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Autore: Kristine_    03/10/2014    3 recensioni
Quanto tempo era passato? Tre anni? Ad essere sincera non ricordavo con esattezza quando fosse stata l'ultima volta che l'avevo visto, o ci eravamo salutati, guardati... O semplicemente considerati come “ciò che eravamo”, beh, in questo ultimo particolare caso allora il conto degli anni sarebbe stato ancora più complicato. Anche quando stavamo ancora insieme avevo smesso di guardarlo, mentre lui era rimasto quello di sempre, fino alla fine, e mi aveva sempre vista come la ragazza che amava. Per me, invece, lui non era stato abbastanza.
Genere: Sentimentale, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago
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Quanto tempo era passato? Tre anni? Ad essere sincera non ricordavo con esattezza quando fosse stata l'ultima volta che l'avevo visto, o ci eravamo salutati, guardati... O semplicemente considerati come “ciò che eravamo”, beh, in questo ultimo particolare caso allora il conto degli anni sarebbe stato ancora più complicato. Anche quando stavamo ancora insieme avevo smesso di guardarlo, mentre lui era rimasto quello di sempre, fino alla fine, e mi aveva sempre vista come la ragazza che amava. Per me, invece, lui non era stato abbastanza.

In quel preciso istante tornai in contatto con la realtà, ero impalata di fronte al cancello che dava sul giardino ampio e curato della villa che ormai non mi sembrava più di conoscere, avevano ridipinto gli esterni e cambiato colore delle imposte. Forse ho sbagliato casa... E l'unico modo per scoprirlo era usare il mazzo di chiavi che tenevo nelle mani ormai indolenzite.
Scarlett? Torna in te, non hai molto tempo! Devi prendere l'aereo! Non puoi perderti in reminiscenze simili, ora apri questo cancello!
Presi un profondo respiro, rassicurata dal fatto che in quella casa avrei dovuto metterci solo un piede e sarei stata fuori nell'arco di mezzo minuto. In tempo per prendere un taxi e arrivare in aeroporto.
Cominciai ad armeggiare con la serratura del cancello in cerca della chiave giusta.
Ma perché avevo accettato? Perché dovevo cercare io quella dannata scatola nel seminterrato, persa fra altre centinaia di scatole esattamente uguali a lei? Perché?!
La risposta era chiara: per il semplice fatto che non sapevo dir di no a mia madre, anche alla veneranda età di venticinque anni.
Azzeccai finalmente la chiave e spinsi il cancello in malo modo. Questo è un segno del destino non ci dovrei entrare in questa casa! Attraversai velocemente il giardino. Al contrario del cancello, la porta d'ingresso sembrava decisa a collaborare, ed inserii la chiave corretta al primo tentativo.
Se solo la serratura non fosse stata difettosa.
«Andiamo...» mi lamentai, irritata, cercando di far girare la chiave nella toppa.
Con una “leggera” spinta e del sano olio di gomito la porta si aprì, producendo un suono inquietante. Lo sapevo, questa casa non mi vuole! Fuck off!
«Tranquilla, tranquilla! Non voglio starci nemmeno io qui, devo solo fare un favore...» dissi rivolta alla porta, e aggiunsi sottovoce. «E ho accettato solo sapendo che in casa non c'erano i proprietari...»
Attraversai l'atrio ostentando sicurezza sui miei tacchi alti, ma era come essere osservata da centinaia di occhi inquisitori. Io ho sempre saputo che una troppo alta concentrazione di crocifissi in casa aumenta la possibilità di presenze demoniache!
Abbandonai la mia borsa sull'antica cassettiera in legno – l'unico elemento immutato dalla mia ultima visita – poi aprii la porta del seminterrato e mi tuffai giù per le scale, accompagnata dal rumore dei tacchi sul marmo. Ad ogni passo era come immergersi in una corrente d'aria sempre più fredda e, nonostante fossimo in primavera inoltrata, mi vennero i brividi.
«Ok, troviamo questa dannatissima scatola.» cominciai dalla prima stanza che avevo sempre visto chiusa e di cui non conoscevo la funzione, ma quando di fronte a me apparvero file e file di scatoloni, mi apparve subito chiaro il suo ruolo: DEPOSITO.
Cambiai obbiettivo ed entrai nella stanza a fianco che avevo visto poche volte, ma ricordavo contenesse il suo arco, ma lì non c'era più.
Venni colpita da una fitta che mi attraversò il costato da parte a parte, come una lama, ma fu solo per un attimo e poi il dolore scomparve. È acqua passata, non sono qui per questo.
In compenso, anche lì si presentava un oceano infinito di scatoloni. Di fronte a quella vista, non riuscii ad impedire la fuga della mia buona volontà. Fuck my mother, fuck everything, I give up!
Ma ecco spuntare da uno scatolone i guanti da giardinaggio che stavo cercando, corsi a prenderli, sorpresa di essere riuscita a portare a termine la missione in così breve tempo. Ma mentre stavo per uscire dalla stanza, una scatola attirò la mia attenzione: era bianca e usurata, ma era scritta su un lato con dell'inchiostro blu.
E la calligrafia era decisamente la mia.
Vinta dalla curiosità mi avvicinai per accertarmi che i miei occhi non mentissero, e mi allungai nel tentativo di raggiungere la vetta della piramide di scatoloni, dov'era posta quella sospetta.
Ci sono quasi...
Un rumore di passi frettolosi, provenienti dalle scale, mi fece bloccare all'istante, e nella mia mente calò una fitta nebbia che spazzò via ogni pensiero razionale. Nasconditi!
Questa fu l'unica direttiva che ricevetti dal mio sistema nervoso, prima che si spegnesse. E in un gesto disperato, prima che quei passi mi raggiungessero, cercai di seguire quel consiglio, riuscendo solo a perdere la stabilità sui miei bellissimi e inutili trampoli e distruggere la piramide di scatoloni, cadendoci sopra.

Quando la porta si aprì alle mie spalle, seppi ancor prima di vederlo, chi fosse entrato. O almeno lo speravo ardentemente perché non avrei voluto che nessun altro mi vedesse in quello stato.
Se fosse stato lui a varcare quella soglia, a parte lo shock iniziale, si sarebbe trovato di fronte a delle natiche di sua (antica) conoscenza, in caso contrario il trauma sarebbe stato permanente.
Il silenzio che calò fu tra i più imbarazzanti che avessi mai vissuto, ma per fortuna la mia faccia era schiacciata su delle scatole ammuffite e potevo nascondere il mio rossore.
Non doveva esserci nessuno in casa!
Dovevo riuscire ad uscire da quella situazione a qualsiasi costo.
«Trovato!» improvvisai, per spezzare quel silenzio e con dei gesti convulsi riuscii a rimettermi – miracolosamente – in piedi. Sventolai in aria i guanti da giardinaggio che avevo recuperato, dimenticandomi completamente della scatola bianca.
E quando misi a fuoco la figura che avevo di fronte, mi pentii di aver desiderato che fosse lui a trovarmi.
«Scarlett?» chiese incerto.
Oh sì, baby, a quanto pare sono proprio io, anche se ho perso la capacità di parola!
Mentre tentavo di riaccendere il cervello mi concessi un istante di contemplazione memorizzando ogni linea dei suoi 185 scultorei centimetri d'altezza, ma cosa più importante cercai un riscontro nella mia memoria di quella figura, ma non c'era nulla – se non gli occhi – ad essere rimasti immutati. Sembrava più alto, più vigoroso, più maturo e decisamente più uomo di quando ricordassi, e il leggero strato di barba che gli copriva la mandibola gli conferiva un'aria più seria.
Mi ricordai solo in quel momento che “respirare” era il primo passo per emettere dei suoni di senso compiuto.
«Certo che sono io, Derek!» risi nervosamente, cercando di mostrarmi disinvolta, per quanto possibile.
«Che diavolo ci fai qui?!» mi chiese, facendomi tornare nel panico più assoluto.
Ora che ci facevo caso, era davvero allarmato, i suoi pettorali che si sollevavano e si abbassavano sotto la camicia chiara ne erano la prova.
Smettila di fissarlo! Concentrati!
«Ehm, io... Storia lunga, mia madre mi ha chiesto di passare a prendere i suoi guanti da giardino, che aveva prestato a tua madre, che le ha dato le chiavi, ma poi lei sta aiutando sua sorella con il trasloco e non poteva passarli a riprendere. E visto che io ero in città mi ha chiesto di fare un salto! Non ho pensato di suonare, non doveva esserci nessuno in casa!» stavo parlando troppo in fretta e Derek mi fissava allibito con il sopracciglio sollevato. Dovevo smettere subito di blaterare!
«Insomma la vera domanda è: che ci fai tu qui?!» chiesi passando al contrattacco.
La sua espressione mutò, diventando seria. «È casa mia, fino a prova contraria.»
Mi morsi il labbro e schioccai le dita. Shit! «Giusta osservazione.» ammisi.
Emise un lieve sibilo con le labbra, che mi ricordai subito essere una sua sorta di risata trattenuta.
«Ho pensato fossi un ladro...» disse, ma dal tono sembrava scocciato più che divertito.
Non era molto felice di rivedermi, ma solo in quel momento mi accorsi che un angolo della sua bocca era sollevato. Mi stava sorridendo? Possibile? In ogni caso questo bastava a lasciare il mio cervello nel più totale black-out.
Shiiit!
«Se volessi rubarti qualcosa non metterei questi tacchi, credimi!» scherzai.
Derek scosse la testa sconsolato e mi fece cenno di seguirlo con la testa. «Andiamo, su! Ci penserò io a sistemare qui.»
Lo raggiunsi in fretta, sistemandomi meglio la gonna elegante che indossavo.
«Tanto per sapere c'è qualcun altro? Non vorrei aver spaventato altre persone...»
«No.» risposte subito, secco. «Ero solo di passaggio, ma il casino che hai fatto mi ha insospettito.»
Non ero abituata a ricevere delle risposte così formali e distaccate, era insopportabile, anche contando che tre secondi prima mi stava sorridendo!
Giusto, mi odia. Me n'ero dimenticata!
«Dai, sali scema!» disse in tono canzonatorio, e mi diede un leggero pizzicotto sul fianco. Sobbalzai appoggiandomi al muro, e rivolgendogli un'occhiataccia. Forse non si ricordava quando mi desse fastidio quel tocco, ma il suo sorriso furbesco mi fece ricredere. Se lo ricordava eccome!
Mentre salivo le scale verso il pian terreno venni colta da uno strano senso di euforia: era come se il tempo non fosse passato, eravamo ancora io e lui, e i suoi fastidiosi pizzicotti.
«Come va con tiro con l'arco?» chiesi, cercando di intraprendere una conversazione amichevole.
«Ho smesso da almeno un secolo.» ma alle mie orecchie era come se avesse aggiunto: “lo sapresti se non te ne fossi andata.”
Fra noi piombò nuovamente un pesante silenzio che non mi sentivo in grado di rompere.
Cosa diavolo aveva Derek?! Un disturbo bipolare di qualche tipo o era semplicemente mestruato? Un attimo prima sembrava aver superato tutto e un attimo dopo, era il rancore fatto a persona.
Una volta tornati alla luce del sole mi ero decisa a tentare un approccio diverso.
«Mi dispiace per il disturbo, ma ripeto, tu non dovevi esserci.» dissi, tentando ti stimolare una sua reazione. Ma fu del tutto inaspettata.
Affilò lo sguardo, e capii subito di aver sbagliato qualcosa. «Me ne sto andando.» rispose seccato.
Nel momento stesso in cui mi voltò le spalle, il mio cuore perse un battito e la mia reazione fu fulminea e irrazionale, ero consapevole che non si sarebbe voltato se non l'avessi fermato. Così, gli afferrai saldamente il polso con entrambe le mani, emettendo un “no” soffocato con quello che restava della mia voce.
Quando mi resi conto del mio gesto, non potei non rimanere bloccata.
Oh my God!
Questo rese palese qualsiasi cosa avessi cercato di nascondere, il mio desiderio, le mie speranze inconsce e la mia paura. Di fronte al suo viso basito e confuso allo stesso tempo, capii che da quel momento avrei dovuto giocare a carte scoperte.
Lui sapeva esattamente ciò che pensavo.
«Scusami.» mormorai e lasciai all'istante la presa, cercando di rimediare al mio gesto.
Non riuscivo più a guardarlo in faccia così cercai scampo, torturando i guanti da giardino di mia madre.
«No.» disse.
Sollevai lo sguardo sorpreso verso di lui.
«Cosa?» chiesi, incredula.
Si voltò completamente verso di me, negli occhi una fiamma che ricordavo di aver visto solo in poche occasioni, e mai rivolta a me.
«No, non ti scuso.» ripeté incrociando le braccia al petto.
Non sapevo cosa dire, ero semplicemente senza parole e riuscivo solo a guardarlo negli occhi, alla disperata ricerca di una spiegazione nelle sue iridi color della notte.
«Non posso. Dopo tutto quello che hai fatto.» quelle parole mi colpirono come proiettili, erano esattamente ciò per cui anch'io mi ero sempre biasimata, ma per cui non avrei mai pensato di essere accusata. Soprattutto non da lui, che in qualsiasi occasione mi aveva sempre difesa.
Le sue braccia caddero mollemente lungo i fianchi. «Scar, io non ti capisco! Te ne sei andata, hai scelto di farlo! E ogni volta che torni, anche solo per pochi istanti, i tuoi gesti smentiscono le tue parole.»
Respirò pesantemente, tentando di non alzare ulteriormente il tono di voce, sebbene non ci fosse nessuno che potesse sentirci. I lineamenti perfetti del suo viso si erano fatti duri e crudeli, come solo una persona ferita nel profondo può essere.
Si inumidì le labbra, come se le parole che stava per pronunciare fossero causa di un incredibile sforzo.
«Ma soprattutto, il modo in cui mi guardi adesso mi fa dubitare che sia stata proprio tu, la ragazza capace di cancellarmi, in quel modo, dalla tua vita.»
Respirò pesantemente e indietreggiò di un passo, come incapace di sostenere la mia presenza così ravvicinata. Sentire addosso il peso di quelle parole mi stava straziando, perché sapevo di meritarle tutte, ma in qualche modo, in quel contegno forzato e nel suo disprezzo, rivedevo un'ombra del ragazzo che conoscevo, e del sentimento che avevamo condiviso, e che ancora persisteva, nonostante tutto. Se avesse superato tutto, non mi parlerebbe così, non gli sarebbe difficile mettermi alla porta. L'indifferenza mi avrebbe spaventata di più.
«Non puoi rimediare, ora, a tutto questo.... A tutto quello che mi hai fatto passare.» la sua voce era rabbiosa. «E ho il diritto di...»
«Odiarmi?» intervenni.
Le sue labbra si serrarono. «No.» per un secondo parve riflettere. «Di non scusarti.» concluse con fastidio.
Annuii e chinai la testa, incapace di reggere oltre il suo sguardo. Sentivo la gola bruciare e l'irresistibile voglia di mettermi a piangere, ma feci di tutto per resistere.
Non ho niente da perdere, fra poco più di dodici ore sarò dall'altra parte dell'oceano.
Avevo sperato di evitare quel discorso, perché non affrontarlo avrebbe significato sapere che, in qualche modo, questo ci avrebbe portato a vederci ancora. Ma quello era il momento, non c'era più modo di rimandare. Misi da parte ogni inibizione e lasciai fluire le parole.
«Non pretendo di aggiustare il passato, quello che è stato è stato, ma voglio chiudere questa questione.» dissi con fermezza, tornando a sfidarlo con lo sguardo.
Ne eravamo consapevoli entrambi ed era questo il vero problema. Per troppo tempo avevamo lasciato che il dubbio ci logorasse, per troppo tempo avevamo lasciato che antiche fiamme ci divorassero, per troppo tempo avevamo vissuto nella speranza che, un giorno, saremmo tornati l'uno dall'altra, come persone nuove, diverse, questa volta, perfette per stare assieme.
Derek mi fissò per un lungo istante, senza voler intendere le mie parole.
«Dobbiamo solo mettere la parola fine.» mormorai.
«È già finita, da tempo. Io sto con Hanna.» disse, pronto a tirarsi indietro.
«Derek!» ringhiai, ottenendo immediatamente la sua attenzione. «Smettiamola di fuggire. Non voglio continuare a guardare indietro. Non si può continuare a sperare...» la frase si concluse in un sussurro, prendere consapevolezza di quello che stavo dicendo faceva dannatamente male.
E per lui sembrava essere ancora più doloroso, nonostante il male che gli avevo fatto, lui ancora mi amava più di quanto io potessi ricambiare.
Le labbra si mossero senza che me ne rendessi conto. «È stato meraviglioso, ma è il passato.» avevo la vista appannata dalle lacrime, ma le asciugai prima che potessero cadere. «Ora stiamo costruendo il nostro futuro, tu con Hanna e io a Toronto, ma non possiamo farlo se qualcosa ci frena... Se una parte di noi rema contro la nostra stessa volontà.»
Mi accorsi immediatamente che qualcosa nel suo sguardo era cambiato, i suoi occhi si erano spalancati.
«A Toronto?» chiese, ma il suo tono non riusciva ad apparire controllato.
Mi morsi il labbro, pentendomi per ciò che avevo lasciato trapelare, non volevo dirglielo così.
«Sono una scrittrice.» spiegai, con un lieve imbarazzo. «Sono qui solo per rivedere dei vecchi amici... E per avere il tuo perdono.» mi mossi lentamente verso di lui.
Derek scosse la testa, indietreggiando. «Non posso.»
Era come se cercasse di conservare del rimorso nei miei confronti per tenermi legata a lui e questo mi riempì di una gioia amara.
«Se non puoi perdonare, allora dimentica!» sbottai esasperata.
«Non posso farlo, Scar!!» gridò, ed io rimasi ammutolita.
«Allora devi trovare un modo per lasciarmi andare.» Dobbiamo trovare un modo per farlo.
E seppi subito che aveva in mente qualcosa, perché era esattamente quello che per anni avevo immaginato nell'angolo più oscuro della mia mente.
In quello scambio di sguardi tutto fu chiaro, entrambi lo volevamo, ma in lui, qualcosa lo tratteneva.
Derek si passò una mano fra i capelli e capii che non l'avrebbe fatto, avrei aspettato invano una sua mossa.
Il cuore mi scoppiò nel petto nella consapevolezza che, in un modo o nell'altro, era finita, ero stata stupida anche solo a pensare che potesse esistere una conclusione meno dura. Fissai gli occhi a terra e recuperai la mia borsa, poi mi voltai in direzione dell'uscita, ma la mia corsa fu fermata da delle forti braccia che mi riportarono repentinamente sui miei passi, tanto che per poco non caddi.
I suoi occhi tornarono violentemente nei miei, così vicini che riuscivo ad distinguere le venature familiari al loro interno.
«Sarà il nostro addio.» e quelle parole, pronunciate in un soffio, si fusero e diffusero nella mia bocca. La mia vista divenne confusa.
Era stato questo a tradirci, una fine non dichiarata che ci aveva segnati per anni, ed ora stava per concludersi, nella maniera più dolce e straziante che avrei potuto immaginare. Ora che ero fra le sue braccia le avrei volute solo respingere, per non essere costretta ricordarle così bene e non sentirne la mancanza, ora che il suo odore mi inebriava la mente avrei preferito non avvicinarlo oltre a me, per non essere costretta a paragonarlo a qualsiasi altro avrei sentito. Ora che il suo calore si fondeva con il mio, avrei voluto rimanere così per sempre.
I raggi del sole penetravano dalla finestra tiepidi e luminosi, ma la nostra pelle bruciava di più, la nostra anima brillava di più.
Non c'era rancore a consumarci, solo un'agognato bisogno di riconoscerci, di scoprire che, in fondo, non eravamo cambiati, che ci conoscevamo bene e sapevamo come amarci. E che alla fine di tutto quel male, fra noi, c'era ancora qualcosa da salvare, qualcosa che valesse la pena ricordare.
E mentre ci appartenevamo, stretti l'uno all'altra, il momento più meraviglioso si stava già trasformando in quello più doloroso. E il sole tramontava dietro l'orizzonte. Ma la sua voce, calda, al mio orecchio era così rassicurante, che il finire di quell'attimo non mi faceva paura.
«Non sono mai riuscito ad odiarti, Scarlett, e non potrò mai, perché mi hai aperto gli occhi quand'ero cieco e io ti amerò sempre per questo.»
Ogni muscolo del mio corpo si rilassò sotto l'effetto di quelle parole, e nei nostri sorrisi c'erano tutte le parole che non ci saremmo più detti.

 

Spazio dell'autrice: Dovete scusare l'alta concentrazione di “fuck” nel racconto, è stato più forte di me. Spero possa essere stata di vostro gradimento. Non scrivo molto su EFP quindi qualsiasi opinione, commento o critica è ben accetta!
XOXO, Kristine

   
 
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