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Autore: Clary F    04/10/2014    9 recensioni
Undici ragazzi, parenti e amici d'infanzia, si ritrovano insieme su una piccola isola di nome Cypress Island, per celebrare una festa importante. Tutti loro hanno commesso peccati, chi più gravi, chi meno. Disperazione, invidia, indolenza, ira, superbia, tradimento, prodigalità, spergiuro, lussuria, negligenza e … omicidio. Gli eventi che accadranno sull'isola obbligheranno ognuno di loro a confrontarsi con il proprio peccato e un segreto del passato, tenuto nascosto da tempo, tornerà a galla.
Genere: Angst, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
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SINNERS
(ACT 2)
 
 
Quattro anni prima.
 
Adrian venne letteralmente trascinato su per le scale da Ariadne. La casa di campagna nello Hampshire era avvolta dalla nebbia e il tempo non prometteva altro se non un temporale in arrivo. Ariadne si richiuse la porta della camera da letto alle spalle, dopo avervi praticamente buttato dentro Adrian. Un sorrisino malizioso aleggiava sulle sue belle labbra.
«Che hai intenzione di fare?» Le chiese Adrian, senza riuscire a trattenere un sorriso. Dopotutto erano in una camera da letto, senza la supervisione di alcun adulto, quindi le intenzioni di Ariadne erano piuttosto chiare, inoltre Adrian non era uno stupido.
«Tu che dici?» Replicò lei a bassa voce, chiudendo a chiave la porta e avvicinandosi lentamente al suo ragazzo.
Le mani sottili di lei si attorcigliarono sulla sua nuca e il corpo di Adrian esplose di calore e desiderio, come ogni volta che lei lo toccava.
Non poteva farne a meno. Aveva capito di amare Ariadne fin dal primo istante in cui l'aveva vista e ciò era accaduto più o meno alle scuole elementari. L'adorava e il fatto che una come lei ricambiasse il suo amore riusciva ancora a sconvolgerlo, dopo tanti anni passati insieme. Ariadne era semplicemente troppo. Era bellissima, intelligente e piena di passione, a volte anche po’ arrogante, questo doveva riconoscerlo, ma quel lato del suo carattere non lo infastidiva.
Ariadne avvicinò il viso al suo e lo baciò delicatamente sulle labbra.  «Nessuna idea?» Gli sussurrò all'orecchio, facendolo rabbrividire.
«In realtà qualche idea l'avrei …» Rispose lui, stringendola per la vita e portandola ancora più vicina. Tra i loro corpi non c'era un centimetro di spazio. «Ma … i ragazzi sono di sotto e tuo padre ci ha espressamente chiesto di badare a loro.»
Adrian voleva più di ogni altra cosa levare di dosso ad Ariadne quegli inutili vestiti e passare il resto del pomeriggio sotto le coperte in sua compagnia, ma il senso del dovere era una caratteristica innata in lui e non prendeva mai nulla troppo alla leggera.
Ariadne roteò gli occhi scuri e fece ondeggiare la chioma castana. «Oh, andiamo, non hanno mica due anni!»
«Ne hanno quindici, il che è ancora peggio.» Borbottò Adrian, passandosi una mano fra i capelli castani.
«La smetti di essere così attraentemente responsabile?» Ariadne batté le lunghe ciglia e fece scivolare le mani sotto il maglione di lui, accarezzando la pelle del suo torace.
«Così pensi che io sia attraente?» Disse Adrian, sollevando gli angoli della bocca all'insù.
«Molto attraente.» Ariadne iniziò a tracciare un sentiero di baci lungo l'incavo del collo di Adrian. Lui socchiuse gli occhi e per un attimo si abbandonò alle fantastiche sensazioni che quei baci gli trasmettevano. Poi tornò in sé stesso, dando prova di grande forza di volontà.
«Ari,» la spinse via delicatamente. «Davvero, non dovremmo lasciare Merry e Elizabeth da sole con i gemelli. Probabilmente stanno già svaligiando l'armadietto degli alcolici o peggio ancora.»
Ariadne mise il broncio. «E allora? Si divertono un po’, nulla di grave …» riprese a baciargli il collo e Adrian si sottrasse da lei nuovamente.
«Ma tuo padre -»
Adrian non riuscì a finire la frase. Due dita di Ariadne si erano posate sulle sue labbra, zittendolo. «Davvero vuoi parlare di mio padre, ora?»
Lui arrossì e lei ridacchiò. «Lascia che si divertano, non succederà niente.» La voce di Ariadne era dolce e sensuale e Adrian si ritrovò a pensare che forse non aveva tutti i torti. Dopotutto c'era Elizabeth insieme a Merry, Chris e Daniel, e lei era una ragazza molto responsabile.
Fece per aprire bocca e ribattere qualcosa, ma Ariadne lo precedette, liberandosi del maglione e della T-shirt che indossava sotto.
Adrian rimase a bocca aperta, senza parole. Ariadne annuì soddisfatta, probabilmente era la reazione che aveva sperato di ottenere rimanendo solo in jeans e reggiseno. Lo stuzzicò, tornando accanto a lui e riprendendo a baciarlo sul collo. Le sue mani aggraziate lavorarono per liberarlo dal maglione e poi si avventarono sui bottoni della camicia bianca che indossava. Adrian era ancora immobile. Non che non avesse mai visto Ariadne senza vestiti, stavano insieme da parecchi anni, ma ogni volta che la guardava era come se fosse la prima per lui. Ogni volta era più bella, il che era assurdo, ma non secondo Adrian. La razionalità che lo contraddistingueva lasciò presto il posto al desiderio di lei. Di sentirla vicino a sé, di stringerla tra le braccia e baciarla.
La prese per la vita e la adagiò sul letto, entrambi con addosso solamente i jeans, e iniziò a baciarla sulle labbra, affondando le mani tra i suoi capelli lunghi e morbidi e restituendole il favore, baciando ogni centimetro del suo collo.
«Sei stato arrendevole più del solito.» Lo stuzzicò lei, facendo scivolare le mani sulla sua schiena nuda.
«Con te non c'è battaglia che io possa vincere.» Sussurrò lui, tra un bacio e l'altro.
«Mai dette parole più vere.» Rise lei, spingendo i fianchi contro i suoi e rotolando sul materasso fino a ribaltare le posizioni. Ora Ariadne era sopra di lui, le ginocchia allineate ai suoi fianchi e la lunga coltre di capelli castani le pendeva da una spalla come una tenda. Adrian giaceva sulla schiena e i suoi occhi ambrati erano rivolti solamente a lei, pieni di pura adorazione e amore …
 
*
 
Negligenza. Lussuria. Adrian si sentiva male. Ora anche il suo peccato e quello di Ariadne erano spiegati. Così come quelli di Chris e Daniel. Spergiuro per Daniel, che aveva mentito alle forze dell'ordine per proteggere Merry e indolenza per Chris, che era stato troppo debole per imporsi sugli altri due. Quel pomeriggio, quello in cui Elizabeth era morta, lui e Ariadne erano in camera da letto a divertirsi. Il senso di colpa gli oppresse il petto. «Oh mio Dio.» Sussurrò, attirando l'attenzione degli altri su di sé. «È tutta colpa mia. Se non mi fossi fatto convincere e vi avessi tenuti d'occhio Elizabeth sarebbe ancora viva.»
Si prese la testa fra le mani, tra gli sguardi scioccati di tutti. «Non dire stronzate. Tu non hai nessuna colpa!» Gli disse Ariadne con passione, stringendogli un braccio.
«Certo che non ha nessuna colpa. La colpa qui è di Merry, è lei che l'ha uccisa.» La voce tagliente di Helen fece calare un ulteriore gelo nella stanza.
Merry si accasciò sul divano, il viso tra le mani e le lacrime che non smettevano di rigarle le guance.
«Sta' zitta.» Sibilò Ariadne, guadagnandosi un'occhiata scioccata da tutti i presenti. Ariadne era una persona prepotente, questo era un dato di fatto, ma Helen era la sua migliore amica e le due ragazze non avevano mai litigato prima di allora. «Mia sorella non ha fatto niente di male. È stato uno sbaglio.» Puntò gli occhi marroni dritti in quelli spalancati di Helen, che assunse una vaga sfumatura di rosso, molto simile a quella dei suoi capelli.
«M-ma che dici? L'ha uccisa!» Ripeté lei.
Merry alzò la testa di scatto. Non perché Helen l'avesse appena definita un'assassina, ma perché sua sorella, Ariadne, aveva preso le sue difese, un evento più unico che raro.
Ariadne sfoderò una delle sue espressione stoiche ed ostinate. «Tutti concordiamo sul fatto che Merry abbia commesso un errore, non un omicidio. Non è così?»
Ci fu un momento di assoluto silenzio, seguito da un vago brusio di assenso. Merry spalancò gli occhi. Era assurdo, quei ragazzi la stavano giustificando per un crimine indicibile. Aveva pensato spesso a quel momento. Quello in cui tutto sarebbe venuto a galla e se l'era immaginato sempre in modi diversi, ma mai così.
«Merry è una di famiglia. Noi siamo una famiglia e non accusiamo i nostri amici e parenti. Ha chiaramente commesso un errore, un errore terribile, drammatico ma … cosa guadagneremmo a denunciarla o insultarla? Sta già abbastanza male senza che noi infieriamo. Il senso di colpa le si legge in faccia.»
Damian lasciò tutti a bocca aperta con il suo discorso, solitamente non era un grande oratore.
Christopher serrò le labbra in una linea dura, segno che dimostrava appieno la sua disapprovazione. Ma gli altri … gli altri iniziarono ad annuire e Helen si trovò a fronteggiare nove persone che la fissavano con sguardi torvi, come a invitarla a contestare la loro tesi.
«È inammissibile. Ha commesso un omicidio, dovrebbe pagare per ciò che ha fatto.» Strillò la rossa, cercando appoggio nel suo ormai ex ragazzo, Emmett.
Lui si limitò a fissarla con i grandi occhi grigi e uno sguardo di pietra. «Elizabeth era la sua migliore amica, Helen. Il senso di colpa che si porterà appresso per tutta la vita è una punizione più che sufficiente. Tu non fai parte di questa famiglia, non puoi capire.»
Adrian, Ariadne, Fabian e Daniel annuirono. Christopher distolse lo sguardo. Ma nessuno si era ancora dato la pena di osservare bene Virginia. Lei era la sorella minore di Elizabeth, ed era forse la persona che aveva sofferto di più in assoluto per la sua scomparsa. Il suo viso era mortalmente pallido, i pugni stretti tanto da conficcarsi le unghie nella carne, gli occhi vitrei e pieni di lacrime pronte a sgorgare.
«Helen ha ragione.» Sussurrò Virginia con un filo di voce. Inizialmente nessuno badò a lei, poi la sua voce si fece più forte e acuta. Virginia stava tremando incontrollatamente quando si rivolse a Merry.
«Non posso credere che tu abbia fatto questo. E che tu,» sputò, puntando un dito accusatorio su Daniel, «e tu» lo spostò su Christopher, «l'abbiate aiutata a tenerlo nascosto.» Venne scossa dai singhiozzi, poi riprese a parlare.
«Mi avete fatto credere che Elizabeth fosse scomparsa, scappata di sua volontà. Mi avete lasciato un biglietto … un b-biglietto scritto con la sua calligrafia.» Singhiozzò rumorosamente e Merry distolse lo sguardo. Elizabeth era stata la sua migliore amica e compagna di banco da sempre. Aveva scritto lei quel biglietto: Vado via, non cercatemi. Elizabeth, imitando perfettamente la sua grafia.
«L'avete uccisa!» Urlò e il suo grido sembrò squarciare la notte ormai calata sulla villa. «Mi fate schifo! Tutti voi.» Si prese il viso fra le mani, tremando convulsamente. «D-dov'è mia sorella? Dove l'avete messa?!» Christopher le si avvicinò per consolarla ma lei si scansò con sguardo feroce. «Non provare a toccarmi!»
«Virginia … io … mi dispiace.» Disse Merry, suonando terribilmente banale. Ma era la verità e non sapeva in che altro modo giustificarsi.
Adrian si avvicinò a Virginia, allungando un braccio per toccarle la spalla. Lei reagì allontanando anche lui con uno schiaffo. «Dov'è mio fratello? Dov'è Julian?» Le lacrime erano inarrestabili. Ci fu un momento di totale immobilità nella stanza, dopodiché Virginia scappò via correndo.
Rimasero tutti a guardarsi, immobili come statue di cera.
«Voglio andarmene da qui.» Sussurrò Helen.
«Anche io.» Concordò Damian.
Adrian assunse nuovamente il controllo della situazione. «Damian, vai al telefono e chiama il porto. Digli di mandare subito un traghetto.» Il fratello annuì. «Io vado a cercare Virginia. È notte fonda, non voglio che cada e si faccia male. Soprattutto nello stato di shock in cui si trova.»
Di nuovo, tutti annuirono. Era bello avere accanto qualcuno come Adrian in quei momenti. Una solida roccia di razionalità.
 
*
 
Damian percorse i corridoi della villa a passo spedito. I pensieri di quell'assurda serata continuavano a vorticargli nella mente. Merry. Elizabeth. Fabian e Emmett. Sì, perché lui sapeva. Lo aveva scoperto circa un mese prima, quando aveva preso in prestito il cellulare di Fabian per fare una telefonata importante e, preso dalla noia del momento, si era messo a scorrere i messaggi del fratello. Sapeva da tempo che Fabian era gay, lo sapevano tutti, ma Emmett non sembrava proprio il tipo. Non che gli stereotipi contassero molto per lui, ma l'ultima persona con cui immaginava che Fabian intrecciasse una relazione amorosa era Emmett. Ma neanche questo gli importava, voleva semplicemente che i due fossero felici e, in ogni caso, c'erano cose più importanti di cui occuparsi in quel momento. Tipo andare via da quella maledetta isola inquietante.
Raggiunse il corridoio con il telefono a muro, lo stesso che aveva usato quel pomeriggio per parlare con John, anche se quella telefonata sembrava essere avvenuta secoli prima. Secoli in cui Merry non era una assassina e i gemelli i suoi complici.
Prese la cornetta e digitò il numero che avrebbe dovuto metterlo in contatto con la capitaneria del piccolo porticciolo. Digitò sulla tastiera ma non ci fu alcuno segnale, alcun suono. Abbassò gli occhi castano-verdi e vide che il cavo telefonico era stato tagliato. Sì, tagliato era la parola giusta.
Ma chi diavolo avrebbe mai potuto fare una cosa del genere?
Le lettere con i peccati, la filastrocca infantile e ora il telefono fuori uso. Era tutto così surreale e, per un attimo, Damian si sentì in preda ai capogiri.
Calmati. Non c'è niente che non va.
Anche se c'era tutto che non andava.
Ipotesi avanzarono nella sua mente annebbiata.
Forse i signori Stonem, i proprietari della villa, erano due dannati psicopatici che si stavano divertendo a farli andare fuori di testa.
Quando si fu calmato, Damian ricordò il signor Stonem che lo informava di una radio collegata direttamente con il porticciolo. Si trovava nel capanno degli attrezzi, all'esterno, perciò vi si diresse praticamente correndo.
Attraversò il giardino sul retro e quando si trovò davanti al dépendance era ormai senza fiato. Spinse la porta che cigolò in modo sinistro e individuò subito la radio.
Sapeva usare quell'aggeggio e vide che il pulsante era su ON. Era accesa, benissimo. Avvicinò le labbra al microfono e schiacciò un pulsante, come illustrato nelle indicazioni d'uso appese sul muro lì accanto. Tutto in quella villa era meticolosamente organizzato.
«C'è qualcuno?»
Attese.
«Mi sentite? C'è qualcuno?»
La radio non emetteva alcun suono.
«Abbiamo bisogno di aiuto. Ci serve un traghetto e -»
Era tutto inutile. La radio era muta come una tomba.
«Ci serve un … maledizione!»
Tirò un pugno al muro, scorticandosi le nocche. Aveva l'affanno ed era ormai chiaro che c'era qualcosa di sbagliato in tutta quella faccenda. Qualcuno aveva manomesso il telefono e anche la radio. I cellulari non prendevano, perciò quelli erano gli unici due modi per contattare il mondo reale.
Damian si passò le mani fra i capelli castano dorati, respirando affannosamente. E fu allora che lo notò.
C'era un odore strano in quel capanno, ma prima era stato troppo preso dalla radio per farvi caso. Come se un gatto vi fosse morto dentro. Si guardò attorno, ma la casetta era formata da una sola stanza. C'era un tavolo, una sedia, la radio manomessa e un divanetto giallo. Non c'era altro lì dentro, eccetto un armadio a muro, anch'esso di legno. Si avvicinò con passo cauto e l'odore sgradevole aumentò leggermente. Con le mani tremanti, aprì le ante di scatto e un urlo gli soffocò la gola, lo fece barcollare all'indietro e per poco non cadde a terra.
I signori Stonem erano lì dentro. Ma adesso era ovvio che non fossero loro i due psicopatici della villa. Perché erano morti. C'era sangue rappreso sulla testa della donna e una chiazza brunastra imbrattava la camicia dell'uomo, come se fosse stato pugnalato all'addome. I loro occhi erano vitrei e spaventati. I corpi accasciati uno sull'altro.
Erano morti.
C'era un assassino sull'isola.
 
*
 
Non aveva idea di dove si trovasse. Non aveva idea del mondo circostante. Tutto era buio e i rami si spezzavano sotto i suoi piedi, mentre correva nella vegetazione dell'isola senza alcuna meta, ma con uno scopo: dimenticare. Voleva dimenticare ciò che aveva appena sentito. Dimenticare che sua sorella era morta e non semplicemente morta, ma uccisa stupidamente da Merry Grey, la sua presunta migliore amica.
Elizabeth meritava di più. Meritava una vita bella e piena.
Virginia, stremata dalla corsa e dalla disperazione, si lasciò cadere a terra. Le ginocchia le affondarono nel terreno morbido e per un attimo non capì. Poi realizzò di essere arrivata sulla spiaggia sabbiosa. Non che avesse importanza. Si strinse le ginocchia al petto e continuò a piangere furiosamente. I singhiozzi le mozzavano il respiro da quanto erano forti e dolorosi e l'intero corpo era percorso da spasmi. Il freddo sembrava averle ghiacciato il sangue nelle vene e ogni scheggia di ghiaccio le feriva il cuore, già martoriato. Disperazione. Questo era il suo peccato e la giovane pensò che non ci fosse altra parola più adatta per descriverla. Era disperata per il peso della perdita, per le recenti scoperte, che si andavano ad aggiungere alla preoccupazione per Julian, che non si era ancora fatto vivo.
È morto anche lui.
Quel pensiero la colpì come un pungo in faccia.
Ne era sicura, lo sentiva.
Entrambi i suoi fratelli erano morti, la sua vita era un vortice di disperazione. Che senso aveva vivere?
«Virginia.»
Quella voce. C'era una voce che la stava chiamando. Ripeteva il suo nome come un mantra, con la dolcezza e l'affetto di una sorella che reclama il sangue del suo sangue.
Era la voce di Elizabeth.
«… Beth?» Sussurrò tremante, rimettendosi in piedi a fatica.
La voce si fece udire di nuovo, questa volta più forte.
«Sei tu? N-non sei … morta
Virginia smise di respirare a causa del terrore misto al sollievo nell'aver sentito la voce di sua sorella. Guardò in ogni direzione, aspettandosi di scorgere da un momento all'altro gli occhi chiari della sorella e la sua chioma biondo scuro così simile alla sua. «Dove sei, Beth?» Gridò con voce rotta.
Non ci fu risposta, ma un guizzo dorato attirò la sua attenzione. L'acqua dell'oceano era nera e scura come la notte che la circondava. Ma la grossa luna illuminava la sua superficie e faceva spiccare qualcosa di dorato in mezzo a tutto quel nero. Erano capelli, pensò Virginia. Capelli dorati, di quella sfumatura tipica della famiglia Sheridan. Lei, Elizabeth e Julian condividevano quei capelli.
«Beth!» Urlò Virginia. Poi, andando contro ogni razionalità, si tuffò in mare.
Nella sua mente Elizabeth era lì, a pochi metri da lei, e aveva bisogno di lei. Stava affogando e doveva essere salvata. Non c'era più niente di sano nella testa di Virginia. La disperazione aveva ottenebrato il suo cervello, lasciando spazio alla sola e pura irrazionalità.
La ragazza nuotò con tutte le sue forze, anche se le sembrava di muoversi a una lentezza esasperante. Poi qualcosa l'afferrò per la vita, per le gambe. Si dimenò, ma il peso dell'acqua e di quelle mani che la tiravano a fondo era più forte.
Presto si ritrovò sott'acqua e il mare le inondò i polmoni, stordendola e facendola bruciare di dolore. In un lampo di lucidità spalancò gli occhi e nel fondale vide il corpo di Julian. Le sue gambe erano impigliate a delle alghe lunghe e spesse, ma parte del suo corpo era tornato a galla, come la testa.
Virginia realizzò che i capelli che aveva visto scintillare alla luce della luna erano quelli di suo fratello e non quelli di Elizabeth. Poi realizzò che stava per morire e che presto sarebbe stata di nuovo con loro.
Chiuse gli occhi e smise di ribellarsi alla morte.
 
*
 
Fabian era tornato nella sua stanza a fare le valige, come quasi tutti gli altri ragazzi. Avevano convenuto che rimanere lì impalati nel salone ad aspettare il ritorno di Adrian e Virginia era pressoché inutile. In quel modo sarebbero stati pronti non appena il battello fosse tornato a prenderli.
A salvarci da questo posto infernale.
Avrebbe voluto con tutto il cuore che Emmett fosse lì con lui, anziché a tre porte di distanza insieme a quella arpia di Helen.
Come se la forza di quel pensiero potesse esaudire il suo desiderio, la porta della sua camera si aprì e Emmett apparve sulla soglia.
Fabian non riuscì a trattenere un enorme sorriso, nonostante la scoperta terribile riguardo a Elizabeth.
«Posso? Non riesco a stare nella stessa stanza con Helen, il suo sguardo accusatorio mi fa sentire ancora più orribile di quello che già mi sento.» Mormorò Emmett, fissando i suoi occhi grigi su quelli verdi di Fabian.
«Certo.» Rispose il ragazzo, continuando meccanicamente a riempire la valigia. «È assurdo quello che hanno fatto Merry e i gemelli.»
«Lo so,» sospirò Emmett, avvicinandosi al giovane. «Mi chiedo come siano riusciti a insabbiare tutto … tutte le prove intendo.»
Fabian seppe che con la parola prove, Emmett si riferiva al corpo di Elizabeth. In effetti era inconcepibile come tre quindicenni fossero riusciti a farla franca senza destare alcun sospetto.
«C'è una cosa buona, però, in tutto questo.» Continuò Emmett.
L'altro lo guardò con aria interrogativa.
«Io e Helen abbiamo rotto. Ora possiamo stare insieme, nel senso, insieme per davvero, senza nasconderci.» Le parole di Emmett uscirono un po’ più tremolanti di quanto avrebbe voluto.
«Non credo che sia il momento opportuno per dirlo agli altri, hanno avuto già troppi shock per oggi.» Fabian rise, anche se non c'era nulla di divertente.
«Non dico oggi. Ma più avanti, quando tutto questo sarà passato … sempre che tu lo voglia.» Aggiunse Emmett velocemente, con il cuore che gli martellava forte nel petto. Forse, ora che la loro relazione era arrivata a un punto successivo, Fabian si sarebbe tirato indietro. Forse tutta l'attrazione che provava nei suoi confronti era dettata semplicemente dal proibito e dall'agire in segreto.
Emmett deglutì a fatica, sperando che non fosse così. Il silenzio dall'altra parte lo stava uccidendo. Fabian si mosse velocemente e gli prese il viso fra le mani.
«Certo che voglio. È tutto ciò che voglio.» Gli sussurrò con voce appassionata. «Prima, quando ho visto te e Helen che vi baciavate nel bosco, mi sono sentito malissimo. Come se mi avessero appena pugnalato il cuore.»
Emmett posò le mani sopra quelle di lui. «Mi dispiace, l'ho fatto solo perché iniziava a essere sospettosa, ma -»
«Basta, non devi giustificarti. Ora non ha più importanza.» Fabian concluse con uno dei suoi sorrisini sghembi, dunque si tuffò sulle labbra dell'altro ragazzo in un bacio profondo e pieno di sentimenti e parole non dette. Emmett sentì la testa leggera come un palloncino e non esitò a rispondere al bacio, affondando le dita fra i capelli dorati dell'altro. Si staccò da lui solo un istante.
«Paradossalmente, questo potrebbe essere uno dei giorni più belli della mia vita.»
Fabian rise, questa volta fu una risata sincera, e riprese a baciarlo con foga sulle labbra, per poi scendere sul collo e ritornare ancora sulle labbra. Emmett lo strinse contro di sé, sentendosi immensamente bene accanto a lui e al suo profumo costoso che indossava sempre.
«Fabian!» Damian ruzzolò nella stanza e i due ragazzi si separarono immediatamente, ma non abbastanza da non essere visti.
«Merda.» Imprecò Fabian, abbassando lo sguardo.
«Senti, Damian, non è come sembra -» iniziò Emmett, cercando di giustificarsi, anche se era sicuro che Damian sapesse già da tempo della loro relazione clandestina. Il ragazzo lo interruppe bruscamente.
«Chi se ne frega!» Urlò Damian, il viso paonazzo. «So che state insieme di nascosto e mi sta bene.» Il volto gli si fece mortalmente serio. «I signori Stonem sono morti. Assassinati, nel capanno degli attrezzi. C'è uno psicopatico sull'isola, dobbiamo trovarlo.»
 
*
 
Si riunirono tutti nuovamente nel grande salone e vennero tutti informati sulle inquietanti novità. Questo suscitò un'ondata di panico prevedibile e Ariadne iniziò a strillare che Adrian era ancora là fuori a cercare Virginia, quindi una facile preda dello psicopatico che albergava sull'isola. Nessuno riuscì a calmarla, fino a quando Adrian non riapparve, mezz'ora dopo, con i vestiti sporchi di terra e l'aria di uno che ha perso la partita più importante della sua vita.
Ariadne gli si fiondò tra le braccia, sull'orlo delle lacrime. «Non l'ho trovata.» Sussurrò lui fra i suoi capelli, a nessuno in particolare, con lo sguardo spento e assente. Ovviamente Adrian non era ancora stato messo al corrente della morte dei signori Stonem e dell'impossibilità di contattare il porto. Quando lo scoprì per poco non ebbe uno shock, come tutti gli altri, e iniziò a urlare che Virginia doveva essere trovata e subito. I ragazzi decisero di organizzare una spedizione di gruppo. Avrebbero setacciato l'isola da cima a fondo e se c'era qualcun altro lì, oltre a loro, lo avrebbero trovato. Dopotutto l'isola era davvero di piccole dimensioni e non provvedeva molti nascondigli al di fuori della villa, a causa delle rocce scoscese e levigate da una parte e della spiaggia sabbiosa dall'altra. L'unico posto in cui qualcuno si sarebbe potuto nascondere era il bosco, ma anche in quel caso era molto piccolo e facile da setacciare.
Prima di tutto la casa venne perquisita da cima a fondo. Ogni angolo di ogni stanza, dispensa e sgabuzzino venne controllato e ricontrollato da tutti. Anche il capanno degli attrezzi venne perlustrato da Damian e Adrian, anche se entrambi ne avrebbero volentieri fatto a meno.
La casa era sicura. Non c'era nessuno che si nascondeva in essa.
«Qualcuno deve rimanere con le ragazze.» Ordinò Adrian, a capo della spedizione. I ragazzi tenevo coltelli e altri aggeggi pericolosi tra le mani, il che li rendeva in un certo senso comici agli occhi delle altre, anche se la situazione era più tragica che altro.
«Resto io, se per voi va bene.» Si offrì Christopher. «Le battute di caccia all'uomo non sono mai state la mia passione.» Si giustificò con una certa amarezza.
«Perfetto,» disse Adrian, baciando Ariadne sulla fronte e rincuorandola con bisbigli di conforto. «Rimanete tutti nel salone. Non andate da nessuna parte. Se qualcuno deve andare in bagno, ci andrà in coppia. Chiaro?»
Nessuno ebbe qualcosa da obbiettare. Adrian, Fabian, Damian, Daniel e Emmett uscirono nella notte che iniziava a schiarirsi, segno dell'alba imminente. Ariadne, Merry, Helen e Chris rimasero in silenzio nella stanza.
Helen si rannicchiò in una delle poltrone e iniziò a singhiozzare. «Non posso credere che tutto questo stia capitando a me.» Mormorò a un certo punto. «È assurdo.»
Ariadne, sorprendendo Merry per la seconda volta quel giorno, le mise un braccio sulle spalle e la strinse a sé.
«Io … mi dispiace. È tutta colpa mia.» Disse Merry, torturandosi le mani.
«Sciocchezze. Cosa c'entri tu con uno psicopatico che cerca di ucciderci?» Sbottò Ariadne.
«Prima le lettere con i peccati, ora tutto questo! Ci deve essere un qualche collegamento. Vuole punirci per i peccati commessi, forse? Ma come fa a sapere cosa abbiamo fatto, cosa io ho fatto?»
«Ma soprattutto, chi può essere?» Si intromise Chris, rimasto in silenzio fino a quel punto.
«È inutile barcamenarsi con le congetture. I ragazzi lo troveranno e a quel punto scopriremo chi è.» Ariadne parlò in tono definitivo e nessuno aggiunse altro.
Come ordinato da Adrian, ci furono i turni per andare al bagno. La notte passò lentamente fino a quando il chiarore del sole non illuminò la stanza. Christopher andò in cucina a preparare del caffè e le ragazze lo seguirono per non rimanere da sole. Dopo quelle che a tutti parvero ore interminabili, i ragazzi tornarono dalla loro ricerca. A mani vuote, evidentemente. Con loro non c'era alcuna traccia di Virginia, né di un probabile assassino. I loro volti erano coperti di sudore e terra.
«Niente?» Domandò Christopher, porgendo loro tazze di caffè fumante, che rifiutarono.
Merry si allarmò all'istante. C'era qualcosa nell'atteggiamento dei ragazzi che aveva un ché di ambiguo. C'era troppo dolore nei loro occhi.
«Che è successo? Cosa avete trovato?» Saltò su dal divano, sul quale era rimasta per ore, intorpidendole i muscoli.
Daniel le si avvicinò e le prese una mano. Un gesto che in qualche modo la scaldò, ma allo stesso tempo la terrorizzò. I suoi occhi blu erano fissi sui suoi. Aveva della terra sullo zigomo destro e Merry allungò una mano e la strofinò via con il pollice, come era solita fare nella sua giovinezza, quando entrambi giocavano a rotolare giù per le collinette terrose dell'Hampshire. In quel momento le sembrava quasi che gli anni di separazione non fossero mai avvenuti. Lui era Daniel, il ragazzo con cui era cresciuta e che aveva amato.
Amo, si corresse mentalmente.
Perché era così, non aveva mai smesso di amarlo e l'unico motivo per cui lo aveva allontanato era lo sgradevole ricordo della morte di Elizabeth a cui entrambi avevano assistito.
Daniel si morse il labbro e la strinse contro di sé, come se avesse letto i suoi pensieri, e iniziò a raccontare.
«Abbiamo perlustrato tutta l'isola. Io e Adrian la costa est, mentre Damian, Fabian e Emmett il lato ovest. Non c'è alcun nascondiglio possibile sulle coste, tutto è visibile anche da lontano. Abbiamo perlustrato il perimetro più e più volte, poi ci siamo dati appuntamento sulla collinetta al sorgere del sole, così da poter perlustrare anche l'interno e il bosco, tutti insieme e alla luce del giorno.» Si fermò, come se dire quelle parole gli costasse un enorme sforzo di volontà. «E così abbiamo fatto. Il bosco è fitto, sì, ma non ci sono casette, né grotte o cunicoli che potrebbero fornire un riparo. Non c'è niente, sull'intera isola, dove qualcuno possa nascondersi. Così abbiamo rifatto il giro della costa, questa volta con il sole a nostra disposizione e, mentre stavamo tornado, li abbiamo visti.»
«Chi!?» Helen fece sobbalzare tutti con il suo grido isterico. La tensione stava divorando tutti, ma evidentemente lei non riusciva più a sopportarla. «Chi avete visto? L'assassino?»
«No.» Rispose Daniel, sforzandosi di rimanere calmo. «Virginia e Julian. Proprio nel punto in cui la spiaggia di sabbia finisce e iniziano gli scogli. I loro corpi erano lì, galleggiavano quasi in superficie, ma durante la perlustrazione notturna non c'era abbastanza luce per vederli. Sono morti, affogati credo. Entrambi sono morti.»
Merry rimase agghiacciata dalla scoperta. Helen scoppiò a piangere e questa volta anche Ariadne la seguì. Chris si prese il viso fra le mani e si lasciò cadere su una sedia.
«M-ma avete detto che non c'è nessun nascondiglio sull'isola. Quindi, chi li ha uccisi, se non può esserci nessun altro a parte noi qui?» Chiese Chris, con aria allucinata.
Calò un silenzio di tomba. I vari occhi si incrociarono in muti sguardi carichi di significato. Ognuno stava apprendendo lentamente il significato di quelle parole e la conclusione ovvia che ne derivava era ancora più scioccante di tutto ciò che avevano vissuto fino a quel momento.
Helen mugolò.
E Ariadne trovò finalmente il coraggio di parlare. «No. Quello che state dicendo non ha senso.»
«Non ci sono altre spiegazioni.» Disse Fabian, con voce piatta.
«C'è un fottuto psicopatico fra di noi e, sinceramente, non ho la più pallida idea di chi possa essere.» Continuò Damian.
Il sole era ormai alto nel cielo, segno che il mezzogiorno era vicino, ma nessuno dei presenti aveva il benché minimo appetito.
All'improvviso, dopo un susseguirsi di sguardi tesi e angosciati, scoppiò il caos e tutti iniziarono a parlare all'unisono.
«È stata Merry! Ha già ucciso prima di oggi.» Urlò Helen, istericamente.
«Oh Dio, voglio andare a casa.»
«Dobbiamo aspettare il battello.»
«Smettila di strillare come un'arpia, Helen!»
«Non dirmi cosa devo fare! Non ne hai più alcun diritto.»
«E tu smettila di incolpare Merry per qualsiasi cosa!»
«Allora sei stato tu, in fondo mi hai tradito, saresti capace di fare cose ben peggiori …»
«Sei ridicola.»
«Basta, tutto questo è assurdo.»
«Mi stai accusando?!»
«Basta!»
L'urlo di Daniel era stato così forte e potente che tutti si zittirono all'istante. «Dobbiamo stare calmi. Il capitano ci aveva detto che il prossimo traghetto era programmato per domani mattina. Dobbiamo solo superare questa giornata e domani potremmo tornare a casa.»
«O alla polizia.» Borbottò Chris, facendo avanti e indietro lungo il salone. «Sempre che lo psicopatico che si nasconde fra noi non decida di farci a pezzi durante la notte.» Aggiunse con un sarcasmo intriso di amarezza e disperazione.
«Per questo staremo tutti uniti. Nessuno lascerà questo salone fino a domani per prendere quel maledetto battello.» Adrian parlò con voce stranamente calma. Era sorprendente come quel ragazzo riuscisse a mantenere i nervi saldi in ogni tipo di emergenza. Forse lo insegnavano a tutti gli studenti di Medicina, a Cambridge.
Helen, come al solito, si ribellò. «Non ho intenzione di passare la notte accanto a un assassino a sangue freddo.»
«Preferisci passarla da sola in camera tua? Accomodati.» La schernì Fabian, con voce tagliente come una lama.
«No.» Adrian riportò l'ordine, facendo segno a Helen di non ribattere. «Rimarremo tutti qui. Se qualcuno dovrà andare in bagno, ci andrà accompagnato da altre due persone. Dobbiamo aspettare tutti insieme, così non ci accadrà nulla.»
La razionalità di quelle parole sembrò calmare in minima parte gli altri ragazzi che, uno dopo l'altro, annuirono in segno di consenso.
«Be', mettiamoci comodi. Sarà una lunga giornata.» Disse Fabian, in un tono forzatamente ironico. Si accomodò su uno dei divani e sprofondò fra i cuscini. Emmett lo seguì senza dire una parola e gli si sedette accanto. Le loro spalle erano a contatto l'una con l'altra. A breve anche alcuni degli altri lì imitarono. Helen si sedette solitaria su una poltrona. Daniel e Merry su un altro dei divani, insieme a Damian. Adrian e Ariadne rimasero in piedi, abbracciati, così come Chris, che andò alla finestra che dava sul mare.
«Non posso credere che Virginia e Julian siano morti.» Sussurrò Merry a Daniel, stringendosi a lui e intrecciando le mani con le sue. Nel silenzio totale il suo sussurro arrivò anche alle orecchie degli altri. «Lo so,» le rispose Daniel dolcemente, posando le labbra piene sulla sua fronte. «Non è rimasto più nessun Sheridan.»
Virginia, Elizabeth e Julian Sheridan erano fratelli e ora erano tutti morti.
«Forse a Merry non piaceva quella famiglia.» Sibilò Helen, gelida.
«La vuoi finire, Helen?» Sbottò Ariadne, sciogliendosi dall'abbraccio con Adrian e andando a sedersi sul tappeto. «Io fatico davvero a credere che ci sia un killer fra di noi. Ci deve essere un'altra spiegazione.»
«E quale, di grazia?» Tornò a sibilare Helen. Era strano vederla rivolgersi in quel modo irrispettoso ad Ariadne. Di solito c'erano solo complimenti e paroline dolci per la sua migliore amica.
Lei non rispose e nessuno degli altri parlò più per parecchio tempo. Le menti stanche e assonnate iniziarono a rilassarsi. Ognuno si perse nei suoi pensieri, nel sonno o nei ricordi.
 
*
 
Quattro anni prima.
 
Aveva smesso di piovere, benché il cielo dell'Hampshire fosse ancora denso di nuvole e nebbia. La casa di campagna dei Grey sorgeva su una piccola collinetta, dietro alla quale si estendeva un bosco e un lago piuttosto profondo e melmoso. Da piccoli quasi tutti i ragazzi ci erano finiti dentro per sbaglio o per scherzo, nonostante gli adulti avessero espressamente proibito loro di fare il bagno in quel covo di alghe e batteri. Molto meglio la piscina sul retro.
Ed era proprio sulla riva di quel lago che si trovavano Merry, Daniel e Christopher, insieme al corpo di Elizabeth.
«Non posso crederci che lo stiamo facendo. Non posso crederci. Non posso crederci.» Chris aveva continuato a ripetere quelle parole per tutto il tragitto dalla casa fino al lago. Trasportare un corpo era un'attività davvero faticosa, constatò Merry, ma l'adrenalina e le braccia forti dei gemelli avevano avuto un ruolo fondamentale nell'impresa.
Le scarpe dei tre ragazzi erano affondate nella fanghiglia presente sulla riva.
«E adesso?» Chiese Daniel, con occhi vitrei molto simili a quelli senza vita di Elizabeth.
«Adesso la buttiamo nel lago.» Rispose Merry.
«Non posso crederci. Non posso cre-» Chris si bloccò. «Cristo, tu non hai idea di quello che stai facendo! Il corpo tornerà a galla!»
Merry sembrò scioccata da quella constatazione, ma in breve riprese il suo autocontrollo. «Quindi cosa suggerisci?»
Chris non aprì bocca.
«Ci sono dei mattoni nella cantina.» Dichiarò Daniel, lanciando una breve occhiata al corpo di Elizabeth. «Possiamo metterli nelle tasche del suo cappotto e dei suoi vestiti.»
Chris fece un verso strano, ma continuò a non dire nulla.
«Okay.» Annuì Merry.
«Andremo a prenderli io e Chris, tu rimani e se riesci porta qui la barca. Torniamo subito.»
I ragazzi presero a correre lungo la collinetta e Merry si ritrovò per la prima volta da sola con Elizabeth. Non voleva guardare i suoi occhi azzurri e vuoti che la fissavano, o i suoi capelli biondo scuro incrostati di terra e fango. Non meritava questa fine, ma ormai era troppo tardi per tornare indietro.
C'era una piccola barchetta di legno attraccata a un palo, anch'esso di legno, tramite una corda. La usavano spesso Damian e Fabian insieme a il nonno di Merry, quando ancora erano piccoli, per pescare nel lago. Ma ormai erano anni che nessuno la toccava. Merry la portò al punto in cui si trovava Elizabeth, pregando che il legno non fosse marcito col tempo. Aspettò, e presto i gemelli tornarono con le braccia cariche di mattoni.
La situazione iniziava a essere surreale.
«Ma che diavolo è successo?» Chiese Merry, osservando Chris che arrancava zoppicando.
I tre iniziarono a riempire le tasche di Elizabeth, mentre Daniel rispose alla sua domanda. «Si è ferito in cantina. C'era un ferro sporgente che non abbiamo visto nel buio.»
Merry guardò meglio Chris, che continuava a chiudersi nel suo mutismo ostinato. Sui pantaloni si stava allargando una chiazza di sangue piuttosto grande. Le venne la nausea, così distolse lo sguardo.
Daniel e Merry remarono fino al centro del lago. Non ci furono più imprevisti, la barca non cedette, i remi non si spezzarono e presto Elizabeth fu lasciata cadere nell'acqua torbida.
Affondò e non la rividero più.
Tornarono a casa di corsa. Adrian e Ariadne erano presumibilmente ancora chiusi in camera, così ne approfittarono per ripulirsi dal fango e per dare un'occhiata alla ferita di Chris.
Merry andò a prendere delle garze e del disinfettante e quando tornò nel bagno trovò Chris seduto sul pavimento, in boxer, con Daniel chino su di lui.
La ferita era davvero profonda. Come se il ferro si fosse conficcato a fondo nella carne. E, probabilmente era proprio ciò che era successo.
«Dannazione. Ti rimarrà una bella cicatrice, Chris.» Disse Daniel, mentre Merry medicava la ferita al suo gemello.
«Sentite, ecco cosa diremo a Adrian e Ariadne.» Iniziò lei, con voce dura. «Io e Elizabeth abbiamo litigato, lei ha preso le sue cose e se ne è voluta andare. Ci ha detto di aver chiamato suo padre e che sarebbe passato a prenderla lui con la macchina. L'abbiamo accompagnata fino alla strada, in questo modo giustificheremo le scarpe sporche di fango, e l'abbiamo lasciata lì, credendo che il signor Sheridan sarebbe arrivato da un momento all'altro. Quindi siamo andati in cantina per prendere del vino ed è lì che Chris è caduto. Chiaro?»
«Dovremmo scrivere un biglietto.» Aggiunse Chris, inaspettatamente.
«Un biglietto?»
«Sì, uno in cui lei dice che se ne voleva andare da tempo e di non cercarla. In questo modo non indagheranno troppo a fondo, né cercheranno un cadavere, ma semplicemente una ragazza scappata di casa.»
 
*
 
Quattro anni e qualche mese prima.
 
La famiglia Sheridan possedeva svariate proprietà immobiliari, ma la loro vera casa si trovava nel quartiere centrale di Clapham, Londra. La finestra della camera di Elizabeth si trovava al secondo piano, affacciata su un piccolo parco in cui spesso le persone andavano a correre o a far passeggiare i cani. Ed era proprio quella finestra, l'obbiettivo di Chris, mentre si arrampicava sulla grata di legno sopra la quale cresceva un fastidioso rampicante. Non era la prima volta che lo faceva, ma questo non rendeva le cose più semplici. Fortunatamente il tempo era stranamente bello e il sole del tardo pomeriggio lo riscaldava un po’, durante la sua scalata.
Ancora un passo.
Artigliò la mano all'infisso della finestra aperta e con un grugnito per niente regale, ruzzolò sul parquet, imprecando.
«Merda!»
«Oh mio - Chris?»
«Ciao, Elizabeth.» Rispose lui con un sorriso, ancora steso sul pavimento.
«Sei matto? Avrei potuto ucciderti credendoti un ladro!» Alzò la voce, per poi abbassarla immediatamente. Non voleva di certo che i suoi accorressero in camera sua per trovare Christopher steso sul pavimento.
Lui si rialzò, aggiustandosi i vestiti e togliendosi il giubbotto di pelle che indossava. «Non credo che tu sia così forte da potermi uccidere.» Ghignò, osservando Elizabeth in piedi a pochi passi da lui.
Sul suo viso dolce ben presto si dipinse un'espressione esasperata, spazzando via lo shock di pochi secondi prima. La ragazza indossava una tuta rosa pallido, e aveva i capelli legati in una coda disordinata. Era senza trucco e teneva ancora in mano la penna con cui stata scrivendo i compiti, a giudicare dalla scrivania ingombra di libri e quaderni.
«Davvero volevo uccidermi con una penna?» La prese in giro, Chris, senza toglierle gli occhi di dosso. La trovava bellissima anche con quei vestiti casalinghi.
«Okay, la prossima volta che deciderai di fare irruzione dalla mia finestra ti accoglierò con un coltello.» Ribatté lei, incrociando le braccia con aria scocciata, anche se in realtà stava sorridendo.
«Adoro le ragazze violente.» Chris si sedette sul letto di Elizabeth, tastandone la morbidezza e guardandosi in giro.
«Quello è nuovo.» Disse, indicando con un cenno del mento un poster che ritraeva una foto di una band, i Death Cab For Cutie. «Non c'era l'ultima volta che ho fatto irruzione dalla tua finestra, per usare le tue parole.»
Elizabeth seguì il suo sguardo e annuì. «Già, sono una nuova scoperta. Li conosci?»
«Se li conosco? Li adoro. Dovrebbero tenere un concerto qui a Londra prossimamente.» Le disse sorridendo.
«Sul serio? Mi piacerebbe tantissimo andarci.»
Chris non rispose, anche se la sua mente era già al lavoro, prendendo nota di comprare assolutamente due biglietti per il concerto. Se ne sarebbe occupato non appena uscito da lì.
«Comunque … che ci fai qui?» 
Lui si riscosse dai suoi pensieri e sorrise affabile. «Sono qui per aiutarti, ovviamente.» Rispose, pronto.
Elizabeth alzò un sopracciglio. «E perché avrei bisogno di aiuto?»
«Beh, da quello che ho capito sei un po’ scarsa in Algebra II, ultimamente. Si da il caso che io sia un genio della matematica.» Disse, orgogliosamente.
Elizabeth trattenne a stento una risata. «Un genio, eh? Quindi sei qui per aiutarmi a fare i compiti?»
Lui annuì con fare serissimo.
«Perfetto allora. Ho appena finito con letteratura e stavo proprio per iniziare le equazioni per domani.» Continuò lei, con quell'aria buffa che Chris adorava e, sebbene odiasse le equazioni, avrebbe fatto qualunque cosa per far felice Elizabeth. In quel modo forse un giorno lei lo avrebbe amato come lui amava lei.
«Adoro le equazioni.»
Elizabeth gli rivolse un ultimo sguardo scettico, prima di liberare una sedia da alcuni vestiti e portarla accanto alla sua, davanti alla scrivania.
Passarono il resto del pomeriggio a fare i compiti insieme. Non parlarono molto, Elizabeth era una ragazza piuttosto taciturna, e Chris apprezzava anche questo suo lato. Non gli importava di dover riempire il silenzio con inutili chiacchiere, gli bastava semplicemente starle accanto e, ogni volta che le loro braccia si sfioravano inavvertitamente, era la sensazione migliore che Chris avesse mai provato.
 
*
 
Tre mesi prima.
 
«Non posso crederci che stiamo andando a cena a Peckham.» Disse Emmett, affondando sul sedile del passeggero nell'auto di Fabian.
Era passata una settimana dal bacio inaspettato fuori dal Gents, il locale per soli uomini di dubbio gusto. Quella sera poteva essere considerata come il loro primo vero appuntamento. «È una zona poco raccomandabile, nel 2011 ci sono stati molti problemi riguardanti la criminalità. Oltre ad essere lontanissima dalle nostre case.» Emmett concluse il suo monologo, sentendosi improvvisamente molto vecchio e molto noioso. 
Perché diavolo stava parlando di dati sulla criminalità londinese ad un primo appuntamento?
Perché diavolo le sue mani non smettevano di sudare?
Ci mancava che iniziasse a snocciolare percentuali sulle rapine avvenute nella zona.
«Cavolo, sembri mio padre.» Disse Fabian, dopo un lungo silenzio, senza staccare gli occhi dalla strada.
Fantastico. Non che Emmett fosse tanto più grande di Fabian, aveva soli ventitre anni a confronto con i diciannove dell'altro, non erano poi un grande divario, ma lo erano quel tanto per farlo sentire inspiegabilmente vecchio. E, con quel discorsetto, probabilmente ne aveva guadagnati altri dieci, di anni.
«Ehm, scusa.» Borbottò, sbottonandosi in parte la giacca elegante che indossava. Se Fabian si fosse preso il disturbo di informarlo riguardo la loro malfamata destinazione, probabilmente avrebbe scelto un abbigliamento un po’ meno ricercato. Tipo felpa, jeans e giubbotto, proprio come aveva fatto Fabian.
«Comunque è proprio per quel motivo che stiamo andando a Peckham.» Continuò il giovane.
«Per l'alto tasso di criminalità?» Chiese Emmett, stupidamente.
Fabian trovò la frase molto divertente, infatti rise a lungo sotto lo sguardo torvo di Emmett.
«La vuoi piantare di ridere di me?» Sbottò lui.
«Oh Dio, scusa. Il tuo nervosismo ti rende esilarante.» Fabian finse di asciugarsi le lacrime agli occhi.
«Io non sono nervoso.» Sì, come no, pensò dentro di sé Emmett.
«La ragione per cui stiamo andando a cena lì è appunto perché è un quartiere lontano da quelli che frequentiamo di solito. Non correremo il rischio di incontrare nessuno che conosciamo.» Continuò Fabian, in tono ragionevole. «Così se avrò voglia di baciarti non dovrò trattenermi.» Aggiunse, sorridendo.
Emmett sentì le guance avvampare. Il che lo fece sentire abbastanza patetico, in realtà, e ringraziò l'atmosfera buia del crepuscolo che avvolgeva l'abitacolo. Il pensiero di ripetere quell'epico bacio con Fabian gli fece aumentare la frequenza cardiaca e improvvisamente divenne conscio della vicinanza con il corpo dell'altro. Del suo profilo concentrato sulla strada, dei suoi occhi verdi, luminosi anche alla luce fioca della sera, dei suoi capelli dorati scompigliati ad arte. Dovette lottare con tutte le sue forze, quando Fabian posò la mano sul cambio, per non coprirla con la sua e stringerla.
Che assurdità!
Conosceva quel ragazzo da quando era nato. Gli aveva fatto da babysitter infinite volte. Perché doveva sentirsi così a disagio proprio ora, dopo una vita passata insieme a lui?
Fabian parcheggiò l'auto in una stradina deserta. C'erano alberi su un lato e piccole casette in mattoni rossi sull'altro. Un insegna gialla e rossa sopra una di queste recitava: Golden Palace, il ristorante cinese in cui avrebbero cenato. Aveva tutta l'aria di essere una bettola.
«In realtà credo che ci abiti il nostro giardiniere a Peckham.» Disse Emmett, tanto per spezzare il silenzio.
«Credo che l'assegno cospicuo che gli elargisce tua madre ogni settimana basti a farlo stare zitto.» Rispose Fabian, ironico. «Se così non fosse potremmo sempre elogiarlo per il suo incredibile pollice verde. Che poi è anche la verità, quell'uomo è riuscito a far crescere delle splendide azalee nel centro di Londra. Deve essere un genio.»
Emmett aggrottò la fronte, mentre insieme entravano nel ristorante e venivano scortati fino al loro tavolo da un cameriere.
«Stiamo davvero parlando del mio giardiniere?» Chiese sedendosi sul divanetto di pelle rossa, subito seguito da Fabian. Le loro ginocchia si sfiorarono sotto il tavolo e lui dovette reprimere un brivido.
«Di cosa vorresti parlare? Magari di come e quando precisamente hai capito di essere gay?» Rispose l'altro, in un modo così disinvolto che fece cascare il mento a Emmett.
«Ehm,» fu dispensato dal rispondere dall'arrivo del cameriere, che prese le loro ordinazioni e poi si dileguò.
Fabian però sembrava ancora focalizzato sulla sua domanda di un attimo prima. «Allora?» Lo incitò, bevendo un sorso d'acqua.
«Io … ehm, quando ci siamo baciati, credo.»
«Ma è assurdo!» Sbottò Fabian, facendo voltare alcune teste curiose. «Andiamo, è impossibile. Io lo so praticamente da sempre. Con quante ragazze sei stato?»
Questo appuntamento stava andando di male in peggio.
«Anzi, non rispondere. Lo so io con quante ragazze sei stato, devo solo fare mente locale.» Fabian prese ad osservare il soffitto con aria pensierosa, contando con le mani. «Dunque, c'è stata quella Jenny al primo anno, giusto? Ricordo che è stata con noi per qualche giorno d'estate. Poi la mora con le belle labbra. La bionda di nome Christine, o Chrystal? Poi Kerry. Lei mi piaceva, in realtà. E infine quella rossa, la più odiosa di tutte in assoluto.»
Emmett sapeva che la rossa più odiosa di tutte era Helen Bell, la ragazza con cui conviveva attualmente.
«Beh, cinque dita di una mano alzate. Un bel riassunto per la mia vita sentimentale.» Rispose fiacco.
«E il sesso com'era? Insomma, dovrai esserti accorto che qualcosa non andava.» Disse Fabian, proprio mentre il cameriere portava le loro ordinazioni al tavolo.
«Vuoi abbassare la voce? Santissimo cielo.» Sibilò Emmett, diventando rosso di vergogna.
Teoricamente era lui il più grande, il più maturo. Non poteva farsi mettere a disagio da Fabian. Anche se non aveva tutti i torti. Da ragazzino aveva sempre pensato al sesso come a qualcosa di grandioso, poi quando era giunto il momento cruciale, con la mora dalle belle labbra per essere precisi, era stato una totale delusione su tutti i fronti. Allora aveva pensato che forse non era la persona giusta. Quindi aveva cambiato ragazza. Ancora e ancora, ma nulla era cambiato. Si era rassegnato, pensando tra sé e sé che in fondo il sesso era sopravvalutato, questo finché non aveva baciato Fabian.
La moltitudine di sensazioni che aveva provato in quell'istante erano state indescrivibili e uniche. Il suo corpo era stato attraversato da una scossa elettrica carica di eccitazione che non aveva mai sperimentato.
Pensò a tutto questo e arrossì ancora di più, poi pensò al fatto che Fabian avesse molta più esperienza di lui e, se possibile, toccò un' ulteriore sfumatura di rosso acceso.
«Emmett, ti stai sentendo male per caso? Sei paonazzo.» Fabian parlò con voce preoccupata e posò una mano sulla fronte del ragazzo, scostandogli una ciocca di capelli castano scuro.
Il contatto gli provocò la stessa scarica di energia che aveva provato durante il loro primo bacio.
«Stai scottando! Non è che hai la febbre?»
Come faceva a spiegargli che il suo viso scottava dall'imbarazzo e non per la febbre?
Emmett agitò la testa in senso di diniego, borbottando che stava benissimo. Prese le bacchette e si infilò in bocca una quantità esagerata di riso e pollo thai. Per poco non risputò tutto nel piatto, rischiando il soffocamento. «Bleah, questa roba fa schifo!»
Fabian prese una minuscola porzione del suo piatto e fece una smorfia. «Il mio riso sa di plastica.» Constatò con aria tetra.
In quell'arco di tempo Emmett era riuscito a riacquistare un colorito normale.
«Questo è l'appuntamento più orribile dell'universo, vero?» Chiese il più giovane, poggiando i gomiti sul tavolo e sostenendosi la testa fra le mani. Sembrava in preda allo sconforto e solo in quel momento Emmett si rese conto di essere stato troppo concentrato sulle sue insicurezze per vedere attraverso la solita facciata di Fabian, fatta di scherno e ironia.
Si sentì stranamente confortato, nonostante vederlo in quello stato di abbattimento gli fece stringere lo stomaco. Posò una mano sul suo ginocchio, anche attraverso la stoffa dei jeans riusciva a percepire il calore della sua pelle, e con l'altra mano gli sfiorò il mento in modo che voltasse il viso verso il suo.
«Possiamo renderlo meno peggiore di quello che è.» Gli disse in tono serio.
«E come? Facendo un reclamo ufficiale al cuoco?»
«Magari è arrivata l'ora di quel bacio di cui parlavi in macchina.»
Gli occhi verdi di Fabian si spalancarono leggermente, poi sulle sue labbra si disegnò uno dei suoi sorrisi indolenti. «Ma il tuo giardiniere potrebbe entrare da un momento all'altro e vederci. Mi sembra proprio il tipo che adora il riso che sa di plastica e, prima quando dicevo che avremmo potuto corromperlo con la sola arte della lusinga non -»
Lo sproloquio di Fabian venne interrotto bruscamente dalle labbra di Emmett che si posarono sulle sue. Ci fu un attimo di immobilità da parte di entrambi, fino a quando le loro labbra si dischiusero all'unisono e le loro lingue si intrecciarono in un bacio lento e languido, decisamente poco appropriato al luogo in cui si trovavano. Ma a Emmett non importava, era come se il mondo circostante fosse scomparso, lasciandoli soli a gustarsi quell'attimo perfetto.
 
*
 
Emmett si riscosse bruscamente dai suoi pensieri e si accorse che la testa di Fabian era poggiata sopra la sua spalla, le lunghe ciglia nere del ragazzo proiettavano disegni geometrici sui suoi zigomi pallidi, alla luce delle lampade accese nel salone. Fuori era buio e anche alcuni degli altri, oltre a Fabian, si erano assopiti per la stanchezza.
Emmett moriva dalla voglia di abbracciare il ragazzo e stringerlo più forte contro di sé. Voleva accarezzargli il viso e guardarlo con dolcezza mentre dormiva. Ma non poteva, non davanti a tutti.
Ma che senso aveva poi, continuare a mentire?
Voleva stare insieme a Fabian liberamente, voleva gridarlo a chiunque nonostante la situazione. O forse era proprio quella situazione che lo spingeva a voler rivelare i suoi veri sentimenti.
Sentì il petto gonfiarsi di una strana sensazione … coraggio, forse?
Voleva annunciare ai suoi amici di essere innamorato di Fabian. E lo avrebbe fatto. Ora. Si sentiva forte e pronto ad affrontare qualsiasi sfida, aprì la bocca e fece per parlare.
«Io ho bisogno di caffè.» 
Non era stato lui a pronunciare quelle parole, visto che si stava preparando ad urlare qualcosa del tipo: io amo Fabian e non mi interessa la vostra approvazione.
Era stato Christopher, alzatosi dal divano su cui giaceva.
Tutto il coraggio che Emmett aveva provato un attimo prima svanì. Aveva perso la sua occasione, per la stupida voglia di caffè di Christopher Hamilton.
«Immagino di non poter andare da solo in cucina, perciò, chi si offre volontario?» Continuò Chris, scrutando i ragazzi con i suoi profondi occhi blu.
«Io.» Rispose subito il suo gemello.
Daniel era teso, come tutti in quella stanza, ma sul suo viso c'era un'espressione così tetra che lasciò Emmett di stucco.
Lo aveva osservato, prima di perdersi nelle reminescenze romantiche riguardanti Fabian, e la sua faccia era diventata sempre più buia man mano che le ore passavano.
Era solamente lo stress dell'attesa?
O c'era dell'altro?
I due gemelli lasciarono la stanza, da dietro erano praticamente irriconoscibili, se non fosse stato per i loro vestiti.
 
*
 
«La cucina è da questa parte, fratello.»
«Lo so.» Rispose Daniel, senza smettere di camminare lungo il corridoio, diretto alle scale. «Dobbiamo parlare. In un posto appartato.»
Chris aggrottò la fronte e scrollò le spalle. «Come vuoi.»
I due gemelli camminarono in silenzio lungo il tragitto che li portò fino al secondo piano della villa, dove si diramavano le varie camere da letto. Daniel entrò nella sua senza esitare, aspettò che il fratello fosse dentro, poi la richiuse e accese la luce.
Chris incrociò le braccia al petto e lo fissò con aria interrogativa. «Allora?»
Daniel prese a camminare avanti e indietro, la testa fra le mani e il viso sconvolto. Quel minimo di autocontrollo che era riuscito ad ostentare davanti agli altri stava svanendo rapidamente.
«Chris … ti prego. Dimmi che non sei stato tu.» Sbottò alla fine, fermandosi davanti al fratello.
«Non sono stato io a fare cosa?»
«Tutto questo! A scrivere le lettere, a … a uccidere.» Aggiunse in un sussurro. «Ci ho pensato e ripensato tutto il giorno e …» si interruppe, incapace di esprimersi a parole.
«E?»
«E tu sei l'unico ad avere un motivo per fare tutto questo. Forse sto delirando. Basta che tu mi dica che non sei stato tu. Io ti crederò e ti lascerò in pace. Ma non riesco a smettere di togliermi dalla testa quel motivo. Un motivo che non ha alcun senso, ma -»
«Alcun senso?» Ringhiò Christopher.
Quelle due parole furono più chiare che una confessione. Daniel per poco non cadde per lo shock. Si appoggiò al muro con la schiena e non riuscì a trattenere le lacrime.
«Oddio. No. No, no.»
Nelle ultime ore aveva rimuginato a lungo ed era arrivato alla conclusione che l'assassino doveva essere il suo gemello, era l'unico tra loro ad avere un movente, ma aveva sperato fino all'ultimo di aver commesso un terribile errore.
«Io l'amavo!» Urlò Chris, con il volto rosso di rabbia. «Amavo Elizabeth. Questo motivo non ha alcun senso per te?» Sputò, avvicinandosi pericolosamente al gemello.
«Ma hai ucciso Virginia e Julian, i fratelli della ragazza che amavi! Questo non ha senso!» Anche Daniel urlò in preda alla disperazione.
Il volto di Chris si storse in una smorfia di disgusto. «Non c'è bisogno che tu capisca. Io amavo Elizabeth, Merry me l'ha portata via. L'ha uccisa. E tutti voi siete andati avanti con le vostre stupide vite. Come se lei non fosse importante, e per questo dovete pagare.» Sibilò Chris, lo sguardo folle.
«Ti prego, Chris. So che hai sofferto tantissimo, io so che l'amavi, lo avevo sospettato da tempo. Ma tutto questo è troppo, non lo capisci? Oh Dio. Devo dirlo agli altri.» Aggiunse Daniel, singhiozzando e voltando le spalle al fratello per raggiungere la maniglia della porta.
«No.»
Non fu quell'unica sillaba a immobilizzarlo, ma il modo in cui Chris la pronunciò gli fece gelare il sangue nelle vene.
 
*
 
«Avete sentito?» Chiese Merry alzandosi di scatto dal divano.
Da quando Daniel aveva lasciato la stanza non era più riuscita a chiudere occhio.
«Cosa?» Chiese Damian, ancora mortalmente assonnato.
Anche gli altri iniziarono a parlare contemporaneamente e Merry fece loro segno di tacere.
Si udirono voci concitate, provenienti dal piano di sopra.
Poi un colpo. Un urlo strozzato.
«Oh mio Dio!» Strillò Helen.
Schizzarono tutti fuori dal salone, Adrian in testa alla fila. Si udì il cigolio di una porta, altri colpi e poi una voce urlò, seguita da un tonfo sordo.
Dopodiché il silenzio.
I ragazzi continuarono a correre fino a che non giunsero alla base dell'imponente scalinata di marmo, che conduceva alle stanze da letto. Ai piedi di essa giaceva una figura immobile, gli arti distorti in una posizione innaturale e sulla fronte spiccava un taglio, contornato da una tumefazione. Merry passò gli istanti più terrificanti della sua vita quando si soffermò sul volto del ragazzo e vi scorse il naso dritto di Daniel, gli occhi blu di Daniel, gli zigomi alti e i capelli neri di Daniel. Poi guardò i vestiti.
Si trattava di Christopher.
Non riuscì a trattenere un sospiro di sollievo.
Adrian, come sempre, doveva essere giunto a quella stessa conclusione un attimo prima di lei, perché si fiondò sul corpo e posò due dita sulla gola del ragazzo, alla ricerca di battiti inesistenti. Alzò il viso disperato sulla figura immobile che ancora sostava in cima alle scale.
«Daniel … hai … hai ucciso tuo fratello?» Chiese con uno sconcerto tale da lasciar perdere tutte le altre sensazioni che sicuramente stava provando in quel momento: paura, orrore, disperazione.
Daniel cadde in ginocchio, il suo corpo venne scosso violentemente dai singhiozzi, mentre si prendeva il viso fra le mani e articolava frasi sconnesse.
«Era … lui … lui ha ucciso gli altri.» Mugolò, sforzandosi di parlare. Merry lo raggiunse di corsa, scavalcando il corpo senza vita del gemello e fiondandosi sul ragazzo che amava.
Non aveva importanza se aveva appena ucciso una persona, voleva solo assicurarsi che stesse bene e, in ogni caso, Daniel non avrebbe mai ucciso suo fratello senza una ragione. Un ragione che iniziava a farsi strada nella mente di Merry.
Abbracciò Daniel, stringendolo contro di sé. «L'ho ucciso. Ho ucciso mio fratello. Lui ha cercato - lui mi ha aggredito, sono corso fuori. L'ho spinto. Non volevo.» Soffocò il viso nella spalla della ragazza e continuò a piangere ininterrottamente. Solo molto tempo dopo fu di nuovo in grado di parlare e di spiegare dettagliatamente ciò che era successo in camera da letto.
Christopher aveva confessato di essere stato lui ad uccidere i signori Stonem e i fratelli Sheridan. Lo aveva fatto perché era profondamente innamorato di Elizabeth e non tollerava che tutti fossero andati avanti con le loro vite, dimenticandosi di lei.
Era un ragionamento senza senso, tutti ne convennero.
Nel frattempo, il senso di colpa stava divorando Daniel, ma i ragazzi lo aiutarono a superarlo, assicurandogli che aveva fatto la cosa giusta. Chris era una minaccia, grazie a lui erano salvi.
Era di nuovo mattina, quando Damian avvistò il battello approdare sull'isola.
 
*
 
La polizia recuperò i corpi dei signori Stonem, ma non riuscirono mai a trovare quelli di Virginia e Julian; la marea li aveva reclamati e, ancora una volta, la famiglia Sheridan avrebbe dovuto seppellire due bare vuote. Anche il corpo di Christopher fu recuperato dalla scientifica.
I testimoni vennero interrogati, uno ad uno. Le loro versioni erano identiche e non fu fatta parola della confessione di Merry riguardo l'aver ucciso Elizabeth, da nessuno, neppure da Helen.
Il battello riportò i ragazzi nel mondo reale. Seguirono altri interrogatori, le prove vennero analizzate, le testimonianze trascritte. Christopher Hamilton fu accusato di quadruplo omicidio. Daniel se la cavò senza alcuna macchia sulla fedina penale, grazie alla legittima difesa. E, dopotutto, lui era l'eroe.
 
*
 
L'appartamento di Merry si trovava nel quartiere residenziale di Mayfair, Londra. La casa era una di quelle tipiche, fatta di mattoni rossi e colonne bianche, che ospitava più appartamenti all'interno. Nella via antistante, i platani facevano ombra sui cortili frontali e l'aria fredda dell'autunno imminente svegliò Merry.
Si strofinò gli occhi, districandosi tra le lenzuola. Non ricordava di aver lasciato la finestra aperta quella notte. Forse era stato Daniel.
Si voltò su un fianco e ammirò il ragazzo disteso accanto a lei. Sveglio.
«Ehi,» le disse, sorridendo appena.
«Ehi,» Merry gli posò la testa sul petto, cingendolo con un braccio. «Sto ancora morendo di sonno. Stanotte ho dormito malissimo.» Si lamentò, accarezzando l'addome di Daniel.
«Ancora incubi?»
Merry annuì, continuando a percorrere con le dita gli avvallamenti dei suoi muscoli.
«Vuoi che scenda di sotto da Starbucks a prenderti un caffè molto forte?»
Lei non riuscì a trattenere un sorriso. «Stai scherzando?»
«Non direi.»
Daniel mosse le gambe e il lenzuolo gli scivolò da un lato del corpo. Indossava solo un paio di pantaloncini del pigiama.
Merry sentì una breve fitta allo stomaco.
«Lo sai. Io non bevo quella roba. Macchia i denti, fa venire gli infarti …» continuò ad accarezzarlo, scendendo lungo le gambe, fino all'orlo dei pantaloni.
«Oh, certo. Che idiota.» Daniel ridacchiò, facendole traballare la testa. «Vado a prepararti un tè.»
Erano passate quattro settimane dagli spiacevoli eventi accaduti a Cypress Island e lei ancora non riusciva a capacitarsene. Gli incubi la tormentavano, così come i visi di Virginia e Julian e anche quello di Christopher. Il che era paradossale, visto che un viso identico al suo le stava porgendo una tazza di tè fumante, proprio in quel momento. Daniel tornò a sdraiarsi nella stessa posizione di poco prima e Merry bevve alcuni sorsi dalla tazza, per poi accoccolarsi nuovamente accanto a lui.
Ho perso Daniel già una volta, questa sarà diversa, non lo lascerò, non affronterò tutto da sola. Riusciremo a superare tutto questo insieme.
Merry fece scivolare la mano lungo la coscia di lui, la sua pelle era ruvida al tatto, tranne in un punto. Un piccolo ovale di pelle liscia e levigata come marmo. Passò i polpastrelli sul quel punto e realizzò cosa fosse.
Un cicatrice.
Una cicatrice rotonda, proprio sulla coscia destra.
La stessa cicatrice che si era procurato Christopher quattro anni prima, nell'intento di occultare il cadavere di Elizabeth andando a recuperare dei mattoni.
Lei l'aveva vista. Aveva visto la ferita, ed era molto profonda.
«Dannazione. Ti rimarrà una bella cicatrice, Chris.»
Gli aveva detto Daniel.
La gola le si secco all'istante. Il cuore schizzò di frequenza. Una sensazione di disagio le appesantì l'intero corpo. Terrore, disgusto e adrenalina correvano nelle sue vene.
Si tirò su a sedere lentamente, coprendosi il corpo con il lenzuolo il più possibile.
Aveva baciato questo ragazzo per quattro settimane. Aveva passato con lui quasi ogni momento. Gli aveva confidato tutte le sue paure e angosce. Era quasi andata a letto con lui.
Credendo che fosse lui, ma non era lui.
Non era Daniel.
Era Christopher.
E questo significava solo una cosa: Daniel era morto.
Il terrore doveva leggersi chiaramente sul suo viso perché Christopher sorrise.
«Diavolo, Merry, credevo che non te ne saresti mai accorta. Ti ho dato tanti indizi, ma evidentemente ho sopravvalutato la tua intelligenza.» Sorrise educatamente.
Merry boccheggiò, le mancava l'aria e i muri della sua stanza sembravano chiudersi su di lei. «T-tu … cosa … oh mio -»
«Già. Credevi fosse finita? Che ti avrei lasciata andare via, libera di vivere la tua vita al meglio?» Ora la sua voce aveva assunto una sfumatura minacciosa. Merry tentò di scendere dal letto ma le sue gambe sembravano non funzionare. La testa le girava.
«P-perché lo stai facendo?»
«I motivi non sono cambiati. Elizabeth non meritava di morire. Io l'amavo, non lo hai ancora capito? Era così pura, dolce, innocente. Credo che lei ricambiasse i miei sentimenti ma, ehi -» rise amaramente «non lo sapremo mai, perché tu l'hai uccisa
«È stato un incidente, lo sai!» Strillò, ma la sua voce uscì bassa e rauca. La testa continuava a pulsarle e la vista le si era annebbiata. Provò di nuovo ad alzarsi, ma il suo corpo non collaborava.
«Non importa.» Rispose lui, pacato. Continuava a starsene lì sdraiato come se nulla fosse, con la schiena appoggiata alla testiera del letto e le gambe allungate sul materasso. «Il risultato è lo stesso, Merry. E tu devi pagare. Devo finire quello che ho iniziato sull'isola.»
«M-ma perché non mi hai uccisa e basta? Che motivi avevi per uccidere Virginia e Julian … e Daniel. Oh, Dio! Hai ucciso il tuo gemello, sei un mostro!» Prese a singhiozzare, ma Chris non vi badò.
«Come ti ho già detto, meriti di pagare per ciò che hai fatto. Volevo uccidere ogni persona a cui tenevi davanti ai tuoi stessi occhi. Per farti provare ciò che ho provato io, quando mi hai portato via Elizabeth. Dovevano tutti morire prima di te e solo allora sarebbe arrivato il tuo turno. E quell'isola sperduta e dimenticata da Dio era la location perfetta.» Sbottò in una risata priva allegria. «Purtroppo non ho tenuto conto della spiccata intelligenza di Adrian, quel ragazzo riesce a stupirmi ogni volta. La trovata del salone è stata geniale! Nessuno va in bagno da solo, nessuno lascia la stanza e tutte quelle altre stronzate … geniale. Peccato che con quel trucco da libro giallo mi abbia impedito di mettere a punto il mio intero piano. Ma non mi sono arreso, come vedi. Daniel aveva capito tutto e quando mi ha fronteggiato in quella camera da letto ho visto un'occasione e l'ho colta. L'ho colpito e lui è svenuto. Ho scambiato i nostri vestiti, poi l'ho trascinato fino alla scale per dare via alla messinscena. E ora eccomi qui, il tuo momento è arrivato, Meredith.» La guardò con quei grandi occhi blu, identici a quelli di Daniel, e Merry si sentì orribile per non essersi accorta subito dello scambio di persona.
Il suo corpo era completamente intorpidito e le palpebre diventavano ogni minuto più pesanti.
«Cosa hai messo nel mio tè?» Sussurrò appena.
Il viso di Chris si illuminò con un grande sorriso. «Qualcosa che ti farà molto male.»
«Morirò?»
«Puoi scommetterci.»
   
 
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