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Autore: Clahp    02/10/2014    1 recensioni
Il Dottore le si avvicinò e inspirò il suo odore. Sapeva di brio, di feste, di risate, di notti insonni, di notti folli, di notti calde… e, ciò che era meglio, sapeva di avventura, di tanta, tanta avventura.
[11/River]
[A metà fra una flashfic e una oneshot]
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor - 11, River Song
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Il solito suono leggermente boccheggiante della macchina

Contest: the Black Ice-Cream Parade!                 

Prompt utilizzati: smalto; “Young and beautiful” (Lana del Rey)

Situazione extra: “Il ticchettio di un orologio segna snervante lo scorrere del tempo. Incessante e martellante sottolinea i secondi che passano e sgradito giunge alle orecchie di chi sta aspettando. È un’attesa sofferta e durata fin troppo, che diventa sempre più insostenibile man mano che si avvicina alla sua conclusione…”

 

 

 

 

 

 

 

 

Nights and (h)otters

 

 

 

 

Will you still love me when I’m no longer

young and beautiful?

Will you still love me when I’ve got nothing but

my aching soul?

 

I know you will,

I know you will…

 

[Lana del Rey – Young and beautiful ]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il solito suono leggermente boccheggiante della macchina.

L’abituale fastosità di luci.

Il consueto silenzio della notte – la sua millesima e millesima notte su circa dodicimila notti totali.

E la familiare voce gentile e allegra che la chiamava.

«Tesoro, sono a casa! Buon anniversario!»

Nessuna risposta. Il Dottore attese, mentre ancora si specchiava, aggiustandosi il suo papillon (il suo adorato, amato, venerato papillon!).

«Mmm… In realtà è abbastanza impreciso, in realtà saresti tu che vieni a casa, visto che la TARDIS è casa nostra… ma comunque!» parlottò fra sé e sé, velocemente, come suo solito; sorrise alla sua stessa figura riflessa, batté le mani, fece una veloce giravolta e scese le scalette dell’astronave scivolando sulla ringhiera. «River! I tuoi genitori non dormiranno in eterno!» chiamò ancora.

Ancora niente. Possibile che River Song non fosse nella sua cella, come tutte le sere da quando era stata arrestata? Un minuto, due minuti, tre minuti… Il ticchettio di un orologio segnava snervante lo scorrere del tempo; incessante e martellante sottolineava i secondi che passavano. Era un’attesa sofferta e durata fin troppo, che diventava sempre più insostenibile man mano che si avvicinava alla sua conclusione…

Dopo un quarto d’ora d’attesa, spazientito, il Dottore aprì la porta della sua TARDIS, non prima di aver lanciato un affettuoso bacetto al vetusto legno blu. Fu qui che si trovò davanti sua moglie, visivamente seccata, che si era appena alzata dalla brandina della sua cella in disordine.

«Dolcezza, il casino che fai! Sto arrivando, sto arrivando, un secondo!» berciò questa, entrando nella navicella spaziale con la sua folta criniera svolazzante e il suo fisico da urlo. «Mai una volta che tu sappia aspettare, eh?»

L’altro la guardò completamente estasiato, come sempre.

«Aspettare? Io odio aspettare. È uno spreco, spreco di tempo, spazio, pazienza, denaro, voglia… ci sono mondi interi che svaniscono e che non potrò mai più vedere, in questo preciso istante, mentre io sono qui ad aspettare te!»

River Song sbuffò. Teneva le mani completamente distese davanti a sé e se le guardava in continuazione; ogni tanto le sventolava. Indossava la sua solita canotta e un paio di pantaloni comodi; salì le scalette che portavano al centro di comando della TARDIS (uno dei milioni fra passati, presenti e futuri) e lì aspettò suo marito, sempre guardandolo storto.

Il Dottore richiuse con tatto la porta della sua amata cabina blu e arrivò velocemente accanto a lei.

«Che poi, cosa dovevo aspettare? E cosa diamine hanno le tue mani, moglie?» chiese, sospettoso.

L’altra, di tutta risposta, sbuffò ancora di più.

«È smalto. Smalto, maledetto smalto. E per avere un bello smalto, mio caro saputello, devi aspettare che si asciughi, altrimenti avviene esattamente questa cosa!» urlò, risentita, e gli mostrò senza tanti giri di parole il mignolo dove il colore rosso dello smalto era irrimediabilmente rovinato.

Il Dottore, annoiato, sbadigliò.

«E tu mi hai fatto aspettare per questa cosa?!» borbottò, azionando la leva della sua amata cabina, che per tutta risposta iniziò a mugolare con il suo tipico suono. Sapeva esattamente dove avrebbe portato sua moglie: su quel pianeta che voleva visitare da così tanto tempo, pieno di quelle belle bestiole festose…

River si guardò preoccupata le mani, individuò altro smalto rovinato e rispose:

«Hai idea di cosa voglia dire ottenere uno smalto nella prigione più sicura dell’universo? Ho dovuto strusciarmi parecchie guardie.»

La TARDIS fece un balzo; i due occupanti furono sballottolati in avanti.

«Hai dovuto fare cosa…?! Siamo sposati, River!» urlò il Dottore, rimettendosi in piedi e andandole vicino.

Lei sorrise di candida malizia; nei suoi occhi vibrava un certo luccichio. Anche dopo tanto tempo era sempre bello sentirsi dire che erano sposati… Ed essere sposati con il Dottore implicava bizzarre avventure nel bel mezzo della notte e sparatorie mortali fatte tanto per rompere la monotonia e feste folli all’altro capo dell’universo… e, be’, alcune fortunati notti non solo questo.

«Ovvio, dolcezza» puntualizzò. «Ma erano secoli che non mi truccavo un po’ né mi facevo bella –almeno da quando Cleopatra mi ha fatto notare che con un po’ di rossetto sarei stata molto meglio. E, be’, stando al mio diario è accaduto molto tempo fa…»

Suo marito neanche la stava ascoltando: continuava a spingere precisi bottoni della sua adorata astronave. Quali diamine erano le coordinate per quel benedetto pianeta…? E come diamine si chiamavano quegli animali marroni così carini…?

«E, insomma… in prigione non mi sento così bella, non mi sento tanto apprezzata.» iniziò River.

Oh, sì, se le ricordava! Il Dottore si diede una vivace botta sull’ampia fronte (adorava la sua ampia fronte, nelle prossime rigenerazioni avrebbe avuto un sacco di ampie fronti, sì!), rise ancora di soddisfazione e selezionò le coordinate spazio-temporali del pianeta da lui tanto voluto. Ma… sua moglie aveva detto qualcosa?

«Per non parlare del fatto che mio marito è un Signore del Tempo che non invecchierà mai, mentre io sì…» disse ancora l’altra, a voce leggermente più bassa.

La TARDIS era atterrata sul pianeta desiderato. Calò il silenzio; il Dottore si girò verso di lei. Che strano atteggiamento era mai quello? Da lei si aspettava battute pepate o leggermente maliziose, un resoconto di una sparatoria o di qualche avventura che perfino lui non aveva ancora vissuto… non discorsi seri.

«River. Che vuoi dire?» mormorò, piano.

La Dottoressa Song (non era ancora Professoressa, quello sarebbe accaduto più avanti per lei, ma più indietro per lui) riprese a sventolare le mani, nella speranza che il maledetto smalto si asciugasse.

«Oh, Dottore, ma guardaci! Dimostri molti meno anni di me. Maledetta rigenerazione che ho scelto, perché proprio questa?! Sembro almeno dieci anni più vecchia di te. E grazie al cielo le nostre linee temporali sono sfalsate… fra qualche anno, altrimenti, potrei veramente sembrare tua madre.»

Lui le si avvicinò e inspirò il suo odore. Sapeva di brio, di feste, di risate… e, ciò che era meglio, sapeva di avventura, di tanta, tanta avventura.

«River. Non c’è bisogno di metterti lo smalto o il rossetto o di farti bella.» disse, sorridendo. «Perché lo sei. E io ti amo

E perché lei, in realtà, non sarebbe mai veramente invecchiata… perlomeno non in quel mondo, ma in un mondo fatto di cifre binarie e di chip e di sogni… Ma questo lei non lo poteva sapere, non lo doveva sapere.

L’altra gli accarezzò una guancia. Oh, aveva più di mille anni, ma tante volte sembrava così tanto un bambino… amare una persona comportava molte cose.

«Sì, ma… mi amerai ancora, quando non sarò più giovane e bella? Mi amerai quando non avrò altro che il mio carattere?» chiese, sperando di non suonare troppo seria.

Il Dottore le baciò una mano; lo smalto rosso era quasi asciutto. Alzò lo sguardo e incontrò gli occhi di lei, che ora sembravano rincuorati.

«Ti ho già risposto, mi pare, no…? Altrimenti, be’… ho un’altra soluzione.»

River Song lo fissò. Gli sfiorò le labbra con le sue e lo guardò in maniera fin troppo maliziosa.

«E quale sarebbe?» mormorò a colui che sapeva sempre tutto, a colui che aveva sempre un’altra soluzione..

Il Dottore sorrise.

«Posso sempre trovarmene un’altra più giovane, che non assomigli così tanto alla sua testardissima madre scozzese.»

Fu un attimo; il Signore del Tempo non aveva finito di dire queste parole che lanciò un profondo urlo di dolore. Sua moglie lo aveva preso per un orecchio e glielo stava stritolando; si allontanò dalla stazione dei comandi della TARDIS e scese le scalette, trascinando il Dottore per un orecchio.

«Maledetto, maledetto, maledetto Dottore! Oh, se penso che ci stavo quasi per cascare!» urlò, inviperita, aprendo di scatto la porta dell’astronave.

«River… era una battuta… sono tuo marito, diamine! È il nostro anniversario!»

«Stanotte io viaggio e festeggio sola! Tu resta qui, te lo meriti!» urlò di rimando lei, cacciandolo via da casa sua e sbattendo violentemente l’uscio.

Lui si guardò intorno… il pianeta era esattamente come se lo ricordava; quei simpatici buffi animaletti pelosi marroni erano tutto intorno a lui… si trovava in una boscaglia, a quanto pareva; non riusciva a vedere bene, perché era notte anche lì.

«Tesoro… cara… amore! È il nostro anniversario, mi sono messo anche il cravattino migliore solo per te, non pensi che potresti perdonarmi…?!»

La porta si riaprì di scatto. River Song fece capolino dallo spigolo, sorridendo beffarda.

«Ah, non te l’ho mai detto? I tuoi cravattini mi fanno schifo. Passa un buon anniversario… fra le lontre.»

La porta si richiuse di scatto; il solito rumore boccheggiante arrivò alle sue orecchie… E le due donne della sua vita (astronave e moglie) sparirono.

Lasciandolo da solo, fra migliaia e migliaia di dannatissime lontre.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

****************

 

 

Scritta in fretta e furia XD Perdonatemi se non è un granchè, ma il contest finiva ieri *coff coff*

Il titolo è un orrendo gioco di parole fra otters (lontre) e hotter (robe piccanti, ‘nsomma X°D). PERDONATEMI, non ho resistito!!!

 

Comunque! Robina scritta in seguito alla 8x06, in cui il Dottore dice testualmente: “Una volta ho vissuto fra le lontre. River e io avevamo avuto una brutta lite…”… e, be’, essendo la mia coppia preferita di DW, *come* potevo non approfittare?! 8D

E… 11, mi manchi da MORIRE. <3

 

L’ho scritta per il forum Black Parade ( moschenere.forumfree.it ), dovevo usare come prompt i due indicati all’inizio della fanfic: smalto e “Young and beautiful” di Lana del Rey (un pezzo della canzone l’ho proprio citato mentre i due parlano).

Perdonatemi gli errori, ma l’ho scritta di corsissima…! E’ volutamente ispirata ai mini episodi fra la 6° e la 7° stagione, intitolati “Night and the Doctor”, che sono a mio parere veramente carinissimi…

 

 

 

Commentino?!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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