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Autore: Dragana    04/10/2014    13 recensioni
"Si è rifugiata da lui. Che le propone una tazza di tè, come se fosse la medicina a tutti i mali del mondo.
Non riesce a parlare, ha un nodo alla gola che fa talmente male, da piangere. La Lepre le imburra una fetta di pane tostato, e il Ghiro le dice di prendere fiato.
-Comincia dall'inizio-, le suggerisce, -E arriva alla fine. Dopodiché, fermati."
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Rossella
Pochi giorni fa mi hai scritto: “potrebbe anche essere qualcosa che invece hai tirato fuori tu dal cappello”… direi che sei stata profetica in ben più di un senso. Quindi un buon non compleannoooo… aaaaa… teeeeee!


ALICE NON GUARDA PIÙ I GATTI

Alice non guarda più i gatti
ma la varda nel mirino del fusiil
Alice l'ha spendüü i culuu che gh' era
e adess l'e' püssee scüra di so occ
L' ha nulegiaa anca lee el so tocch de infernu
insema ai so culeghi cunt el s'ciopp;
“Se vedi per caso il cappellaio matto
digli che la scelta è stata mia
In questo paese non vedo meraviglie
ma solo la strana poesia
del calderon de la stria.”
(“El calderon de la stria”, D. van de Sfroos)

Alice passò di nuovo lo straccio sulle canne del fucile di precisione. Non aveva certezze nella vita, a parte una: il fucile va sempre tenuto pulito. Lo diceva persino il Cappellaio Matto, e il fatto che lui non cambiasse idea su qualcosa significava che quella cosa era una certezza. Anche se era una cosa stupida come un fucile.
Nemmeno sul tè alle diciassette precise cambiava idea, però. E quella sì che era sul serio una cosa da matti.
Alice si strinse nelle spalle. In fondo cosa importava? Nella stessa stanza in cui lei passava e ripassava uno straccetto unto sui pezzi del fucile, Tweedledee aveva aperto due bottiglie di birra, una per lui e una per suo fratello, e suo fratello era morto tre anni prima. E il Califfo era già da un pezzo che aveva smesso di dire anche quelle poche parole che diceva di solito, per dedicarsi esclusivamente al suo narghilè e agli anelli di fumo.
La Strega aveva detto di aspettarli, che forse ci sarebbero state delle novità, e loro aspettavano, ognuno a modo suo. Si diceva che la Strega lavorasse solo con i matti; questo faceva chiedere ogni tanto ad Alice dove si collocasse lei, e una volta l’aveva chiesto alla Strega. Per tutta risposta, la Strega aveva sorriso in quel suo modo stranissimo e le aveva risposto: –Non posso aiutarti, temo. Siamo tutti matti, qui.
Ogni tanto ci pensava, ma non spesso. Non aveva importanza, non dopo la morte di Jabberwock. Aveva iniziato a vedere il mondo diversamente, dopo quella volta, e una compagnia di matti andava benissimo finché i lavori fruttavano. Anzi, era in un certo qual modo poetica. Non che questo la collocasse senza ombra di dubbio fuori dalla follia, naturalmente.
Lo scatto della serratura attirò l’attenzione di Alice, che alzò lo sguardo dal fucile. La Strega entrò, si appollaiò su una sedia, li guardò e sorrise.
Quando sorrideva così si faceva fatica a vedere altro: gli occhi nascosti dietro gli occhiali tondi, il volto dagli zigomi alti, tutta la sua persona sembrava quasi scomparire lasciando nell’aria solo lo strano sorriso a mezzaluna.
-Abbiamo un lavoro da fare-, annunciò. –Bill la Lucertola è tornato.

La staccionata.
Su ogni palo, un cappello diverso. Bucherellato.
Un botto, e una bombetta salta in aria, con un buco in più.
-Buon lavoro, Alice. Ora non devono più aspettarti perfettamente immobili mentre prendi la mira, basta che stiano fermi per i fatti loro.
La bambina tiene un attimo il broncio. Poi sorride.
-La gente sta ferma. Sta spessissimo ferma. Tu, per esempio, è da prima che sei fermo.
Il ragazzo, steso sul prato con una giacca a fargli da cuscino, solleva un attimo la tesa del cappello, per fissarla meglio.
-Questa è una giusta osservazione. Ma…
Con uno scatto di reni si alza in piedi. Poi si toglie il cappello e lo lancia in aria.
-Come vedi mi sono mosso!
Alice prova a sollevare velocemente la doppietta e sparare al cappello. Lo manca di un metro buono. Il ragazzo lo riprende al volo.
-Devi pensare velocemente, quando spari.
-Pensare a cosa?
-A dove vanno a finire le cose!-, esclama, e ributta il cappello in aria.
La bambina capisce, mira appena più in alto, lo manca di un pelo. Lui salta, lo riafferra e lo lancia senza dire niente, dalla parte opposta di prima. Stavolta la bambina è pronta.
Il cappello cade a terra con un buco.

Alice aveva sentito parlare di Bill la Lucertola.
A dire il vero chiunque aveva sentito parlare di Bill la Lucertola, se non altro per la taglia che c’era sulla sua testa; ma, dopo aver rapinato banche, diligenze e case private senza essersi mai fatto beccare, Bill doveva aver deciso che era meglio godersi i suoi guadagni sparendo dalla circolazione, e siccome la capacità principale di Bill era sparire, doveva essersi nascosto in posti dove nessuno l’avrebbe mai beccato. Così con il tempo avevano tutti smesso di cercarlo, ma la taglia era rimasta. Una signora taglia, altroché.
Dopo l’annuncio della Strega, tutti si erano fatti estremamente attenti. Persino il Califfo si era messo a sedere dritto, a gambe incrociate sul divano viola.
-In quanti lo sanno?-, aveva chiesto.
-Per ora solo noi, almeno questo mi ha detto il mio informatore. Non so quanto possiamo fidarci, quindi è il caso che ci muoviamo.
Tweedledee fece una specie di ringhio. –Mente. Ci scommetto le palle.
La Strega mosse pigramente la sua frusta avanti e indietro. Sembrava la coda di un gatto.
-Forse può mentire sull’esclusiva dell’informazione, ma non sull’informazione.- Sorriso. –Non l’ho ancora pagato.
-No?
Il Califfo la scrutava, gli occhi arrossati ridotti a fessure.
-No. Gli ho promesso una percentuale nel caso lo catturassimo. Ha accettato, il che significa solo una cosa: Bill è sul serio qui, da qualche parte.
-E se Bill è da qualche parte…- La frase rimase sospesa nel vuoto. Alice immaginò che dovesse concludersi con “noi lo troveremo”, o qualcosa del genere. Tweedledee aveva l’abitudine di dire le frasi metà ciascuno con suo fratello gemello, ed ora che una metà non c’era più, sembrava non rendersi conto che la maggioranza delle sue frasi rimanevano tronche. Siccome in genere erano frasi semplici, nessuno ci faceva troppo caso.
Il Califfo si esibì in una splendida serie di tre anelli di fumo. Poi li ruppe uno per uno, picchiettando la punta del narghilè nell’aria mentre domandava: -Lo troveremo dove?
-Ah, ma c’è un solo posto dove un uomo che non passa da queste parti per un sacco di tempo può andare, per prima cosa. E quindi è lì che chiederemo informazioni. Alice?
La Strega ghignava. Alice ghignò di rimando.
-Certo. Nel Paese delle Meraviglie.

A ogni lavoro andato bene, Jabberwock le regala un colore.
È così che dice, “un colore”. Può essere il viola dell’ametista, l’azzurro dell’acquamarina, il verde della giada. Ogni volta una perla diversa, in attesa di quando saranno più ricchi, che allora, dice lui, ti regalerò il bianco trasparente di un diamante enorme. E Alice ci crede. Non che voglia davvero il diamante enorme; basta il pensiero, i suoi colori le piacciono. La sua vita con Jabberwock le piace. Non sono ricchi, hanno piccoli incarichi, non possono ancora permettersi la licenza da cacciatori di taglie. Ma è lo stesso, prima o poi l’avranno, pensa Alice.
Quindi si stupisce quando Jabberwock le propone quella cosa.
-È  un furto-, gli dice. –Diventeremo fuorilegge. Saremo noi i cacciati.
-Solo se ci scoprono, tranquilla. Che pericolo vuoi che sia il reverendo Dodgson? È un uomo di chiesa. Sarà un lavoretto facilissimo. Non ci scoprirà mai nessuno, e saremo ricchi. Avrai il tuo diamante, non sei contenta?
Alice non lo è. Ma lui è Jabberwock, e lei lo ama. E si fida di lui. E se dice che sarebbe stato un lavoro facile, allora lo sarebbe stato.

La prima volta che Alice aveva incontrato la Strega, era stato proprio lì, in quello che chiamavano il Paese delle Meraviglie. Non sapeva che fosse proprio la Strega, allora, era giovane e non sapeva niente. Infatti si era persa, e le aveva chiesto indicazioni.
-Per andare dove?-, le aveva chiesto la Strega.
-Poco importa-, aveva risposto Alice, -purché io possa…
-Allora poco importa che strada prendi.
Si era spazientita, allora. Poi, riflettendoci su, aveva capito che la Strega aveva ragione. In fondo, l’importante era non stare fermi in un punto.
Nel Paese delle Meraviglie si diceva che tutto appartenesse alla Regina di Cuori. Nel momento in cui ci mettevi piede, diventavi un suo suddito. I Gendarmi non ci entravano se non per diventare anch’essi sudditi, il Paese delle Meraviglie si autogestiva: chi non ne rispettava le regole non scritte doveva vedersela con i Fanti di Picche, se era fortunato, perché se non lo era veniva portato direttamente al cospetto della Regina. In quell’intrico di vicoli, in quella zona dall’architettura impazzita, in cui diversi stili si susseguivano e sovrapponevano l’uno con l’altro, si entrava per cercare denaro facile, piacere dei sensi o direttamente lei.
 “Se la Regina lo vuole, perdi la testa”. Lo sapevano tutti nel Paese delle Meraviglie, e lo sapevano bene anche fuori da lì. Adesso che l’aveva vista, Alice non faceva fatica a capire perché.
Era mezza stesa, languida, su una specie di triclinio foderato di stoffa rossa. Anche il suo vestito era rosso, bordato di nero e oro, e dallo spacco sulla gonna spuntava una gamba lunga, lunghissima, ricoperta di tralci di rose tatuati. Lo stesso tralcio sbucava dal seno, appena contenuto nel corpetto a forma di cuore, e si arrampicava sulla carne bianca della spalla e del braccio. Non si faceva fatica a immaginarla, nuda, avvinghiata da quel tralcio, e da lì a desiderare di abbracciarla così, stretta da soffocare, non ci voleva che il tempo di un battito di cuore.
Aveva i capelli rossi, tantissimi capelli rossi e pesanti e inanellati sugli omeri. Capelli da volerci affondare le mani, e il volto, e rimanere lì, avvolti in mezzo a quei capelli, per sempre.
-La Strega, e il Calderone della Strega, così mi è stato annunciato.
La Strega sorrise e fece una mezza riverenza, in quel suo modo che sembrava dire “può sembrare che ti obbedisca, ma aspetta solo di voltare la schiena e salterò sul tavolo per mangiare la tua panna”.
-È proprio così, Maestà.
-Siete qui per avere i miei servigi?
Nel dirlo, la Regina fece un gesto languido con la mano, comprendente le ragazze dalle gambe lunghe vestite di piume rosa, le cortigiane d’alto bordo e persino le sue guardie. Tweedledee spalancò gli occhi e fece per dare di gomito a qualcuno che avrebbe dovuto trovarsi alla sua sinistra, il Califfo invece rimase immobile. Probabilmente non gliene fregava nulla delle ragazze fenicottero, a meno che non avessero del fumo, cosa che comunque Alice non si sentiva di escludere. Dal canto suo… no, né gli eleganti cortigiani vestiti con i colori delle carte da gioco né i Fanti di Picche facevano per lei.
Figuriamoci per La Strega.
-Siamo qui per lavoro, Maestà. Purtroppo-, si sentì in dovere di aggiungere.
La Regina inarcò un sopracciglio. I brillantini rossi che lo decoravano luccicarono.
-Senza che io ne fossi a conoscenza qualcuno qui ha una taglia sulla testa? Dovrò dunque fargliela tagliare.
Il brusio in sala si abbassò improvvisamente di intensità. Alice fu certa di vedere un brivido che percorse tutti i presenti.
-Non che mi risulti. Ci servirebbe un’informazione. Naturalmente faremo uno scambio, non pretendo di averla gratis. L’informazione, dico.
La Regina arricciò un angolo della bocca in un sorriso malizioso. –No, nulla qui si può avere gratis. Che tipo di informazione potreste darmi che possa interessarmi?
Il sorriso della Strega si aprì particolarmente. Restò come sospeso in aria, nella stanza, mettendo il resto in secondo piano.
-Riguarda un biglietto. Un biglietto dorato.

Mesi dopo, un Tweedledee che ancora non conosce le avrebbe detto che “Tranquillo è morto inculato”.
Il reverendo Dodgson ha occhiali scuri e dita lunghe, macchiate, che tiene unite davanti a sé. E sorride.
Alice è stata catturata, ed è legata strettamente. Non sa dove sia Jabberwock, è stato preso anche lui. Le viene da piangere, ma cerca di non farlo.
-Dovrei chiamare le guardie, sai? Farvi imprigionare, come meritate. Ma sono generoso perché vedi, sono un reverendo e devo essere generoso. Diciamo che è il mio dovere.
Alice non sospira di sollievo. Ha paura. Il sorriso del reverendo non ha niente di generoso, niente di clemente. È un sorriso divertito, semmai. Eccitato. Come di chi sta per iniziare un gioco che aspetta da tempo.
-Ti piacerebbe avere la licenza da cacciatore di taglie, vero?
Alice non capisce. Sgrana gli occhi, scuote la testa. –Cosa…?-, farfuglia.
-La licenza. La vorresti?
C’è qualcosa. Ci deve essere qualcosa. Lei ha tentato di derubarlo, e lui le chiede se le piacerebbe avere la licenza. E non ha chiamato le guardie. Ma non si fida, c’è qualcosa che non va sul suo volto. Il sorriso, è quello ad essere sbagliato.
Le prende il mento, le accarezza il viso con quelle dita lunghe e sottili. Alice vorrebbe ritrarsi, ma non può.
-Rispondi, cara. Non aver paura. La vorresti o no?
-Sì. Sì, la vorrei… reverendo.
-Molto bene, cara. Posso fartela ottenere, sai. In cambio, dovrai solo uccidere il tuo complice. Puoi farlo?
Alice sgrana gli occhi. –Cosa?-, grida. Uccidere Jabberwock? L’uomo che ama?
-Non dire “cosa”, cara, è molto maleducato. Dì “prego?”. Io vi lascerò andare, entrambi. E vi darò tre giorni. A lui ho fatto la stessa proposta. Se entro tre giorni uno di voi due non mi avrà portato il cadavere dell’altro, allerterò i cacciatori e sai, sono abbastanza ricco e influente per la clausola “li voglio morti”. In caso contrario, chi rimarrà vivo avrà la licenza. Sono abbastanza ricco e influente anche per farvi ottenere quella. Non la trovi molto generosa come offerta?
Alice lo guarda, gli occhi che mandano lampi. Gli sputerebbe, se non fosse troppo ben educata per farlo.
-Risparmi il suo tempo, reverendo, e chiami le guardie. Nessuno di noi due accetterà mai.
-Ne sei davvero così certa, cara? Saresti disposta a giurare che il tuo bello non ha accettato la mia proposta?
Alice lo fissa con aria di sfida.
-Ma certo. Lui mi ama.
-Oh, che meravigliosa ingenuità! L’amore è davvero una benedizione divina! Ad ogni modo, cara, non chiamerò le guardie. Farò esattamente come ho detto. Le guardie? La prigione? Troppo facile. Siete venuti in casa mia e avete cercato di derubare me. La mia offerta è fin troppo generosa: permetto a uno dei due di rimanere vivo. A voi decidere chi.
Batte leggermente le mani.
-Stupitemi!-, esclama, gli occhi che brillano di una luce di eccitazione.

La Regina, con un solo gesto, aveva sgombrato il salone. Alice non si faceva illusioni, sapeva che di certo erano sotto tiro e al minimo movimento falso si sarebbero beccati una pallottola dritta in mezzo alla fronte, ma nessuno dei tiratori era abbastanza vicino per sentire i patti che concludeva la Regina. In ogni caso, non era lei il loro obiettivo.
Ora si era seduta dritta. Le mani stringevano forte il bordo del triclinio, l’espressione era diventata dura, acuta. La Strega sembrava leccarsi i baffi.
-Non ditemi che potete procurarmene uno. Sarebbe una menzogna talmente grande che vi farei decapitare qui, seduta stante. Tendo a perdere le staffe se mi si prende in giro.
-Non potrei procurarvene uno nemmeno se volessi, Maestà. Ma so chi potrebbe aiutarvi a farlo. O almeno, ad arrivarci più vicino.
Alice era rimasta stupefatta quando aveva saputo della Regina e del biglietto d’oro. Non avrebbe mai pensato che la Regina, proprio la Regina, la sovrana del Paese delle Meraviglie, colei che aveva tutto, bellezza, denaro, potere, avrebbe voluto andarsene via. Si chiese cosa le mancasse, e cosa sperasse di trovare, nel Paese che c’era oltre lo Specchio.
La Regina si alzò in piedi. Percorse gli scalini di marmo a piedi scalzi, lo strascico del vestito rosso fuoco dietro di lei, i capelli come una nuvola al tramonto. Si fermò di fronte alla Strega; la sovrastava di parecchi centimetri.
-Parla, Gatta.
Nessuno chiamava Gatta la Strega. Anche se l’impressione generale era quella. Alice aveva sentito solo un’altra persona farlo, e nemmeno direttamente a lei; ma d’altronde il Cappellaio chiamava Lepre e Ghiro i suoi compagni, quindi forse la sua era semplicemente una mania.
-Maestà, umilmente… prima la mia informazione. Non ho intenzione di fregarvi. So che non ne uscirei viva.
-Concesso-. L’espressione della Regina tornò languida, il sorriso morbido. Nonostante la situazione, l’impressione era che La Strega si sarebbe messa a fare le fusa. Alice non le dava tutti i torti; la Regina ipnotizzava. –Che cosa volete sapere?
-Bill la Lucertola è tornato. E, se tanto mi da tanto, è venuto qui. Non riesco nemmeno a immaginare che non abbiate voluto vederlo di persona, Maestà, dopo tutti questi anni di assenza… Cosa cerca? Come mai è qui? Dove si nasconde? Ecco, se voi poteste dirmi qualcosa…
-Bill. Dovevo immaginarlo che foste venuti per lui. Ebbene, sì, l’ho visto. Avete fatto un bingo.
La Strega sorrise e avvicinò il volto a quello della Regina. –E…?
-E non mi ha certo detto dove si nasconda, né quello che vuole. Non è stupido. Ma so chi è il suo complice. Potreste sempre…- La Regina guardò Tweedledee e inarcò un sopracciglio –chiedere a lui.
La Strega annuì. -È abbastanza-, decretò.
-Sì, penso che lo sia. Ora, prima di dirvi il nome, dovreste dirmi qualcosa voi.
Alice sapeva bene che non era il denaro, il problema. La Regina ne aveva quanto voleva. Il problema erano le referenze; l’acquisto di quel biglietto era, per usare il termine che aveva usato Tweedledee la sera prima, “più blindato della fica di una suora”. Volevano solo cittadini candidi e immacolati, al Paese che c’era oltre lo Specchio. E la Regina era rossa. Decisamente troppo rossa.
-C’è qualcuno che, dietro compenso naturalmente, ma su quello suppongo che vi accorderete, può procurare documenti falsi che potrebbero ingannare perfino i Controllori.
La Regina aggrottò le sopracciglia e contrasse la mascella. Gli occhi sembravano lampeggiare.
-Non farmi perdere le staffe, Gatta. C’è una persona sola capace di farlo, ed è…
-La Falsa Tartaruga.
-Che è scomparso tre anni fa!
La Regina aveva afferrato la Strega per il bavero. Immediatamente tutti scattarono, ma la Strega gli fece cenno di stare fermi. Alice era certa di avere udito il click di sicure che venivano tolte.
-Non è scomparso, Maestà. Non precisamente scomparso. Si è solo, diciamo, ritirato. Ma si da il caso che io sappia come trovarlo. Bisogna sempre mettere da parte una buona informazione, no? Sapete, perché può sempre esserci bisogno di una buona informazione. Potrebbe piovere.
La Regina non mollò. Le si avvicinò, naso contro naso.
-Lo sai?-, le soffiò in faccia.
La Strega avvicinò le labbra all’orecchio della Regina. Adesso persino il Califfo aveva gli occhi sgranati come piattini da tè.
Le mormorò qualcosa all’orecchio. La Regina ebbe un brivido.
La lasciò andare.
-Il complice di Bill è Humpty Dumpty, l’avvocato. Se la tua informazione è falsa…
-Non dubito che taglierete la testa a tutti noi, Maestà. Ora possiamo togliete il disturbo?

-Secondo voi perché vuole quel biglietto?
Il Califfo si strinse nelle spalle. –Sei troppo curiosa. Non sono affari tuoi.
Alice sbuffò. Il Califfo la esasperava; sapeva che ad alcune ragazze piaceva il suo fare distaccato, la sua pelle scura, i suoi modi esotici e persino il fatto che fosse sempre perennemente circondato dall’alone di qualcosa che stava fumando, ma per quanto la riguardava trovava tutto questo snervante. D’altra parte, a lui disturbava la sua, a suo dire, eccessiva curiosità; Alice lo sapeva perché una volta si era degnato di farglielo sapere, spiegandoglielo con estrema calma e il minor numero di parole possibili.
-Cuccia, voi due-. La Strega li guardò con finta severità. –Non so perché voglia andarsene da qui, ma so che è la cosa che desidera di più al mondo. È questa la moneta di scambio più potente: sapere cosa l’altra persona desidera di più al mondo, e fargliela avere. O almeno, portarla più vicino.
-O farglielo solo credere-, aggiunse Tweedledee. Che la cosa che desiderava di più al mondo non l’avrebbe mai più riavuta, e si rifiutava di accettarlo.
-Sì, ma come facevi a sapere del biglietto?
La Strega sembrò adombrarsi un attimo. Poi tornò sorridente ed enigmatica come al solito.
-Diciamo che una volta la conoscevo. Non che fossimo amiche, lei non ha amici, ha solo sudditi; mi ha detto che la solitudine è un ventaglio complicato, che devi aprire e chiudere con maestria.- Dopo averlo detto, fece schioccare la frusta. Lo faceva ogni volta che qualcuno diceva una frase particolarmente significativa, come per sottolinearla.  -Si è stancata di quel ventaglio, credo.
-Oh. Pensa di trovare amici, oltre lo Specchio?
La Strega alzò le mani. –Non ne ho idea, Alice. Ma aveva un ventaglio in mano, mentre lo diceva, ed era un ventaglio ingombrante. Tutto di piume di pavone, sai. Non mi meraviglio che voglia liberarsene.
-Sì, ma il Paese oltre lo Specchio? Se su quel treno scoprono che non è in regola, poi non è che si limitano a rimandarla indietro.
-Ognuno fa le sue scelte. Anche tu le hai fatte.
-Io spero solo che aspetti almeno che prendiamo la taglia di Bill, perché adesso che l’abbiamo vista…
Il ghigno di Tweedledee rese il finale della sua frase fin troppo esplicito. Il Califfo li guardò un attimo, poi tornò a concentrarsi sulla sigaretta che si stava rollando.
-Non importa quanto tu vada lontano, non potrai mai allontanarti da te stesso-, fece sapere.
La Strega fece schioccare la frusta.

Alice l’ha trovato, e lui le ha puntato la pistola contro. Ma Alice è molto più brava di lui a sparare, lo sanno entrambi. Anche lei gli punta la pistola contro, e si fissano negli occhi.
Alice lo sa che lui ha paura. Non sa se lei ha accettato o no il gioco del reverendo. Persino lei in questo momento vacilla, non sa più se davvero lui non le sparerebbe mai. Ma no, non deve pensarci. Non deve lasciare che le parole del reverendo le avvelenino i pensieri.
-Non ti voglio uccidere. Mi fido di te, noi non ci uccideremo.
Lui la fissa. Aggrotta le sopracciglia. Si sente in trappola, Alice lo sa.
-Stavolta decido io cosa faremo. Andremo noi stessi dalle Guardie, ci costituiremo, e racconteremo quello che ci ha detto il reverendo. Sconteremo la nostra pena, ma poi saremo liberi, scapperemo da qualche parte e ricominceremo la nostra vita. Nessuno ucciderà nessuno. Ti amo.
Lui abbassa appena la pistola, il braccio gli trema leggermente.
-Dici sul serio? Non vuoi uccidermi?
-No! Guarda, abbasso la pistola. Vedi? Noi non ci uccideremo.
Lui la guarda con sguardo incredulo. Alice lascia il braccio lungo il fianco, e allora il suo sguardo si fa di nuovo caldo, quasi ribaldo. Sorride.
-Temevo che mi avresti tradito. Scusa se ho dubitato di te.
Lei gli si avvicina, gli prende la pistola e le butta a terra entrambe, vicine. Lo abbraccia.
-Le lasciamo qui le pistole-, dice. -Saremo entrambi disarmati.

Humpty Dumpty aveva una testa davvero strana: tanto per cominciare era enorme, in proporzione al resto del corpo; inoltre aveva una forma ovale, ed era totalmente priva di capelli. Nel complesso, sembrava un uovo. Alice, che gli stava puntando il fucile alla nuca, ne era quasi affascinata.
-Voi non sapete chi sono io… Non potete… Se mi farete qualcosa, il Re lo verrà a sapere!
La Strega fece un mezzo sorriso. –Il Re?
-Proprio così! Il Re! Lui mi ha promesso… con la sua stessa bocca… che manderà tutti i suoi uomini se…
Tweedledee ghignò.
-Allora è proprio un peccato…-, disse, scrocchiandosi le dita.
-Cosa? È un peccato cosa?
Il Califfo aspirò un anello di fumo. –Che il Re non sia qui, suppongo. Dice le frasi a metà. Sa, è matto.
-Questa… questa qui… Ferma!
Humpty Dumpty stava agitando la sua cravatta. Alice spinse più forte il fucile contro la sua nuca, e lui alzò di nuovo le mani.
-Me l’hanno regalata il Re e la Regina. Vedete? Se mi torcerete un capello…
-Non ce li hai, i capelli. Vedi capelli, tu?-, chiese Tweedledee a nessuno di preciso. Ghignò. –Infatti. Nemmeno il Re e la Regina. Sono oltre lo Specchio, loro. Dici che verranno ad aiutarlo?
-Loro… Il Re in persona me l’ha detto! Non sapete chi sono io!
-Nemmeno secondo me. Dì, Tweedledum, dici che se tiro abbastanza forte il braccio si stacca?
Humpty Dumpty si guardò attorno, terrorizzato.
-Ma fermatelo, non potete…
-Allora io di qua, tu di là, al mio tre!-, esclamò Tweedledee, afferrandogli il braccio.
-Il Re… Il Re…
-Humpty Dumpty sat on a wall-, cominciò a canticchiare La Strega.
-Uno…
-Voi siete pazzi! Smettetela immediatamente!
Il Califfo si unì alla canzoncina. Tweedledee fece un sorrisetto.
-Humpty Dumpty had a great fall.
-Credo che il “due” sia appena stato sottointeso. Se fossi in lei parlerei adesso, avvocato-, si sentì in dovere di chiarire Alice. Dopotutto, era sempre stata una ragazza coscienziosa.
-All the king's horses and all the king's men…
Tweedledee aumentò la stretta. L’avvocato strillò.
-E tr…
-Fermo! Va bene, va bene, parlo! Bill avete detto, vero? Sì, è passato da qui!
La Strega sorrise, compiaciuta.
-E cosa vuole? Perché è tornato?
L’avvocato non rispose. Tweedledee si scambiò un’occhiata dispiaciuta con nessuno.
-Per il testamento! È tornato per il testamento!
Il sorriso della Strega rimase fisso per un attimo. Batté gli occhi. –Quale testamento?
A quel punto Humpty Dumpty, nonostante la situazione, assunse un’espressione sussiegosa e un tono professionale, leggermente seccato.
-Il testamento della Duchessa Brutta, no? La quale è deceduta una settimana fa. Secondo le sue ultime disposizioni, il suo testamento verrà portato al Tribunale Centrale e ivi aperto e reso pubblico, in modo che l’erede possa farsi avanti.
-Ma la Duchessa Brutta non ha un figlio?
-Suo figlio non è l’erede. Potrebbe diventarlo, se soddisfasse le condizioni richieste dal testamento, ma non lo è.
-Non lo è? E come mai?-, chiese Alice, stupita.
-Perché è un maiale.
-Intende dire che…
-Quando io dico una cosa-, ribatté seccamente l’avvocato, -Intendo dire esattamente quello che ho detto. Suo figlio non eredita perché è un maiale.
Il Califfo la guardò e alzò gli occhi al cielo. Ad Alice venne voglia di sparare a lui.
-E quindi Bill cerca il testamento? Ma perché? Che c’è scritto nel testamento?
-Naturalmente non so cosa ci sia scritto nel testamento, non avendolo ancora letto, non trovate?
-E allora perché Bill lo cerca?
Humpty Dumpty sbuffò. –Perché-, disse con tono saputo, -se diventerà l’erede della Duchessa, non sarà più un ricercato. Diventerà Duca e si sa, i nobili non commettono crimini. Commettono solo piccoli, divertenti peccatucci.
-Quindi Bill vuole il testamento, che ha lei?
-Ma certo che no! Vi sembro un corriere, io? Uno che porta cose qua e là? Sono un serio professionista! Persino il Re e la Regina…
Tweedledee fece una specie di ringhio. L’avvocato si interruppe e deglutì. La Strega gli fece segno di proseguire.
-Bill vuole rubare il testamento, aprirlo, soddisfare le condizioni per primo e poi presentarsi al Tribunale. E avrà bisogno di un avvocato per fare sì che possa essere ritenuto l’erede nonostante abbia aperto il testamento prima degli altri, ma ho già studiato il caso e secondo il comma 24 dell’articolo 354 del Codice, Bill sarebbe comunque Duca. Ne consegue che il furto e la violazione delle disposizioni testamentarie sarebbero da considerarsi “peccatuccio”. Naturalmente ha bisogno di un avvocato in gamba. E io, lasciando da parte le false modestie, sono il migliore di tutti.
La Strega si prese un attimo per assimilare le informazioni. Poi rinfoderò la frusta.
-Bene-, dichiarò. Possiamo ritenerci soddisfatti. Alice.
Lei spostò il fucile dalla nuca di Humpty Dumpty, che sospirò di sollievo.
-Quindi ora cosa farete? Cercherete il testamento? Avrete bisogno di un avvocato, e di uno bravo, perché…
Alice guardò i compagni, perplessa. Si scambiarono tutti l’identica occhiata.
La Strega rise. –Come vedi, avvocato, non ce ne frega niente di diventare duchi. È Bill che vogliamo.
Lui scosse la testa, passandosi un fazzoletto sulla fronte sudata. –Voi siete matti.
-Ma certo che lo siamo, avvocato. Siamo tutti matti, qui. Ah, e tanto per essere chiari: se dirà qualcosa a qualcuno riguardo a questa piccola chiacchierata, se Bill lo verrà a sapere, ecco… all the king's horses and all the king's men/ couldn't put Humpty together again. Sono stata chiara?
L’avvocato annuì, terrorizzato.

Rotola via da sopra di lei, le da le spalle. Un raggio di luna entra dalla finestra e lo illumina, come un ritaglio di luce bianca. Alice gli accarezza la schiena sudata, le ali membranose del mostro tatuato, le zanne acuminate, le unghie che sembrano penetrargli nella carne.
-Si risolverà tutto, vedrai.
Lui si volta verso di lei. Sorride.
-Certo che sì.
La guarda. Le accarezza il volto, le sfiora le spalle, il seno. Il cuore.
-Cosa c’è?
-Sei così bella. Voglio guardarti come se fosse l’ultima volta.
Alice arrossisce lievemente. –Non dire sciocchezze, andrà tutto bene.
-Ne sono sicuro.
Si mette a sedere, le gambe fuori dal letto.
-Vado a lavarmi. Dormi, domattina dobbiamo andare dalle guardie.
Alice annuisce. Lo guarda chiudere la porta, sente il rumore dell’acqua che scorre. Chiude gli occhi.
Come se fosse l’ultima volta.
Li riapre di colpo.
Magari è solo un sospetto idiota di cui si vergognerà terribilmente. Anzi, di certo lo è. Si sente stupida mentre si veste in fretta, mentre sistema le coperte in modo da dar loro la forma di un corpo, Jabberwock ci rimarrà malissimo, forse non deve farlo, lei si fida di lui… L’acqua smette di scorrere.
Alice decide di colpo. Si nasconde. Deve sapere. Deve essere sicura.
Lui esce, ha un braccio nascosto da un asciugamano.
Le batte il cuore talmente forte che pensa che lui possa sentirla. Invece no. Non la sente anche se fa pianissimo, si avvicina al letto senza fare rumore. E alza il braccio, quello coperto dall’asciugamano. La luna illumina la lama di un coltello.
Alice scappa via velocissima, mentre lui pugnala il cuscino.


Sapevano chi aveva il testamento.
O meglio, c’era una sola persona a cui poteva essere stato affidato il compito di portarlo fino al Tribunale Centrale, e questa persona era mr. White.
Mr. White viveva in una graziosa villetta ai margini della foresta, che teneva sempre immacolata con l’aiuto di una domestica, e di mestiere faceva il corriere in tutto il territorio. Se c’era qualcosa da trasportare, si chiamava lui. Persino la Regina si serviva di lui. Conosceva il territorio come le proprie tasche, ed era un maestro nell’arte della fuga rocambolesca. Inoltre, nonostante le difficoltà, le sue consegne erano sempre puntuali.
Quando gli erano piombati in casa, si era agitato all’inverosimile. Aveva chiamato Marianna, la domestica, poi si era ricordato che era tornata al suo paese per assistere una zia malata e si era agitato ancora di più. Quando poi gli avevano detto il motivo della loro visita gli era quasi venuto un infarto, e avevano dovuto farlo sedere, sventolarlo e dargli un sorso di brandy per farlo riprendere. Alla fine aveva acconsentito a farli stare in casa sua a guardia del testamento; se Bill voleva rubarlo avrebbe potuto farlo solo quella notte, prima che lui partisse per portarlo al Tribunale Centrale. Aveva tentato di chiedere in che modo di preciso pensavano di prenderlo, e la Strega aveva risposto ghignando “segreto professionale”. Il che, Alice lo sapeva, voleva dire che non ne aveva la più pallida idea.
Alla fine, si era deciso che “meglio due cose che una sola”. Alice era in posizione, col fucile di precisione incastrato tra una serie di soprammobili, praticamente invisibile al buio. Nella stanza, anche La Strega e Tweedledee si  erano nascosti, lei in una graziosa cassapanca e lui sotto al tavolo, coperto fino al pavimento da una lunga tovaglia di damasco. Sopra di lei, esattamente nel punto in cui Bill si sarebbe dovuto mettere per scassinare la cassaforte di mr. White, il Califfo stava sicuramente fumando qualcosa nonostante le bombe che aveva posizionato. Alice si chiese cosa ne avrebbe pensato mr. White quando si fosse accorto che il piano prevedeva che una parte di soffitto cadesse in testa a Bill; magari lo avrebbero risarcito con i soldi della taglia.
Si poteva dire che mr. White fosse stato il suo primo datore di lavoro. Anzi, in un certo senso, se adesso Alice era lì era perché aveva seguito mr. White. O meglio, era saltata a bordo della sua diligenza e gli aveva proposto di lavorare per lui e difendere la merce in caso di attacco di predoni; al suo ovvio rifiuto Alice non si era arresa, tanto più che mr. White era in ritardo per la consegna e la cosa lo agitava come non mai. Poi effettivamente i predoni erano comparsi e, anche se mr. White avrebbe potuto cavarsela semplicemente accelerando l’andatura della diligenza, Alice li aveva sul serio fatti arrestare; e così mr. White si era sentito in dovere di pagarla. Poco, ma era stato pur sempre un lavoro pagato.
Un lieve rumore la distolse dal ricordo. Alice si mise all’erta, per cercare di capire da dove provenisse; il camino, sembrava arrivare dal camino. Si disse che era davvero un’idea scema calarsi giù per un camino, poi si rese conto che era il camino di Mr. White, l’uomo più precisino e ansioso che lei avesse mai visto, e che probabilmente lo faceva pulire un giorno sì e uno no. Anche adesso che era quasi estate.
Appena finì il pensiero, un paio di stivali pitonati spuntarono giù dalla cappa. Erano di quelli col tacchetto e la suola di cuoio, ma incredibilmente non fecero nessun rumore quando Bill li appoggiò a terra. Era lungo, magro, e con un gusto terrificante per i capi di abbigliamento a scaglie. Ricordava parecchio una lucertola, in effetti.
Sempre senza far rumore, Bill si guardò intorno, con i suoi occhi tondi, da rettile. Alice trattenne il fiato. Apparentemente soddisfatto, Bill individuò un muro che sembrava piacergli più degli altri e cominciò a picchiettarci sopra in diversi punti con le nocche, molto attentamente. Riusciva a fare in silenzio persino questa operazione. Arrivato vicino a un tavolino elegante con un bel vaso di fiori, la sua espressione si fece più concentrata. Poi sorrise. Ruotò lentamente lo specchio fissato al muro sul tavolino, senza staccarlo, ma bloccandolo col vaso. Fece scorrere le dita sul muro, come se accarezzasse il corpo di una donna, poi a un certo punto, come se quel corpo cedesse, tolse un quadrato di parete bianca e lo appoggiò ai suoi piedi, contro la gamba del tavolino. Aveva trovato la cassaforte.
Era quasi il momento.
Bill aveva già le lunghe dita appoggiate alla cassaforte; era concentratissimo, il momento migliore. Alice appoggiò l’occhio sul mirino e inspirò.
In quel momento l’orlo della luna spuntò dalle nuvole. Un raggio entrò dai vetri della finestra, facendo baluginare le canne del fucile di Alice, che si rifletterono sullo specchio. Alice sparò, ma un attimo troppo tardi; Bill si era già buttato di lato.
In quel momento il soffitto detonò.

Quando Alice smise di tossire e riuscì ad aprire gli occhi, Bill era attaccato al lampadario e stava cercando di dondolarsi verso il buco nel soffitto. Lei alzò il fucile, ma La Strega fu più veloce e riuscì ad avvolgergli la frusta a una caviglia. –Tienimelo lì!-, esclamò lei. Solo che Tweedledee si era già aggrappato alla frusta : con uno strattone tirò giù Bill e lampadario, mandando ancora una volta a vuoto il colpo di Alice.
Ricaricò velocemente il fucile. Non poteva sparare mentre Tweedledee cercava di tenerlo bloccato a terra, avrebbe rischiato di colpire lui; comunque, Tweedledee gli aveva assestato un paio di cazzotti niente male, quindi forse non ci sarebbe stato bisogno di altri interventi. Come a volerla smentire, Bill riuscì a girarsi su se stesso quel tanto che gli permise di afferrare i resti del vaso e spaccarlo in testa a Tweedledee, che per un attimo allentò la presa. Fu sufficiente. Bill scivolò fuori dalla stretta e si lanciò verso la finestra. Per la terza volta Alice alzò il fucile, e per la terza volta venne interrotta. Stavolta era stato il Califfo che, vedendo il buco sul pavimento e Bill saltellare sotto di lui, aveva ben pensato di fermarlo gettandoglisi sopra. Non servì a molto, era troppo strafatto per rappresentare una seria minaccia. Bill se lo scrollò di dosso in un attimo, evitò con una specie di piroetta la frusta della Strega, saltò su una sedia che lanciò addosso a Tweedledee che cercava di seguirlo, si lanciò giù dalla finestra e dondolandosi tra davanzale e grondaia riuscì ad arrivare a terra illeso, ammortizzando l’impatto girando un paio di volte su se stesso. Poi prese la via della foresta.
Tutti si precipitarono alla finestra, Alice urlò di farle spazio, ma il Califfo la fermò con un braccio.
-Gli ho messo una bombetta nella giacca-, annunciò accendendosi una sigaretta. –Tra un po’ lo andremo a raccogliere a pezzi.
A quel punto successe una cosa strana.
Bill, come se avesse sentito, si fermò un attimo e mosse le spalle. Poi si tolse la giacca pitonata con un unico movimento fluido, da contorsionista, la lasciò nel cortile e si mise a correre  verso il bosco.
- Lasciami! Posso ancora prenderlo. - Alice gridò in faccia al Califfo e tentò un colpo.
Ma la bombetta sulla giacca esplose, e la nuvola di detriti nascose Bill, che scomparve tra gli alberi.

-Qualcuno mi spieghi come cazzo ha fatto.
La Strega si strinse nelle spalle e si tolse un po’di intonaco dalla giacca nera. –Eludere la cattura è la sua specialità. Lo sapevamo che non sarebbe stato facile.
-Sì, ma quello l’ha sentito, cazzo! Era nel cortile e l’ha sentito!
Il Califfo si era seduto sul divano a gambe incrociate, spostando i calcinacci, e fumava placidamente. –Cosa volete, è la vita. Un giorno si vince, un giorno si perde.
La Strega lasciò perdere l’intonaco e fece schioccare la frusta.
Alice pestò un piede per terra. –Finiscila con queste stupidaggini. Sarebbe morto, se tu mi avessi lasciato sparare invece di buttarti sopra di lui. Tanto sei strafatto, cosa credevi di fare? E la tua bombetta sulla giacca. Utile. Potevo avergli sparato due volte, ma no, le tue stupidaggini da drogato rovinano sempre tutto!
La Strega si voltò verso di loro, incuriosita. Tweedledee ghignò assieme a qualcuno che non c’era ma sembrava trovare divertente la situazione.
-Oh, ci siamo arrabbiati tanto…- Il Califfo soffiò il fumo verso Alice. Aveva un odore dolciastro. –Non ce n’è bisogno. Quel che è stato è stato, il Tempo non si riavvolge.
La Strega fece schioccare la frusta di nuovo, e questo non fece che esasperare Alice.
-È per colpa sua che adesso non stiamo andando a incassate la taglia, almeno vi è chiaro questo, o abbiamo tutti il cervello ottenebrato come il suo?
Il Califfo non si scompose. Guardò la brace della sigaretta con aria indifferente.
-Alice, non agitarti. Non ha senso litigare tra noi. Siamo una squadra. Avremmo perso la taglia, ma ha vinto l’amicizia.
Alice diventò paonazza. –Sei… sei un… un… non riesco nemmeno a trovare una parola adeguata, e tu non provarti a far schioccare quella maledetta frusta!
La Strega, che era già in posizione, mise giù la frusta ridendo come una matta. Anche Tweedledee scoppiò a ridere, e poi il Califfo, e Alice suo malgrado non riuscì a trattenersi da ridacchiare anche lei.
Poi La Strega ridivenne seria. –Che casino. E adesso chi lo sente, mr. White?

Si è rifugiata da lui. Che le propone una tazza di tè, come se fosse la medicina a tutti i mali del mondo.
Non riesce a parlare, ha un nodo alla gola che fa talmente male, da piangere. La Lepre le imburra una fetta di pane tostato, e il Ghiro le dice di prendere fiato.
-Comincia dall’inizio-, le suggerisce, -E arriva alla fine. Dopodiché, fermati.
È un consiglio sensato. Alice lo segue. La Lepre mormora qualcosa che ha a che vedere col fatto che tutti gli uomini sono teste di cazzo, esclusi i presenti, si capisce.
Ma il Cappellaio la zittisce.
-Puoi ucciderlo, o morire. Sembra facile. Se lo uccidi saremmo rivali, piccola Alice. Sarebbe divertente! Ma di chi è in realtà la scelta? Del reverendo Dodgson? O di Jabberwock, che ha scelto di tradirti? Tu hai scelto di non farlo. Quindi, se decidessi di ucciderlo, non sarebbe una tua scelta. Sarebbe la scelta di Jabberwock.
-Piantala con queste cazzate-, lo interrompe la Lepre. -È una cosa seria.
Il Ghiro si è addormentato. Capita, ogni tanto. Cade addormentato e non può farci niente.
-Certo che lo è. Nessuna scelta è indolore. Scegliendo, uccidi una possibilità. Ma puoi dare vita ad un’altra. Nessuna nascita è indolore. Cosa farai, Alice? Lascerai la scelta agli altri, o sceglierai tu? Prendi un altro po’di tè.
Alice tira su col naso.
-Non ne ho ancora avuto. Perciò non posso prenderne un altro po'.
-Vorrai dire che non puoi prenderne di meno-, disse il Cappellaio. -Ma prenderne più di niente è molto facile.
-Sembra un discorso sconcio-, sbuffa la Lepre, versandole il tè nella tazza.

Il primo infarto, mr. White lo rischiò quando vide le condizioni della sua villetta. Il secondo dopo aver detto la frase –Quando Marianna tornerà e si renderà conto di dover pulire tutto chiederà di sicuro il licenziamento!
Alla promessa di risarcirlo una volta intascata la taglia di Bill sembrò riprendersi, anche se continuava a ripetere “la mia casa… le mie rose…” ininterrottamente.
-Può sempre approfittare di quella buca per piantarne altre, mr. White-, provò a suggerire la Strega.
-Rose rosse-, precisò il Califfo.
-Rosse, come piacciono alla Regina. Lo sapete di quella volta che le hanno piantato rose bianche nel suo roseto, e lei…
-Basta!
-Giusto, torniamo alle cose serie. Mi mostri il percorso che ha intenzione di fare.
-Ma che…
-Il percorso! Non posso credere che non abbia una mappa su cui ha pianificato attentamente il percorso, no?
-Sì, ma perché dovrei farvi proseguire oltre? Mi avete già distrutto mezza casa!
-Perché in alternativa le conviene dare il testamento direttamente a Bill, senza nemmeno scomodarsi a partire. La mappa, per favore.
Mr. White sembrò rassegnarsi. La Strega studiò la strada; passava attraverso la foresta, sulla strada che correva più o meno parallela al fiume. Picchiettò su un punto.
-Se Bill attaccherà, probabilmente attaccherà qui. Perché ci passano le rotaie che portano sul ponte e oltre al fiume e dobbiamo necessariamente rallentare, se abbiamo sfortuna potrebbe anche passare il treno. Quindi è qui che dobbiamo stare attenti e aumentare la sorveglianza. Chiaro? Ora andrei a fare un bagno, sono distrutta.
-E questo sarebbe il piano?
La Strega fissò Mr. White come se fosse un bambino. –Bill cercherà di prendere il testamento, noi cercheremo di prendere Bill. Non è che ci siano molte possibilità. E credo che dovremmo farlo tutti, un bagno.
Mr. White sbuffò, ma non ebbe scelta. Alice ne fu molto contenta perché, a differenza di Tweedledee che aveva accennato una protesta mozza, aveva proprio voglia di rilassare i muscoli. Fu solo quando entrò nella piccola stanza da bagno che capì l’insistenza della Strega: il piano vero era scritto sullo specchio, e spariva e compariva col vapore. Se anche Bill fosse tornato per spiarli, non l’avrebbe mai scoperto.

“T. e C. sulla diligenza. A. appostata al ponte.”
La diligenza percorse l’ultima curva, poi cominciò la salita che portava alla radura prima dei binari. Mr. White era teso come una corda di violino, il Califfo fumava pigramente, con aria distratta.
La salita finì. C’era un ultimo tratto di strada e poi i binari, che già si vedevano scintillare sotto il sole. La Strega doveva essere in posizione, più avanti, con un finto testamento. Il Califfo fece finta di cercarla con lo sguardo.
Invece vide un’altra cosa.
Un punto di terra appena più scuro, sulla strada. Più fresca. Proprio dove stavano passando loro.
-Ferma!-, gridò. Mr. White si girò verso di lui con gli occhi sbarrati. Vedendo che no, non si sarebbe fermato, gli avrebbe dovuto prima spiegare con calma il perché, il Califfo si buttò sulle redini e fece sterzare violentemente la diligenza.
Che, invece di prendere in pieno l’esplosione, la prese da un lato, capovolgendosi ai lati della strada.

“Alle rotaie, io fingo di avvicinarmi. Facciamo credere a B. che mi affidiate il vero testamento. IMPORTANTE: fingere di essere prudenti, deve credere di aver scoperto un inganno e inseguirmi.”
Invece di prendere l’esplosione da davanti e ruzzolare giù per il pendio, la diligenza si era ribaltata su un fianco. Questo prese completamente alla sprovvista Bill, che aspettava pacifico di raccogliere il testamento tra pezzi di legno e cadaveri, in fondo alla discesa.
Corse su per il pendio, ma così facendo perse attimi preziosi; fece in tempo a vedere in mezzo al fumo e alla polvere la Strega che, dai cespugli, sembrava cercasse qualcosa. Ignorando i compagni. La vide svicolare di nuovo tra i cespugli, non si spiegava il suo comportamento strano, poi si bloccò un attimo a metà salita. Uno scambio! Gli stronzi volevano fare allontanare la Strega col testamento vero, in modo che lui si concentrasse sulla diligenza, ed evidentemente la sua bomba aveva mandato all’aria almeno il loro piano; lei non era riuscita a fare le cose di nascosto come avrebbe voluto. Bill ghignò e poi si lanciò all’inseguimento della donna, tra gli alberi. Era un uomo fortunato, lo sapeva. Lo era sempre stato.

Non può tornare a prendere la pistola, Jabberwock se lo aspetterà, se non è già tornato a prenderle lui. Deve trovarne un’altra, è a questo che sta pensando, mentre si rigira il braccialetto attorno al polso. È allora che capisce cosa deve fare.
Acquamarina, topazio, quarzo, ametista. I suoi colori.
Ormai è un bel braccialetto. Vale dei soldi. Non abbastanza per fuggire, ma abbastanza per un fucile, non un gran fucile, certo, ma a lei basta.
Esce dal negozio dell’armaiolo molto più scura.
È fredda, professionale nel cercarlo, nel trovarlo, nel non farsi vedere. Sarà un’ottima cacciatrice di taglie.
Non è vero che non ha scelta. Se adesso arrivasse il reverendo Dodgson a dirle che no, era solo un gioco, non c’è nessun bisogno che qualcuno si faccia male, Alice premerebbe il grilletto lo stesso. Non vuole l’inganno. Non vuole i colori. Vuole un fucile, una licenza, una vita in cui si uccide e si rischia di venire uccisi, ma a carte scoperte. La vuole a pagamento.
Non vuole avere bisogno di nessuno che le regali sogni e colori. Non è felice, non sa quando lo sarà di nuovo. Forse mai, ma è inutile pensarci adesso. Adesso sa quello che deve fare.
Quello che vuole fare.
Alice guarda nel mirino del fucile.
La testa di Jabberwock è proprio lì, circondata dal tondo nero del mirino. Sta perfino fermo.
Alice prende un respiro, e poi preme il grilletto.
Il cappello vola via mentre la testa esplode.

“A., lo porto al ponte. Aspettaci lì e SPARA!”
Sua sorella, quando Alice era piccola e lei ancora non era sposata e si preoccupava della sua educazione, diceva sempre che si distraeva troppo. La realtà era che Alice si distraeva perché sua sorella insisteva nel leggerle libri cosiddetti educativi, noiosissimi e senza neanche una figura. Invece aveva scoperto che appostarsi in un posto le piaceva. Era una specie di sensazione mista tra batticuore e adrenalina, che la faceva stare tesa e all’erta, e contemporaneamente di calma e immobilità, fino al momento in cui tutto questo grumo di sensazioni contrastanti esplodeva assieme allo sparo. Dopo un appostamento, Alice si sentiva euforica, appagata e indolenzita. Come dopo che aveva fatto l’amore.
Però ci stavano mettendo un sacco di tempo. Troppo. Forse qualcosa era andato storto.
Alice si impose di resistere alla tentazione di andare a controllare. Gli appostamenti erano anche quello, sembrava durassero sempre troppo, e non si poteva sapere se sarebbe andata bene, bisognava solo avere molta pazienza e molta fiducia.
Sanno fare il loro mestiere. Devo solo avere fiducia.
Alice non era molto brava a dare fiducia alla gente. Non più almeno. Ma non aveva scelta. Se se ne fosse andata un minuto prima che arrivasse Bill, sarebbero stati guai seri. I minuti colavano uno dopo l’altro. Sarebbe stato bello essere padroni del Tempo, pensò Alice. Accelerarlo, rallentarlo. Bloccarlo, a volte. Riavvolgerlo, saltarne dei pezzi… doveva dirlo a qualcuno, era una riflessione interessante. Improvvisamente sentì un fruscio. Tornò lucida, concentratissima. La Strega era schizzata fuori dagli alberi, aveva imboccato il ponte, e dietro di lei…
Alice lo vide all’ultimo, sembrava mimetizzato tra gli alberi della foresta, nonostante stesse correndo. Bill la Lucertola si fermò un attimo per estrarre una pistola; ora che La Strega era scoperta riteneva più sensato spararle. Non c’era un attimo da perdere.
Alice mirò, fece un respiro e…
Non ho premuto il grilletto.
Eppure il cappello da cow-boy di Bill volò via, mentre la testa esplose.

-Ti avevo convocata qui più di due ore fa.
-Davvero? Sono desolata, Maestà. Il Tempo fugge. Sarebbe bello poter imbrigliare il Tempo e costringerlo a fare quello che vuoi, no? Perderlo, ammazzarlo, trovarlo…
-Queste sciocchezze mi fanno perdere le staffe e potrei farti tagliare la testa, con quel bel cappello che ci hai messo su. Proprio bello, a proposito.
-Non si può far tagliare la testa a qualcuno che non ce l’ha, Maestà. Non si otterrebbe un bel niente-. La Strega sorrise e si toccò la tesa del cappello color lavanda. -È un regalo. Un regalo a metà tra un gesto di scuse e una presa in giro… non sanno farli tutti, regali così ambigui. Per questo è un bel regalo.
-Te lo sei fatto scappare. Io ti ho aiutato a prendere Bill, e tu te lo sei fatto soffiare sotto il naso. Da uno che non ha nemmeno l’abitudine di venire qui a spendere il suo denaro.
-Il tuo aiuto è stato pagato, Maestà. Non ci sono debiti tra noi.
-È di questo che devo parlarti. La Falsa Tartaruga. Devo rintracciarla, e tu mi aiuterai.
La Strega sorrise di nuovo. Si avvicinò alla regina e si alzò sulle punte dei piedi, per guardarla meglio negli occhi.
-Come ai vecchi tempi?
La Regina sorrise di rimando e le accarezzò una guancia, portandole una ciocca di capelli scuri dietro l’orecchio.
-Come ai vecchi tempi.

Questa volta l’aveva cercata lui.
Aveva i capelli spettinati, come al solito, nonostante l’elegante cappello a cilindro, e qualche filo grigio sulle tempie rispetto all’ultima volta. Ma aveva sempre il solito sorriso un po’da matto, e le rughette attorno agli occhi luminosi. Nonostante la rabbia, Alice si ritrovò a pensare che, la prima volta in cui si erano visti, lui doveva avere più o meno l’età che aveva lei adesso.
-Spero che tu ti stia godendo la taglia che ci hai rubato.
Lui si tolse un granello invisibile di polvere dall’elegante panciotto sartoriale, prima di risponderle.
-Scherzi, vero? Te l’avevo detto che saremmo stati rivali. Ed è divertente. E il nostro lavoro consiste in questo: rubarci le taglie.
-Da quanto ci seguivi?
Lui ci pensò un attimo.
-Da dopo che ci eravamo incagliati.
-E cioè?
-Su cosa volesse Bill. Se avesse complici. Poi la Gatta è tornata dalla sua padrona, e ho capito che gatta ci covava.
-È la battuta peggiore che abbia mai sentito. E i gatti non hanno padroni.
-No, ma ad alcuni fanno più fusa che ad altri. A quel punto perché fare fatica, se potevamo limitarci a farla fare a voi e raccogliere i frutti?
-E se il nostro piano non avesse funzionato?
-Pazienza. Ma avevo fiducia in voi.
-E io pensavo di poterne avere in te!
Lui si mostrò offesissimo. –Ma puoi! Non desidererei mai di vederti morta! Ma non confondere lavoro e fiducia. Non porta da nessuna parte e fa perdere la testa. O forse una volta che non confondi più lavoro e fiducia è segno che ormai l’hai persa del tutto. Non saprei.
-Dovrei pensarci su, a tutto questo. Sono arrabbiata.
-Oppure potresti smettere di pensarci su, Alice. Pensi a troppe cose e sono tutte passate. Quando è stata l’ultima volta che hai guardato un gatto?
-Cosa?
-Un gatto. La prima volta che ti ho vista guardavi i gatti. Ci parlavi anche.
-Parlavo con Dinah. Era la mia gatta. E comunque è morta.
-Capita a tutti. Non hai risposto alla mia domanda.
Alice sbuffò.
-Parlo sempre con la Gatta, come la chiami tu. Guardo lei. Va bene?
-Non mi piace vederti con le occhiaie. La prossima volta che ti vedo, niente occhiaie e un bel cappello. E dovresti farti tagliare i capelli-, le disse, prendendole una ciocca tra le mani.
-Tu non dovresti fare osservazioni personali-,  disse Alice un po’ severa;  -è sconveniente.
-Ti do io qualcosa a cui pensare. Un indovinello. Cos’hanno in comune un corvo e uno scrittoio?
Alice sospirò. –Entrambi hanno le penne.
Lui assunse per un momento un’espressione costernata. –Hai ragione! Non ci avevo mai pensato! In tre a scervellarci, e poi arrivi tu e in un attimo trovi la risposta!
-Possiamo concludere questa conversazione? È stato un vero piacere.
-Prima devo darti un regalo. Ne ho spedito uno a ognuno di voi, ma il tuo volevo dartelo personalmente.
-Sono davvero lusingata, ma non credo di voler accettare un…
Il Cappellaio le mise in testa un cappello di paglia, leggero, con un bel nastro azzurro di raso e qualche piccolo nontiscordardimè di stoffa, così precisi che sembravano veri. Le diede un bacio sulla guancia.
-Niente occhiaie. E un bel cappello.
Poi si allontanò, fischiettando.








Note: Storia scritta per il compleanno di Jo Lupo; sono in ritardo, in ritardissimo, la Regina mi taglierà la testa e ormai è un non-compleanno da un pezzo. Ma spero che mi perdonerà!
La traduzione della citazione iniziale è “Alice non guarda più i gatti/ ma guarda nel mirino del fucile./ Alice ha speso i colori che aveva/ e adesso è più scura dei suoi occhi./ Ha noleggiato anche lei il suo pezzo d’inferno/ insieme ai suoi colleghi col fucile/ “se vedi per caso il Cappellaio Matto/ digli che la scelta è stata mia/ in questo paese non vedo meraviglie/ ma solo la strana poesia/ del calderone della Strega”, dalla canzone “El calderon de la stria” di Davide van de Sfroos. La festeggiata l’aveva definita la strofa preferita della sua canzone preferita dell’album, e così ho pensato di usarla come prompt; da lì la situazione mi è completamente sfuggita di mano e la storia si è popolata di pirla personaggi. A proposito, sondaggione (che avrà partecipanti in numero di 3, suppongo): chi è il vostro personaggio preferito tra quelli che appaiono? Sono curiosa! Ah, so che è superfluo dirlo, ma è tutto liberamente tratto dai vari “Alice nel paese delle meraviglie” che esistono, ovviamente il libro ma anche il cartone Disney e in misura moooolto minore il film. Tutta la storia è disseminata di citazioni, non ve le sto a elencare tutte; se trovare una frase particolarmente bella o uno scambio di battute molto riuscito, sappiate che al 99% è di Carroll. Tuttavia non ho voluto scrivere un racconto filologico: i personaggi, le rielaborazioni eccetera sono andate esclusivamente a ispirazione e sentimento. Citazioni extra: il biglietto d’oro ovviamente non è mio, ma neanche di Carroll, anche se in questo caso non c’entra la cioccolata. “La solitudine è un ventaglio complicato che devi aprire e chiuder con maestria” è una strofa della stessa canzone che fa da prompt alla storia. A proposito di canzoni: ho lasciato in inglese quella di Humpty Dumpty perché nessuna traduzione mi soddisfaceva abbastanza. Ne metto una a caso qui: “Humpty Dumpty sedeva su un muro./Humpty Dumpty fece una bella caduta./ Tutti i cavalli e tutti gli uomini del Re/ non poterono mettere Humpty di nuovo insieme”.
EDIT: Se qualcuno volesse ritrovare il povero Bill vivo e vegeto, la mia beta e amica Vannagio ha scritto uno spin off su di lui: si chiama "La grande partita" e vi consiglio di leggerlo, amarlo e poi maledirmi per averlo ucciso.


Ora i ringraziamenti: essendo questa una storia fatta ampiamente col metodo Ferretti, ringrazio le mie meravigliose sexy assistenti alla regia: OttoNoveTre (smarmella!), con la quale è germogliata l’idea e alla quale ho rotto le palle abbestia, e Vannagio, alla quale anche ho rotto le palle abbestia ma ha già una ship del cuore e la cosa mi rende molto felice. Ragazze, credo che senza di voi sarei perduta, siete preziose e insostituibili. Un ringraziamento speciale va a IlMalee, che tra una madonna e l’altra  mi ha aiutato moltissimo a definire alcuni punti della trama (anche se voleva far stuprare Alice, ma non gliel’ho permesso).
E naturalmente grazie a tutti quelli tra voi che arriveranno in fondo, leggeranno e apprezzeranno la mia versione del mondo di Alice… a voi tutti grazie mille!


   
 
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