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Autore: flatwhat    06/10/2014    3 recensioni
Raccolta di OS sul Les Miserables scritte in occasione della Notte Bianca #16 di maridichallenge. Varie ship slash. Canon Era.
1. Grantaire/Enjolras; un gioco di sussurri.
2. Bahorel/Feuilly, OC; un tizio qualunque insulta Feuilly.
3. Combeferre/Prouvaire; i due vanno a passeggiare sotto la neve.
4. Javert/Valjean; una dichiarazione d'amore sembra qualcosa di molto difficile.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Enjolras, Grantaire, Javert, Jean Valjean
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Questa OS contiene riferimenti alla religione e a come l'omosessualità non fosse propriamente accettata, ai tempi.
Non è mia intenzione offendere nessuno, ma se qualcuno dovesse avere problemi, me lo dica e provvederò a rimuoverla immediatamente.
La storia è ambientata in un what-if post canon dove entrambi i personaggi sopravvivono. Il prompt era "Les Misérables, Valvert, la dichiarazione di Javert a Jean Valjean".



Jean Vajean era un individuo difficile da gestire.
L’ormai ex Ispettore Javert si trovava ad osservarlo di soppiatto spesso e volentieri, benché non lo facesse con gli intenti minacciosi di una volta.
Era davvero una strana persona, Jean Valjean.
Sempre cordiale con chiunque e sempre sorridente con le persone che definiva “a lui care”. Quell’uomo si sarebbe paralizzato la faccia, pur di sorridere di continuo nonostante il resto del suo corpo comunicasse un atteggiamento ben diverso- Javert lo sapeva da Montreuil, Jean Valjean era raramente completamente a suo agio, e solo con le persone veramente vicine. Bisognava ringraziare Cosette, se ogni tanto i suoi vecchi muscoli si rilassavano.
Benché fosse un individuo, per indole o per storia personale, tendenzialmente chiuso, era ostinatamente aperto e servizievole con chi reputava di doverlo essere, vale a dire la maggior parte della popolazione mondiale. Anzi, era persino più aperto di come lo era stato a Montreuil, cosa strana visto che non era più un sindaco, ma un galeotto ricercato.
In pratica, Javert lo trovava sul serio un individuo particolare, anche perché si trovava lui stesso oggetto di quella strana cortesia e la cosa non poteva che farlo arrovellare su quello che potesse significare.
Perché Javert era stato un poliziotto, ma trovava che capire come comportarsi con Valjean fosse dannatamente complicato.
Rispondere alla cortesia con cortesia significava più sorrisi, magari anche più genuini di prima, ma come quell’uomo avrebbe reagito un complimento era tutto da vedere. Anche perché sarebbe bastato anche fare un commento en passant su quanto fosse delizioso il tè che aveva preparato per fargli scuotere il capo, gesticolare con le mani e dire “Non è niente di speciale”.
Va bene, magari a quei livelli sarebbe stato esagerato, ma ci andava comunque molto vicino.
Complimentare Cosette o chiunque altro fosse caro a lui avrebbe significato vederlo partecipare alle lodi di buon grado, ma complimentare invece la persona di Jean Valjean avrebbe visto Valjean stesso negare il tutto con velocità disarmante.
C’era anche da sospettare, e Javert ne era abbastanza convinto, che questo fosse in realtà sintomo di un mal celato odio per se stesso, che magari era iniziato semplicemente come spirito di sacrificio, per arrivare poi, con gli anni e le sofferenze, a quei livelli.
Come fare una dichiarazione d’amore a una persona simile, senza aggiungergli ulteriori complessi alla lista o senza che lui la prendesse per falsa?
E questo era il primo problema di Javert. 

C’era anche il fatto che Jean Valjean era una persona molto religiosa.
Certo, lo era in modo molto più aperto di quanto non fossero certe persone, per le quali la fede era una scusa per l’odio.
Jean Valjean non era un uomo dedito all’odio. Non che non fosse capace di provarlo, sicuramente lo aveva provato eccome, ma al giorno d’oggi preferiva indirizzarlo verso se stesso, piuttosto che verso qualcun altro, non importa quanto quel qualcun altro avrebbe potuto meritarlo.
Ma, lo stesso, Javert aveva timore che quanto avrebbe potuto dirgli sarebbe stato troppo anche per lui, che magari avrebbe mascherato tutto sotto il solito sorriso cortese e dentro di sé sarebbe invece stato pieno di pietà per un povero disadattato.
E, se invece avesse accettato, se non fosse stato un problema per lui, che un uomo amasse un altro uomo, e se questo fosse stato veramente sbagliato, indipendentemente dalle sue opinioni?
Avrebbe trascinato quel santo nel peccato?
E questo era il secondo problema di Javert.

 
Il terzo problema di Javert era Javert stesso.
Per lui sentimenti del genere erano del tutto nuovi, e non aveva idea di come esternarli senza fare una figuraccia enorme. Aveva pensato persino di metterli per iscritto, ma si era trovato ancor più a corto di parole.
Non avrebbe potuto lanciarsi in declamazioni smielate come un adolescente, non solo perché era troppo vecchio, ma anche perché non era nel suo carattere. Piuttosto, si sarebbe rasato le basette.
Senza contare, poi, che anche Javert non era più un uomo semplice, con cui avere a che fare.
Usciva da un periodo della sua vita che avrebbe preferito dimenticare, ma purtroppo, erano ben cinquantadue anni di vita, quel periodo. E, di quei cinquantadue anni, una buona parte di essi era stata spesa a dare la caccia e odiare la stessa persona che ora amava.
Sarebbe stato bene, Jean Valjean, con uno come lui? 
E, prima di tutto, come fargli capire i suoi sentimenti?

“Valjean, prima che io vada devo dirti una cosa importante”, disse Javert, sulla soglia di casa, dopo essersi congedato.
Valjean lo fissò attentamente.
“Dimmi. Cosa c’è”.
Javert respirò profondamente.
“Penso che domani pioverà, quindi forse non è il caso che tu vada ai giardini”.
Valjean piegò leggermente la testa, poi ridacchiò.
“Va bene, si vedrà domani. Grazie”.
Javert girò sui tacchi e aspettò di essere lontano prima di premersi il cappello sugli occhi con entrambe le mani. Sapeva di essere rosso in viso.
Dannazione!
E questo era stato solo l’ultimo, di tutti i tentativi che si erano risolti in figuracce.

Avevano letto insieme, quel pomeriggio, un’attività che era iniziata quando Javert si era presentato a casa di Valjean- e, Dio, sembrava tutto così lontano- sbraitando, mentre si asciugava i sudori freddi, in faccia all’uomo che gli aveva sconvolto la vita eppure non osava mandare in galera, e che gli aveva detto, stancamente, di abbassare la voce, facendolo accomodare sulla sua poltrona un momento dopo.
Tra tutti i libri, quello che leggeva Javert era soprattutto la Bibbia, per trovare delle risposte alle sue domande e ricavandone solo altre domande. Meno male che Valjean era sempre contento di fare discussione. Non era mai stato un amante della lettura, ma non gli dispiaceva ormai così tanto, se lo faceva in compagnia di Valjean.
Dopo un ultimo tè, Javert avrebbe tolto il disturbo, come faceva sempre. Chissà se anche oggi avrebbe potuto collezionare qualche pessima figura…
Mentre sorseggiava dalla sua tazza, Javert, con la coda dell’occhio, notò una cosa strana.
Valjean lo stava fissando.
“C’è qualcosa che non va?”.
Valjean si riscosse di colpo.
“Io? Ah…”.
Passandosi una mano sulla fronte, accennò a un sorriso.
“Nulla, nulla. Perdonami”.
Javert alzò le spalle e riprese a bere il tè.

Una sera, Valjean non aveva un bell’aspetto.
Javert si era maledetto interiormente per non aver saputo scorgere prima i segnali che qualcosa non andava. E dire che lo aveva osservato incessantemente, dannazione!
Alla richiesta di chiarimento di Javert, Valjean aveva semplicemente scosso la testa, e detto, al suo solito “Non c’è nulla che non va”, anche se aveva l’aspetto poco curato e sospirava più del solito e aveva anche dei cerchi attorno agli occhi. Già, proprio nulla, pensò Javert cominciando a irritarsi sul serio.
“Insomma Valjean…”, cominciò. Poi, ad un tratto, gli venne in mente un’orrenda possibilità. 
“È successo qualcosa a Cosette?”, chiese d’un tratto, maledicendosi poi per averlo detto ad alta voce.
Ma Valjean gli aveva lanciato un’occhiata.
“Cosette sta bene”.
Ma da come aveva poi abbassato lo sguardo e sospirato ancora, forse si poteva dedurre che Cosette c’entrasse qualcosa.
Javert sospirò a sua volta.
“Eppure, c’è qualcosa che non va, non è vero? Dimmi almeno come posso aiutare”.
Valjean ridacchiò e Javert scorse una vena di stizza nella sua risata. 
“Dubito che tu possa fare qualcosa materialmente”.
Era il suo modo per dire che il problema era nella sua testa?
Javert stette un momento a rimuginare. Poi…
“Questa domenica non dovevi andare da Cosette?”.
Valjean emise un sospiro più lungo degli altri, sconfitto.
“Sì, ma mi sono trattenuto poco”.
“E come mai?”.
Valjean lo fissò.
“Non mi sento più tranquillo, in casa sua”.
Poi, strascicando una gamba, si andò a sedere, invitando Javert a fare altrettanto.
“Credo di doverti delle spiegazioni, dato che ti vedo preoccupato”, disse Valjean, incrociando le braccia.
“Prima di tutto, sappi che avevo intenzione di rivelare almeno a suo marito chi fossi realmente, perché non osavo continuare a vivere insieme a loro con questo peso disonesto sul cuore. Pensavo di farlo subito dopo il matrimonio, ma all’ultimo momento non ce l’ho fatta. Sono stato un codardo”.
Era sempre difficile ascoltare Jean Valjean mentre parlava in termini così cattivi di se stesso.
“Quindi per loro sono ancora Fauchelevent, un uomo onesto”, volse lo sguardo altrove, “Ma questa cosa non può durare. Devo loro delle spiegazioni, capisci? Ma, allo stesso tempo, temo l’inevitabile”.
Javert si chinò in avanti.
“E cosa sarebbe, questo ‘inevitabile’?”.
Valjean tornò a guardarlo. Nei suoi occhi vi era una enorme tristezza. 
“È inevitabile che mi abbandonino”.
“Cosa…?”.
“Ed è giusto così…”.
“No!”, sbottò Javert, “Perché dovrebbe essere giusto?”.
“Perché il mio compito si è concluso, e Cosette si merita di meglio”.
“Sei suo padre, maledizione! Credi davvero che starebbe meglio, se sparissi dalla sua vita?”.
Valjean si premette una mano sugli occhi.
Javert rimase senza parole.
Lo credeva davvero. 
“È un ragionamento assurdo”, disse piano, quando le parole gli furono tornate.
“E inoltre, ti conosco. Lasceresti fuori dal racconto tutte le parti che dimostrano che sei un uomo buono”.
“Ce ne sono, sepolte sotto a ciò che dimostra invece che io non lo sia?”. Un’altra risata triste da parte di Valjean.
“Ora stai semplicemente vaneggiando”, disse Javert, sempre più amareggiato.
“Forse, ma è lo stesso. E anche se accettassero che io sia migliore di quanto non fossi in passato, nulla cancellerebbe le mie azioni di allora. Insomma, Javert, chi potrebbe mai amarmi, dopo aver saputo tutto di me?”.
“Io”.
Valjean lo guardò sorpreso.
“Co-”.
“E Cosette!”, aggiunse Javert immediatamente, con crescente imbarazzo.
“Già, Cosette”, continuò. “Ho il sentore che lei ti amerebbe a prescindere, sul serio. Come dici tu, non si cancella il passato, e nulla potrà farle dimenticare cosa sei stato per lei, mai. Va bene, Marius forse potrebbe avere da ridire, ma potrei fare io stesso una chiacchierata con lui, e se gli dici che sei stato tu a salvarlo…”, si nascose il volto tra le mani quando si accorse di essere diventato paonazzo.
“Cosa”, fece Valjean con una certa allegria, “Cosa avevi detto prima di tutto questo?”.
Javert gli lanciò un’occhiata dalle fessure tra le dita.
“Lo hai sentito”.
Si rialzò contro lo schienale della sedia.
“Forse dovrei specificare che non ti amo come fa Cosette”. Il rossore non lo aveva lasciato, ma tanto valeva andare fino in fondo.
“Ah, non volevo insinuare che lei non ti ami. Intendevo la diversità nel modo di…”.
“Sì, sì, avevo inteso”, disse Valjean, sorridendo apertamente.
“E, già che stiamo parlando di lei, non ho alcuna intenzione di sostituirla o che altro”.
“Lo so”.
“E, un’ultima cosa”, Javert chiuse gli occhi, accasciandosi sulla sedia. “Una sola parola da parte tua, e uscirò da questa casa e dalla tua vita. Prometto che non tornerò al ponte. Ma non intendo rimanere qui se ciò ti provoca sconforto”.
Non sentì Valjean rispondere, ma lo sentì alzarsi dalla sedia, raggiungerlo e stringerlo a se.
“Ti prego, dimmi che non è pietà”, sussurrò Javert, sul petto di lui.
“Non lo è”, disse Valjean, poi, finalmente, rise di cuore.
“Già, sarà ancora più divertente appena saprai per quanto tempo ho cercato di dirlo”.
“Ancor più divertente perché anche io cercavo di farlo da un po’”.
Contro ogni volontà, Javert sentì le sue stesse piegarsi all’insù.
“Davvero?”.
“Sì, ma non avevo il coraggio”.
Javert lasciò andare una risata e si separò da Valjean.
“Siamo davvero senza speranze”.
“Davvero”, fece eco Valjean.
“No, aspetta… Intendevo in senso… Non con Cosette”.
“So cosa intendevi”. Valjean gli fece una rapida carezza, poi rimosse la mano, come se non sapesse bene cosa fare dopo.
Ci sarebbe stato tempo anche per quello.
“Cosette. Vuoi ancora parlare con lei e suo marito?”.
“Sì. Devo”.
“Permetti che sia presente anche io?”.
“Forse”.
“O almeno”, continuò Javert, guardandolo con sincera apprensione. “Prometti che non ti condannerai da solo, quando racconterai?”.
“Ci proverò”.
Entrambi sospirarono.
Poi, Valjean gli sorrise di nuovo e, in modo quasi esitante, si chinò a dargli un bacio sulla fronte.
“In ogni caso, ti ringrazio”.
Per cosa? Per avergli fatto constatare di essere amato?
“Non c’è di che”, mormorò Javert.
Alzò le spalle per celare l’imbarazzo che di nuovo si stava impadronendo di lui. Strano che avesse ancora voglia di sorridere.
Avrebbe potuto farci l’abitudine.
  
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