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Autore: Oldwhatsername_24    01/10/2014    3 recensioni
Ultimo "capitolo" della linea "Now I wonder how Whatsername has been" e "Hope", una fine che torna all'inizio...
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Whatsername
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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the end.
 
 
 
 
 
 
 
-B-
Tic-tic-tic
Il rumore dell’elettrocardiogramma proprio non lo sopporto.
Così fastidioso, così regolare, un tempo non era così.
Un tempo il mio cuore batteva più veloce, diversamente da tutti gli altri.
Apro gli occhi, sempre la stessa stanza bianca e austera, sempre gli stessi tubi infilati nelle braccia e nel naso.
Un tempo non facevo altro che aspettare i momenti che il respiro me lo levavano, ora sono costretto ad utilizzare un macchinario che fa l’esatto contrario.
Tutto va a rilento, anche i miei pensieri.
Gloria, mia figlia, è tornata per starmi accanto, e dorme sulla poltrona bianca accanto al mio letto.
Anche sul suo viso, che ha dovuto affrontare fin troppe esperienze per una vita sola, cominciano ad essere visibili i segni del tempo.
Respiro piano, sul mio comodino ci sono tutti gli album dei Green Day, quasi trenta tra video e documentari vari.
Una vita intera in confezioni di plastica.
Guardarli mi fa sentire sulle spalle ogni singolo momento dei miei settant’anni.
Già, settant’anni.
Quarantotto da marito.
Cinquantadue da padre.
Trentadue da nonno.
Solo quattro da bisnonno, in effetti.
Tutti i miei figli e i miei nipoti sono qui per me, c’è anche Adrienne.
Già, Adrienne.
Non la vedo da quasi vent’anni.
Mi ero accorto subito che non stava bene, avevamo quasi smesso di parlarci, di guardarci; lei aveva sempre i pensieri altrove, vagava lontano chiusa nella sua bolla di vetro.
Poi, un giorno, così come era arrivata, era andata via.
Aveva troppi rimpianti, troppe cose ancora da fare, troppi luoghi da vedere.
Ripensandoci la capivo bene, non è facile vivere con una persona che deve condividere il suo cuore con un fantasma.
E i fantasmi del passato non hanno mai abbandonato né lei né me.
Ma adesso è qui, siamo stati compagni di vita per abbastanza tempo da volerci bene anche dopo vent’anni di separazione.
Mi viene quasi da ridere; non tocco droghe e alcol da trent’anni e cos’è ad uccidermi? La stessa cosa che ha ucciso mio padre e la donna che amavo prima di me.
Avrei dovuto smettere anche di fumare, in effetti.
Quando i medici me lo avevano detto non avevo dato di matto, non ero partito per qualche strano viaggio attorno al mondo, né mi ero ubriacato come una spugna.
Avevo accettato la mia fine con una quieta consapevolezza.
E poi avevo scritto una canzone, l’ultima, registrata insieme ai ragazzi nel giro di una settimana scarsa.
The end aveva avuto un successo clamoroso, un picco prima della caduta, l’ultimo balzo verso il sole prima che le mie ali di cera si sciogliessero.
Guardo i miei figli, dormire tranquilli accanto alle loro famiglie; Guardo Mike e Trè, vecchie e stanchi quanto me, addormentati l’uno addosso all’altro a russare come camion, e mi viene da sorridere perché lascio la vita con il senso di soddisfazione di chi sa di aver fatto qualcosa di buono.
Chiudo gli occhi, ignorando quel maledetto tic-tic-tic, e con un sospiro mi abbandono all’oblio.
 
Luce.
La prima cosa che noto è che c’è luce, tanta tanta luce.
Ma dove sono?
Mi guardo intorno, conosco questo posto, conosco questi prati e queste case, conosco questi alberi che mi circondano: è casa mia, la casa in cui sono cresciuto, ma mi sembra appartenga ad un tempo diverso, come se fosse appena uscita da un ricordo.
Mi guardo le mani, le rughe sono sparite, le unghie perfette, credo di avere anche qualche tatuaggio in meno.
Cosa mi è successo?
Mi alzo in piedi, piuttosto disorientato, ma lo sguardo vaga ancora tra le foglie degli alberi, che risplendono della luce del sole che vi filtra attraverso.
E poi la vedo.
Bella, luminosa, esattamente come è sempre rimasta nei miei ricordi.
“W…”
“Ciao, BJ”

Mi sorride, e il suo sorriso mi fa sentire ancora più leggero, sento su di me una pace che non avevo mai provato prima.
Va tutto bene.
La abbraccio forte, facendola roteare, e mi sembra impossibile poterla di nuovo stringere a me, poter accarezzare la sua pelle morbida.
Anche lei sembra più giovane, sembra tornata ad avere diciassette anni, ha i capelli raccolti in una crocchia morbida, due riccioli le ricadono sul viso tondo e sorridente, i suoi occhi neri non sono mai stati tanto splendenti e indossa quel dolce prendisole bianco a fiori che tanto adoravo, e che fa risaltare il colore olivastro della sua pelle.
La bacio, e le sue labbra non mi sono mai sembrate tanto calde e dolci e vicine.
“Sei qui”
“E non andrò più via”

E poi, all’improvviso, mi rendo conto di dove siamo, o forse l’ho sempre saputo.
La guardo, lei capisce i miei pensieri, come sempre, e fa l’espressione che faceva sempre da bambina quando qualcuno la coglieva sul fatto, espressione che Gloria ha ereditato.
“E’ finita, vero?”
“E’ solo un nuovo inizio”
Le accarezzo il viso.
“Il primo giorno del resto della nostra vita, no?”
Crolliamo sull’erba, in ginocchio, stretti in un abbraccio rimandato da troppo tempo, e tutti i ricordi della mia vita mi vorticano in mente, e penso a tutte quelle volte in cui, sebbene lei non ci fosse, l’ho profondamente delusa.
“W, io…”
Lei posa l’indice sulle mie labbra, continuando a sorridere, gli occhi lucidi e pieni di lacrime, ma non lacrime tristi.
“Sei stato bravo…”
“Nostra figlia…”
“E’ bellissima, non è vero?”
“Ed è forte, molto forte, anche troppo”

Ridacchiamo entrambi, ancora stretti nel nostro piccolo giaciglio di felicità.
“Perché sono più giovane?”

W alza le spalle.
“Si torna al momento in cui si è stati più felici, nel posto in cui si è stati più felici”
chiudo gli occhi, assaporando quel mix di profumi, suoni e sensazioni che hanno accompagnato la mia infanzia ed adolescenza.

“…Gloria, Mike e Trè,i miei figli?”
“Ci raggiungeranno, un giorno, ma per adesso hanno il loro percorso da vivere”

Ci alziamo, tenendoci per mano, e lo sguardo vaga alla casa e all’albero che collegava le nostre stanze, alla casetta sull’albero che ci ha accolti per così tante serate.
“Dove si va adesso?”
“Dove vuoi, ma prima c’è qualcuno che vuole vederti”

Piuttosto perplesso, la seguo lungo il vialetto alberato, fino ad arrivare ad uno spiazzo che occupa qualche vecchia panchina sgangherata, un posto dove passavamo la nostra infanzia.
Mi blocco, e il mio cuore ha un sussulto.
Poi, con voce tremante dico:
“Ciao, papà”
Mio padre si alza dalla panchina, identico a come lo ricordavo, mi concede un sorriso sornione e si avvicina.
“Ciao, figliolo”
Rimaniamo così, fermi a guardarci per un tempo che pare interminabile.
Ma cos’è in confronto all’eternità che ci si prospetta davanti?
“Sono fiero di te, Billie Joe”
Ed è tutto quello che avevo bisogno di sentire.
Camminiamo insieme, tutti e tre, lungo il viale alberato e verso la luce del sole.
“Adesso dove andiamo?”
“Ovunque vuoi, quando vuoi, possiamo rivivere ogni momento o crearne di nuovi se ti va”

Guardo W, intrecciando la mia mano nella sua, e ripenso alle parole di “the end”:
 
In the end I’ll understand
In the end I’ll be alright
In the end I’ll stay with my lost love
In the end I’ll find my first hero
In the end, I’ll come back to the start.
 
E poi capisco, quell’ultima frase racchiude in se tutto quello di cui ho bisogno adesso, l’ultima prova che tutto ciò che ho vissuto era reale.
Camminiamo verso la luce, e chiudo gli occhi immaginando perfettamente la scena, tornando all’inizio.
 
-Esterno- 1977
A Berkeley, precisamente nel quartiere di Rodeo, l'estate del '77 sembrava essere molto più calda del solito. in una casa dalle pareti bianche, un bambino di 5 anni gioca con le automobiline e la costruzione nel suo giardino, canticchiando "look for love", canzone composta neanche 3 settimane prima.
Billie Joe, maglia rossa, capelli schiariti dal sole e sfavillanti occhi verdi, alza lo sguardo sulla villa accanto alla loro, una villa decisamente lussuosa per un quartiere del genere, e al furgone dei traslochi parcheggiato sul loro vialetto. I traslocatori andavano avanti così da tre giorni, ma quanta roba avevano quelli? Anche Billie Joe e la sua famiglia si erano trasferiti da poco da Oakland, ma era bastato un pomeriggio per portare la loro roba!
Dopo quel pensiero Billie Joe tornò concentrato sulle sue macchinine. I suoi cinque fratelli, insieme a sua madre Olly, erano tutti alla festa in piscina di Molli Jones, lui aveva preferito rimanere a casa con suo padre Andrew, che era appena tornato da un viaggio di due settimane.
Assorto nei suoi pensieri com’era, Billie non si accorse dei due occhietti che lo osservavano da oltre la staccionata.
Proprio all’ingresso del vialetto di casa loro, rimanendo sulle punte per sporgere il viso paffutello oltre lo steccato, c’era una bambina poco più piccola di Billie.
Non appena il cancello si aprì e lei poté entrare, Billie la osservò bene: aveva una folta chioma riccia e scura, un viso paffuto ma non era cicciottella, un piccolo naso tondo e due grandi, enormi, occhi marrone scuro. A differenza sua era alta per la sua età, indossava un vestitino celeste a scacchi e, non appena vide che lui l’aveva notata, si aprì in un grande sorriso che le occupò l’intero volto. Billie non riuscì a fare a meno di sorridere a sua volta e lei lo prese come un invito, venendo a sedersi accanto a lui sull’erba.
“ Ciao…” disse Billie alla sconosciuta.
“Ciao!” rispose lei sorridente.
“Sono Billie Joe, e tu sei?”
 
Ada
Ebbene si, un miliardo e mezzo di anni dopo… SONO TORNATA! Avevo promesso questa ultima parte, questa fine dovuta ad una storia che mi ha davvero preso tanto! Vorrei solo ringraziarvi tutti per avermi seguita, per aver amato ed odiato i personaggi insieme a me, e anche se so che mi odierete per questo finale… era necessario, come tutto il resto : ) si torna all’inizio, gente, e non per forza questa deve essere una cosa negativa! A presto, dalla vostra Oldwhatsername !
Rage & Love
  
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