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Autore: Le notti con Salem    01/10/2014    0 recensioni
Un momento di solitudine di Dagran e una chiacchierata con Ariela e la mercante d'armi Jenna mentre tornano alla Taverna.
Perché non c'è bisogno di passare ogni singolo momento a lottare: qualche volta è necessario fermarsi e pensare ad altro. Magari farsi predire il futuro da un'indovina, anche se può essere molto pericoloso...
(Questo racconto e tutte le sue parti sono già stati pubblicati sul mio account su DeviantArt)
Genere: Fantasy, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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In buona compagnia

Dagran si era svegliato prima del sorgere del sole e aveva lasciato la Taverna facendo meno rumore possibile. Solo il taverniere Kentis e quell'indovina che sostava sempre di fronte alla Taverna lo avevano notato. Aveva girovagato per ore per l'isola, rimuginando sugli ultimi avvenimenti, prima di fermarsi su quella scogliera. Era un posto isolato e tranquillo, l'ideale per starsene da solo; cosa di cui aveva un gran bisogno in quel periodo. Stette per un po' seduto a fissare l'orizzonte perso nei suoi pensieri, agitati come le onde sotto di lui, senza trovare però il conforto che cercava.
Stufo delle proprie elucubrazioni, incrociò le mani dietro la testa e si lasciò cadere all'indietro sul prato, accanto alle sue due spade, le gambe penzoloni dallo sperone. A quel punto svuotare la mente sembrava la scelta più giusta da fare.
In quel momento notò nell'aria quella strana polvere, simile a frammenti secchi di petali. Ormai arrivava ovunque. Dagran la fissò, all'erta. Ma prima che si posasse sul prato il vento la sospinse oltre lo strapiombo, verso il mare aperto.
Possibile che questa polvere sia davvero il segno che il nostro mondo sta morendo?
 Ma dove ne appariva di più, lo sapeva, la gente tendeva ad ammalarsi, ad avvizzire. E chi sopravviveva non era poi così fortunato.
Anche lui in realtà ne era avvelenato da tempo, tuttavia le cure che Mirania prestava al gruppo durante le battaglie avevano rallentato il corso della malattia, permettendogli di nascondere la cosa a tutti, perfino alla maga.
Forse a lungo andare avrebbe potuto guarirlo del tutto...
Dagran chiuse gli occhi e scacciò la polvere dalla propria mente, la soffiò via come il vento poco prima e per un po' rimase solo insieme al grido dei gabbiani.
Rimase lì a sonnecchiare finché i raggi del sole non fecero capolino dalle rocce sovrastanti e i morsi della fame gli ricordarono che era quasi mezzogiorno.
Era rimasto per più tempo del previsto, senza contare che dormire da soli in un luogo così esposto e lontano da ogni possibile aiuto era un azzardo.
Si tirò su e dopo essersi spolverato la corta cotta di maglia e le braccia, si dette un'ultima occhiata intorno. Prese in considerazione l'idea di accontentarsi di qualche frutto selvatico e rimanere lì a godersi la tranquillità di quell'anfratto ancora un po'; la fame però era troppa: ci voleva della carne, e lì non ce n'era. Si passò una mano fra i capelli scuri. Tanto valeva tornare alla Taverna.
Raccolse le spade, le fissò alla cintura coprendole con la mantella attorno alla vita e si avviò verso la spaccatura nella parete di roccia alle sue spalle. Si destreggiò tra gli spuntoni del passaggio per una decina di minuti, con la poca luce che arrivava dalle fessure sopra la sua testa a illuminargli la strada, prima di arrivare alla galleria principale che dava accesso alla Torre degli Astronomi. Girandosi verso destra, diede le spalle alle rovine illuminate dal sole appena oltre l'uscita e si preparò a proseguire verso la città quando una giovane voce femminile alle sue spalle lo chiamò.
«Dagran, sei tu?»
Riconoscendo la voce, si voltò. Dall'ingresso delle rovine vide avvicinarsi di corsa la chioma rossa di Ariela, seguita da Jenna, la mercante che viveva alla Taverna.
Dopo averlo raggiunto, la ragazza dovette alzare la testa per incrociare il suo sguardo e gli rivolse un sorriso mentre riprendeva fiato.
«Non pensavo di trovarti da queste parti. Da dove sei sbucato? Quando siamo passate prima, non c'era nessuno.»
«Sono arrivato poco fa per dare un'occhiata alla Torre...» improvvisò «...ma non mi ero reso conto dell'ora e quindi stavo tornando alla Taverna. Piuttosto, voi due come mai siete qui? Può essere pericoloso andare in giro da sole.»
«Oh, di questo non devi preoccuparti» replicò tranquilla Jenna battendosi una mano sul fianco.
Solo in quel momento Dagran notò che, oltre a una borsa di tela mezza vuota, la donna portava appese alla cintura dei pantaloni anche una spada e una piccola balestra.
«Le armi non so solo venderle» aggiunse lei con un sorrisetto.
«Avevo voglia di guardare un po' il mare e ho chiesto a Jenna di accompagnarmi» cominciò a spiegare Ariela. «Sai, al porto e all'ingresso della città c'è sempre un gran viavai e io volevo stare un po' tranquilla. Stavamo tornando anche noi ormai. Ti va di fare la strada insieme?»
Accettò volentieri. Di Jenna non sapeva molto, ma Ariela alla Taverna si era sempre dimostrata una compagnia piacevole e ora che la vedeva al di fuori delle mura di casa sua sembrava quasi più allegra del solito.
«Come mai tutta questa voglia di vedere il mare?» le chiese dopo un po' che camminavano, in parte per curiosità e in parte nella speranza che le chiacchiere bastassero a coprire le proteste sempre più insistenti del suo stomaco.
«Beh...» cominciò Ariela «Hai presente il muro alla Taverna con le monete straniere attaccate sopra? Ogni volta che lo guardo, mi fa venire voglia di viaggiare e guardare il mare mi fa sentire come se potessi raggiungere qualunque posto.»
«È un bel pensiero» commentò lui mentre Jenna tirava fuori dalla borsa un paio di mele e gliene offriva una «Magari un giorno non ti limiterai a guardarlo, ma lo solcherai e visiterai terre esotiche, non si sa mai. Guarda me: da bambino volevo diventare Cavaliere ed è per questo che appena ho potuto ho fondato un gruppo di mercenari con Zael. Abbiamo lavorato sodo e dopo tanti sforzi il sogno è quasi realizzato» concluse dando un morso deciso al frutto che aveva in mano. Per quanto piccola, quella mela gli portò comunque un gran sollievo.
«Già. Ho sentito del tuo amico» iniziò Jenna «Ora che lui ha passato l'esame per diventare Apprendista Cavaliere, lo sosterrai anche tu, vero?» 
Vedendolo annuire, la donna continuò soddisfatta: «Fa piacere vedere che qualcuno alla fine realizza i propri sogni d'infanzia. Suppongo che da bambino immaginassi di combattere per la giustizia o cose simili con un'armatura scintillante.»
«Sì, qualcosa del genere...»
All'inizio era così, ma dopo la distruzione del suo villaggio e la morte della sua famiglia aveva deciso di farlo per vendetta. Era stata proprio una fortunata coincidenza il fatto che il Generale Asthar avesse preso Zael in simpatia.
Così tutto era più semplice: poco tempo ancora e avrebbe finalmente tolto la vita all'uomo che aveva distrutto la sua. 
Ma quello sarebbe stato solo il primo passo verso il suo vero obbiettivo, e anche se lo faceva soffrire, era necessario che Zael non sapesse niente dei suoi piani; era troppo idealista per perseguire la vendetta insieme a lui.
Curioso, come due bambini rimasti orfani per motivi simili e cresciuti insieme siano diventati due uomini con punti di vista così diversi...
Dopo qualche attimo di silenzio si accorse che Ariela e Jenna lo fissavano, in attesa di qualche dettaglio in più.
«Beh» continuò indicando la cotta che indossava «questa roba non è certo l'armatura che immaginavo da bambino, ma come mercenario non potevo permettermi di più. E farsi pagare dal primo che passa per fare qualunque cosa non lo definirei “combattere per la giustizia”.»
Ariela gli ricordò che, in fondo, dal loro arrivo a Lazulis non avevano fatto altro che aiutare persone bisognose, lei compresa, senza chiedere niente in cambio e che quello doveva pur valer qualcosa.
Jenna invece lo squadrò con un'intensità tale da farlo sentire a disagio.
«In effetti quella cotta ha l'aria un po' vecchiotta, e mi sembra anche troppo sottile» A quanto pareva era più interessata ai loro mezzi che ai loro scopi «Non è certo roba che venderei, ma immagino che a qualcosa sia servita, visto che sei ancora qui a parlarne.»
«Chissà quante ne hai viste!» replicò Ariela entusiasta «Dai, raccontaci qualche  avventura che hai vissuto con i tuoi compagni!»
Dagran si grattò la testa cercando di prendere tempo «Ehm, francamente  Ariela, non mi piace molto parlare del nostro lavoro. Per la maggior parte non sono ricordi piacevoli.»
La ragazza sembrò delusa, ma dopo qualche secondo ripartì all'attacco.
«Magari potresti parlaci di quel che avete fatto qui su Lazulis. Qui le cose vi sono andate bene: ho già sentito alcune voci alla Taverna, ma tu potresti darci tutti i dettagli. L'avrei chiesto anche agli altri, ma non volevo disturbare troppo...»
E adesso che lui era solo con lei e Jenna, era a sua totale disposizione.
«E va bene. Cosa vuoi sapere?» sospirò Dagran.
Ariela non se lo fece ripetere due volte «Vediamo... magari qualcosa in più di quella volta che avete preso la medicina per mio fratello al covo di quei banditi... no, forse invece di quando avete salvato quella bambina - come si chiamava, Alice? - alla Lucertola di Fuoco... Ah, ci sono!» esclamò soddisfatta alla fine.
«Raccontaci di come avete salvato mia sorella Meredith. È successo non molto tempo fa quindi dovrebbe andar bene, no? Horace era troppo agitato per raccontarmi tutto...»
«Horace? L'occhialuto che ha il negozio vicino alla Taverna?»
A quanto pareva Jenna non ne sapeva niente, mentre Horace aveva la lingua più lunga di quanto immaginasse, ma Dagran in fondo se l'aspettava: quella volta, mentre li ringraziava per l'aiuto, si era lasciato sfuggire dei dettagli molto privati su ciò che avevano fatto lui e Meredith una volta tornati a casa.
«Non sapevo che fosse tua sorella. Comunque sì,» le confermò «Meredith era sparita e Horace si era convinto che l'avessero presa gli “abitanti” della villa abbandonata nella zona nord della città. Aveva ragione alla fine.»
«Ma dai! Quindi le storie erano vere?»
«C'erano davvero fantasmi e morti viventi come si dice?» si intromise Ariela.
«Sì, e anche troppi!»
Le due si guardarono eccitate e lo incitarono a continuare.
«Purtroppo non posso dirvi molto di più. Quegli esseri sbucavano da ogni parte cercando di catturarci e...» man mano che parlava abbassò sempre di più la voce «... mi hanno preso. Per primo. Ho passato metà del tempo chiuso in una bara» concluse mesto. A quelle parole Jenna inarcò un sopracciglio mentre Ariela fece di tutto per non scoppiare a ridergli in faccia.
Tipico. In fondo anche Zael e gli altri mi sfottono sempre per questo. Se cado sempre in ogni trappola e agguato è solo per sfortuna, non lo faccio mica apposta!
«Comunque alla fine ci siamo liberati tutti e grazie alla magia di Lowell e Yurick abbiamo polverizzato quegli esseri.»
«Come mai rapivano la gente? Se la mangiavano?» domandò Ariela turbata.
«Non loro, ma quello che li comandava. Non abbiamo capito cosa fosse di preciso - credo fosse una specie di vampiro o roba simile - comunque si nutriva di energia vitale. Da quel che abbiamo scoperto leggendo dei diari trovati là dentro, l'aveva evocato il nobile che abitava in quella villa per aumentare il suo potere, ma richiedeva continui sacrifici umani e alla fine ne è stato sopraffatto.»
«Inquietante. Ma voi l'avete sconfitto, giusto?»
«Già. In fondo non era niente che non fossimo in grado di affrontare» Dagran non poté fare a meno di dirlo con un pizzico di orgoglio. La cosa non sfuggì a Jenna, che decise di rimetterlo in riga.
«Ma sentilo! Non hai detto che hai passato metà del tempo in una bara? Dovete per forza aver usato qualche trucco bislacco per sconfiggerlo.»
«Ehm, Zael ha detto che il figlio del nobile gli ha dato le armi giuste, ma lì c'eravamo solo noi quattro, Horace e Meredith. Inoltre non ho notato niente di diverso nelle sue armi.»
«Quindi vi avrebbe aiutato un fantasma?»
Dagran annuì.
«Roba da far venire i brividi!» commentò Ariela «Come se non bastassero già i Reptid e i Gurak a causare problemi. In qualunque caso, finché ci sono in giro anche persone come voi, mi sento più serena. Se mi rapiscono venite a salvarmi, mi raccomando!» concluse mettendo una mano sulla spalla di Dagran.
Lui le sorrise, sperando che la sua faccia esprimesse di più l'imbarazzo per il complimento ricevuto piuttosto che la vergogna per la fiducia immeritata. Sapere che in pratica per mettere in atto la sua vendetta era stato lui a condurre i Gurak sull'isola, l'avrebbe fatta sentire tutto fuorché serena.
Per fortuna quando rivolse il suo sguardo di nuovo in avanti si rese conto che avevano ormai raggiunto la grande e trafficata via d'accesso di Lazulis.
Ariela si allontanò dalle pareti rocciose che sovrastavano il lato occidentale della strada e si affiancò alla staccionata che dava sullo strapiombo sul mare: nonostante la loro fretta, voleva rimanere un attimo lì a scrutare l'orizzonte.
Jenna le si avvicinò e le due ripresero a parlare, ma Dagran non prestava più attenzione. Guardandosi intorno aveva notato che diverse persone in mezzo a quel viavai gli lanciavano delle occhiate, come se lo conoscessero, per poi rivolgergli dei cenni di saluto a cui rispondeva educatamente. Alcune erano in gruppo e dopo esser riuscite ad ottenere un gesto di risposta iniziavano a confabulare eccitate tra loro, come se avessero appena incontrato chissà quale celebrità. Altre ancora, anche se in numero minore, fingevano di non averlo visto o si voltavano sdegnate. Dovette fare un notevole sforzo di autocontrollo affinché la sua faccia non mostrasse il disprezzo che provava per tutta quella gente.
Ipocriti.
Grazie alle imprese ufficiali di Zael, ora lui e il resto del gruppo erano tenuti in maggiore considerazione, ma al loro arrivo a Lazulis che accoglienza hanno ricevuto? Scansati come appestati, quasi colpevoli del semplice fatto di esistere. E pensare che appena arrivati, qualche mese prima, giusto in fondo a uno degli sbocchi di quella stessa strada, avevano salvato dei bambini dall'attacco di quella strana tigre bianca: tutti lodi e ringraziamenti, almeno fino a quando non scoprirono che i loro “eroi” erano dei mercenari... bella gratitudine!
«Andiamo?»
Ariela e Jenna lo stavano aspettando per avviarsi verso i cancelli della città.
Due delle poche persone che non si erano fermate alle apparenze e li avevano trattati con rispetto. Certo, visti i loro mestieri era abbastanza normale che trattassero così dei potenziali clienti, tuttavia, col passare del tempo e ricordando esperienze passate, si erano resi conto che  l'atteggiamento che avevano nei loro confronti era sincero.
Momenti come quello non facevano altro che sottolinearlo.
«Va bene» rispose con gentilezza e assieme alle due donne superò i cancelli e proseguì lungo la salita che conduceva alla città di Lazulis.
   
 
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