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Autore: Jiulia Duchannes    03/10/2014    9 recensioni
PARINGS: LEONETTA-MARCESCA-DIECESCA-NAXI-FEDEMILLA-DIEGHETTA accenni PANGIE
Introduzione modificata.
C'era Diego, che voleva solo l'amore di suo padre e la gloria.
C'era Violetta che si mascherava da puttana, e non lo era.
C'era Leon che aveva gli occhi spenti.
C'era Francesca che con la sua dolcezza si faceva amare da tutti.
C'era Marco che era troppo perfetto.
C'era Maxi che sorrideva per finta.
C'era Ludmilla con le gambe troppo magre.
C'era Federico che faceva lo stronzo.
C'era Nata con le felpe larghe.
C'era Camilla con il rossetto nero.
Una setta di cacciatori di streghe, un padre che non sa amare, un collegio, dieci ragazzi, tre streghe, potere, gloria, onore, amore amicizia, odio, segreti, demoni, occhi spenti, cuori chiusi e sorrisi finti.
WITCHES HUNTER.
Dal testo.
-Non mi importa più, di lui, della setta, della gloria. Siete la mia famiglia, combatterò, con voi-Disse Diego con decisione.
-E lo uccideresti, se fosse necessario?-Chiese sospettosa Camilla, fissandolo negli occhi, che sembravano bruciare di una nuova energia, di un nuovo fuoco, di vendetta.
-Morirei, se fosse necessario-
E tutti lo sapevano in quella stanza, che sarebbe potuto succedere.
Genere: Dark, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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scusate il ritardo, ma ho cominciato il liceo ed è dura, veramente.
Comunque non so se il capitolo vi possa piacere, spero di si.Ci ho messo molto impegno essendo uno degli ultimi.
Ancora solo due capitoli ragazze.
Mi sto iniziando a daprimere..ma okay.
Buona lettura

Capitolo 11

Diego aveva il capo alzato, osservava, non il cielo, ma le stelle, o meglio la loro assenza, quella sera in cui erano coperte da una grande nuvola, nera e tempestosa, che irrequieta si muoveva, in balia del vento.

Osservava la luna, nascondersi dietro quella stessa nuvola.
Non c’era nessuno quella sera, ad illuminare il cortile dalla scuola, se non i lampioni qui e lì.

E Diego, se ci pensava bene, si sentiva un po’ come quella nuvola, in dovere di proteggere tutti, nonostante fosse travolto da forze maggiori, come la magia, la setta e Juan.

Ma che ci poteva fare?

Era colpa sua, quella situazione, e di  certo non poteva lavarsene le mani così.

Sentì un fruscio, il rumore della porta che sbatte, non violenta, ma leggera, sempre nel rispetto degli altri, nonostante nessuno di loro stesse dormendo.

I passi leggeri, e veloci.

La classica colonia che spesso portava e che tanto Dominguez prendeva in giro.

Non c’era bisogno che si girasse per sapere chi se ne stava in piedi dietro di lui, a scrutarlo in attesa di qualcosa, probabilmente con le guance tinte di un pallido rosa, imbarazzato, impaurito, con i  capelli scompigliati più del solito a causa dell’aria umida.

Conosceva Marco troppo bene, per non riconoscerlo.

Il suo “amico” si sedette accanto a lui, delicato come sempre, stringendo di più il giaccone  pesante al suo corpo, infreddolito dalla notte.

-Brutta serata eh?-Commentò osservando il cielo completamente nero con gli occhi socchiusi in due fessure.

Diego scosse la testa in senso di dissenso, e Ponce De Leon si trovò a pensare che nulla di ciò che diceva, amava, o interessava avrebbe coinvolto Dominguez, tranne la sua ex ragazza, ovvio.

-Non penso sia brutta, devi solo vederla dalla giusta prospettiva- Spiegò lo spagnolo, accennando un sorriso furbo al giovane accanto a lui, che sorrise di rimando,e poi,
lo fissò con curiosità, dimenticando ogni rivalità tra i due e trovandosi immerso in una conversazione amichevole e per nulla competitiva.

Una conversazione che non s’addiceva affatto a loro due.

Diversa.

-In che senso?-Domandò alzando il capo verso quell’immenso nero che s’ergeva su di loro.

-Il buio non è una cosa brutta, anzi, se ci pensi è forse meglio della luce, solo che la gente non lo capisce. Al buio siamo tutti uguali Marco, non esistono colori o razze, nessuna discriminazione. Al buio nessuno è l’ombra di nessuno, le ombre non esistono lì. Al buio possiamo essere noi stessi, senza paura che qualcuno ci veda, al buio possiamo avere paura senza essere giudicati. Al buio è tutto migliore- Disse, gli occhi verdi puntati verso il compagno  che ora aveva tante domande da fare.

-Tu di chi eri l’ombra?-Chiese, senza quel suo solito tatto e quella sua dolcezza che innervosivano Diego, il quale ridacchiò amaramente.

Non sembrava nemmeno lo stesso irritante ragazzino smunto e perfettino che conosceva perchè, quel Marco, che aveva vicino, gli piaceva.

-Di mio padre, della setta, più che altro del mio fratellastro Rodrigo- Rispose.

-Parlami di lui-Intimò l’altro curioso.

-Non lo conoscevo, quando morì aveva 15 anni, successe in uno scontro tra sette se ti interessa, e io era appena un neonato. Mia madre invece la uccise mio padre, non so quando, ero troppo piccolo per ricordare. Così crebbi con papà, anzi Juan, e ancora non comprendo perché m’abbia tenuto con se e poi trattato così, forse per fammi soffrire di più- Rise triste Dominguez scuotendo il capo come un folle.
Marco lo guardò con malinconia, e senso d’angoscia, e compassione.

Diego era arrabbiato e  frustrato. Così arrabbiato da non poter nemmeno piangere.

Così arrabbiato da volere solo vendetta.
Così arrabbiato da  non rendersi conto di amare ancora Juan come un padre.
Così arrabbiato da non comprendere che non sarebbe mai riuscito ad ucciderlo.

-Cercherai tuo padre, intendo quello vero?-Riprese il discorso Ponce de Leon.

-Si,credo. Il fatto è che ho bisogno di qualcuno che mi ami come dovrebbe fare un padre, di risposte, ho bisogno, sai, che faccia parte della mia vita. Però penso che lo cercherò una volta finita questa guerra, sempre che riesca a finire, sempre che sopravviva- Spiegò Dominguez

-Sai qualche cosa di lui?-Chiese Marco

-Solo che era un ballerino talentuoso, che studiò in Spagna pur essendo argentino e lì conobbe mia madre.-

-Hai pensato al nostro professore di danza?Lui ha studiato in Spagna-
-No, non può essere lui-
-Perché?-
-Perché è un pazzo isterico, un maniaco, deviato mentale, mia madre non si metterebbe mai con uno così-
-Ma si è messa con Juan, che, da ciò che dici, è più o meno peggiore, di così-
-Non voglio pensarci ora Marco. Devo essere concentrato su di voi-

Marco gli sorrise triste.

-Hai paura?-Domandò
-Di cosa?-Replicò Diego
-Di domani-Spiegò il ragazzo più minuto.
-Si cazzo, ho una fottuta paura, mi sto cagando addosso-Rise, senza motivo, Dominguez, coinvolgendo anche il compagno.

-Sembriamo due folli-Commentò Marco scuotendo il capo.
-Forse lo siamo-Commentò lo spagnolo dandogli una pacca sulla spalla.

Ponce de Leon osservò Diego sorridere, e si sentì felice, e unito, in qualche strano modo, a lui.
-Perchè non prima?-Chiese. E non c’era bisogno che specificasse cosa, entrambi lo sapevano il significato di quella frase.

Perché ci siamo fatti la guerra?

Perché non potevamo essere amici?

Perché solo ora?

Perché tanto odio?

Perché non ci abbiamo nemmeno provato?

Perché non possiamo provare?

-Francesca, la diversità tra noi, il fatto  è che io sono troppo coglione e tu troppo buono-Rispose.

-Pensi che potremo esserlo, amici, dopo..domani?-Domandò Ponce de Leon, timoroso che Diego tornasse a comportarsi da stronzo proprio in un momento così bello.

-Penso che ci potemmo provare, ma abbiamo degli interessi comuni quali la Comello-Rispose Dominguez.
-Una ragazza non ha mai diviso due amici-Commentò Ponce de Leon.

Passarono secondi di imbarazzante silenzio. Marco s’alzò lentamente allontanandosi, lasciando prima però, un ultimo sguardo allo spagnolo.

Era forse l’ultima volta che potevano parlare, parlare per davvero.

L’ultima volta prima dal giorno seguente che potevano chiarirsi.

L’ultima volta che poteva esprimere la sua ammirazione nei confronti del compagno.
-Sei veramente forte Diego, la persona più forte che abbia mai conosciuto-Sussurrò timidamente, con così poca voce che lo spagnolo non lo udì.


Mosse passi lenti ed indecisi verso la casa preso dall’ansia dovuta alla  presenza di una figura, una figura  assolutamente riconoscibile, e che ora come prima scatenava in lui contrastati emozioni.
-Ciao-Salutò Francesca sorridendo lievemente.
Aveva i capelli legati, gli occhi stanchi e il volto così pallido da sembrare l’ombra di se stessa.

Aveva paura,lei, una fottuta paura che le attanagliava il cuore.

Voleva aggiustare le cose, prima che fosse tardi. Lo aveva capito Ponce De Leon.

Voleva mettersi a posto con la coscienza, e questo faceva incazzare Marco, perché, Dio, non voleva riallacciare i rapporti con l’italiana per puro senso di colpa.

Non voleva perdonarla per timore che venisse uccisa, e non voleva far finta di nulla.

-Hey- Salutò a sua volta Marco con voce fin troppo calma per il turbamento interiore che provava.

Francesca prese un respiro profondo, guardando il suolo ricoperto da piccoli rametti e foglioline.

-Ho sentito te e Diego ridere.  Ho sentito voi due, insieme e,Dio, è stata la cosa più bella che abbia mai udito Marco-

Esordì, nascondendo dietro alla schiena la mano leggermente tramante a causa della tensione.

-Mi dispiace. Per tutto. Per avervi separati e soprattutto per avevi fatto soffrire. Non volevo. Il problema è che amo entrambi, in modi diversi certo, ma amo entrambi. Ci sei tu che sei praticamente la sicurezza, la perfezione, il sogno e poi c’è lui che è l’incertezza, l’avventura, il mistero. Ed è difficile scegliere. Comprendimi ti prego- Continuò portandosi una mano al petto, con una sorta di disperazione della voce, un cipiglio sul viso, come fosse arrabbiata con qualche entità invisibile.

Era disperata, però, più che altro.

Di quel tipo di disperazione di chi ha bisogno di sentirsi dire che è tutto okay, che qualsiasi cosa succeda la situazione è chiarita. Nulla in sospeso.

Di chi ha bisogno di avere la coscienza pulita, come
immaginava Marco, il quale lanciò un ringhio di frustrazione.

-Ma dovrai farlo, dovrai scegliere,o ci perderai entrambi- Le fece notare, con un tono di voce leggermente troppo alto,  il ragazzo, che,dannazione, voleva capisse che non poteva essere così facile scordare il passato, il dolore e, si, anche la felicità, che era derivata da quel loro malsano e nocivo, e dannatamente irreale triangolo.

Banale eppure speciale.

Perché, Cristo, che la ragazza perfetta si innamori del classico stronzo dal cuore tenero, e, allo stesso tempo, anche del classico ragazzo della porta accanto, dolce e gentile, è il clichè dei clichè. La classica storiella da romanzo rosa, con l’unica differenza che Francesca, per quanto potesse sembrarlo, non era perfetta, anzi.

Che Diego, stronzo, con lei, non lo era mai stato, e che lo stesso Marco, poteva anche non esserlo, se voleva, il classico bravo ragazzo. Camilla lo diceva sempre.

-Lo so, e lo farò. Lasciamo passare questa guerra. Lasciamo passare tutto. Una tregua. In cui tutti siamo amici.  Una tregua ad ogni sentimento. Non voglio che nessuno si faccia male per colpa della mia indecisione. Se, se qualcuno di voi morisse io..-Prese un respiro profondo- Cazzo, non dico che ci morirei, dico solo che se voi moriste, o uno di voi lo facesse, rimarrei sempre con questo fottuto senso di colpa per avervi fatto soffrire, e lo so, è una cosa egoista, ma…io sono egoista, l’ho capito grazie a voi, che perfetta non lo sono. Sono egoista. L’ho dimostrato molte volte. Voglio solo sapere che tra noi è tutto okay- Concluse, giocando con le maniche del giubbotto.

-Varemente?-Ridacchio  ironico Diego, avvicinandosi.

Aveva un sorriso pazzo.

Arrabbiato o frustrato.

Forse entrambe le cose

-Datti una svegliata Francesca! Ti stai comportando in modo assurdo. Ciò che dici è assurdo!-Gridò poi prendendole le spalle e scuotendola, gli occhi spalancati, la voce roca, ancor più del solito.

E Marco lo ammirò ancora, perché lui stava aprendo gli occhi a Francesca, e le stava facendo capire quanto stesse sbagliando, e Ponce de Leon non ci riusciva.

Rimaneva bloccato nella sua delicatezza.

Nella sua gentilezza.

Nella sua timidezza.

Nel suo amore fin troppo idilliaco, in cui provare a
contraddire la Comello non passava nemmeno
nell’anticamera del suo cervello.

-Lo so!  Ho solo così tanta paura…Non voglio perdervi-
Ribattè lei scoppiando a piangere e nascondendo il volto nel petto di Dominguez che rimase immobile, come un statua.

Freddo d’animo.

Come se non l’avesse mai amata colei che s’aggrappava a lui
con tanta forza. Colei che lo implorava, con il cuore spezzato.

Come se non l’amasse ancora.


-Diego-Singhizzò il suo nome con voce patetica.

Lui la spinse via, bruscamente, a modo suo.

Sentiva gli occhi pungere di lacrime, ma sapeva che stava
facendo la scelta giusta.

Lasciarla andare.

Marco, era il più giusto per lei.

Legarla a se stesso,che avrebbe potuto morire l’indomani, era un errore, un’enorme sofferenza per lei.

Darle una speranza l’avrebbe uccisa, nel caso il giorno dopo non fosse sopravvissuto.

Le avrebbe lasciato in eredità il rimpianto di come sarebbe potuto essere, tra loro.

Una vita con lui.

In giro per il mondo.

Liberi, vivi, innamorati.


-Vi perderò-Sussurrò Francesca, che s’era lasciata cadere nella terra, nello sporco.

Le mani trai capelli, l’aria sconvolta, il make-up colato.

Aveva paura.
E Diego la odiava.
E Francesca se lo sentiva, che gli sarebbe successo qualcosa.

-Lo perderò-Strillò, così forte che addirittura Dominguez che si stava chiudendo la porta alle spalle, la udì, e singhiozzò, perché se stava così, l’italiana, era colpa sua.

-Non ci perderai. Nessuno di noi morirà domani- La abbracciò Marco - E potrai scegliere. Ti ama ancora.E’ solo impaurito-

Non aveva idea di quanto si sbagliasse

Perché Diego non aveva paura.

O almeno non della morte in se,quello era solo un bang, e poi finisce tutto.

Aveva paura di quello che si sarebbe lasciato alle spalle.

Aveva paura del dolore di chi rimaneva, ed era da ciò che voleva proteggere Francesca, che  era entrata nella sua vita con il sorriso dolce e i vestitini quasi infantili,  e che gli aveva cambiato la vita rendendola assolutamente peggiore, in un modo migliore però.




Ludmilla.

Ludmilla, bella e radiosa.

Ludmilla così poco snob e così poco finta.

Ludmilla che la falsità se l’era lasciata alle spalle.

Ludmilla con la sua maledizione.

Con il suo velo di tristezza.

Con i capelli biondi.

Con le gambe magre.

Con il sorriso perfetto.

Ludmilla, l' imperfetta perfezione.

Ludmilla, l’amore della vita.

Era questo che vedeva Federico Pasquarelli, ex drogato, redivivo, sbandato,sempre sorridente.

Seduta sul divano con le braccia ossute incrociate, e una tazza di caffè caldo tra le mani gelide e fini, Ludmilla osservava il camino.

Federico le si avvicinò.

Gli occhi marroni si fusero assieme, incontrandosi, fondente e cioccolato, e,Dio, non c’era nulla di più perfetto di questo, per loro due.

Nulla in più da desiderare, che loro due assieme.

L’italiano le sorrise, mostrandole i denti leggermente da castoro che Ludmilla amava prendere in giro.

-Hey-Le disse baciandole la fronte lasciata scoperta dallo chignon improvvisato e disordinato che portava, e la rendeva più sbarazzina e rilassata, più giovane, più bella.

La bionda non ricambiò il saluto limitandosi a battere la mano sul posto accanto al suo continuando ad osservare il fuoco nel cammino bruciare il legno, lentamente.

E Ludmilla si chiese se il legno potesse soffrire.

Era stupido, vero, ma chi ci assicurava che non avesse un anima?Che non vivesse come lei, come il suo ragazzo, come i suoi amici? E che di conseguenza non soffrisse?

Nessuno.

Pasquarelli la abbracciò, facendole posare il capo sulla propria spalla, coperta dal golf bordeau che la ragazza gli aveva comprato in una delle loro rare giornate felici.

-Sai che penso?-Chiese rompendo il silenzio nella sala.

-No.Non mi chiamo certo Camilla sonofottutamentespaventosaevestodimerda Torres- Replicò sorridendo la Ferro.

-Giusto- Rise di gusto il giovane- Allora te lo dico io. Penso che tu sia la ragazza più bella di questo mondo-Continuò, inginocchiato davanti a lei così da poterla ammirare.
Le carezzò il volto, le guance leggermente arrossate, gli occhi un po’ lucidi, la labbra rosse socchiuse.
-E perciò, Ludmilla Ferro, ti do questo anello come una promessa, e, Dio non scoppiare a piangere come stai per fare perché non ti sto chiedendo di sposarmi. Promettimi che quest’estate verrai con me in un viaggio on the road, senza ritorno. Ce ne andiamo, io,te e i nostri fottiti vizi, io, te e la nostra intatta verginità. Andiamo via cazzo, via da tutto questo schifo-

-Oh porco boia-Sussurrò incredula Ludmilla saltandogli al collo e ridacchiando dei si, accompagnati da gridolini di eccitazione.

-Io e te e la nostra eterna verginità?-Chiese un’altra volta, per avere la sicurezza che quello non  fosse un sogno, un bellissimo sogno destinato a lasciarle un enorme rimpianto.

Federico annuì , prendendola in braccio e facendola volteggiare per tutta la stanza.

Lei rideva, e non c’era nulla di più bello della sua risata.

Nulla di più bello del sapere che era felice, soprattutto per merito suo.
 


Maxi aveva gli occhi chiusi e dormiva pacificamente, e Nata, non capiva come  diamine facesse.

“Che idiota” pensò ridacchiando tra se e se, nello scrutarlo, così innocente, infantile. Bello.

Gli scrollò con forza una spalla, intenta a svegliarlo nel modo meno delicato possibile.

Non poteva aspettare ancora, lei.

Doveva parlare con lui, era la sua ultima occasione.

Occhi negli occhi, senza paura.

Viso contro viso, così vicini, da potersi baciare.

Cuore a cuore, uniti come solo loro potevano essere.

Nata voleva questo.

Perché domani si combatteva, domani di moriva forse, domani si perdeva, o magari vinceva, ma più probabilmente perdeva, e allora Natalia non voleva morire senza che lui sapesse.

Era stufa di lasciar correre il tempo che più non sarebbe tornato. Secondi che se ne andavano, attimi di meno di vita.

Ponte saltò sulla sedia, leggermente scombussolato, puntando poi gli occhi, quei grandi occhi neri che tanto la spagnola adorava, sull’amica.

-Dimmi che hai un buon motivo per svegliarmi, sai che nessuno deve farlo o rischia la vita- Esordì innervosito.

-O bhe il fatto che magari noi tutti rischiamo la vita, e che domani forse la perderemo e che ti devo parlare, e che devo fare con te tante cose, e che si ho bisogno di qualcuno con cui condividere l’ansia, mi sembra un ampia lista di buoni, anzi ottimi,motivi.-Replicò la riccia  gesticolando in quel modo che Maxi trovava tanto carino quanto ridicolo.

-Di cosa mi devi parlare?-Domandò il rapper, che non aspettava altro che una conferma di ciò che le aveva sentito udire una volta.

Un ti amo sussurrato per non essere udito, un ti amo biascicato, insicuro, degno della timidezza della spagnola.
Natalia prese un respiro profondo.

-Del fatto che io e te siamo più che amici, o  almeno, io ho una cotta per te alquanto seria, e tu non hai idea di quanto mi senta idiota ora, comunque si, visto che domani moriremo tutti voglio solo farti sapere che ti amo- Secondi di silenzio.

L’unico rumore era il battito dei loro cuori, i loro respiri accelerati.


-Dio. Lo hai detto. Si porco..oddio- Maxi si portò una mano sulla bocca con la stessa espressione di un’adolescente che incontra il suo idolo.

-Parla!-Lo intimò Natalia sulla spine.Un sorriso sul volto, per la surrealtà di quella situazione.

Perché, no, lei non si immaginava di avere quel coraggio.
E, no, non si aspettava nemmeno la reazione di Maxi.

-Sei la donna della mia vita Navarro, lo sapevo io- Le confessò, passandole le braccia attorno alla vita e posando le labbra sulle morbide di lei.

E Maxi poter dire di  essere stato in paradiso.


Violetta giocava nervosamente con le mani, sudate e tremanti di tensione.

Le ciocche blu erano disordinate sul capo, e la matita nera colata a causa del sudore.

Si esercitava con i poteri da ore, rimetteva posto le armi, organizzava piani tattici come se  fosse solo lei, quella a dover combattere il giorno dopo.

E a Vargas, questo dava un enorme fastidio.

Perché sentire il peso di tutto sulle sue spalle, era errato. Lei non era sola. Era una questione di famiglia la loro, una famiglia strana senza nessun tipo di autorità materna o paterna, composta da adolescenti problematici,si,ma pur sempre una famiglia vera.

-Calma-Le sussurrò Leon cingendola in un abbraccio da dietro e posandole un bacio sul collo.

Gli faceva ancora un certo effetto quella vicinanza tra loro, ma si stava abituando.

-Non posso stare calma, domani combatteremo. Tu combatterai-Rispose voltandosi con gli occhi chiusi per controllare le emozioni che prendevano il sopravvento su di lei .

Si sentiva, dentro, come se stesse per piangere, a causa della paura, e, questo non era da lei.

-Ma ci sarai tu, ed in ogni caso finirà bene per noi. Abbiamo
te che praticamente puoi riportare in vita chiunque, addirittura te stessa.Non abbiamo nulla da temere-La rassicurò il ragazzo stringendola a se, ancora.

Infondendole coraggio, ancora, pur non possedendolo.

Amandola, ancora.

A Violetta piacevano i fumetti da piccola. I supereroi senza paura che combattevano il mondo, senza minimamente calcolare il rischio di morire però, le davano i nervi.

Perché puoi avere ogni potere del mondo, ma la paura è
molto più forte di ogni magia.
Perciò amava i personaggi più deboli, un po’ come si sentiva lei.

Totalmente debole, per via del terrore.

-Ho un brutto presentimento- Replicò angosciata la giovane Castillo stringendosi al suo fidanzato.
Posò il capo nell’incavo del suo collo odorando il forte profumo delle colonia che spesso portava, un po’ aspro, ed esagerato, ma che sapeva così incredibilmente tanto di lui da essere il più spettacolare degli odori.

Vargas le carezzò i capelli, con delicatezza.

La verità era che anche lui aveva paura, una fottuta paura, che qualcosa potesse andare storto, ma non poteva darlo a vedere, non a Violetta, che sembrava così fragile nonostante fosse la più forte di tutti in quella casa


 
  
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