragazze a cui era tanto affezionato.

«Adesso andate a casa. Avete tutte un aspetto tremendo. Io devo sistemare le ultime cose. Ci vediamo giovedì in aeroporto».

«Ma...». Minto cercò di controbattere, però Keiichiro la fermò ancor prima che cominciasse.

«Vi prego».

«Su, ragazze. Akasaka-san sa quel che fa. Diamogli ascolto». Ichigo fu la prima a prendere la via della porta, accompagnata dalla madre e poi anche dalle altre, chi più chi meno riluttante. D'altra parte non c'erano alternative. Ormai era tutto finito.

 

Ichigo si svegliò nel cuore della notte, madida di sudore. Fuori nevicava, ma lei aveva caldo e dalla fronte alcune gocce rotolarono giù fino alla tempia. Aveva sete, così scese giù a prendere dell'acqua.

Tutto taceva in casa sua. I suoi genitori, dopo un pomeriggio concitato, si erano arresi alla stanchezza ed ora dormivano profondamente nella loro camera. La luce dei lampioni penetrava debole dalle finestre, imprimendo sul pavimento strani disegni in continua evoluzione, in base alla caduta dei fiocchi.

Nelle notti in cui non riusciva a dormire, Ichigo andava al Caffè Mew Mew. A volte in vestaglia, altre indossando le prime cose che le capitavano sotto mano, metteva le scarpe e percorreva la poca strada che la divideva dal locale. Apriva la porta di servizio con la sua chiave personale e si sedeva ad aspettare. Un paio di minuti dopo, Ryo faceva la sua comparsa, assonnato, ma pur sempre bello come il sole. Si sedeva accanto a lei, le porgeva la spalla sulla quale la ragazza poggiava la testolina rossa ed infine entrambi si addormentavano, l'uno accanto all'altra, in un muto sostegno reciproco, fatto di un affetto ancora acerbo ma da sempre presente.

Anche quella notte, Ichigo si incamminò verso il locale, entrò ed attese, ma quella volta non arrivò nessuno a tenerle compagnia. Gironzolò un po' per la sala, come aveva fatto di mattina, fino a quando si diresse in garage.

Non era una parte dell'edificio che visitava spesso, ma era facilmente raggiungibile. Accanto alla porta di servizio ve ne era un'altra, nascosta da una tenda pesante che portava al grande spazio dove Keiichiro e Ryo tenevano i loro mezzi di trasporto.

Ichigo entrò e fu subito sopraffatta dall'odore di benzina e pneumatici. C'erano la cabriolet del pasticcere, il furgone bianco delle consegne e un altro simile ai blindati che si usano per il trasporto di valori che Ichigo aveva visto in un paio di occasioni, durante le battaglie più dure. Era il mezzo di supporto tecnico per le Mew Mew. In fondo c'erano alcune biciclette malandate e un po' in disparte un telo plastificato disegnava una sagoma che Ichigo conosceva bene. Non era necessario che la scoprisse. Aveva visto quel mezzo un mucchio di volte. Rosso, con la carenatura bianca e gli ammortizzatori a spirale ben in vista. Si ricordava bene il suo rumore, un ringhio nasale che mai le era piaciuto.

La scoprì ugualmente, con un colpo secco.

Eccola lì: la moto incriminata. Keiichiro l'aveva riportata a casa. Era quasi intatta, volendo escludere le lunghe e disordinate strisce sulla carrozzeria e un'ammaccatura nella parte anteriore.

Qualcosa dentro di lei si mosse. Una spinta potente volta a fermare la cascata che stava per aprirsi. Se l'avesse lasciata andare avrebbe travolto tutto, senza lasciare scampo. Ma la scena che a lungo aveva provato a non immaginarsi si presentò prorompente ai suoi occhi. Eccolo, Ryo che guida. I lampioni che illuminano la sua strada, creando lampi sconnessi sulla mascherina del casco. La lastra di ghiaccio nascosta dal buio. Le ruote che slittano. La moto che si inclina e gli cade addosso.

La moto assassina.

Poteva salvarsi. Cavarsela con qualche ematoma, al massimo un trauma cranico attutito dal casco, qualche osso rotto.

Ma la moto gli era arrivata addosso. Gli aveva schiacciato il petto.

La moto lo aveva ucciso.

Ryo era morto.

Non c'era più.

Per la prima volta da quando era accaduto l'incidente, la consapevolezza di impadronì di Ichigo. Le lacrime le offuscarono gli occhi, i singhiozzi le sconquassarono il petto e le mani iniziarono a tremare convulsamente. Il dolore le invase il corpo.

Vicino alle biciclette, in uno scaffale di metallo, intravide un piede di porco. Lo afferrò senza pensarci più di un istante e, schiava della rabbia, sferrò un potente colpo alla motocicletta. Il suono del metallo che cozzava contro la carrozzeria di carbonio si espanse in tutto il garage, rimbombando come un tuono. Il danno era più che visibile. Aveva sfondato la parte del serbatoio. Con grande sforzo, Ichigo estrasse l'attrezzo dell'incavo che aveva creato e colpì di nuovo, stavolta sul sellino, poi ancora, i fanali, la carenatura, le frecce, le ruote, gli ammortizzatori.

Ogni colpo risuonava acuto e stridente, mischiato al pianto disperato di Ichigo. Le lacrime le impedivano di vedere bene per quanto scendevano copiose, ma la ragazza non accennava a fermare la sua opera di distruzione.

Si stava vendicando. Per tutti i sorrisi che quel veicolo maledetto le aveva rubato. Nella sua testa offuscata dalla sofferenza, si accavallavano le immagini del suo Ryo, dei suoi capelli biondi baciati dal sole il giorno che lui l'aveva portata al mare, di nascosto da tutti. C'erano i suoi occhi meravigliosi che la guardavano ridere. Le sue mani che le carezzavano il viso, asciugando la lacrima per il compito andato male. C'erano i suoi abbracci sulla soglia di casa, dopo averla accompagnata dal lavoro. C'era il futuro che stavano costruendo tra risate e linguacce, sguardi rubati e baci a fior di labbra tanto intensi da togliere il sonno ad entrambi. C'era tanto e adesso non c'era più niente.

«Ah!». La ragazza lanciò un urlo straziante. Il dolore le aveva rotto il respiro e mandato in fiamme la gola. Singhiozzava rumorosamente, incapace di immagazzinare aria.

«Ichigo!».

Keiichiro era accorso preoccupato dal rumore proveniente dal garage ed il terrore si era impossessato di lui quando aveva visto la ragazza dai capelli rossi impugnare il piede di porco che di solito lui usava per aprire le casse delle spedizioni.

In un attimo le fu accanto, bloccando a mezz'aria l'ennesimo colpo che stava per fracassare un altro pezzo di quel che ormai restava della moto di Ryo.

«Ichigo, fermati! Ti farai del male!».

«Non mi importa!» fu la risposta disperata della ragazza.

I singulti erano talmente forti da farle tremare tutto il corpo e farla sudare. Aveva i capelli alla base della nuca fradici.

«Ichigo, per favore!».

Keiichiro la sostenne, evitando che lei perdesse l'equilibrio mentre lasciava cadere a terra quell'aggeggio infernale. L'abbracciò forte, provando a tranquillizzarla, ma si rendeva conto che era pressoché impossibile. Si rese conto che non era da solo. Qualcun altro poteva provare la sua stessa sofferenza, ma Ichigo, a differenza sua, non era così forte da saperla sopportare.

Avevano perso entrambi una parte di se stessi.

Crollarono a terra. Ichigo teneva il viso nascosto tra le pieghe della camicia di Keiichiro. Non smetteva di singhiozzare, il respiro rotto che quasi la costringeva all'apnea.

«Se n'è andato» ripeteva. «Se n'è andato. Non è giusto. Avevo ancora tante cose da dirgli. Io... Io dovevo... Dovevo dirgli che...».

Keiichiro si nascose a sua volta tra i capelli spettinati della ragazza. Si sentiva distrutto, capace solo di continuare ad abbracciare quel corpicino martoriato quanto il suo.

«Dovevo dirgli...»

«Lo so, Ichigo, lo so».

 

E lo sapeva anche lui.

 

 

 

 

Lo so, vi chiedo scusa. Manco per un'eternità, promettendovi faville e torno con una Fan Fiction che più triste e cupa non si può. Mi dispiace, ma è venuta fuori questa e così, non so che dirvi. Io prendo il lato positivo, è la prima storia che completo da non so quanto tempo.

Rimando il buon proposito di svelarvi chi sono (anche se alcune di voi già lo sanno) semplicemente per salvaguardare la mia vita giusto il tempo necessario per finire la serie di Bitch e la straordinaria long con cui vi tartasso da un annetto circa.

E per farvi vedere che ci sto seriamente lavorando e non mi tengo la pancia, vi svelo i nomi dei protagonisti. Samantha, Torrance, Ian, Drew, Bryce e Bruno.

E le Mew Mew? Oh, ci sono pure loro. Ve l'ho detto. Sarà una cosa senza precedenti ;)

Spero che la storia vi sia piaciuta nonostante il tema trattato. Chiedo perdono a Ryo per l'ennesima sofferenza che gli ho inflitto e vi saluto.

Alla prossima storia!

Non dimenticatevi di me.

Baci, bacini, bacetti, la vostra sempre affezionatissima

Serenity Moon

   
 
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