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Autore: Lady Stark    05/10/2014    2 recensioni
"Il mondo è un luogo così crudele"
Nel profondo ventre della terra, il ruggito di un drago risveglia la notte diffondendo in essa oscuri presagi.
Il sangue della vestale macchia gli affilati artigli della bestia, le catene che trattenevano la sua furia si sono ormai spezzate.
La sacerdotessa inneggia la sua preghiera alla ricerca di una giovane donna che rimpiazzi quello sfortunato destino fatto di violenza e dolore.
La musica di un sorriso che non ha mai conosciuto, condurrà Len in un lungo viaggio alla ricerca della sorella scomparsa tanto tempo fa, quando lui era solo un bambino.
Genere: Avventura, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaito Shion, Len Kagamine, Meiko Sakine, Miku Hatsune, Rin Kagamine | Coppie: Kaito/Meiko, Len/Rin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Il mondo è un posto così crudele.” pensò la donna crollando malamente in ginocchio quando una fitta di dolore le trafisse il cuore lasciandola boccheggiante nella fredda grotta dimenticata. I suoi lunghi capelli blu scivolarono avanti sulle esili spalle disegnando a terra una serie di lucidi spirali color mare; lacrime dense scivolarono incontrollabilmente giù sulle sue guance d'alabastro. “Il mondo è così crudele.” si ripeté ancora stringendo tanto forte il delicato scettro di ossidiana turchese; la sfera alla sua sommità pulsò di vita propria diffondendo sul suo viso un'intricata ragnatela di sfumature gelide come il tocco dell'inverno.

Il sacro, dominante silenzio era soltanto interrotto dal perpetuo sgocciolare dell'acqua contro alla roccia. La sacerdotessa chiuse gli occhi cercando di captare il benché minimo rumore; mai prima di allora aveva così tanto desiderato sentire lo struggente canto della vestale diffondersi nelle ariose volte sottostanti.
Tutto ciò che le rispose fu una terribile, luttuosa quiete.
Il lezzo viscido del sangue la raggiunse qualche istante più tardi chiudendole la gola. Con uno sforzo considerevole, la donna si alzò in piedi puntellandosi sullo scettro che sempre l'accompagnava come un silenzioso compagno.
La sacerdotessa asciugò con gesti contenuti le lacrime che continuavano a inumidirle le guance; i suoi piedi, fasciati da un paio di sottili sandali turchesi, sfiorarono appena il duro terreno.
“Non c'è posto per la pietà in una terra corrotta dalla violenza.”
La donna alzò con lentezza esasperante lo scettro d'ossidiana sopra al capo ondeggiandolo lentamente a destra e sinistra; disegni impalpabili come le dita del vento presero forma nella collosa penombra che si ammucchiava negli angoli della grotta. Una lenta nenia, satura di un dolore infinito e vecchio come il mondo, riempì il silenzio diffondendosi in eco profonde verso il cuore stesso della terra.
“L'ombra è l'egemone regina che domina sul mondo.” pensò lasciando che una sola, densa lacrima tornasse a morderle la pelle mentre, nella profondità della terra, un ringhio bestiale faceva tremare la terra.
 
Il pianto dei bambini riscosse la donna dal suo sonno leggero, con uno sbadiglio insonnolito si alzò facendo pressione sulle ginocchia. La gonna frusciò contro alle gambe magre quando la ragazza salì le scale di legno per arrivare al piano superiore, dove i suoi figli riposavano di pomeriggio. Il sole aveva piacevolmente riscaldato la piccola stanza quadrata, spoglia pressoché di ogni mobilio; sfortunatamente la loro famiglia non era poi così ricca da potersi permettere molte decorazioni. La donna si scostò i capelli arruffati dal viso prima di dirigersi a passo veloce verso la finestra appena socchiusa. Quando il chiavistello scattò, uno sbuffo di vento agitò le delicate tendine che lei stessa aveva cucito tempo addietro con l'aiuto della sua vecchia madre. Il pianto bisognoso dei bambini divenne quasi assordante per le orecchie sensibili della giovane appena destatasi; lei però, non sembrò quasi farci caso. Si sedette con leggerezza accarezzando con dita affusolate le testoline dei due gemelli.
-La mamma è qui.- sussurrò chinandosi in avanti per scoccare un umido bacio sulla fronte di entrambi i piccoli. I capelli scivolarono sulle spalle esili della ragazza andando a creare attorno ai due piccoli una profumata cortina dorata.
Le loro manine si chiusero immediatamente attorno alle folte, lisce ciocche della loro mamma.
I residui delle lacrime imperlavano ancora le sottili, chiare ciglia dei due infanti; una risata argentina risuonò sulle labbra della bambina quando, abbandonando la presa sulle crine, queste ondeggiarono di fronte ai suoi limpidi occhi blu.
-Hai una voce stupenda, mia piccola Rin.- sussurrò la donna raccogliendo tra le braccia la figlia; lei esplorò con dolcezza il viso della mamma analizzando con attenzione il delicato profilo del naso.
L'altro bambino, rimasto da solo in mezzo alle coperte tiepide, cominciò a piagnucolare sommessamente per richiamare l'attenzione della donna. Lei, subito intenerita, prese il piccolo tra le braccia baciando ancora ed ancora il regalo più grande che la vita le aveva fatto.
-Vostro padre sarebbe orgoglioso di vedervi crescere.- disse d'un tratto, colta da un'improvvisa, lacerante fitta di malinconia.
-Len, Rin, vi manca papà?- chiese ancora cercando di trattenere le lacrime che, involontariamente, le inumidivano gli occhi ogni qualvolta pensava al suo defunto marito. Gli occhi tristi della giovane si sollevarono ed incontrarono le due catenelle in ferro battuto che il suo compagno aveva forgiato per l'avvento della nascita dei bambini.
Allungando una mano, raccolse nel palmo quelle delicate opere d'arte baciandole con trasporto quasi come se nel farlo, potesse sentire la presenza dello sposo in esse.
-Queste sono di vostro padre. Le ha forgiate con la magia; con queste riuscirete sempre a sentire l'uno i sentimenti dell'altra. Così, anche se vi separerete, sarete collegati da questo piccolo oggetto.- la ragazza fece ondeggiare davanti agli occhi bramosi dei due bambini le delicati chiavi musicali.
Con particolare attenzione cinse il collo dei suoi figlioletti con il pendente per poi osservarli, commossa.
Improvvisamente, nel silenzio ovattato della piccola casa, un febbrile bussare la distolse bruscamente dal suo lieve compianto. Confusa, la donna depositò i due bambini nelle coperte chiudendosi alle spalle la porta della camera.
I tonfi alla porta si fecero ancora più intensi, nervosi; qualche imprecazione trattenuta tra i denti rimbalzò contro al legno sottile del battente.
-Sto arrivando!- gemette la giovane sollevando l'orlo della gonna per non inciampare nella rapida discesa. La ragazza, solitamente accorta, si dimenticò di domandare chi desiderasse avere accesso alla sua umile dimora.
Due energumeni vestiti in armatura la spinsero da parte non appena lei spalancò la porta con un cordiale sorriso di benvenuto.
-Che cosa succede?- chiese allarmata mentre i due soldati si guardavano attorno impettiti e rigidi nelle loro vesti di ferro.
L'elsa delle spade che portavano alla cintola scintillarono minacciosamente sotto alla carezza innocua del sole pomeridiano. La giovane madre deglutì a vuoto cercando di carpire la benché minima informazione dagli spigolosi visi dei due uomini che avevano fatto irruzione in casa sua.
Solo dopo qualche minuto di silenzio uno dei due le si rivolse con tono decisamente scortese.
-Sei Haruka, vero?- domandò il soldato squadrandola da capo a piedi con sufficienza. Haruka inghiottì il risentimento annuendo sommessamente; affondò le dita nelle pieghe morbide della gonna cercando di nascondere il tremore sempre più intenso delle sue mani.
-Hai due figli, vero?- domandò il soldato con voce cavernosa, dura come la roccia.
-Sì.- Haruka rispose orgogliosamente senza ben comprendere dove quel discorso li avrebbe portati; il suo Len era ancora un infante, di che utilità sarebbe stato all'esercito?
-Maschio e femmina?-
-Sì; due gemelli.- confermò la donna se possibile ancor più spaventata e confusa. Che cosa poteva interessare a quei soldati dei suoi figli? Che cosa volevano da loro? Un orrendo presentimento le diffuse sulla lingua un acre sapore di fiele.
Il soldato fissò con gelidi occhi grigi la bellissima donna facendo un paio di cadenzati passi avanti, la sua armatura tintinnò accompagnando ogni suo più piccolo movimento.
-Dacci tua figlia.-
Le labbra di Haruka si asciugarono di colpo mentre il suo stomaco si rivoltava; dovette appoggiarsi al muro per non crollare in ginocchio. -Che cosa volete da mia figlia?-
-Non sono affari che ti riguardano, popolana.- ribatté con acredine il secondo soldato muovendo un minaccioso passo avanti; una delle sue mani guantate di ferro le artigliarono il polso.
-Non fare la difficile, donna.- la sua voce raschiante era ridotta a poco più di un sibilo ferale.
-Non costringermi a..- le sue parole vennero però interrotte dal pianto incessante di Rin che, tediata dalla mancanza della mamma, tornò a reclamare la sua presenza.
Un ghigno terribile arricciò le labbra sottili del soldato; questi lasciò andare la donna voltandole con sufficienza le spalle.
-No..- sussurrò lei prima di proiettarsi in avanti per bloccare l'accesso alle scale come meglio poteva; spalancò le braccia digrignando con decisione i denti.
-Lasciate in pace i miei figli! Non hanno fatto niente di male!- gridò con tutto il fiato che aveva in gola sfidando le autorità militari. Il più crudele dei due, quello che prima l'aveva così malamente afferrata per il polso, salì uno degli scalini facendo gemere sotto il suo peso il vecchio legno roso dalle tarme. Prima ancora che la donna potesse rendersi conto del pericolo, l'uomo la colpì con uno schiaffo la guancia. Con un grido di dolore misto a sconcertata sorpresa, Haruka si accasciò sugli scalini. Il sapore del sangue le invase la bocca ma malgrado ciò, si rimise in piedi cercando di non inciampare nell'ingombrante gonna sgualcita; i capelli scarmigliati le ricaddero sugli occhi azzurri.
-Uscite da casa mia!-
-Non sai con chi stai parlando..- grugnì l'uomo divorando i gradini che li dividevano. Le mani dell'energumeno si chiusero attorno ai polsi della ragazza trascinandola a forza giù verso il pianerottolo dove il collega attendeva immobile come una statua di marmo. Il soldato la scaraventò contro al compagno che immediatamente chiuse le esili braccia di Haruka in una morsa più resistente del ferro.
-Lasciate stare mia figlia!- gridò dimenandosi come una leonessa nelle braccia del soldato; alle sue spalle l'uomo non sembrò accusare minimamente la fatica di trattenerla. Haruka cercò di colpire il soldato che la tratteneva spezzandosi le unghie delle mani ed ammaccandosi le ossa contro all'armatura d'acciaio.
Il pianto di Rin era come un lacerante richiamo d'aiuto che, mano a mano, si amplificava nel piccolo ambiente rischiarato dal sole.
-RIN!- urlò Haruka quando vide la sua bambina dondolare tra le braccia estranee del soldato.
-Era così difficile?- chiese lui guardando con sprezzo le lacrime della donna incidere le guance rosse dallo sforzo.
-Vi prego.. vi prego, non portatemela via..- un singhiozzo ruppe il suo respiro.
-Che cosa ho fatto per meritarmi questo?- gridò tanto forte da far tremare i vetri delle finestra.
Non potevano portarle via sua figlia, la sua sola ragione di vita.
Il soldato, probabilmente a disagio, strinse più forte la bambina allontanandosi dall'intollerabile sofferenza della madre; Rin pianse ancora ed ancora ma Haruka non poté fare niente per impedire che la portassero via.
Solo quando il collega si era ormai allontanato, il silenzioso soldato lasciò andare Harula.
La donna cadde in ginocchio stringendosi al seno le mani ormai coperte di sangue raggrumato, non aveva mai sentito una sofferenza tanto forte straziarle il cuore. La giovane singhiozzò senza ritegno premendo la fronte contro alle assi di legno tanto forte da lacerare la pelle; il soldato non disse niente, osservando il cuore della povera donna frantumarsi come un misero bricco di vetro soffiato.
Ben presto, il pianto del gemello si unì a quello della madre in una malinconica melodia al sapore di lacrime.
Haruka si voltò verso il soldato colpendo a pugni chiusi la placca frontale della sua armatura.
-Perché? Perché?!-
Il soldato fece un passo indietro scostandosi dalla furia della donna; lei cercò di raggiungerlo ma era troppo debole per sperare di contrastarlo. Così, accorgendosene, cadde nuovamente in ginocchio in preda ad un altro violento attacco di pianto. Il soldato chinò rispettosamente la testa di fronte allo strazio della donna, avviandosi verso la porta ancora spalancata. Una piccola folla di curiosi aveva iniziato ad affacciarsi per verificare cosa stesse accadendo; nello stesso istante in cui videro il soldato emergere dalla casa, la gente si dissipò.
Il condottiero appoggiò una mano allo stipite della porta trattenendosi per un istante.
-Il mondo è un posto crudele. Non sempre ci è concesso conoscere la risposta alle nostre domande.. Dimenticati di tua figlia, fa finta che non sia mai esistita e ricostruisci il tuo cuore distrutto, donna. Questo è il mio solo consiglio.- il soldato sospirò quasi come se quella situazione lo mettesse a disagio.
-Addio.- disse prima di sparire in strada lasciandosi alle spalle solo i frammenti carbonizzati di una innocente felicità.

   
 
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