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Autore: vannagio    02/10/2014    10 recensioni
Quella era davvero una giornata del cazzo. E JD ne aveva le palle gonfie, di quella merda. Dieci farfalline in un giorno erano troppe per fino per il Santo Protettore Dei Tatuatori. Che forse non esisteva affatto, vista e considerata la ragazzina che era appena entrata nel suo negozio di tatuaggi. C’era solo un tipo di ragazza che JD detestava più della solita Barbie Voglio Una Farfalla Sull’Inguine, ovvero la classica Bellezza Dark.
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Una storia di metallo e inchiostro'
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Per la serie…
“Quando vannagio vaneggia!”







Dedicata a fila, che oggi compie gli anni!
Tantissimi auguri!




Extra
-La grigliata-




«Quindi… quando ci vediamo per la prossima seduta?».
JD scostò la tenda per far passare Ted.
«Giovedì alle cinque va bene?».
Ted annuì.
«Ottimo».
«Un sorriso per la stampa!».
JD e Ted ebbero appena il tempo di voltarsi e si trovarono di fronte alla lente di un obbiettivo, incorniciata da un caschetto nero. Subito dopo il click dello scatto e il sorriso di Darla che faceva capolino da dietro la fotocamera.
«Darla, ma che cazzo…?».
«Ted, per favore, alzeresti la maglietta?».
Glielo chiese come se gli stesse proponendo di appartarsi dietro la tenda per una sveltina. Probabilmente lo aveva fatto davvero: quando JD era arrivato al negozio, quel pomeriggio dopo la pausa pranzo, aveva trovato Darla seduta sul marciapiede a fumare una sigaretta e Ted stravaccato sul divano a fissare il soffitto come uno che ha appena raggiunto il nirvana.
«Se me lo chiedi con quel sorriso, la maglietta non sarà l’unica cosa ad alzarsi, dolcezza».
«Tu sì che sai come si parla a una donna». Darla inquadrò il complicato tatuaggio maori che occupava metà busto di Ted e – click – poi contemplò soddisfatta la fotografia sul dispay. «Posso pubblicarla su internet, vero?».
«Nessun problema».
Non appena Ted fu uscito dal negozio, non prima di aver insistito per avere il numero di telefono di Darla, che per esasperazione lo aveva accontentato, JD incrociò le braccia al petto.
«Darla, si può sapere che combini?».
«Niente paternale, okay? Ted è un bravo ragazzo, quando si accorgerà che gli ho dato un numero falso se ne farà una ragione».
«Non me ne frega un cazzo di Ted, mi riferivo alla foto».
Darla roteò gli occhi e andò a sedersi dietro al bancone, davanti al portatile.
«È per la tua pagina Facebook».
«Ho una pagina Facebook?».
«In realtà ce l’ha il tuo negozio. Sto assemblando degli album, così la gente vedrà quanto sei bravo e farà a botte per avere un tuo tatuaggio».
«Il tatuaggio di Ted non è completo…».
«Fa niente, metterò la sua foto nell’album “Work In Progress”».
«…e mi sembra di avere detto circa un milione di volte di non volere pubblicità. Porta solo coglioni e tatuaggi idioti».
«Con l’arte non si mangia, JD, ed io ci tengo al mio stipendio».
«Nessuno qui ha mai messo in discussione il tuo stipendio».
«C’è crisi. Meglio non lasciare nulla al caso».
JD si appoggiò al bancone con entrambe le mani e si sporse verso Darla, fissandola dritto negli occhi.
«Cancella. Quella cazzo. Di pagina».
L’espressione cordialmente perplessa di Darla era a un palmo dalla sua faccia. «Sei minaccioso come un gattino che arruffa il pelo, JD. Adesso smetti di fare i capricci e va’ a disegnare nella tua stanza». Si alzò dallo sgabello, gli scoccò un bacio sul naso e girò intorno al bancone col passo di una pantera. «La mamma va a fumare una sigaretta e poi torna a occuparsi delle cose da grandi. Oh, ciao, Honey! Che sorpresa, sei in anticipo!».
Honey era ferma sulla soglia. Con due palle da bigliardo al posto degli occhi.
«Le lezioni sono finite prima, oggi», farfugliò.
Prima di uscire dal negozio, Darla diede un bacio anche a lei, sulla guancia. Honey la seguì con lo sguardo, poi si voltò in direzione di JD con la fronte corrugata.
«Ho interrotto qualcosa?».
JD si grattò la nuca.
«Solo il solito teatrino di Darla. Si è messa in testa che deve occuparsi della mia PR».
Honey lasciò cadere la borsa coi libri sul pavimento e gli andò incontro. Quando gli fu di fronte, prese un fazzoletto di carta dalla tasca del giubbotto e glielo sfregò sulla punta del naso. Prima che finisse nel cestino, JD notò sul fazzoletto una macchia rossa della stessa tonalità del rossetto di Darla.
«Be’, odio ammetterlo», disse Honey. «Ma stavolta concordo con lei. Ti serve un po’ di pubblicità, qualcosa che attiri i clienti».
JD inarcò un sopracciglio.
«Tu che sei d’accordo con Darla? Il mondo sta per finire, per caso?».
Fiato sprecato, Honey era già partita per la tangente. Le sue guance avevano riacquistato colore, mentre sulla sua faccia si disegnava un’espressione genuinamente entusiasta.
«Sai cosa dovresti fare? Mettere un cartello!».
«Un cartello?».
«Sì, all’imboccatura del vicolo, per segnalare il negozio alla gente che passa. Un bel cartello colorato, con una frase carina. Una citazione, magari. Un aforisma che abbia a che fare con i tatuaggi». Gli diede un bacio a stampo sulla bocca e si fiondò sul portatile di Darla. «Vediamo se Google ci suggerisce qualcosa…».
JD si coprì la faccia con entrambi le mani e sospirò.
«Honey, speravo nella tua antipatia verso Darla per avere supporto contro la sua crociata. Non potevi scegliere un altro momento per passare dalla sua parte?».
Il ticchettio sulla tastiera si fermò solo per mezzo secondo.
«Se glielo dici ti ammazzo».
Scuotendo la testa, JD si diresse verso il laboratorio.
«Vado di là a disegnare. Potrai venire a farmi compagnia solo quando avrai finito di complottare alle mie spalle con Darla».
«Aspetta, volevo chiederti una cosa!».
«No, Honey. Lo spot pubblicitario in tv no. Su questo sono categorico».
«No, scemo. Riguardava la grigliata a casa di Big D. Volevo sapere… come mi devo vestire?».
JD aggrottò la fronte. Poi lanciò un’occhiata ai vestiti di Honey. Chiodo di pelle nera. Un maglietta di pizzo che lasciava intravedere un top blu elettrico a fascia. Una minigonna a balze con orli di pizzo. Calze a righe nere e blu lunghe fino alle ginocchia. Anfibi.
Fece spallucce.
«Normale. Vestiti normale».
Lei sbiancò all’improvviso, ma non disse nulla.
«Che c’è? Che ho detto?».
«No, niente». Tornò a fissare il pc. «Normale va benissimo».



Normale.
Nor. Ma. Le.
Nooooormaaaaaaleeeee.
Che c’è di difficile?
Tutto, porco cazzo!

Se ne stava a gambe incrociate sul pavimento, davanti a un armadio che trasudava pizzo, borchie, roba nera, gotica e assolutamente NON normale, da circa un quarto d’ora e ancora non era venuta a capo del rompicapo. Avrebbe fatto meglio ad ascoltare il suo istinto e comprare qualcosa di normale quando ne aveva avuto l’occasione, il giorno prima. Ma lo struzzo che era in lei aveva preferito ficcare la testa in un buco e fare finta che il problema non ci fosse.
Anche perché, stupidamente, si era lasciata cullare dall’idea di chiedere qualcosa in prestito a sua madre. Solo quando si era trovata a dover scegliere tra un mucchio di abiti color pastello, aveva preso coscienza di quanto a largo si fosse spinta nel mare di merda in cui era cascata. Era tornata nella sua stanza con la testa infossata nelle spalle.
Forza e coraggio, Honey. Chi cerca trova.
Si rimboccò le maniche e cominciò a scavare un tunnel tra i vestiti dell’armadio. Ne riemerse venti minuti dopo, con la sensazione di essere arrivata in Cina. In pugno stringeva gli abiti più normali del suo guardaroba: una T-shirt degli Incite Delirium e un paio di jeans neri con le ginocchia bucherellate.
Li indossò a razzo, chiedendosi se gli anfibi fossero abbastanza normali per i gusti degli amici di JD… poi si ricordò che doveva esserci un paio di Converse con le borchie, da qualche parte sepolto nell’armadio. Altri cinque minuti passati a spalare vestiti le confermarono che sì, le Converse c’erano ancora, ma in pessime condizioni. Comunque sembravano in grado di reggere un giorno in più, quindi indossò anche quelle.
Infine contemplò il risultato allo specchio.
Cazzo, dimostrava sì e no quindici anni. Già aveva nelle orecchie le prese per il culo di Darla. E gli amici di JD l’avrebbero trattata come una coetanea di Patti.
È tardi e non è che tu abbia molta scelta: questo, il pigiama coi teschietti o essere presa per una zoccola, si disse sconsolata.
Il clacson della vecchia Ford le ricordò che JD la stava aspettando già da mezz’ora, così volò giù per le scale, afferrò la torta che aveva preparato per l’occasione, salutò sua madre e corse lungo il vialetto. JD era appoggiato alla fiancata dell’auto, con una sigaretta tra le dita. Quando la vide, il suo sopracciglio ebbe un piccolo fremito. Honey sapeva che con un uomo di poche parole come JD anche la più impercettibile delle smorfie nascondeva mille significati.
«Cosa?».
Lui distolse lo sguardo e spense la sigaretta contro la suola della scarpa.
«Uhm, niente. Andiamo, dai. È tardi».
«JD, parla, cazzo!».
Lui si grattò la nuca. Ahia, pessimo segnale.
«Niente, è solo che… sei vestita in modo…».
Honey ebbe un tuffo al cuore.
«Non va bene? Non ti piaccio?».
«No… cioè, sì. Stai bene, sei solo diversa dal solito. Tutto qua. Ma va bene, eh?».
Quello era il colmo. Gli puntò l’indice accusatore nel centro del petto e lui indietreggiò di un passo.
«Me lo hai detto tu! “Vestiti normale”, hai detto così, non ricordi?».
JD sembrava indeciso tra sgranare gli occhi e scoppiare a ridere. Il risultato fu una specie di colpo di tosse.
«Intendevo… normale! Come al TUO normale».
«Col mio normale avevo paura di fare la figura della zoccola!».
«Honey… le altre ragazze sono Darla e Tiffany. Presente? La ragazza generosa e la ex-pornostar».
Due fighe stratosferiche e lei si era vestita come una liceale del primo anno? Voleva nascondersi nel suo tunnel di vestiti e non uscirne mai più.
Fece per correre indietro, ma JD la trattenne per un braccio.
«E adesso dove pensi di andare?».
«A cambiarmi. Faccio in un attimo, promesso!».
Lui scosse la testa.
«Nemmeno per sogno. Siamo in ritardo, non c’è più tempo».
«Ma… io…».
«Honey, faresti un figurone anche con un sacco di iuta. Sta’ tranquilla».
La spinse dentro l’auto e pose fine alla discussione chiudendo la portiera.



«Non c’è bisogno di essere nervosa».
«Non sono nervosa, infatti».
«Davvero?».
Con un cenno del mento, JD indicò la mano sinistra di Honey, che stava stringendo spasmodicamente il polso destro all’altezza del tatuaggio.
Oh, porca pu… Il dannato tic nervoso la tradiva sempre!
Honey afferrò il vassoio con la torta, che aveva poggiato sul cruscotto, e smontò dall’auto sbuffando rumorosamente. JD si lasciò sfuggire una mezza risata, mentre smontava anche lui e la seguiva lungo il vialetto.
Big D e Tiffany vivevano a Midwood, in una graziosa casetta monofamiliare dalle imposte bianche e l’intonaco color lavanda. Il piccolo portico era una giungla di piante, che crescevano rigogliose nei vasi ancorati alla ringhiera o in quelli che pendevano dalla grondaia. Nell’angolo sotto la finestra, c’era una robusta sedia a dondolo in legno chiaro e, sparsi tutto intorno ad essa, centinaia di mattoncini colorati della Lego. Dal retro della casa si propagava l’odore acre del fumo e il vocione roboante di Big D, che si sovrapponeva senza alcuna fatica agli strilli di una chitarra elettrica.
JD suonò il campanello un paio di volte e la porta venne aperta una manciata di secondi più tardi.
«JD, tesoro, finalmente! Cominciavamo a preoccuparci. Che cosa è successo? Di solito non sei mai in ritardo».
Due mani dalle unghie laccate di rosse afferrarono JD per le spalle e mandarono la sua faccia a schiantarsi contro due labbra a canotto dello stesso rosso. Honey aveva già visto Tiffany in foto, ma dal vivo era un altro paio di maniche. Le prime tre parole che le vennero in mente furono: appariscente, come il trucco pesante intorno ai suoi occhi; esagerata, come le tette strizzate dentro al top leopardato; sgargiante, come il rosa shocking della sua minigonna.
«La Ford ha fatto i soliti capricci», rispose JD.
Dio, quanto lo amava! Honey avrebbe voluto ricoprirlo di baci per non averla sputtanata davanti alla loro ospite.
«Te lo avrò detto un milione di volte di mandare la vecchia caretta dallo sfascia carrozze. Mai una volta che mi dai retta, brutta testa di cazzo!».
Alle spalle di Tiffany era comparsa l’enorme sagoma monolitica di Big D. Diede una pacca sulla spalla di JD, che per poco non finì a pomiciare col pavimento del portico, e strizzò Honey in un abbraccio spaccaossa.
«Tu devi essere la piccola Honey». Gli occhi da sfinge di Tiffany si erano posati su di lei, che non poté fare a meno di trattenere il respiro. «Ho sentito molto parlare di te». La baciò su entrambe le guance. «È un piacere fare la tua conoscenza».
«Piacere mio…». Signora? Naaaah! «…Tiffany. Ho portato una torta». Le porse il vassoio cercando di sorridere in modo spontaneo e naturale. «Una torta alle noci».
Il sorriso di Tiffany si incrinò appena.
«Veramente… sono allergica alle noci».
«Oh…» merda! «…io… non ne avevo idea, mi spiace molto».
«Meglio così!», esclamò Big D. «Ce ne sarà di più per me! Ma non state lì impalati, entrate! Gli altri sono già in giardino».
Mentre seguivano la minigonna sculettante di Tiffany e le spalle titaniche di Big D attraverso la casa, Honey diede una piccola gomitata a JD.
«Potevi dirmi che era allergica alle noci», bisbigliò.
«Non mi hai detto che avevi intenzione di cucinare una torta».
«Potevi immaginarlo! È da maleducati presentarsi a mani vuote in occasioni come queste».
JD sollevò le due confezioni di birra che stringeva in una mano.
«Infatti ho portato questa! Semplice, economica e piace a tutti».
Honey fece una smorfia. Peccato che non avesse ancora l’età per comprare alcolici, lei, a differenza di tutti gli altri invitati alla grigliata. Cazzo, certe volte era davvero seccante essere la molto-più-giovane-ragazza di un trentunenne!



Il giardino era un rettangolo verde, circondato da uno steccato bianco: sul lato destro c’era il barbecue, un lungo tavolo e le panche in legno; su quello sinistro un piccolo roseto di rose rosse e bianche, che avrebbe fatto schiattare di invidia sua madre.
Patti sedeva su una coperta di Hallo Kitty distesa sul prato. Indossava un grazioso vestitino rosa, tutto tulle e fiocchetti, portava i capelli biondi legati in un vaporoso chignon e calzava un paio di scarpette rosa lucido: sembrava una ballerina in formato ristretto. Stava giocando con la sua bambola preferita, quella di cui aveva “tatuato” le braccia con i pennarelli colorati.
«Mi raccomando», disse Tiffany. «Niente parolacce davanti a mia figlia».
«GREG! BRUTTA TESTA DI CAZZO!».
Big D corse come un toro imbufalito verso il barbecue, dove un uomo stava armeggiando con la griglia. Barba curata nei minimi dettagli per apparire incolta, maglia a fiori, bretelle, braccia tatuate, pantaloni col risvolto e mocassini. Sul tavolino accanto al barbecue c’era anche un cappello.
Gay o hipster?, si chiese Honey.
«Cazzo, D. Stavo solo ravvivando la brace!».
Big D gli strappò l’attizzatoio dalle mani e lo agitò minacciosamente davanti alla sua faccia.
«Per l’ultima volta. In questa casa. Nella MIA casa. Mi occupo io del barbecue. Del MIO barbecue. Intesi?».
L’espressione omicida sul suo volto faceva paura, ma il tizio di nome Greg non fece una piega. Al contrario, alzò gli occhi al cielo con aria esasperata.
«Dio mio, come sei possessivo con le tue cose, D! Stavo solo spiegando a Darla che ci vorrebbero dei pezzetti di legno di ciliegio da mettere nella brace, perché donano delle splendide colorazioni rossastre alla carne. In alternativa… legno di rovere, pesco, melo o castagno sarebbero azzeccatissimi per…».
«Te lo do in testa, il castagno, se non ti levi subito dalle palle!».
«Va bene, va bene».
Per nulla offeso, Greg gli cedette il posto davanti alla griglia e lanciò un’occhiata d’intesa a Darla (adagiata come una gatta sonnacchiosa sulla sdraio), che sembrò passarla ai raggi x.
«C’è spazio per me su quella sdraio?».
Darla sfoderò un sorriso ingenuo studiato al millimetro.
«Se non ti dispiace stare un po’ strettini…».
«Assolutamente no!».
Hipster, senza alcun dubbio, e decisamente etero, fu la conclusione di Honey.
Fu in quel momento che Darla si accorse di lei. La studiò dall’alto in basso lentamente e quando tornò a guardarla in viso sorrise.
«Mi piace come ti sei vestita oggi. Fa’ molto Mathilda di Léon al suo primo giorno di liceo».
«Sempre meglio di te». Indossava i soliti pantaloncini infrachiappa e il pezzo di sopra di un bikini all’uncinetto. «Ci sono film porno in cui gli attori sono più vestiti».
Qualcuno poggiò una mano sulla sua spalla. Nel voltarsi Honey si ritrovò a pregare che la terra si aprisse sotto di lei seduta stante e la inghiottisse in un sol boccone. Gli occhi da sfinge di Tiffany sorridevano serafici.
«In realtà, per gli standard di un film porno, Darla è ancora troppo vestita, fidati».
JD, che si era fermato a chiacchierare con un ragazzo asiatico, la raggiunse poco dopo.
«Che c’è? Sei pallida!».
«Ho appena fatto una battutaccia sui film porno e Tiffany mi ha sentita».
JD le diede un buffetto sulla testa.
«Non ti preoccupare, Tiffany c’è abituata. Sono anni che Gregory si versa dell’acqua sul pacco nella speranza che gli chieda di togliersi i pantaloni».
«Se lo dici tu…».
«Vieni, ti presento gli altri».



«Hai presente gli album di scritte giapponesi che tengo sotto il bancone?».
Honey annuì.
«Be’». JD diede una pacca sulla schiena a Hiroshi, che sorrise compiaciuto. «È lui che mi passa le frasi».
«Sul serio? Sei tu l’artefice di questo diabolico piano?».
Hiroshi scosse la testa.
«Oh, no. L’idea è di JD, io l’ho solo aiutato a metterla in atto».
«Allora so chi ringraziare per la figuraccia di qualche mese fa», disse Honey. «Non ricordo perché, mi ritrovo a sfogliare uno degli album incriminati. Incappo in una frase che secondo la traduzione sottostante significa “Per perdere la testa bisogna averne una!” tra parentesi “di Albert Einstein” e dico a JD “Certo che Einstein doveva essere un tipo spiritoso”. Lui mi guarda in faccia, serio, per tre secondi netti. Poi non ce la fa più a trattenersi e sbotta a ridere come un pazzo».
«“Shiride banana ototte”», recitò JD. «Letteralmente “Puoi prendere una banana col culo?”».
«Oddio, quella frase?!», esclamò Hiroshi. «Era diventata un tormentone alle grigliate di Big D, due anni fa. Hai occhio, Honey. Il piano diabolico, come lo chiami tu, è cominciato proprio da lì».
«E pensare che è molto richiesta tra i miei clienti! In giro per New York ci sono almeno una ventina di persone con la frase “Puoi prendere una banana col culo?” tatuata sul fondoschiena».
JD, Honey e Hiroshi risero contemporaneamente.
Hiroshi era un tipo simpatico. L’aveva accolta con un caloroso sorriso e lei aveva tirato mentalmente un sospiro di sollievo nel scoprire che c’era un suo coetaneo nel gruppo degli amici di JD. Hiroshi aveva un viso pulito, quasi da adolescente, con un mento appuntito. Davanti agli occhi portava una zazzera di capelli così neri da avere riflessi blu. Da sotto la camicia, che gli cadeva addosso retta e lunga, spuntavano due gambe sottili come stuzzicadenti. Con una divisa scolastica da liceo giapponese, sarebbe stato il cosplay perfetto di un qualche manga yaoi.
«JD mi ha detto che hai fatto domanda per l’università», disse Hiroshi, una volta accantonato il discorso tatuaggi. «In cosa vorresti laurearti?».
«Legge», rispose prontamente Honey.
Lui fischiò.
«Uh, impegnativo. Mio padre avrebbe voluto che diventassi avvocato, ma alla fine ho scelto architettura».
«A quale anno sei?».
Hiroshi inarcò il sopracciglio.
«Prego?».
«Di università, intendo».
Il sopracciglio di Hiroshi rimase inarcato. Poi lui e JD si rivolsero un’occhiata perplessa e le scoppiarono a ridere in faccia di punto in bianco.
«Non capisco, cosa ho detto di divertente?».
JD riprese fiato, tenendosi la pancia.
«Hiroshi lavora nello stesso studio di architettura di Gregory. Si è laureato da un po’».
«Da un bel po’», lo corresse Hiroshi.
«Ha la bellezza di trentacinque anni».
«Trentaquattro e mezzo, grazie».
Grandissima. Figura. Di merda.
Doveva essere impallidita, perché Hiroshi le sorrise.
«Non ti preoccupare, Honey. Lo prendo come un complimento».



«D, non è che hai salato la carne prima, vero?».
«Per chi cazzo mi hai preso?». Il tossicchiare di Tiffany fece sussultare Big D, che deglutì a vuoto. «Cioè… volevo dire, per chi caspita mi ha preso?».
Gregory annuì compiaciuto.
«La carne va salata sempre in fase di cottura, altrimenti si trasforma in una suola di scarpa».
«Lo so, porca puttana! LO SO!».
Tiffany si schiarì la voce una seconda volta e Big D si tamponò il sudore sulla fronte con un tovagliolo.
«E poi è importante farla marinare per qualche ora, prima di cuocerla», continuava imperterrito Gregory. «Hai…».
«Oh, Cristo…». Tiffany fulminò Big D con un’occhiataccia. «…baldo. Certo che l’ho marinata! Adesso, grandissimo pezzo di… pupù, mi faresti il piacere di portare il tuo fondoschiena sulla sdraio e lasciarmi cucinare in pace? Ho tutto sotto controllo».
L’occhiata scettica di Gregory fece ridere tutti. Anche Honey, che si era messa un po’ in disparte. Con tutte le brutte figure che aveva accumulato in pochissimo tempo, aveva deciso che era meglio per lei tenersi a una distanza di sicurezza. Così, mentre Big D difendeva a forchettone tratto il barbecue dagli attacchi di Gregory (“Non devi usare il forchettone, se pungoli la carne, i succhi che la rendono morbida escono fuori e la bistecca diventa di gomma. Tiffany, per favore, va’ a prendere una paletta!”), Patti disegnava sulla sua coperta di Hallo Kitty e JD chiacchierava con Darla, Tiffany e Hiroshi, lei sedeva su una sdraio all’ombra, ufficialmente perché aveva caldo.
«È inutile che ti sforzi».
Era stato Nathan a parlare, seduto anche lui all’ombra poco più in là. Insieme a Gregory, aveva condiviso l’appartamento con Big D prima che si sposasse con Tiffany. JD le aveva raccontato che possedeva un negozio di roba metallara e suonava a tempo perso in una band. Aveva sperato che con lui sarebbe stato più semplice legare, ma quando erano stati presentati, le aveva rivolto solo un ciao smozzicato.
«Che intendi?», gli chiese.
Lui fece spallucce e si tirò indietro i capelli.
«Di farteli tutti amici. È come con la tua maglietta».
Honey abbassò lo sguardo sulla t-shirt degli Incite Delirium, cercandovi una risposta.
«Scusa, ma ancora non capisco».
Nathan incrociò le braccia dietro la testa.
«Non è che adesso diventi una fan degli Incite Delirium solo perché indossi una loro maglietta».
Eh?
«Guarda che io sono una fan degli InDel».
«Ed io sono Kirk Hammett solo perché possiedo una chitarra. Stai mentendo, sei troppo giovane per conoscere davvero gli InDel».
Quindi non solo trattata come una mocciosa, anche accusata di essere una poser?!
«L'ultima traccia del primo cd era "Alfa&Omega", ma la mia si interrompeva prima della fine perché era finito il nastro». Nathan si accarezzò il pizzetto. Honey prese coraggio. «Te lo giuro! Avevo anche preso una cotta pazzesca per il batterista, come si chiamava... Ross».
«Vabbè, questa è scontata. La cotta per Ross ce l'hanno avuta tutti, me compreso».
Gregory, che nel frattempo aveva vinto la battaglia del barbecue per abbandono di Big D (“To’h, pensaci tu, visto che sei tanto bravo! Basta che non rompi più il caz… voglio dire, le scatole”), rimase con una bistecca gocciolante sospesa sulla carbonella.
«Che c'è! Ross è talmente eterosessuale che ti fa diventare gay, è risaputo».
L’ombra si fece all’improvviso più scura. L’enorme sagoma di Big D si era frapposta tra loro e il sole.
«Ehi, dolcezza, per caso quel disadattato di un metallaro ti sta dando fastidio?».
Honey fece di no con la testa.
«Stavamo solo parlando di musica».
«Appunto! Quello quando parla di musica diventa uno schizzato».
«Concordo», si intromise Gregory. «Il giorno che ci siamo conosciuti, quando sono andato a vedere la stanza da prendere in affitto, mi ha fatto il terzo grado sulla musica che ascoltavo».
Nathan sbuffò.
«E se mi capitava un coinquilino con gusti musicali del cazzo? Cioè, scusa, Tiffany. Volevo dire… del piffero».
Gregory scosse la testa.
«Sembravi uno schizzato, ho quasi considerato l’idea di cercare un’altra stanza per colpa tua».
Nathan mise il broncio.
«Divento schizzato solo quando parlo di musica con voi due, perché non ne capite un ca… volo. A differenza sua», concluse, indicando Honey.
Lei inarcò un sopracciglio e incrociò le braccia sotto al seno.
«Ah, quindi adesso non sono più una poser?».
Il ridacchiare di qualcuno, per la prima volta non causato da una sua figura di merda, le fece provare una piacevole sensazione di calore allo stomaco. Forse Nathan aveva ragione, dopo tutto. Doveva solo smettere di sforzarsi.



Nel bel mezzo dell’abbiocco post-pranzo, Gregory scattò in piedi, fotocamera alla mano.
«Facciamo una foto!».
Dal gruppo si levò una specie di lamento unanime.
«Un’altraaaaaa?».
«Avanti, ci vuole una foto di gruppo!», insistette lui.
«A me sta bene», disse Darla. «Dopo me la passi, voglio postarla sulla pagina Facebook di JD».
Honey annuì.
«Non male come idea!».
JD, che stava disegnando una rosellina sul dorso della mano di Patti con un pennarello lavabile, sollevò lo sguardo dal piccolo capolavoro e le lanciò un’occhiataccia.
«Cosa c’entra una foto della grigliata nella…», mimò le virgolette con le dita, «…mia pagina?».
Darla fece spallucce.
«Una foto con gente tatuata…».
«…più pertinente di così si muore», concluse per lei Honey.
JD le guardava perplesso.
«Sì, ma… non sono tutti tatuaggi miei».
«E allora?», replicò Darla. «Alla gente piace ficcanasare nella vita altrui. Più ficcanasa, più si affeziona. Più si affeziona, più spende soldi per farsi tatuare da te. Più soldi per te, più aumenti per me».
Tiffany stava tagliando la torta alle noci di Honey.
«Non fa una piega».
JD fece per replicare, ma fu distratto da Patti, che gli stava strattonando la manica della felpa per ricordargli che c’era ancora il suo tatuaggio da completare.
Nel frattempo Big D stava fissando alternativamente JD, Darla e Honey con un sopracciglio inarcato e l’espressione di chi ha l’aria di essersi perso qualche pezzo per strada.
«Scusate, ma… JD ha una pagina Facebook? Ho sentito bene?».
Nathan, collassato sulla sedia a dondolo, sollevò una palpebra. Solo una.
«Perché, vi risulta che JD abbia internet?».
«Io non sapevo nemmeno che avesse un computer…», rispose Hiroshi.
«…o un cellulare che faccia altro a parte chiamare e mandare messaggi», aggiunse Gregory.
Col capo chino sulla mano di Patti, JD sbuffò.
«Guardate che sono ancora qui e che ci sento benissimo».
«L’ho costretto io a installare una connessione internet in negozio», spiegò Darla. «Mi rompevo i maroni a stare dietro il bancone a non fare niente. Così l’ho minacciato: internet o tv via cavo».
«Invece il portatile ce l’ha per merito mio», disse Honey.
Darla roteò gli occhi.
«Già, ma non l’ha nemmeno acceso».
Honey sorrise serafica.
«Non ancora».
Tiffany porse la prima fetta di torta a JD.
«Sembra proprio che tu sia finito tra l’incudine e il martello, zuccherino».



Dopo cena Honey diede la buonanotte a sua madre e salì in camera. Si buttò a pancia in giù sul letto e si collegò col portatile al suo profilo Facebook. C’erano tre richieste di amicizia: da parte di Gregory, Nathan e Hiroshi. Non appena le ebbe accettate, Nathan le scrisse in bacheca.
“Fammi sapere quando tu e la tua band vi esibite, voglio proprio vedere se siete bravi come dice JD”.
Cliccò su mi piace e rispose.
“Senz’altro. Così, quando saremo diventati famosi, potrai indossare una nostra maglietta senza fare la figura del poser”.
La replica di Nathan fu “:P”.
Arrivò un’altra notifica. Hiroshi l’aveva taggata in un album di foto di tatuaggi tradizionali giapponesi.
“Mostrale a quell’orso del tuo ragazzo e digli che conosco di persona il tatuatore che li fa. Magari si convince ad accettare il mio invito, finalmente. Questa primavera vi voglio entrambi con me a Tokio”.
“Lo prenderò per sfinimento”, rispose. “Promesso!”.
Poi andò a curiosare sul profilo di Gregory, che aveva già pubblicato le foto della grigliata. Ne aveva scattato circa un trilione. Ce n’era una che immortalava una salsiccia abbrustolita, la cui didascalia recitava “La salsiccia di Nathan”. Parecchia gente aveva messo mi piace.
Honey sorrise tra sé e sé. Era stata stupida a farsi tutte quelle pippe mentali. In fondo gli amici di JD non erano molto diversi dai suoi. Cazzoni e divertenti allo stesso modo, solo un po’ più maturi secondo l’anagrafe.
Continuò a sfogliare l’album.
“Beato tra le donne”. Gregory in mezzo a Darla, Tiffany, Patti e Honey.
“Finalmente qualcuno che cucina come si deve!”. La torta alle noci di Honey.
“L’orso e la bambina bionda”. Patti, seduta sulle ginocchia di JD, che con espressione concentratissima era intenta a intrecciargli i lunghi capelli neri.
“Terza incomoda”. Un primo piano di lei e JD. Solo in quel momento Honey si rese conto che, nella foto, da dietro la sua chioma bionda spuntavano due dita di donna dalle unghie laccate di nero. Darla, ovviamente. Maldetta stronza.
“Honey, te ne sarò grato a vita!”. Tiffany guardava con sguardo voluttuoso verso l’obbiettivo della fotocamera e mimava l’atto di tamponare con uno strofinaccio il pacco di Gregory. Honey arrossì, mortificata. Per sbaglio gli aveva rovesciato la birra sui pantaloni. Tra lo stupore generale, Tiffany si era alzata in piedi e aveva accostato le labbra all’orecchio di Gregory esclamando “Oh, che pasticcio! Lascia che me ne occupi io, zuccherino”. Lui aveva sbarrato gli occhi e tutti erano scoppiati a ridere. Perfino Big D.
“Musicista mancato”. Nathan che strimpellava una chitarra.
“Giappo serio”. Hiroshi che faceva le smorfie verso l’obbiettivo.
“Cocca di papà”. Primo piano del viso addormentato di Patti, accoccolata sulla spalla di Big D.
“Foto bimbominkia”. Una selfie di Darla che baciava Gregory sulla guancia, mentre lui ammiccava in direzione dell’obbiettivo.
Ci mise circa un’ora a sfogliare l’intero album.
L’ultima fotografia era quella che ritraeva il gruppo intero. L’inquadratura era riuscita un po’ sbilenca e decentrata, perché Big D non aveva un treppiedi in casa e avevano dovuto poggiare la fotocamera in bilico sul bracciolo di una sdraio. “Gente tatuata”, diceva la didascalia.
Honey studiò lo scatto più da vicino.
Big D, con l’enorme D sul collo. Tiffany abbarbicata a suo marito e le spire di un serpente che spuntavano da sotto il top leopardato. Darla seduta sulle ginocchia di Gregory, entrambi con le maniche di tatuaggi sulle braccia. Nathan, con la chitarra in grembo e la chitarra tatuata sull’avambraccio. Hiroshi e gli ideogrammi giapponesi sul petto (nella foto non si vedevano, ma lui glieli aveva fatti vedere dopo qualche birra di troppo). JD e il tripudio di colori che lo ricopriva dal collo in giù. Lei stessa e il cespuglio di rovi che stava lentamente crescendo dal polso in su. Perfino la piccola Patti, in groppa alle spalle di JD, aveva dei tatuaggi lavabili sul dorso della mano.
Gente tatuata. Gente tatuata che sorrideva.
Folgorata da un’improvvisa illuminazione, Honey cliccò su rispondi e commentò.
“Gente tatuata e felice”.



JD aveva appena imboccato il vicolo sul quale si affacciava il suo negozio, con la mano davanti alla bocca per accendersi una sigaretta, quando la vista periferica comunicò al cervello un’anomalia. Camminò all’indietro, uscendo nuovamente dal vicolo e sollevò il viso. Appeso al muro, c’era un cartello che prima non c’era. Fondo nero. Scritta dai caratteri svolazzanti e colorati.

Non puoi comprare la felicità, ma puoi comprare un tatuaggio.
Ed è quasi la stessa cosa!

Nel varcare la soglia del negozio, trovò Darla seduta dietro al bancone. Lo sguardo fisso sullo schermo del portatile e un palloncino rosa che le copriva mezza faccia.
«Che sai dirmi di quel cartello lì fuori?».
Il palloncino fece plop. Darla masticò la gomma un paio di volte, prima di rispondere.
«Non guardare me. Questa volta non c’entro niente, io».
«Se non sei stata tu, allora chi?».
Lei fece spallucce.
«Una bimba bionda che ti vuole tanto tanto tanto bene, suppongo».
JD inarcò un sopracciglio.
«Patti?».
Darla sbuffò e finalmente distolse lo sguardo dal portatile, rivolgendo a JD un’espressione spazientita.
«No, JD. L’altra bimba bionda».
«‘Fanculo, Darla».
Si girò sui tacchi e fece per uscire.
«Ehi ehi ehi, dove stai andando?».
«A togliere il cartello. Cosa pensi dirà il cliente medio di questo posto, quando leggerà quella frase?».
«Il cliente medio di questo posto è già tanto se sa leggere. Sono d’accordo con la bimba. Già il posto è inculatissimo, se non metti qualche cartello sulla strada, come faranno i potenziali clienti a trovarti?».
«Wile non aveva bisogno di…».
«Perché tuo nonno era un orso proprio come te, JD. Senza contare che i tempi erano diversi». Darla sorrise. «E poi togliendo il cartello feriresti i sentimenti della bimba».
JD rimase con un piede fuori dalla porta per qualche istante in silenzio, poi tornò dentro sospirando.
«Anzi, sai che faccio, adesso?», continuò Darla. «Inserisco la frase come descrizione per la tua pagina Facebook e la foto di gruppo della grigliata come copertina».
JD si lasciò cadere sul divano, sconfitto.
«Questo giorno lo devo segnare in rosso sul calendario».
«E perché mai?».
«Per una volta che mi farebbe comodo il tuo supporto, dai manforte a Honey. Lo fai a posta, non è vero?».
Darla ammiccò.
«Se glielo dici ti ammazzo».
JD roteò gli occhi.
Sia mai che rischiaste di diventare amiche.







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Note autore:
Tanti auguri a te, tanti auguri a te! Cara Francesca, spero tanto che questo piccolo extra ti piaccia e possa allietarti la giornata. Ancora mille auguri!
Angolo dei crediti.
Tanto per cominciare Gregory e Nathan appartengono a Dragana e potete leggerli in Pornoromantico, uno spin off sul primo appuntamento di Big D e Tiffany. Sicuramente l’ho già linkato altre volte, ma ripetere non fa male, dato che si tratta di una bellissima e divertentissima commedia.
Vorreste sapere chi sono gli Incite Delirium e dove trovare le loro cassette? Be’, anche io! Rivolgiamo tutti un’occhiata minacciosa a OttoNoveTre, così magari si vergogna a tal punto da continuare e pubblicare una cosuccia che ha in cantiere.
Lo scambio di battute tra Nathan e Honey che comincia da “Stai mentendo” a “Ross è talmente eterosessuale che ti fa diventare gay, è risaputo” è stato scritto da OttoNoveTre. Non capisco un ca… volo di metal e gente metallara, perciò le ho chiesto aiuto per avere un input. Ovviamente ha funzionato alla grande!
La frase che Honey scrive sul cartello me l’aveva fatta leggere Dragana tanto tempo fa, ma non trovo più il link, purtroppo.
Piccolo angolo dello spamm.
Ho pubblicato una one-shot poco shot con Halona come protagonista. Se vi va di leggerla, si chiama Randagio.
Spero che questo piccolo extra sia stato di vostro gradimento.
A presto, vannagio
   
 
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